BLACK AXE: MAFIA NERA
LA MAFIA AFRICANA
AMICA DI COSA NOSTRA
BEVE SANGUE UMANO,
TRAFFICA IN DROGA E PERSONE
E PROSPERA DOPO L’INVASIONE
DEI MIGRANTI NIGERIANI
ANCHE CON LA MAGIA NERA
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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«Vorrei attirare la vostra attenzione sulla nuova attività criminale di un gruppo di nigeriani appartenente a sette segrete, proibite dal governo a causa di violenti atti di teppismo: purtroppo gli ex membri di queste sette che sono riusciti ad entrare in Italia hanno fondato nuovamente l’organizzazione qui, principalmente con scopi criminali». L’allarme non giunge dalle dichiarazioni di un politico della Lega ma fu scritto nero su bianco in un’informativa ufficiale dell’Ambasciata della Nigeria a Roma nel lontano 2011. Nonostante ciò proprio i Governi italiani successivi dei premier Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, benedetti dai presidenti Napolitano e Mattarella, non solo non hanno prestato attenzione a questa segnalazione di pericolo criminale ma hanno incentivato gli sbarchi con l’accoglienza indiscriminata di migranti centroafricani, potenziali clandestini per la mancanza di requisiti necessari all’asilo politico e quindi reclute ideali della malavita nigeriana. La setta segreta cui fa riferimento l’ambasciatore dello stato centroafricano è la famigerata Black Axe ovvero “ascia nera”. Nel maggio scorso il Tribunale di Palermo ha inflitto a 14 esponenti di tale sodalizio malavitoso 87 anni di carcere con la contestazione agli imputati del reato di associazione di stampo mafioso. I nigeriani sono stati condannati con le accuse di aver controllato il mercato della prostituzione e lo spaccio di droga tra i loro connazionali nel capoluogo siciliano. Secondo il rapporto semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, redatto a fine 2016 e riportato allora da Il Giornale, l’organizzazione africana ha stretto tali rapporti con le cosche di Cosa Nostra in Sicilia da consentire ad alcuni nigeriani di sedere nei mandamenti, ovvero le riunioni dei capifamiglia di un territorio, tanto da essere ribattezzata dai reportage de Il Fatto Quotidiano “Cosa Nera”. Ad alcuni degli imputati nel processo di Palermo vengono contestati anche le lesioni e la violenza sessuale: una circostanza che riporta alla memoria la tragica e macabra vicenda di Pamela Mastropietro ed i troppi misteri che si nascondono nelle pieghe dei verbali con le confessioni a metà del 29enne nigeriano Innocent Oseghale: il principale indagato accusato dalla Procura di Macerata di omicidio volontario aggravato – in quanto commesso nell’ambito una violenza sessuale – vilipendio, distruzione, occultamento di cadavere e violenza sessuale ai danni di una persona in condizioni di inferiorità psichica o fisica.
BLACK AXE: UNA STORIA DI CRIMINI
«Nata negli anni ’70 all’università di Benin City, in Nigeria, come una confraternita di studenti, Black Axe all’inizio è una gang a metà tra un’associazione religiosa (li chiamano culti) e una banda criminale, che stabilisce riti d’iniziazione e impone ai suoi affiliati di portare un copricapo, un basco con un teschio e due ossa incrociate, come il simbolo dei corsari» scrive Ilfattoquotidiano.it che in un reportage a puntate ha ricostruito la ramificazione dei «tentacoli di questa nuova piovra criminale arrivati anche in Italia, dove i boss nigeriani hanno iniziato a dettare legge nei sobborghi di città come Brescia e Torino: droga, spaccio, gestione delle prostitute e un regime di terrore molto simile a quello che è il marchio di fabbrica delle mafie di casa nostra».
«La più temibile tra le organizzazioni rampanti della criminalità africana è la Black Axe. Coniugano l’innovazione dei nuovi business di internet alla tradizione di un sistema di reclutamento ferocissimo. Dall’impostazione di gruppo universitario, infatti, mantiene il carattere della cooptazione. Non ci si arruola nella Black Axe. E’ la Black Axe che sceglie i suoi membri. E non ci si può opporre. Pena, ricatti e sofferenze inenarrabili come quelle subite e scoperte a Palermo da un giovane africano, violentato con un tubo di ferro, perché non voleva servire la malavita» si legge in un articolo de Il Giornale del novembre 2016 in cui si fa riferimento alla relazione semestrale della Dia: «Hanno come simbolo un’ascia nera (da cui prendono il nome) che spezza le catene che stringono i polsi di uno schiavo. E’ organizzata in zone, templi e forum, questi ultimi sparsi qua e là per il mondo. Nei forum si raccolgono gli esponenti della Black Axe sui territori extranazionali».
TRAFFICO INTERNAZIONALE DI DROGA E DI ESSERI UMANI
Le specializzazioni criminali sono estremamente articolate ed in pratica rappresentano tutti i settori che paiono essere stati “ceduti” da Cosa Nostra – sicuramente in cambio di dividendi sui ricavi – che hanno voluto sempre più dedicarsi ai redditizi affari in ambito finanziario, negli appalti delle opere pubbliche e nella gestione delle cooperative di assistenza dei migranti come confermano la vicenda di Mafia Capitale e le numerose inchieste nella penisola. Oltre alla già citata prostituzione, gestita con la complicità delle maman che tengono sotto scacco le ragazze con la minaccia del juju (di cui parleremo più avanti), si spingono fino al traffico di esseri umani e al business dei matrimoni di convenienza. Negli ultimi tempi le consorterie africane hanno conquistato un posto importante non solo nello spaccio locale di droga ma nel traffico internazionale. Secondo una relazione della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, i nigeriani hanno piantato diverse bandierine in Colombia e in altre aree del Sudamerica. Da qui gestiscono l’acquisto e la spedizione di cocaina che avviene tramite gli “aviocorrieri”, ossia dei poveri disgraziati a cui vengono fatti ingerire gli ovuli con la droga. Da questa posizione riescono a tessere alleanze con le mafie tradizionali. Dal Giappone, dove sono in stretto contatto con la famigerata Yakuza, fino al Canada e al Sudafrica dove rappresentano una minaccia ben nota alle polizie locali. E guardacaso il rafforzamento ed la diffusione di Black Axe in Italia è avvenuto proprio negli ultimi anni di invasione degli immigrati nigeriani.
L’INVASIONE DI NIGERIANI IN ITALIA
Nonostante i ripetuti allarmi circa l’elevatissimo livello di pericolosità e ramificazioni della mafia nigeriana negli ultimi anni c’è stata una vera e propria invasione di immigrati di tale nazionalità. Uno sbarco incontrollato avvenuto in particolare per volontà dell’ex premier Matteo Renzi (firmatario con l’Ue di un accordo per l’accoglienza dei migranti africani in Italia in contropartita ad una flessibilità sul debito pubblico) e letteralmente esploso fin dall’insediamento dei Governi tecnici voluti dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Una migrazione indiscriminata e non giustificata dalla presenza di conflitti bellici, ad eccezione della piccola area dello stato di Borno controllata dai terroristi di Boko Haram alleati con l’Isis. Ecco perché la maggior parte delle domande di asilo politico vengono respinte ed una gran parte di nigeriani si ritrova così a vivere nella clandestinità cercando di sfuggire al rimpatrio e divenendo così reclute preziose per Black Axe ed i suoi traffici. Secondo un rapporto di Open Migration che cita i dati Ismu nel 2016: «il 71 per cento di loro ha ricevuto un diniego alla domanda d’asilo e in molti casi ha fatto ricorso».
Nello stesso reportage l’organizzazione umanitaria conferma il crescendo di immigrati dello stato centroafricano: «Nei primi sei mesi del 2017 sono stati oltre 12 mila i nigeriani che hanno raggiunto l’Italia dalla Libia. A fine 2016 erano stati 27 mila, il + 48 % rispetto all’anno precedente. La loro è ormai la nazionalità stabilmente in cima alla classifica di chi raggiunge le nostre coste dal Mediterraneo centrale, e lo è fin dall’estate del 2011, al tempo della cosiddetta Emergenza Nord Africa». Stando agli ultimi dati aggiornati riportati da Wikipedia sul fenomeno: «Nel 2014 c’erano 71.158 immigrati regolari dalla Nigeria in Italia; nel 2006 erano 37.733. Le tre città con la maggior presenza nigeriana in Italia sono Torino, Roma e Padova. Al 31 dicembre 2017 i cittadini nigeriani residenti in Italia sono 106.069 inserendosi al 13º posto delle nazionalita’ più numerose in Italia e la 3° come paese africano. Le Regioni con la maggior presenza di nigeriani è l’Emilia-Romagna con 14.543 persone, seguita dalla Lombardia con 14.147, e dal Veneto con 13.909, mentre tra le città Torino primeggia con 5.189 presenze, davanti a Roma con 4.853 e Padova con 2.570.
L’ALLARME DELLA DIA DI FEBBRAIO
Dopo quella del 2016 anche secondo la relazione diffusa nel febbraio 2018 dalla Direzione investigativa antimafia i malavitosi nigeriani continuano a «distinguersi per le modalità particolarmente aggressive» con le quali portano avanti i propri affari ed il gruppo più forte e pericoloso resta Black Axe: «il cui vincolo associativo – sottolineano gli analisti della Dia – viene esaltato da una forte componente mistico-religiosa» che ne ha consentito una rapida diffusione soprattutto a Torino, Novara, Alessandria, Verona, Bologna, Roma, Napoli e Palermo. Caratteristica di questa organizzazione mafiosa è la «struttura reticolare distribuita su tutto il mondo»: gli stupefacenti, stoccati nei laboratori dei Paesi centroafricani, raggiungono l’Italia attraverso varie direttrici, sia per via aerea che marittima o terrestre, sfruttando i canali già utilizzati in passato per il contrabbando di armi, avorio e pietre preziose. Altrettanto «articolate» e connotate da «particolare violenza» sono la gestione della tratta di persone e la prostituzione: recenti inchieste hanno documentato, ad esempio, come giovani donne, anche minorenni – attirate con la falsa promessa di un lavoro in Europa – vengano concentrate in Libia, sottoposte a violenze e stupri e fatte partire per le nostre coste. «Spesso per vincolarle al pagamento del debito contratto per il viaggio sono sottoposte a riti voodoo, con minacce di morte per chi tenta di affrancarsi e le rispettive famiglie – scrive l’Agi nel lancio di agenzia sulla relazione Dia – Gruppi nigeriani sono risultati attivi anche nel trasporto verso il nord Europa – via Ventimiglia – di profughi e clandestini provenienti dalla Siria, dall’Egitto, dal Sudan e dall’Eritrea: in Sicilia, Calabria e Campania in genere, come gli altri gruppi di matrice etnica, operano tendenzialmente con il beneplacito delle mafie storiche mentre in altre zone dimostrano una maggiore autonomia che sfocia anche in forme di collaborazione quasi alla “pari“. Forte resta la capacità di interagire con le organizzazioni di riferimento nei Paesi d’origine e con cartelli multinazionali, dei quali rappresentano, nella maggior parte dei casi, «delle cellule operative distaccate, funzionali alla realizzazione degli illeciti».
BLACK IN AFFARI CON COSA NOSTRA
«Gli investigatori palermitani iniziano ad accorgersi che sotto il monte Pellegrino c’è una nuova pericolosissima gang mafiosa il 27 gennaio del 2014: quella notte in via del Bosco – quartiere Ballarò, uno dei mercati storici della città – due cittadini nigeriani vengono aggrediti a pugni, calci e chirurgici colpi di ascia da sei connazionali. Quella che gli agenti della Squadra Mobile scorgono nell’oscurità è un scena raccapricciante: alla fine della spedizione punitiva, infatti, le due vittime vengono marchiate con un taglio profondo, eseguito probabilmente con un machete, che gli sfregia la parte superiore del volto» comincia così il reportage di Giuseppe Pipitone, giornalista siciliano specialista di inchieste di cronaca giudiziaria de Il Fatto Quotidiano che ha dedicato un dossier a puntate a Black Axe ed alle sue connessioni con Cosa Nostra. Le scrupolose indagini dei magistrati s’indirizzarono subito su altri tre cittadini originari della Nigeria che vivono tra i vicoli di Ballarò: si chiamano Austine Ewosa, detto Johnbull, Vitanus Emetuwa, detto Acascica e Nosa Inofogha. Si giustificarono asserendo di aver agito per difendere una loro donna ma i pm palermitani dubitano di tale movente per una rissa condotta con tale efferatezza e cominciano a sospettare che Johnbull sia anche uno dei boss della Black Axe a Palermo, che a Ballarò controlla lo spaccio di droga, minacciando e massacrando i pusher concorrenti che vogliono spacciare senza sottomettersi alla banda.
A quel punto però i magistrati palermitani esperti nella lotta a Cosa Nostra si chiedono come possano i malavitosi di un’organizazione straniera essere diventati così potenti da gestire un intero quartiere. La risposta giunge dal dialogo emerso dalle intercettazioni telefoniche tra l’ergastolano Giovanni Di Giacomo, «un boss autorevole già nel gruppo di fuoco di Pippo Calò» scrive FQ ed fratello Giuseppe, ritenuto reggente del clan di Porta Nuova ed ucciso il 12 marzo del 2014 nelle strade del quartiere Zisa. «In uno di quei colloqui, Giovanni Di Giacomo chiede informazioni su Ballarò, il quartiere storico nel centro della città. “Lì ci sono i turchi” dice il fratello, e a Palermo da più di mezzo secolo quando qualcuno dice “i turchi”, si riferisce genericamente alle persone di colore. È per questo che Di Giacomo chiede delucidazioni: “Quali turchi?” “I nigeriani” chiarisce il boss di Porta Nuova. “Ma sono rispettosi – aggiunge – mi vengono ad aspettare sotto casa per parlare, chiedere …e poi questi immagazzinano”. Una affermazione che, per gli inquirenti, spiega chiaramente come Cosa nostra a Palermo abbia dato il suo via libera alla presenza dei nigeriani di Black Axe sul territorio. E quella spiegazione, “questi immagazzinano”, vuol dire praticamente che nei vicoli dimenticati di Ballarò i nigeriani “rispettosi” conservano enormi quantitativi di droga, con il beneplacito delle famiglie di Cosa nostra, ormai falcidiate dagli arresti e a corto di soldati fedeli per controllare ogni angolo della città». Elementi che inducono la Procura a contestare alla banda di Johnbull il tentato omicidio e lo spaccio di droga con l’aggravante delle modalità mafiose.
IL BOSS NERO SEGUITO DAI SERVIZI SEGRETI
Se a Palermo c’è il boss che rivendica il suo ruolo a colpi di machete, a Catania gli agenti dei servizi segreti dell’Aisi, l’Agenzia per la Sicurezza Interna (ex Sisde), compilano informative su Grabriel Ugiagbe, nigeriano di 33 anni, boss di primo livello di Eiye, un’altra importante organizzazione criminale nigeriana, a volte in rivalità con Black Axe fino a vere faide di clan, ma più spesso alleata per ottimizzare gli affari dello spaccio di droga e tessere relazioni con altre mafie tanto che Ugiagbe sarebbe «diventato un boss autorevole tra le cosche di mezza Europa – aggiunge Il Fatto Quotidiano Dal suo residence a Catania, nel quartiere Librino si sposta in continuazione all’estero, in Austria e Spagna, ma anche nel nord Italia, terreno di conquista per le mafie nigeriane già da diversi anni».
LE SENTENZE PER MAFIA NIGERIANA
«Nel 2009 a Brescia vengono condannati per 416 bis, con pene dai 5 ai 7 anni, dodici persone, la “cupola” della mafia nigeriana nella città lombarda, guidata in città da Frank Edomwonyi» precisa il giornalista Pipitone nel suo reportage. “Si avvalevano della forza di intimidazione del vincolo associativo, nonché della condizione di assoggettamento e di omertà che si sostanziava nell’osservanza delle rigorose regole interne, di rispetto ed obbedienza alle direttive dei vertici con previsione di sanzioni anche corporali in caso di inosservanza, nella pretesa dagli affiliati del versamento, obbligatorio e periodico, di somme di denaro prestabilite per le finalità del gruppo locale e per le finalità della casa madre nigeriana” scrive nell’atto di accusa il pm antimafia Paolo Savio. Anche a Torino, la mafia nigeriana è stata oggetto di un processo nel 2010 quando 36 imputati, appartenenti ai clan Black Axe e Eiye, sono stati condannati per associazione mafiosa con pene dai 4 ai 14 anni di carcere. Proprio nel capoluogo piemontese le due gang rivali pochi anni prima, nel 2003, erano giunte ad una vera guerra combattuta per le strade della città con coltelli, machete e asce.
L’ultima in ordine di tempo è la sentenza di condanna emessa nel maggio scorso dal gup Claudia Rosini del Tribunale di Palermo che ha condannato complessivamente a 87 anni di carcere, in rito abbreviato, 14 nigeriani accusati di far parte della Black Axe con la contestazione del reato di associazione mafiosa come richiesto dal pm Gaspare Spedale. Tra gli arrestati c’erano anche il capo del clan Festus Pedro Erhonmosele e il suo vice Osahon Kennet Aghaku che, a soli 22 anni, aveva già un ruolo importante nell’organizzazione e si occupava personalmente di punire chi disubbidiva.
«A svelare i meccanismi dell’associazione criminale, dopo il blitz, fu uno degli arrestati che ha scelto di collaborare con gli inquirenti: Nosa Inofogha. L’affiliazione – secondo il collaboratore – veniva preceduta da un periodo di “orientation” ossia una sorta di apprendistato nel corso del quale venivano insegnate le principali regole del sodalizio. Al neo componente si insegnava come picchiare i nemici e le vittime» scrive sempre Il Fatto Quotidiano che poi fa l’elenco di nomi e rispettive condanne (ridote di un terzo della pena in virtù dei benefici del rito appreviato davanti al Giudice dell’Udienza Preliminare) partendo dalla pena più elevata di 14 anni di carcere toccata ad Alaye Samson Obama e Ibrahim Yusif, fino a quella inflitta al collaboratore di giustizia Nosa Inofogha, 4 anni e 5 mesi, che è quasi doppia a quella del presunto boss del quartiere Ballarò, Austine Johnbull, 2 anni e 8 mesi. Altri cinque presunti affiliati alla Black Axe andranno invece a processo con rito ordinario. Ma proprio per il pestaggio del gennaio 2014 lo stesso Johnbull nel luglio scorso ha ricevuto una ben più pesante sentenza di condanna dalla Corte d’Appello di Palermo che ha confermato l’esito del procedimento davanti alla II Sezione del Tribunale di Palermo: 12 anni e 4 mesi anni per Austine Johnbull, considerato il capo della banda; 10 anni e 8 mesi per Vitanus Emetuwa; 10 anni e 6 mesi per Nosa Inofogha. Anche per i giudici di secondo grado i tre nigeriani sono colpevoli di tentato omicidio, rapina, lesioni, spaccio ed estorsione nei confronti del connazionale ridotto in fin di vita a colpi di ascia e machete. Tutti reati aggravati dal metodo mafioso.
BERE SANGUE UMANO COME RITO DI AFFILIAZIONE
Come evidenziato dall’impianto accusatorio del pm antimafia Paolo Savio al processo di Brescia, si è scoperto che «l’affiliazione alla famiglia mafiosa prevedesse un rito particolare: bere sangue umano, recitando strane invocazioni» precisa ancora il giornalista Pipitone rammentando come già l’arcaica affiliazione a Cosa Nostra con un giuramento pronunciato mentre un’immagine sacra veniva fatta bruciare insieme al sangue di una ferita autoinflitta ad un dito.
Ma l’affiliazione dei nigeriani è ben più cruenta e ricorda i riti animistici tribali risalenti agli Yoruba contaminati da una sorta di emulazione della liturgia iniziatica delle cosche siciliane. Va infatti contestualizzata in un ambito culturale in cui le invocazioni degli spiriti durante danze sfrenate (spesso per uso di droga), i sacrifici di animali, la magia nera ed i sortilegi con amuleti e feticci portatrici di benefici o malefici sono tenuti in forte considerazione anche da quegli africani cresciuti secondo un’educazione cristiana che ha fatto grande fatica ad affrancarsi dal pantheon politeista. Tanto che il nome di Santeria per la religione animista di Cuba e del centro america fu coniato dagli spagnoli proprio per la venerazione dei santi cattolici divinizzati dai discendenti degli schiavi africani che li inserirono nel loro tempio affiancandoli ad altri preesistenti, anche agevolati dal fatto che Legba, l’anello di congiunzione tra divinità e uomo nel vudù, viene a volte identificato con il simbolo di una croce alla stessa stregua di Cristo.
MAGIA NERA E RITI CRUENTI DEL VUDU’
Tali pratiche sono state sovente correlate al al Voodoo, religione di stato in Benin ed ad Haiti, ed al culto della magia nera che viene ben descritto dal sedicente maestro vudù John Arkam: «Lo scopo dei rituali Vudù o Voodoo tradizionali è quello di entrare in contatto con gli spiriti (Loa) e guadagnare il loro favore, offrendo loro doni per ottenere aiuto in forma di cibo più abbondante, di un livello di vita più elevato, o di una salute migliore. Vi sono poi diversi specifici rituali Vudù volti ad ottenere protezione, amore, denaro, ecc. I predicatori Vudù o Voodoo possono essere maschi (houngan or hungan), o femmine (mambo). Un tempio Vudù è chiamato hounfour (o humfort)». Tra i principali rituali ci sono le esoteriche danze dall’impronta quasi sabbatica anche per l’uso potente di droghe. Queste come spiega Arkam sono. «Eseguite da l’houngan e/o mambo e da hounsis, studenti che stanno apprendendo il Vudù. La danza crescerà sempre più di ritmo, sino a che uno dei ballerini (normalmente un hounsis) cadrà al suolo posseduto da Loa. Il piccolo angelo guardiano ha abbandonato il suo corpo e gli spiriti ne hanno assunto il controllo. Il danzatore posseduto agirà per conto di Loa e sarà trattato da tutti i presenti con grande rispetto e riverenza». Ma il maestro cultore di questa religione evidenzia anche le macabre usanze: «Gli houngans e i mambos trattano quasi esclusivamente magia bianca per invocare salute e buona sorte. Tuttavia, i Caplatas (noti anche come Bokors) talvolta chiamati “la mano sinistra del Vudù”, eseguono atti di stregoneria demoniaca, o magia nera. I loro rituali Vudù prevedono sacrifici di animali che potranno essere pecore, capre, galline o cani. Usualmente vengono uccisi incidendo loro la carotide e il sangue viene raccolto in un bacile: il posseduto berrà poi parte del sangue». Tali cruente liturgie sono in onore del Loa Petro (Petwo in creolo haitiano): «E’ una famiglia di spiriti Loa della religione Vudù haitiana. Essi hanno avuto origine in Haiti, sotto le dure condizioni di schiavitù. Gli spiriti Loa “Petro” sono spesso considerati come malefici o demonici, usati nella magia nera. Sono i “nuovi” Loa che possono essere ricondotti alle condizioni inumane inimmaginabili alle quali vennero sottoposte gli schiavi». Ecco quindi una connessione cultuale tra questo potente spirito e il simbolo di Black Axe con l’ascia che spezza le catene ai polsi. Ma secondo altri studiosi i rituali dei nigeriani sono ricollegabili ad un’altra più generica cultura religiosa tribale…
GLI ANIMALI SGOZZATI A TORINO
L’Associazione Italiana difesa animali e ambiente (Aidaa) nei mesi scorsi ha reso noto di aver inviato un’esposto a due procure per sacrifici di animali connessi a riti vudù. Nell’esposto viene denunciato che tra il mese di giugno e dicembre 2017 sarebbero stati accertati sacrifici di animali a Torino, «nella zona compresa tra il mercato di Porta Palazzo compresa tra viale Milano e via Clemente Damiano Priocca in diverse case private abitate da cittadine di origine nigeriana, alcune delle quali dedite al controllo della prostituzione nella zona di Abbiategrasso e Rho in provincia di Milano». «Per lo più su tratta di sacrifici di gatti e di galline – scrive Aidaa – uccisi durante dei riti di magia nera. In almeno 7 casi sarebbero state sacrificate galline sgozzate vive all’interno delle vasche da bagno delle predette abitazioni per celebrare il rito del sangue con il quale si intende sottomettere mentalmente le giovani ragazze appena arrivate dalla Nigeria”. Tuttavia, anche un gatto sarebbe stato vittima del rituale alla presenza di diverse persone, nello stesso appartamento. Aidaa ricorda che i “Gatti sarebbero uccisi con un taglio della giugulare e poi lasciati dissanguare (morti) ed il sangue poi raccolto in un recipiente utilizzato poi durante il rito di sottomissione».
LO JUJU E LA SOCIETA’ DELLA REGINA VENDICATIVA
Più del Vudù ciò che influenza la cultura della Nigeria è lo Juju. Juju o Ju-Ju è una parola originaria dell’Africa occidentale, o della Francia, usata un tempo dagli europei per descrivere il complesso delle religioni tradizionali dell’Africa occidentale. Col tempo, il termine è andato a indicare quegli elementi, come amuleti e incantesimi, che sono tipici della stregoneria tradizionale di quella regione africana. Lo Juju è diffuso soprattutto a occidente delle regioni interessate dal voodoo, e da lì verso settentrione fino ai margini meridionali dell’Africa islamica come spiega lo studioso di antropologia esoterica Daniele Mansuino «Nell’ambito del juju, che assomiglia per certi versi alle macumbe brasiliane influenzate dalla cultura yoruba (come la quimbanda), un’importante sottodeterminazione è la Società della Regina della Costa, diffusa tra il Benin e la Nigeria. Possiamo definire questa associazione uno dei tanti aspetti del culto di Mami Wata».
Quest’ultima entità fu ribattezzata la “sirena del vudu” in una mostra tenutasi a Milano nel 2011 ed organizzata dal Centro Studi Archeologia Africana di Milano e dal Festival del Cinema africano, d’Asia e America Latina e così viene descritta dai curatori: «Lungo la costa dell’Africa che si affaccia sul Golfo di Guinea, tra Togo, Bénin e Ghana, Mami Wata è considerata un vodu che vive nelle acque dell’oceano. E’ la “sirena”. Ma Mami Wata, è nomade e la si può trovare in molti altri paesi africani, nei Carabi, in Brasile e anche in Europa. Molte sono le sue identità e notevole la sua capacità di metamorfosi e adattamento: regina delle acque, dea della fertilità, avida accumulatrice di denaro, vanitosa e dispettosa despota nei confronti dei suoi adepti, sirena, incantatrice di serpenti, donna e uomo, ammaliatrice, prostituta e amante gelosa. Mami Wata è “moderna”, straniera rispetto ai luoghi che la ospitano, viaggiatrice ed esotica, promessa di una felicità ineffabile ma sempre più seducente. Mami Wata incorpora le ambiguità dell’essere umano e della società contemporanea, promessa di ricchezza e minaccia di morte. Secondo i suoi adepti, vive in una bellissima e futuribile città situata nel fondo del mare, ma accettare il suo invito ad abitare la città invisibile, significa accettare di abbandonare la propria vita, la materia della propria esistenza e venire trascinati per sempre nei neri abissi dell’oceano. Firmare un patto con lei può assicurare il successo e la ricchezza ma il prezzo da pagare può essere molto elevato».
Intorno a questa misteriosa divinità si muove il culto Juju ed in particolare quello della Società della Regina della Costa che ha finalità ben chiare secondo lo studioso Mansuino: «Oltre al traffico di carne umana, l’occupazione principale della Società è battersi contro la diffusione del Cristianesimo. E’ stato detto che nel nord della Nigeria si allei talvolta, a questo scopo, con i Mussulmani; ma i puristi della Société sconfessano questa possibilità, affermando che se ciò è avvenuto si trattava soltanto di schegge impazzite».
Ecco quindi che la mafia nigeriana incarna una pericolosità che potrebbe rivelarsi addiritura peggiore di quella di Cosa Nostra per l’acrimonia di vendetta degli antenati schiavi come per il retaggio di culti demoniaci, cruenti e tribali che sfiorano il cannibalismo, evidenziato dal rito di affiliazione di bere sangue umano, non si sa di quale provenienza, e dagli atroci dialoghi tra i nigeriani complici dello smembramento del corpo di Pamela Mastropietro (leggere precedente articolo sugli stupri neri qui) che si stupiscono che il suo aguzzino Oseghale non ne abbia mangiato il il cuore ed il corpo poco a poco, conservandolo in frigorifero. I sospetti che tale crimine sia stato in qualche modo maturato in un ambito di azione della mafia nigeriana sono molti. E dalle indagini sul delitto della ragazza maceratese è pure emerso che il maciullatore del suo cadavere avesse preso in esame l’ipotesi di scioglierlo nell’acido come usava fare Cosa Nostra per far sparire ogni traccia di un omicidio.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
FONTI
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/cos-black-axe-i-misteri-mafia-nigeriana-1336536.html
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/21/mafia-nigeriana-a-palermo-le-prime-condanne-per-cosa-nera-87-anni-per-14-affiliati-alla-black-axe/4371337/
https://www.agi.it/cronaca/mafia_nigeriana-3481232/news/2018-02-13/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/19/mafia-nigeriana-il-patto-con-cosa-nostra-agguati-con-lascia-e-sangue-bevuto-a-palermo-prima-inchiesta-sulla-cosa-nera/2105873/3/
https://www.riflessioni.it/esoterismo/magia-nera-africana.htm
http://www.moebiusonline.eu/fuorionda/Mami_Wata.shtml
http://www.1arkamilmago.com/rituali-voodoo.htm