MASSONERIA E STRAGI
LA LOGGIA SEGRETA DI GELLI
SERVIZI SEGRETI E CIA
DIETRO LA STRAGE DI BOLOGNA
COME PER IL DELITTO DI MORO
E DEL GENERALE DALLA CHIESA
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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«A 38 anni dalla strage non conosciamo ancora i mandanti, ma sappiamo molte verità. Milano, Brescia, Bologna, le bombe sui treni, non sono attentati scollegati: sono stragi inserite in una più ampia strategia della tensione. Con mani esterne che hanno sempre lavorato contro la verità».
Paolo Bolognesi
presidente Associazione dei familiari delle vittime del 2 agosto 1980
«La strage di Bologna fu fascista. Fu una operazione di quel Governo mondiale invisibile promotore di quasi tutte le stragi avvenute in Italia. Quel Governo di cui parla il documento del 1967 da me trovato nel 2012 allegato alla requistoria di Emilio Alessandrini. Sono costretto a ripetere ciò che ho scritto nel libro “La Repubblica delle stragi impunite”, che nessuno ha mai smentito. «Chi mise le bombe in luoghi affollati da gente normale era mosso da un’ideologia di disprezzo delle masse, basata su principi gerarchici e autoritari nella gestione del potere. Inoltre, come riconobbe Sandro Pertini, forze esterne al nostro Paese erano interessate a destabilizzare la convivenza civile. Un martellante bombardamento di messaggi fuorvianti si verificò contro i Pubblici Ministeri e i giudici istruttori di Bologna, non appena questi imboccarono la pista del terrorismo neofascista. I giudici istruttori bolognesi scrissero che alcune indicazioni attribuivano al gruppo neofascista di Massimiliano Fachini l’impiego di di esplosivi e il confezionamento di ordigni del tipo di quello usato a Bologna. Egli ne aveva una enorme quantità di natura militare. Poi ci fu una montatura del SISMI per accreditare la pista internazionale con la scoperta il 13 gennaio 1981 alla stazione di Bologna sul treno Taranto-Milano di una valigia con otto latine di esplosivo. Si accertò che il depistaggio era opera del generale Pietro Musumeci, P2, e del generale Giuseppe Santovito, P2, capo del SISMI. Si voleva così suggerire la pista estera all’origine della strage. L’esplosivo era di impiego militare, denominato Compound B utlizzato nel munizionamento terrestre ed aereo». Il compianto Presidente onorario di Cassazione, Ferdinando Imposimato, sintetizzava così le sue verità sulla strage che il 2 agosto 1980 causò 85 morti e 200 feriti.
COLLUSIONI TRA SERVIZI, MASSONERIA E MAFIA
Il magistrato Imposimato, intervenuto nel 2016 per confutare la tesi giudiziaria di una pista palestinese, fa riferimento ad un documento sul Nuovo Ordine Mondiale emerso nel corso del processo per l’omicidio del giudice Alessandrini, avvenuto Milano il 29 gennaio 1979, ad opera di militanti dell’organizzazione comunista Prima Linea come vendetta del suo impegno nella lotta al Terrorismo Rosso. Va anche ricordato che per il depistaggio del gennaio 1981 furono condannati per calunnia aggravata (il depistaggio non era ancora reato del Codice Penale) anche Licio Gelli, maestro venerabile della Loggia coperta P2, coacervo di politici, massoni, agenti della Cia e mafiosi, e Francesco Pazienza, massone e braccio destro di Gelli, agente del Sismi. Secondo il terrorista mercenario venezuelano Ilich Ramírez Sánchez, meglio conosciuto come Comandante Carlos, Carlos lo, marxista-leninista e filo-islamico, detenuto nelle carceri francesi per una condanna all’ergastolo: «La strage di Bologna fu organizzata da CIA e Mossad per punire e piegare Roma. Una ‘rappresaglia’ contro la politica italiana di tolleranza dei gruppi terroristici palestinesi in cambio del loro impegno a non colpire l’Italia».
In poche righe ecco come entrano in connessione i militanti del Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) condannati per la strage di Bologna (ergastolo per Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, 30 anni di carcere per Luigi Ciavardini), i servizi segreti militari, la massoneria e la Cia. Un collegamento che affiora anche da una recentissima indagine sul conto corrente segreto svizzero dello stesso Gelli.
Un complesso, articolato e fluttuante apparato di cospirazioni che travalica i confini delle matrici ideologiche nere o rosse creato nel corso dei secoli con intrecci diabolicamente costruiti tra Stato, Intelligence, Massoneria, Mafia e gruppi terroristici. I giornalisti di Repubblica Paolo Biondani e Giovanni Tizian, in un repoortage sulla strage di Bologna dovizioso di particolari inquietanti, sintetizzano così queste collusioni citando un altro dei fondatori dei Nar, ovvero Massimo Carminati: «Massimo Carminati, arrestato di nuovo nel 2014 come presunto capo di mafia Capitale, ma già condannato negli anni Ottanta come armiere della Banda della Magliana. Tra Nar e Magliana era nata un’alleanza criminale, cementata da un arsenale misto di armi ed esplosivi. Il patto tra terroristi neri e big della delinquenza romana permise di allacciare rapporti con boss di Cosa nostra, riciclatori di denaro sporco, complici piduisti e servizi segreti». A causa delle numerose interconnessioni tra molteplici argomenti sarò costretto ad elaborare una ricostruzione estremamente sintetica dando per scontati molti passaggi e perciò invito chi fosse interessato agli approfondimenti a consultare le fonti riportate in fondo all’articolo.
NUOVA INCHIESTA: IL CONTO SVIZZERO DI GELLI
Proprio mentre è in corso presso la Corte d’Assise di Bologna un altro processo per la strage nei confronti di un altro ex componente Nar, Gilberto Cavallini, oggi accusato di aver agito in concorso con i tre terroristi, si fa più consistente l’ipotesi che quest’ultimo abbia ricevuto soldi per finanziare le operazioni eversive da il mandante occulto del massacro bolognese così come di altre stragi e delitti della storia. Nel febbraio scorso si è infatti venuti a conoscenza che la Procura generale di Bologna ha richiesto una rogatoria ai magistrati svizzeri per fare luce su un conto corrente segreto a Ginevra di Licio Gelli, morto nel 2015 senza aver scontato neppure un giorno di carcere per il depistaggio ordito dopo la strage di Bologna.
«Tutto parte dal crack del Banco Ambrosiano. Il capo della P2 è stato condannato come responsabile e primo beneficiario della colossale bancarotta dell’istituto di Roberto Calvi (il banchiere ucciso nel 1982 a Londra). Sui conti svizzeri di Gelli sono stati sequestrati oltre 300 milioni di dollari, usciti dalle casse dell’Ambrosiano. Tra le sue carte dell’epoca ora emerge un documento classificato come “piano di distribuzione di somme di denaro‘: svariati milioni di dollari usciti dalla Svizzera proprio nel periodo della strage e dei depistaggi, tra luglio 1980 e febbraio 1981. Il documento ha questa intestazione: “Bologna – 525779 XS“. Numero e sigla corrispondono a un conto svizzero di Gelli con il tesoro rubato all’Ambrosiano. Altre note, scritte di pugno da Gelli, riguardano pacchi di contanti da portare in Italia: solo nel mese che precede la strage, almeno quattro milioni di dollari» è quanto scrivono sempre i giornalisti di Repubblica-L’Espresso Biondani e Tizian. Secondo quanto già accertato dalla Procura generale di Bologna guidata da Ignazio De Francisci esiste un filone di denaro proveniente dagli Usa, in particolare da Washington, e diretto proprio a quel contro corrente dove, secondo gli inquirenti, potrebbero essere passati soldi per Cavallini: una ipotesi che spetterà a loro cercare di provare.
MAFIA, ‘NDRANGHETA E MASSONERIA: PAROLA AI PENTITI
In merito alle correlazioni tra mafia, ‘ndrangheta e massoneria deviata giungono preziose le dichiarazioni di alcuni pentiti. Luigi Ilardo, il boss di Cosa nostra che fu ucciso quando stava per pentirsi, confidò ai carabinieri che la mafia seguiva la stessa trama nera: «Per capire le stragi del 1992 e 1993 bisogna guardare agli anni della strategia della tensione. Cosa nostra le ha eseguite, ma quelle stragi sono state decise con settori deviati delle istituzioni, massoneria e servizi segreti». Una tesi tutt’altro che nuova. Basta ricordare quando ammesso, tra tante farneticazioni, nel dicembre 1992 dal pentito di Mafia Leonardo Messina alla Commissione Antimafia, presieduta da Luciano Violante, in merito ai rapporti tra uomini d’onore e liberi muratori: «Cosa Nostra fu fondata nel 1630, è il braccio armato della massoneria». Ma è ancora più utile ricordare l’inchiesta avviata dalla Procura di Palmi, guidata da Agostino Cordova, che pur non giungendo a nessuna condanna consentì di monitorare i componenti delle logge di tutta Italia, in presunta violazione alla Legge Tina Anselmi del 17 del 25 gennaio 1982 in merito a norme di attuazione dell’articolo 18 della Costituzione in materia di associazioni segrete e scioglimento della associazione denominata Loggia P2. Connessioni tra ‘ndrangheta e massoneria vengono oggi confermate dalle confessioni del Cosimo Virgiglio di Rosarno, vicino al clan Molè di Gioia Tauro, il pentito che sta aiutando i magistrati a far luce sulla massoneria deviata nel Vibonese: «Nelle competizioni elettorali i candidati massoni venivano appoggiati dagli appartenenti segreti chiamati Sacrati sulla Spada ovvero criminali che facevano catalizzare su di loro un cospicuo pacchetto di voti. I Sacrati sulla Spada sono persone con un certo rispetto criminale che hanno bisogno di mettere i soldi al sicuro a Roma. E’ un sistema allargato composto da massoni e ‘ndranghetisti che devono garantire alla componente massonica, fortemente politicizzata, la gestione dei flussi elettorali». Intrecci che sono più che mai di attualità dopo le rivelazioni dell’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia Giuliano Di Bernardo – in carica nei primi anni ’90 e fondatore poi della Gran Loggia Regolare d’Italia – sentito il 6 marzo 2014 dal pm della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nell’ambito dell’inchiesta Mammasantissima sulla cupola segreta degli “invisibili” della ‘ndrangheta: «Ettore Loizzo di Cosenza, mio vice nel Goi, persona che per me era il più alto rappresentante del Goi, nel corso di una riunione della Giunta del Grande Oriente d’Italia che io indissi con urgenza nel 1993 dopo l’inizio dell’indagine del dottor Cordova sulla massoneria, a mia precisa richiesta, disse che poteva affermare con certezza che in Calabria, su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta. Io feci un salto sulla sedia».
LA STRAGE DI PORTELLA E IL PRINCIPE NERO
Le precedenti indagini di Cordova sulla massoneria avevano invece condotto ad un personaggio tanto potente quanto ambiguo al punto da essere soprannonimato il principe nero: don Giovanni Francesco Stefano Ippolito Oliviero Agilulfo Pio Giacomo Orazio Maria Brasilino Alliata di Montereale e Villafranca (Rio de Janeiro, 26 agosto 1921 – Roma, 20 giugno 1994), figlio di un nobile emigrato trapanese, e protagonista di primo piano nella vita politica e massonica siciliana del dopoguerra. Laureatosi in Giurisprudenza divenne capo della componente agraria del Movimento Indipendentista Siciliano, e fu indicato da Gaspare Pisciotta, braccio destro di Salvatore Giuliano e morto per avvelenamento in carcere, come uno dei mandanti della strage di Portella della Ginestra del 1º maggio 1947, la sparatoria avvenuta in provincia di Palermo, nella Piana degli Albanesi, in cui morirono 11 persone e ne rimasero ferite 27 tra i lavoratori riunitisi a festeggiare il primo maggio. Tali accuse che furono ritenute infondate dalla Corte di Assise di Viterbo nel 1953 quando confermò la condanna all’ergastolo per il bandito Salvatore Giuliano (ucciso il 5 luglio 1950, ufficialmente per mano del capitano Antonio Perenze) e i suoi uomini. Una tesi ripresa nel 2003 dal film-documentario Segreti di Stato, diretto e sceneggiato da Paolo Benevenuti e basato sia sulle dichiarazioni di Pisciotta e su alcuni documenti desecretati dei i documenti USA recentemente desecretati sull’argomento: In particolare si fanno emergere le incongruenze relative alla ricostruzione ufficiale dei fatti, sino a giungere al finale in cui viene rivelato il fitto intreccio di equilibri internazionali passante in Sicilia. Secondo queste ultime tesi le operazioni di Giuliano dovevano avere solo una finalità intimidatoria con spari in aria ma alcuni infiltrati mafiosi, collegati a massoneria e servizi segreti, avrebbe ordinato l’esecuzione per il tramite di cecchini prezzolati; questo sarà però oggetto di un altro articolo più dettagliato in cui comparerò la strage di Portella a quella di piazza Maidan a Kiev.
Per presunte attività occulte in un’associazione segreta di cui sarebbe stato il capo fu arrestato nel maggio 1994 lo stesso principe Alliata, morto un mese dopo mentre si trovava agli arresti domiciliari. Un personaggio di grande spicco tra i liberi muratori ed estremamente irrequieto all’interno delle obbedienze stesse: Sovrano Gran Commendatore della Massoneria di Rito Scozzese Antico e Accettato per l’Italia (costituita nel 1948) dal 1955 al 1960, quando questa obbedienza si fuse con il Grande Oriente d’Italia, Alliata sottoscrisse all’atto di riunificazione ma non si affiliò fino al 1973, anno in cui aderì alla Loggia P2 (tessera n. 361), dimettendosi nel 1976. In seguito, nel 1978, uscirà pure dal GOI e creerà un autonomo Supremo Consiglio dei 33 del Rito Scozzese Antico e Accettato, che si unirà con una nuova Serenissima Gran Loggia d’Italia di Piazza del Gesù (da non confondere con la Gran Loggia d’Italia), della quale sarà Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro dal 24 marzo 1979 fino alla morte. Fu maestro degli Illuminati del Nuovo ordine mondiale, dal quale prese in seguito le distanze, ma per il quale fu indagato a causa di una filiale italiana.
Ma è proprio la relazione conclusiva della Commissione Parlamentare sulla Loggia P2, presieduta da Tina Anselmi, ad evidenziarne l’importanza in correlazione alla «rilevanza dell’ aspetto internazionale della massoneria» sottolineando i legami tra massoneria nord-americana e Grande Oriente d’ Italia (Goi). E’ Frank Gigliotti, uomo della Cia, a riconoscere il Goi nel ‘ 47 e ad adoperarsi poi per l’ unificazione delle varie famiglie italiane. E’ in contatto con Gigliotti il principe siciliano Giovanni Alliata di Montereale, massone, il cui nome compare nel golpe Borghese e in quello della Rosa dei Venti. Gelli compare sulla scena proprio quando Gigliotti cessa la sua attività.
FRANK GIGLIOTTI, IL MASSONE DEI DUE MONDI
TRA LUCKY LUCIANO, CIA E LICIO GELLI
Frank Bruno Gigliotti (1896-1975), originario di San Bernardo (Catanzaro, Calabria), emigrò negli Usa – in una piccola città della Pennsylvania – con sua madre vedova quando lui aveva quattro anni, e rimase orfano all’età di 10 anni, dove fu adottato da tribù di pellirossa. Dopo una carriera di successi come fantino, si convertì ed entrò nella Chiesa Presbiteriana Italiana di Schenectady (NY) per diventarne il pastore ma nel 1924 fu persuaso a tornare in Italia dove frequentò il Collegio Metodista Internazionale di Monte Mario a Roma. Nel 1926 Gigliotti ricevette dallo Stato Italiano, il riconoscimento di Commendatore della Corona d’Italia, che gli fu conferito alla presenza del Re Vittorio Emanuele III e di Benito Mussolini. Presa la laurea in teologia presso il Collegio Metodista di Roma nel 1928, tornò negli USA, dove fu pastore di una Chiesa nel Montana, poi di un’altra nell’Oregon, e poi pastore di una Chiesa Presbiteriana in California a Lemon Grove. Frank Gigliotti, fu massone e divenne Sovrano Grande Ispettore Generale ottenento il 33° grado Rito Scozzese Antico ed Accettato e membro della famosa loggia massonica “Garibaldi Lodge” di New York in merito alla quale l’ex Gran Maestro del GOI Di Bernardo parla di «mafia, infiltrata nella famosa loggia Garibaldi: un concentrato di esponenti dell’area grigia tra massoneria e malavita».
«Gigliotti è stato un alto dignitario della massoneria statunitense in quanto presidente del comitato dei massoni Usa che dopo la caduta di Mussolini condurrà in porto la riunificazione della massoneria italiana sotto il controllo di quella USA» si legge nel blog Italia Mistero dove si rammenta nel 1975 i funerali di Gigliotti si svolsero a San Diego in un Tempio Massonico del Rito Scozzese sotto gli auspici della Loggia 736 di Lemon Grove ed il presidente americano Franklin Roosevelt (1882-1945), massone del 32° grado, considerava Gigliotti “un uomo secondo il suo cuore”. Il progetto di Gigliotti prese le mosse dai suoi incarichi nei servizi segreti statunitensi iniziati nel 1939: prima fu un informatore dell’FBI (Federal Bureau of Investigation), poi un agente dell’Oss (Office of Strategic Service), i servizi segreti americani della Seconda Guerra mondiale che poi diventarono la Cia (Central Intelligence Agency): Gigliotti fu capo consigliere della sezione italiana dell’OSS, agente della CIA dal 1947 e dal 1960 fu capo settore della CIA in Italia.
Gigliotti si occupò per conto dell’OSS di preparare lo sbarco degli americani in Sicilia, anche attraverso i rapporti con la mafia e la massoneria. Frank Gigliotti era infatti legato al “Circolo della mafia” messo in piedi dal boss Victor Anfuso per preparare lo sbarco degli Alleati in Sicilia: come asserisce Massimo Brugnoli, esperto di criminalità organizzata. Ma i suoi legami arrivano fino a Lucky Luciano, Salvatore Lucania (Lercara Friddi, 24 novembre 1897 – Napoli, 26 gennaio 1962), che dopo aver fornito l’appoggio logistico alla Us Navy per lo sbarco in Sicilia attraverso le relazioni coi mafiosi siciliani, viene graziato dagli Usa ed esiliato in Italia. Gigliotti nomina un plenipotenziario (Charles Fama, ndr), e lo munisce di un interprete particolare, un certo Vito Genovese, braccio destro di Lucky Luciano nella mafia italo-americana (una grande eccezione alla regola siciliana, perché Vito Genovese era napoletano). «Nel frattempo, organizza una serie di logge Nato, in Italia, obbligando il Grande Oriente a dar loro la copertura. Precisamente, costituisce a Verona la Verona American Lodge, a Livorno la Benjamin Franklin (che poi sarà trasferita a Pisa), a Bagnoli la Truman, a San Vito dei Normanni la J.J. McClellan. Poi prende tutto il personale americano dell’ambasciata Usa a Roma e gli fa costituire, fondandola personalmente, la loggia Colosseum di Roma – si legge in un dettagliato articolo di sul sito di geopolitica www.libreidee.org – Tutte queste logge sovrintendono poi alla costituzione di un organismo che si chiama Gladio, Stay Behind. Tramite il suo fido, che si chiama Roberto Ascarelli, Gigliotti cura personalmente la formazione di Licio Gelli nel Goi, per poi mettergli in mano la gestione della P2, che avrebbe dovuto depistare l’attenzione dall’esistenza della P1, già ricostituita nel 1948, avendo come “venerabile” il vice di Enrico Mattei all’Eni, Eugenio Cefis».
A sancire la soprintendenza degli Usa sulla massoneria italiana il 15 luglio 1961, divenne Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (fino al 1970) Giordano Gamberini, uomo di fiducia della Cia, che sponsorizzerà la rapida ascesa di Licio Gelli nella massoneria, incaricandolo di proseguire l’opera di Frank Bruno Gigliotti.
LE STRAGI IMPUNITE E I SERVIZI DEVIATI
In questo ambiente di intrighi tra massoneria, servizi segreti italiani ed americani in coorrelazioni con la mafia ed operazioni paramilitari come Gladio, volte ad evitare anche con l’uso delle armi la diffusione del comunismo nel dopo guerra, cominciano a verificarsi numerose stragi terroristiche che pur avendo matrici ideologiche opposte di destra o sinistra rientrano nella cosiddetta Strategia della tensione voluta da un apparato di sovragestione del potere politico per controllare e indirizzare il processo democratico e a mantenere l’Italia sotto l’influenza Usa. «Per la bomba che nel 1969, l’anno delle lotte operaie e studentesche, devastò una banca di Milano precipitando l’Italia nel terrorismo politico, sono stati condannati in tutti i gradi di giudizio, per favoreggiamento, due ufficiali dei servizi segreti militari (l’allora Sid): il generale Gianadelio Maletti e il capitano Antonio La Bruna. Entrambi affiliati alla loggia massonica P2. Invece di aiutare la giustizia, distruggevano le prove e facevano scappare all’estero i ricercati per terrorismo, con documenti falsi e soldi dello Stato – sintetizzano i già citati giornalisti di Repubblica Biondani e Tizian – Per l’eccidio in piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974, otto morti e 102 feriti) è stato dichiarato colpevole anche dalla Cassazione, nel giugno 2017, dopo decenni di depistaggi, un neofascista che era a libro paga dello stesso Sid, Maurizio Tramonte: un confidente nero che avvisò della bomba, ma i servizi non fecero nulla e poi bruciarono i verbali».
MORO, LA STRAGE ROSSA E IL COVO DEI MISTERI
Il 16 marzo 1978 in via Fani a Roma le Brigate Rosse uccisero in un agguato i cinque uomini delle forze dell’ordine della scorta del leader democristiano Aldo Moro per sequestrarlo: morirono due carabinieri, Oreste Leonardi e Domenico Ricci, e tre agenti della Polizia, Francesco Zizzi, Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Questo episodio a matrice palese di sinistra, culminato con i 55 giorni di prigionia del politico e la sua brutale esecuzione il 9 maggio, rappresenta la conferma che i sostenitori del Governo mondiale invisibile, come lo definisce Imposimato, o del Nuovo Ordine Mondiale, come lo chiamano altri, non hanno una caratterizzazione ideologica precisa ma si servono di esponenti della mafia come dell’ndrangheta, e del terrorismo rosso o nero a seconda delle esigenze fornendo addirittura loro armi di provenienza militare Nato. Il sequestro Moro, per il quale furono condannati 63 brigatisti a un cumulo di pene pari a 22 ergastoli e 300 anni di carcere, maturò in un contesto di connivenze tra politici oppositori, servizi segreti, strutture paramilitari come Gladio e terroristi ideologici rossi come strumento. Sarebbe arduo sintetizzare in poche righe l’intera vicenda, ben narrata in una video-intervista al giudice Ferdinando Imposimato su questo sito, ci limitiamo a ricordare che proprio secondo le indagini dell’allora giudice istruttore Imposimato (poi partecipe delle indagini quale avvocato di parte civile della famiglia Moro) il nocciolo della vicenda ruota intorno al ritrovamento della prigione del politico democristiano.
Il magistrato che condusse le indagini infatti ammette, anche nel suo libro I 55 giorni che cambiarono l’Italia, che il covo delle Brigate Rosse in via Montalcini a Roma dove era tenuto sequestrato Aldo Moro fu scoperto dai Carabinieri del Nucleo Antiterrorismo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa solo 4 giorni dopo e non, come risulta dagli atti ufficiali, successivamente all’assassinio. Lì si alternarono controlli di militari dell’Arma, della Polizia e della Guardia di Finanza, come confermato anche dalle recenti dichiarazioni di un sottufficiale delle Fiamme Gialle che nel 2014 ha fatto riaprire l’inchiesta sui presunti depistaggi dalla Procura di Novara. Proprio il generale Dalla Chiesa era intenzionato ad intervenire coi Gis (Gruppo Intervento Speciale) per liberare l’ostaggio di concerto con il responsabile dei Nocs (Nucleo Operativo Corpi Speciali) della Polizia, ma sarebbe stato fermato dall’allora presidente del Consiglio Francesco Cossiga e dal ministro dell’Interno Giulio Andreotti, ufficialmente preoccupati per il rischio della morte di Moro ma secondo altri desiderosi di eliminare un avversario politico reo di apertura al compromesso Dc-Pci.
Eloquenti le dichiarazioni di Steve Pieczenik, l’agente della Cia e del Dipartimento Stato Usa chiamato da Cossiga a far parte dell’Unità di Crisi del Sequestro Moro (da cui fu invece incredibilmente escluso il generale Dalla Chiesa): «Ciò che sospettavo e fu il motivo per cui partì anzitempo dall’Italia per tornare in America, era che a Cossiga non interessava affatto di tirare fuori Moro vivo. A quel punto seppi che la mia presenza aveva l’unico scopo di legittimare ciò che stavano facendo e cio ero funzionale ai loro obiettivi. Mi riferisco a Cossiga ed Andreotti» ha ammesso Pieczenik confermando la tesi di Imposimato del complotto in cui avrebbero avuto un ruolo importante Nicola Lettieri del Salento sottosegretario di Stato all’Interno, uomini di Gladio e della Loggia P2 tra cui il giornalista Carmine Pecorelli, assassinato la sera del 20 marzo 1979 in via Orazio a Roma da un sicario che gli esplose quattro colpi di pistola.
Per questo omicidio il 17 novembre 2002, la Corte d’Assise d’Appello di Perugia condannò Giulio Andreotti e il boss mafioso di Cosa Nostra Gaetano Badalamenti a 24 anni di reclusione come mandanti. Movente dell’assassinio sarebbe stata la volontà di zittire Pecorelli, proprio perché a conoscenza della scoperta della prigione di Moro e del mancato intervento. Il 30 ottobre 2003 però la Corte di Cassazione annullò senza rinvio la condanna inflitta in appello a Giulio Andreotti e a Badalamenti, affermando definitivamente la loro estraneità. Una sentenza di proscioglimento che non ha però dato risposte alla esecuzione del giornalista e lasciato aperti dubbi inquietanti anche sulla giustizia italiana perché a detta dello stesso Imposimato: «La sentenza di Appello aveva motivazioni ineccepibili».
DALLA CHIESA, UN DELITTO TRA MAFIA E MASSONERIA
Tra coloro che erano testimoni oculari della scoperta della prigione di Aldo Moro c’era oviamente anche il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che dopo la lotta vincente contro le Brigate Rosse ottenuta anche con l’arresto degli assassini di Moro. Il vicecomandante dell’Arma Benemerita sperimentò di persona la connessione tra politica, massoneria, terrorismo e mafia al punto che fu avvicinato e cooptato per una iscrizione alla loggia deviata P2 a cui però non perfezionò l’iscrizione. E’ importante notare come questo esemplare eroe della lotta per la giustizia e la legalità abbia fatto un percorso a “yoyo’ tra i due peggiori fenomeni eversivi e criminali del XX secolo ovvero la malavita organizzata ed il terrorismo. E’ d’aiuto rileggere la sua biografia: dopo la guerra combatté il banditismo prima in Campania e quindi in Sicilia; dopo incarichi a Firenze, Como, Roma e Milano, tra il 1966 e il 1973 fu nuovamente in Sicilia dove, con il grado di colonnello, comandante della Legione Carabinieri di Palermo, indagò su Cosa Nostra. Divenuto generale di brigata a Torino dal 1973 al 1977, fu protagonista della lotta contro le Brigate Rosse; fu lui a fondare il Nucleo Speciale Antiterrorismo, attivo tra il 1974 e il 1976. Promosso generale di divisione, fu nominato nel 1978 Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo, con poteri speciali. Dal 1979 al 1981 comandò la Divisione Pastrengo a Milano; tra il 1981 e il 1982 fu vicecomandante generale dell’Arma.
Nel 1982 il Governo lo nominò Prefetto di Palermo per combattere Cosa Nostra. Fu ucciso a Palermo insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro pochi mesi dopo il suo insediamento in un attentato mafioso dove perirono anche la moglie e l’agente di scorta Domenico Russo.
E’ importante notare che gli Anni di Piombo del terrorismo e la cosidetta Strategia della Tensione cominciano nei primi anni Settanta proprio quando Dalla Chiesa sta ottenendo dei risultati eccezionali nella lotta alla Mafia: dopo aver indagato nel 1970 sulla misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro (che stava indagando sull’omicidio di Enrico Mattei), nel 1971 si trovò a indagare sull’omicidio del procuratore della Repubblica di Palermo Pietro Scaglione.Il risultato di queste indagini fu il dossier dei 114 (1974) da cui presero il via decine di arresti dei boss e confini in zone isolate per i collusi. L’innovazione voluta da Dalla Chiesa fu quella di non mandare i boss al confino nelle periferie delle grandi città del Nord Italia; pretese invece che le destinazioni fossero le isole di Linosa, Asinara e Lampedusa.
Proprio quando era ad un passo per decapitare i vertici siciliani di Cosa Nostra, con grande disappunto dell’amico ed alleato nella lotta alla Mafia, onorevole Pio La Torre, fu chiamato a Torino per occuparsi di terrorismo. Quando tornò in Sicilia come Prefetto portava in sé i segreti sulla prigione di Moro e i ricordi dei litigi di Forte Braschi, già sede dell’intelligence militare del Sismi ed ora dell’Aise, dove a lungo si battè per l’intervento di liberazione del politico sequestrato. Tentò di arrivare a scoperchiare il Terzo Livello della Mafia, ovvero gli alti esponenti della politica e della finanza, ma ci riuscì solo in minima parte a causa degli scarsi poteri ricevuti e per il breve tempo trascorso a Palermo, solo 100 giorni con nel titolo dell’omonimo film, da maggio fino al 3 settembre 1982 giorno dell’agguato mortale. Per l’assassinio sono stati condannati all’ergastolo i killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo, Nino Madonia e a 14 anni i collaboratori di giustizia Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci. Sempre all’ergastolo sono stati condannati come mandanti i vertici di Cosa Nostra, ossia lo stesso Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci.
IL MANDANTE MASSONE DEL DELITTO
Oggi emergono nuovi importanti elementi che chiamano in causa proprio la massoneria. «L’ordine di eliminare dalla Chiesa arrivò a Palermo da Roma. Dal deputato Francesco Cosentino». A dichiararlo è stato Roberto Scarpinato, procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo, in occasione dell’audizione dello scorso 8 marzo davanti alla Commissione parlamentare antimafia in relazione agli intrecci mafia-massoneria, chiamando in causa Francesco Cosentino, deceduto nell’85, democristiano, andreottiano, massone. Nell’ambito di quell’audizione, poi secretata, Scarpinato aveva detto di essere stato informato «di progetti di attentati, nel tempo, nei confronti di magistrati di Palermo orditi da Matteo Messina Denaro per interessi che, da vari elementi, sembrano non essere circoscritti alla mafia ma riconducibili a entità di carattere superiore» ed ha ricordato vari legami tra i boss di Cosa Nostra e le logge massoniche in particolare quelli di Stefano Bontade che faceva parte di una loggia segreta «un’articolazione in Sicilia della P2 di Licio Gelli». Ora, dietro l’assassinio del generale affiora come mandante la figura di Cosentino, un potente parlamentare della Dc, segretario generale della Camera, fedelissimo di Giulio Andreotti e personaggio di rilievo della loggia massonica P2 di Licio Gelli, tanto che la moglie di Roberto Calvi, Clara Canetti, alla commissione P2 di Tina Anselmi disse il 6 dicembre ’82, che “Gelli era solo il quarto… Il primo era Andreotti, il secondo era Francesco Cosentino, il terzo era Umberto Ortolani, il quarto era Gelli”.
E mentre la magistratura, ed in particolare il procuratore generale di Palermo Scarpinato, cerca di fare luce con estrema difficoltà sui grandi delitti, anche perché molti dei presunti mandanti sono già morti, spunta questa nuova teoria cospiratoria ancora più curiosa secondo cui la P2 non era che una loggia di depistaggio volta a distrarre le indagini da una altra affiliazione segreta di copertura denominata P1, su cui ci soffermeremo in altri articoli, utilizzata come anello di congiunzione tra le altre logge segrete italiane ed americane nei progetti massonici attuati attraverso servizi segreti, mafia e terrorismo. Una pista che può portare a comprendere anche i retroscena degli omicidi dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Stragi compiute con l’utilizzo di esplosivo militare…
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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Fonti
http://www.lavocedellevoci.it/2016/08/02/7132/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/06/27/strage-di-bologna-le-indagini-della-procura-generale-dagli-usa-soldi-a-gelli-che-poi-finanziava-cavallini/4454771/#
http://espresso.repubblica.it/inchieste/2018/07/30/news/bologna-1980-la-mano-dei-servizi-sulla-strage-1.325381
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2018/03/20/news/strage_di_bologna_parte_il_processo_contro_cavallini-191775933/
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/11_Novembre/23/biondani.shtml
http://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/2010/09/04/379649-strage_bologna.shtml
https://www.ilvibonese.it/cronaca/6003-massoneria-mafia-ndrangheta-vibo-vaticano-virgiglio-catanzaro
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1984/07/04/segreti-di-belfagor.html
http://italiamistero.blogspot.com/2014/12/frank-gigliotti.html
http://www.libreidee.org/2017/07/massoni-nato-mafia-gladio-e-addio-falcone-e-borsellino/
http://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/64582-scarpinato-dietro-piani-attentati-a-toghe-non-solo-mafia.html
Premesso che l’articolo è molto bello, che ne condivido tutto… resta che “strage fascista” è una colossale fesseria: nessun fascista ha MAI messo bombe nei treni per vincere le elezioni! I vari Freda e Ventura, Della Chiaie… sono il contrario del Fascismo che ha ben poco a che fare con una massoneria internazionale legata alla mafia etc… O parlate di estrema destra o, almeno, neo fascisti…
L’osservazione è assolutamente corretta. Ora il dubbio è se correggere l’articolo e rendere vano commento oppure lasciare l’imprecisione nell’articolo e anche commento…