Come in un film: Al Baghdadi incastrato dall’intelligence Usa per le mutande
di Fabio Giuseep Carlo Carisio
Nell’aprile 2019 Abu Bakr Al Baghdadi lancia il suo ultimo messaggio ai suoi seguaci terroristi dell’Isis. Bisogna continuare a colpire l’Occidente! Potrebbe sembrare lo show di un attore MOSSAD-CIA ormai in declino se non fosse che il 21 aprile nello Sri Lanka, durante la festività religiosa della Pasqua c’è stata una strage per attentati kamikaze di oltre 250 persone inermi, nella maggior parte cristiani in chiesa per la Messa solenne, in gran numero bambini.
Se non fosse che si scopre che quegli attentati erano stati annunciati dall’intelligence indiana RAW al governo in parte musulmano di Colombo e che, come rivelato da Gospa News, l’Arabia Saudita aveva allertato la sua ambasciata nell’isola dell’Oceano Indiano per invitare funzionari e cittadini arabi a tenersi lontani dai luoghi religiosi cristiani nel giorno della celebrazione della Resurrezione di Cristo.
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Questa premessa molto seria serve a far capire che se è necessario sappiamo scrivere cose drammatiche, circostanziate e documentate sulle azioni del terrorismo Isis-Al Qaeda, sugli Usa e il regno Saudita che li hanno creati, finanziati ed armati, e sul ruolo del cosiddetto Deep International State che fa capo alla triade sionista-massonico-americana che utilizza il fondamentalismo islamico come strumento per ingrassare le lobby delle armi ed i furti di petrolio in Medio Oriente.
Oggi però mi concedo una digressione un po’ fantasmagorica rivelando, più scherzosamente che seriamente, i clamorosi restroscena del presunto assalto al compound siriano di Al Baghdadi.
Sfuggendo ad una taglia di 25 milioni di dollari che avrebbe fatto gola a qualsiasi suo soldato terrorista Isis il leggendario califfo, venerato dai soldati Usa come dai prigionieri estremisti islamici in Camp Bucca, dopo aver diffuso il suo messaggio che tutte le intelligence del mondo ritenevano registrato nella provincia di Deir Ezzor, ultima enclave dello Stato Islamico prrima della caduta di Baghouz, avrebbe risalito tranquillamente la Valle dell’Eufrate per più di 400 km in terra di guerra.
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E passando oltre alle postazioni militari dell’esercito Usa (suoi amici), delle Forze Democratiche Siriane guidate dai Curdi, quelli che hanno distrutto l’Isis, dell’Esercito Arabo Siriano che assedia la provincia di Idlib, roccaforte degli ultimi jihadisti protetti ed armati della Turchia, ed infine di questi stessi gruppi terroristici vicini ad Al Qaeda e perciò rivali dell’Isis, non solo riesce a raggiungere Bashira, dove sarebbe stato individuato e colpito, ma riesce pure a restarci per cinque mesi mentre militari siriani, russi, qaedisti e turchi si scannano intorno a lui senza accorgersi che lì cì il capo dei capi.
Basterebbe questo per far comprendere l’assurdità della geolocalizzazione del califfo. Ma facciamo finta di credere agli Usa, al Pentagono ed al presidente americano Donald Trump in cerca di visibilità pre-elettorale.
Al Baghdadi ci arriva a Barisha con la sua numerosa famiglia. Ci resta e ci muore. Come facciamo a saperlo? Grazie un pezzo di mutanda.
Inizialmente le indiscrezioni giunte dal Pentagono riferirono di un lembo di tessuto con tracce di Dna, fondamentale per identificare i resti del califfo che si era suicidato con un giubbotto esplosivo, recuperato da un suo fedelissimo. Poi, forse temendo di insinuare allusioni omosessuali, difese dalla cultura americana se riguardano gli occidentali ma censurate se riguardano gli islamici, hanno rivelato che sarebbe stata una delle mogli a fornire il pezzo di indumento intimo indispensabile.
La vicenda e la comunicazione della vicenda è talmente inverosimile, grottesca e buffa da farmi ricordare quel famoso film con Cary Grant e Tony Curtis “Operazione Sottoveste”. I militari americani di un sottomarino vecchio e scassato per evitare di essere attaccati lanciarono dalle rampe dei siluri biancheria intima femminile affinchè i nemici giapponesi non solo li credessero affondati ma si muovessero a pietà e non li attaccassero.
Oggi il Pentagono sembra fare lo stesso: getta ai media la storia delle mutande per cercare di nascondere la vergogna di un’operazione farsa.
E la disperazione degli esperti della comunicazione di Washington, ormai ritenuti ridicoli da ogni giornalista degno di tale nome, è tale da indurli ad osare là dove volano le aquile. Così lo Stato Islamico, apertamente riconosciuto come una creatura della CIA e di ogni losca organizzazione americana, è stato costretto ad ammettere pubblicamente la morte del califfo comunicando il nome del nuovo sconosciuto leader.
Davvero esiste ancora qualcuno che può crederci?
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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