VENEZIA: IL PERITO: “MOSE FERMO PER L’ACCIAIO SCADENTE”… IN ODORE DI MAFIA! Benvenuto (Lega): «Indagherà la Camera dei Deputati»

VENEZIA: IL PERITO: “MOSE FERMO PER L’ACCIAIO SCADENTE”… IN ODORE DI MAFIA! Benvenuto (Lega): «Indagherà la Camera dei Deputati»

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AGGIORNAMENTO DEL 4 DICEMBRE 2019

 

ARTICOLO DEL 17 NOVEMBRE 2019

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

«Nel marzo scorso io e gli altri deputati della Commissione Ambiente abbiamo fatto una ricognizione ordinaria su sollecitazione del collega veneziano Federico Pellicani per verificare lo stato di avanzamento lavori del progetto MOSE. Dopo la drammatica emergenza di acqua alta a Venezia degli ultimi giorni ci siamo riaggiornati e siamo d’accordo sulla necessità di avviare un’indagine conoscitiva alla Camera».

Lo anticipa Alessandro Manuel Benvenuto, parlamentare torinese della Lega e presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati. L’indagine sui ritardi nella realizzazione del progetto di barriere per difendere la città della Serenissima dalle maree più imponenti si rivela quanto mai urgente visto che l’opera è costata finora circa 5 miliardi e mezzo, destinati a lievitare a 7, da anni si sostiene che sia completata al 94 % ma non è mai entrata in funzione, nemmeno parzialmente, per problemi di collaudi dovuti a presunte carenze strutturali.

Il parlamentare leghista Alessandro Manuel Benvenuto, presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati

Il completamento è slittato nel tempo prima dal 2018 al 2019, poi al 2021 ed ora forse al 2022. Il collaudo del sistema alle Bocche di Malamocco previsto per il 31 ottobre 2019 è stato annullato…

Poco si sa dello stato di avanzamento della ciclopica opera che, per prudenza apotropaica, avrebbe fatto meglio a non evocare il biblico Mosè che per volontà di Dio spartì le acque del Mar Rosso. In laguna, per voluttà d’imprenditori senza scrupoli e politici compiacenti, finora si sono spartite solo tangenti per evitare che un’investigazione tecnica accurata portasse alla luce il segreto di Pulcinella, anzi del veneziano Pantalone visto che paga sempre lui: ovvero la composizione della lega delle giunture da cui dipende il funzionamento delle barriere.

Secondo la perizia di un ingegnere le criticità si sarebbero verificate anche a causa dell’acciaio non idoneo utilizzato da una ditta che ricevette l’incarico senza appalto, prima dello scandalo tangenti sul Mose, ed il cui amministratore delegato fu pure arrestato per mafia in Sicilia…

A svelare i problemi, sovente adombrate nelle nebbie lagunari dalle autorità competenti, è stato implicitamente il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte durante la sua visita nel capoluogo del Veneto nei momenti drammatici dell’allagamento dovuto al picco di acqua alta della nottata di martedì 12 novembre che ha raggiunto i 187 cm sfiorando il record di 190 cm del 1966.

Il picco di acqua alta a Venezia nella notatta di martedì 12 novembre

Tra la Basilica di San Marco gravemente danneggiata per le cripte completamente sommerse, i negozi devastati e ben cinque vaporetti distrutti si sono registrate anche le vittime: due anziani di Pellestrina. Il Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha dichiarato lo stato di emergenza mentre Conte ha promesso aiuti finanziari per la popolazione e gli esercizi commerciali ma anche un intervento diretto a velocizzare l’ultimazione del MOSE (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico).

 

LA MANUTENZIONE DELLE BARRIERE GIA’ CORROSE

«Siamo pronti a stanziare i primi fondi. Convocherò anche il “Comitatone” per accelerare la soluzione strutturale dei problemi, legati alla manutenzione straordinaria delle barriere e degli impianti idraulici. Concorderemo una governance che possa gestire in modo efficiente tutte le criticità che si trascinano da anni» ha detto il premier italiano nominando supercommissario per il progetto Elisabetta Spitz, ex direttrice dell’Agenzia del Demanio, indicata dal ministro alle Infrastrutture, Paola De Micheli.

Le operazioni ordinarie di pulizia delle paratoie del MOSE con evidenti segni di incrostazioni, abrasioni e probabili corrosioni

Le parole di Conte fanno riferimento alla «manutenzione straordinaria delle barriere e degli impianti idraulici», da tempo vengono addidate dagli esperti come l’anello debole dell’opera e un’eredità nefasta della Tangentopoli che il 4 giugno 2014, nell’ambito di un’inchiesta anticorruzione da parte della Procura veneziana, portò a 35 arresti e 100 indagati eccellenti tra politici di primo piano e funzionari pubblici, per reati vari come fondi neri, tangenti e false fatturazioni.

Il procedimento si concluse con molti patteggiamenti tra cui quelli dell’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan (2 anni e 10 mesi con confisca di beni milionari) e dell’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso (2 anni e 6 mesi), entrambi esponenti del PDL; oltre a quelli di vari professionisti e imprenditori. Ne è uscito indenne, invece, l’ex Sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, eletto coi voti del Partito Democratico, che fu arrestato ma poi prosciolto durante il processo per intervenuta prescrizione.

Secondo l’autorevole perizia di uno specialista pubblicata lo scorso 11 aprile dal sito INGENIO, un portale di ingegneri, l’elemento critico sarebbe la qualità dell’acciaio delle giunture delle paratoie perché il Magistrato delle Acque nel 2010 approvò una modifica del materiale da utilizzare rinunciando a quello inossidabile per optare per lastre in saldatura con vernici protettive, destinate ad essere aggredite dall’inevitabile corrosione delle acque salmastre in cui sono immerse, sebbene il progetto prevedesse una durata delle componenti per 100 anni.

L’opera è articolata infatti in una serie di barriere alle quattro bocche di Venezia (Chioggia, Lido-San Nicolò. e Malamocco) fissate a dei cassoni in cemento sul fondale attraverso 158 cerniere. Le paratoie cave (parallepipedi spessi circa 4 metri, lunghi circa 20 mt di media e ed alti 20 mt) quando il sistema di difesa si aziona in condizioni di alta marea pericolosa (superiore ai 110 cm) dovrebbero svuotarsi dall’acqua per immissione di aria compressa ed innalzarsi al di sopra del livello del mare  arrestando la marea.

E’ pertanto evidente che le giunture, o “perni”, delle stesse rappresentano l’elemento fondamentale: alla stregua del tubo dell’aria compressa che attraversa il tunnel sotterranneo per la manutenzione e che oggi risulterebbe malfunzionante in quanto già perforato con buchi di alcuni millimetri dalla corrosione in seguito ad un imprevisto allagamento (maggiori particolari tencici nell’articolo di INGENIO, link a fondo pagina).

L’ingegnere Patrizio Cuccioletta con l’ex Sindaco di Venezia Giorgio Orsoni

Prima di riportare i dettagli scientifici sulle presunte criticità va rammentato che il Magistrato delle Acque che autorizzò il cambio di fornitura di acciaio nel 2010 era presieduto da Patrizio Cuccioletta, uno degli arrestati nello scandalo, che poi decise di collaborare con i PM confermando di aver ricevuto dal presidente del Consorzio Venezia Nuova uno stipendio annuo di 400 mila euro, una mazzetta da 500 mila, di aver fatto assumere la figlia Flavia alla “Thetis”, società controllata dal Consorzio e di aver fatto avere un contratto da 38 mila euro al fratello architetto Paolo.

In cambio, Cuccioletta avrebbe omesso di effettuare la vigilanza delle opere alle bocche di porto ed evitato di segnalare le irregolarità nei lavori. Ha patteggiato 2 anni di reclusione con 700mila euro di multa cui si è aggiunta una condanna della Corte dei Conti per un risarcimento di 2,7 milioni di euro.

 

IL RISCHIO DI CEDIMENTO STRUTTURALE DEL MOSE

«Uno studio di nove pagine firmato dal professor Gian Mario Paolucci, già docente di Metallurgia all’Università di Padova ed esperto del Provveditorato alle Opere pubbliche (ex Magistrato alle Acque) mette a nudo una situazione grave, che potrebbe far slittare il completamento dell’opera: l’acciaio con cui sono state costruiti i perni delle cerniere non è quello del progetto e dei test. C’è dunque la possibilità di “corrosione dei materiali delle cerniere, cuore dell’intero sistema da 5 miliardi e mezzo di euro, con la possibilità di un cedimento strutturale della paratoia”» scrive il sito INGENIO riportando nel dettaglio i passi più significativi della perizia già anticipata in un’inchiesta giornalistica de L’Espresso (novembre 2016).

Le bocce di porto di Venezia davanti alle quali sono state sistemate le barriere del sistema MOSE

«La perizia commissionata dallo stesso Provveditorato e consegnata a fine ottobre (2016 ndr), non fa dormire sonni tranquilli ai nuovi responsabili dell’Ufficio delle Infrastrutture e del Consorzio» aggiunge ancora il sito degli ingegneri.

«La natura metallica non inossidabile del materiale prescelto con cui è stata realizzata la maggior parte dei componenti immersi – scrive Paolucci – rende quest’ultimo particolarmente vulnerabile alla corrosione elettrochimica provocata dall’ambiente marino. Abbiamo l’assoluta convinzione che la protezione offerta dalla vernice non sia totale né duratura, causa le abrasioni prodotte da sabbia e detriti».

L’unica protezione sarebbe dunque quella catodica. «Ma ad eccezione di Treporti, le paratoie che hanno lo zinco protettivo non sono ancora state montate sui cassoni, sott’acqua da tre anni. E senza protezione la corrosione avanza. Non è prevista manutenzione se non dopo cento anni. «In questa situazione, scrive il professore, “c’è la seria probabilità che la corrosione provochi danni strutturali e dunque il cedimento della paratoia”» rileva l’articolo di INGENIO che poi indugia sul materiale e la ditta costuttrice.

 

L’ACCIAIO INOSSIDABILE SOSTITUITO CON ALTRO MATERIALE

«Le cerniere delle paratoie sono state costruite dalla Fip di Padova, azienda del gruppo Mantovani Sono formate da un «maschio», agganciato alla paratoia, e da una «femmina», cementata nei cassoni di fondazione» precisa il portale degli ingegneri

«Il connettore femmina, dal quale dipende il funzionamento delle barriere mobili – evidenzia Paolucci – costituisce l’anello debole dell’apparato a causa di un mancato controllo ispettivo per la sua intera vita di 100 anni, a meno di una laboriosa e costosa manutenzione straordinaria. Inoltre, la necessità di effettuare tale manutenzione verrebbe segnalata da malfunzionamenti causati da danni ormai avvenuti e talvolta irreparabili. Cioè, quando è troppo tardi. In questo caso, l’unica cosa da fare è sperare che i danni che certamente si saranno verificati sui connettori femmina di Lido, San Nicolò, Malamocco, Chioggia, siano contenuti».

L’ingegnere Gina Mario Paolucci autore della clamorosa perizia sul MOSE

Da quanto emerge nell’inchiesta che era stata pubblicata in anteprima dall’Espresso emergono differenze sostanziali tra l’acciaio utilizzato per i test e quelli poi utilizzati nella costruzione delle 158 cerniere.

Il primo, scrive Paolucci, era acciaio inox superduplex prodotto dalle Acciaierie Valbruna di Vicenza. Il secondo invece – che proviene con ogni probabilità dall’Est – era di lega diversa e di costo ovviamente inferiore. «Questa difformità della lega lascia qualche margine di dubbio sulla tenuta strutturale e anticorrosione nel tempo di questo importantissimo elemento strutturale». Paolucci suggerisce un controllo dei perni per evidenziare eventuali «microcricche. Prima che rendano possibile la deformazione del perno e il suo incastro».

Come riporta INGENIO: «Nel 2012 una puntata di Report raccontava di come il Comitato Tecnico di Magistratura nel 2010 decise di favorire le cerniere con lamiera a saldatura invece di quelle a fusione in acciaio testate fin al 2008. Poco dopo si dimise dal Comitato l’ingegner Lorenzo Fellin, professore di Impianti Elettrici per l’Energia dell’Università di Padova: “Non volevo essere correo di scelte che non capivo e che non mi sembravano a vantaggio di Venezia”». E dunque a vantaggio di chi era?

 

ARRESTATO PER MAFIA IL MANAGER DELL’IMPRESA

Se si fa una radiografia di quell’appalto si scopre che la FIP di Padova ricevette tale commessa in quanto appartenente al Gruppo Mantovani che rientrava tra le 50 grandi imprese del Consorzio Nuova Venezia incaricato di realizzare il sistema MOSE e che si ritrovò al centro del turbinio di tangenti per la stessa ammissione dell’allora presidente della società Piergiorio Baita, il grande pagatore ed accusatore dei politici che nel febbraio 2019 ha patteggiato due anni di pena per corruzione e frode fiscale.

L’ex presidente del Gruppo Mantovani Piergiorgio Baita e l’ex amministratore delegato della controllata Fip di Padova, Mauro Scaramuzza

Prima di lui fu un altro manager del gruppo a finire nei guai. L’ex amministratore delegato della FIP di Selvazzano Dentro (Pd), l’ingegnere Mauro Sacaramuzza fu infatti arrestato dai Carabinieri di Catagirone il 10 ottobre 2013 in esecuzione di un ordinanza di custodia cautelare del Gip del Tribunale di Catania Anna Maggiore nell’ambito dell’operazione “Reddita Viae”.

Le accuse, pesantissime, erano di associazione a delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni, turbativa d’asta, sub appalto irregolare e concorso esterno in associazione mafiosa, per aver concesso subappalti al fine di agevolare imprese di esponenti di Cosa Nostra. Assieme a lui, erano finiti in manette Gioacchino Francesco La Rocca, figlio del boss di Caltagirone “Ciccio” La Rocca, ed Achille Soffiato, ingegnere di Albignasego, responsabile del cantiere FIP per la realizzazione della variante di Caltagirone: un appalto da 140 milioni di euro.

Perentorio il pronunciamento del Giudice per le indagini preliminari che dispose l’arresto: «Mauro Scaramuzza e Achille Soffiato seppur incensurati hanno agito con la consapevolezza di apportare un contributo al clan mafioso La Rocca di Caltagirone, permettendogli di acquisire la gestione delle attività economiche e il controllo degli appalti pubblici». Ciò sarebbe avvenuto suddividendo i subappalti alle ditte To Revive e Edilbeta (controllate dal clan) in tranche inferiori a 150mila euro per le quali non era quindi necessario il certificato antimafia

Il Tribunale del Riesame diede però ragione alla Fip ed a Scaramuzza che si proclamavano estranei ad ogni addebito, nonostante corpose intercettazioni telefoniche, e dispose la scarcerazione del manager. Ma l’eco della vicenda rimbalzò fino a Venezia dove l’impresa padovana aveva realizzato le famose cerniere del Mose.

INTERROGAZIONE IN PARLAMENTO SUL CERTIFICATO ANTIMAFIA

Il Consorzio Nuova Venezia fece quadrato, prima del terremoto della tangentopoli lagunare, minacciando querele contro chiunque avesse associato i due casi. Ma la questione approdò in Parlamento per un’interrogazione scritta del deputato Giulio Marcon (Sinistra Ecologia e LIbertà) sulla base del fatto che «nel maggio 2014 le forze di polizia di Padova hanno consegnato una relazione al Prefetto di Padova, dottoressa Patrizia Impresa, nella quale si evidenziava l’opportunità di emettere l’interdittiva antimafia a carico di Fip industriale».

L’interrogazione di Giulio Marcon e la risposta del viceministro dell’Interno – clicca per leggere il documento integrale

Il parlamentare di SEL evidenziò «i dubbi del tavolo dei tecnici padovani sono stati avallati anche dai colleghi veneziani, perché è vero che il Riesame di Catania scagiona Scaramuzza e Soffiato, è vero anche che il contesto complessivo in cui si trova a lavorare l’azienda padovana non appare, come dimostrano le indagini, completamente scevro da rilievi» ed interrogò il Ministro dell’Interno per sapere: «se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ricorrano tutti i presupposti per la revoca urgente della certificazione antimafia alla società Fip s.p.a.».

Glaciale la risposta del viceministro Filippo Bubbico (allora PD) del 5 febbraio 2015, mentre la burrasca sulle tangenti imperversava su Venezia: «Il parere del gruppo interforze, peraltro non vincolante, non è quindi l’unico strumento di cui il prefetto di avvale per le valutazioni di competenza, potendo maturare il suo convincimento dall’insieme dei fatti analizzati, da documentazione acquisita dalla società stessa in sede di eventuale audizione dei soggetti interessati, dall’esito di eventuali accessi ai cantieri della società e da altri approfondimenti ritenuti opportuni. Si aggiunge infine che, presso la prefettura di Padova, è tuttora in corso di approfondimento l’istruttoria finalizzata al rilascio delle informazioni antimafia – di cui all’articolo 91 del decreto legislativo n. 159 del 2011 – per appalti aggiudicati o in fase di aggiudicazione alla FIP Industriale».

L’inchiesta su Scaramuzza è sparita dalle cronache: pertanto è lecito inferire che sia finita con il suo proscioglimento. Così come svanì nel nulla la procedura interdittiva per la FIP che ha continuato a lavorare regolarmente sui grandi appalti almeno fino al settembre scorso quando ha avviato il licenziamento di 78 dipendenti del comparto edile subendo il contraccolpo della procedura di concordato del Gruppo Mantovani.

 

MANTOVANI: DALL’EXPO AL CONCORDATO IN TRIBUNALE

Mantovani Spa nelle scorse settimane ha chiesto al Tribunale di Padova domanda di concordato in continuità aziendale. Le cause della decisione per la società sono «l’acuirsi della situazione di tensione finanziaria» per i «mancati incassi degli ingenti crediti che la società vanta nei confronti dei committenti Consorzio Venezia Nuova e Expo 2015, unito a comportamenti da parte degli Amministratori Straordinari del Consorzio Venezia Nuova divenuti sempre più ostili e conflittuali» scrive Repubblica.

Nella richiesta non si fa minimo accenno al fatto che lo stesso Gruppo si aggiudicò il più importante capitolato della cosiddetta “piastra dell’Expo” con un folle ribasso del 41,80 % sui 272 milioni di base d’asta da cui sono conseguiti due processi: uno in cui l’ex presidente e ad Baita è stato assolto mentre il Sindaco di Milano Beppe Sala, ex amministratore di Expo, è stato condannato a 6 mesi per falso in atto pubblico; l’altro pendente davanti al Tribunale di Como in cui la Procura generale di Milano nel giugno scorso ha chiesto 5 anni di condanna per gli amministratori del Gruppo Mantovani per essere riusciti ad avere il capitolato dell’appalto prima della sua pubblicazione.

Per i giudici Sala era consapevole del reato e della retrodatazione degli atti, con cui però il sindaco di Milano avrebbe evitato il fallimento dell’Expo 2015. Secondo il Tribunale, quindi, non ci sarebbe stata la volontà di avvantaggiare uno dei concorrenti in gara per gli appalti. Resta la circostanza alquanto anomala ed inquietante dell’amministratore delegato di una grande opera disposto a fare carte false pur di nascondere gli errori gestionali…

Beppe Sala, Sindaco di Milano col Partito Democratico, condannato a sei mesi per falso nell’inchiesta sull’appalto Expo 2015 al Gruppo Mantovani

Nel vortice di questi guai giudiziari la Spa veneta vede un orizzonte aziendale nero, con l’unico spiraglio dell’intervento di salvataggio di alcuni facoltosi imprenditori pakistani. Intanto le giunture del MOSE arrugginiscono…

«Al Magistrato alle acque avevo chiesto informazioni sulle cerniere ma non mi hanno mai risposto» balbettò l’allora Sindaco di Venezia Giorgio Orsoni che ottenne l’assoluzione per un finanziamento in bianco mentre fu graziato dalla prescrizione per quello in nero riguardante i circa 560mila euro ricevuti come contributo elettorale per la campagna elettorale del 2010. Nello stesso anno in cui a Venezia il Comitatone dei Magistrato delle Acque decise di sostituire l’acciaio inossidabile…

Ora la Commissione Ambiente presieduta dal leghista Benvenuto dovrà cercare di fare luce su tutte queste misteriose e vergognose anomalie. Ma dvrà farlo in fretta prima che il Gruppo Mantovani e la Fip si tritrovino in condizioni finanziarie critiche tali da non poter pagare eventuali ed ipotetici risarcimenti per le opere compromesse dai segnalati vizi strutturali. In caso contrario sarà sempre Pantalone a dover pagare il conto, molto più salato delle acque della laguna…

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAIN SOURCES

INGENIO – CAMBIATO L’ACCIAIO DELLE CERNIERE: MOSE A RISCHIO

ESPRESSO – INCHIESTA SULL’ACCIAIO DEL MOSE

IL GAZZETTINO – PATTEGGIA L’EX PRESIDENTE PIERGIORGIO BAITA

TRIBUNA TREVISO – ARRESTATO PER MAFIA L’AD DELLA FIP DI PADOVA

ANTIMAFIA – SCARCERATO L’INGEGNERE SCARAMUZZA

IL GIORNALE – PROCESSO BIS PER LA PIASTRA EXPO

REPUBBLICA – LA CRISI DEL GRUPPO MANTOVANI IN TRIBUNALE

 

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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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