Finanziò le stragi di Parigi e Bruxelles: il boia di Raqqa potrebbe tornare libero con gli altri Foreign Fighters ISIS

Finanziò le stragi di Parigi e Bruxelles: il boia di Raqqa potrebbe tornare libero con gli altri Foreign Fighters ISIS

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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

L’incubo sta per diventare realtà: molti pericolosi Foreign Terrorist Fighters (FTF) dell’ISIS potrebbero ritornare in libertà a breve se i paesi di origine non li accoglieranno. Tra loro anche il cosiddetto “macellaio di Raqqa” Anwar Haddouchi, cittadino belga, che oltre ad essere sospettato di circa 100 decapitazioni nella città della Valle dell’Eufrate quando era occupata dallo Stato Islamico è accusato di aver contribuito a finanziare gli attentati di Parigi nel 2015 e di Bruxelles nel 2016 in cui morirono 162 persone.

La minaccia è implicita agli appelli più volte reiterati dal presidente americano Donald Trump perché l’Europa si faccia carico dei criminali partiti dalle nazioni del Vecchio Continente e nel nuovo accordo tra l’esercito Usa e le Forze Democratiche Siriane per la gestione dei circa 12mila prigionieri jihadisti del Daesh tra cui 2mila FTF, in maggioranza iracheni ma anche molti europei tra cui alcuni italiani (come riportato proprio ieri da Il Giornale).

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Ma ora diventa ancora più incombente dopo l’annuncio del ministero dell’Interno della Turchia che ha invaso il Rojava, nel nord-est della Siria, dove si trova la maggior parte dei detenuti nelle carceri delle milizie curde SDF. Nei giorni scorsi l’esercito governativo del dittatore islamico Recep Tayyip Erdogan ed i suoi mercenari dei gruppi sunniti, armati anche dei miciciali missili teleguidati TOW forniti dalla Cia (come riferito in un precedente reportage) hanno bombardato alcune prigioni ed in particolare il campo di detenzione Ain Issa provocando la fuga di quasi mille reclusi tra combattenti Isis e loro familiari.

LA TURCHIA MINACCIA IL RILASCIO DEGLI FTF

Ieri il Ministro dell’Interno turco Suleyman Soylu ha lanciato all’Europa l’ultimatum sui combattenti stranieri dello Stato Islamico. La Turchia “non è l’albergo di nessun terrorista dell’Isis”, i componenti del gruppo catturati “verranno rimandati indietro nei Paesi di provenienza”. Lasciare alla sola Turchia la gestione della questione “non è solo inaccettabile, è irresponsabile”, ha detto il ministro criticando la politica migratoria dell’Ue, che dimostra di avere “zero umanità”.

Il dittatore islamico Recep Tayyip Erdogan e alcuni Foreign Terrorist Fighters ISIS

E’ davvero singolare sentire la parola “umanità” pronunciata dal governo di Ankara che con la scusa di creare una zona di sicurezza nel territorio siriano occupato dall’Amministrazione Autonoma del Rojava della profondità di 30 km, che Erdogan voleva lunga 460 km da Afrin al confine iracheno ma l’accordo con la Russia ha ridotto a 120, sta di fatto compiendo il genocidio dell’etnia Curda, messa al bando in Turchia fin dalla fondazione della Repubblica nel 1922.

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Non c’è invece da stupirsi se Erdogan farà rilasciare i jihadisti europei presenti nelle aree occupate dalle milizie turche dato che innumerevoli prove riportate in precedenti articoli dimostrano le strette connessioni tra i terroristi affiliati ad Al Qaeda del Fronte Al Nusra (ora HTS, Hayat Tahrir al-Sham) arroccati ad Idlib, quelli di Ahrar al Sharqiyyah, mercenari dell’operazione turca Olive Branch che controllano Afrin ed autori dell’agguato assassino dell’attivista curda Hevrin Khalaf, e l’intelligence MIT di Ankara, accusata da un dossier del Rojava Information Center di aver “riciclato” comandanti ISIS operativi a Deir Ezzor nelle brigate di islamiste sunnite del cosiddetto Fronte Nazionale della Liberazione inventato dalla Turchia dopo il fallimento dell’Esercito Siriano Libero (Esil/Fsa).

Va anche detto, come spiegheremo meglio più avanti, che alcune carceri sono talmente sovraffollate da non consentire ai detenuti, magari semplici fiancheggiatori dell’Isis, di aver un trattamento rispettoso della loro dignità umana.

 

IL PRIGIONIERO ISIS BELGA SPERA NELLA TURCHIA…

Ad auspicare un’invasione turca del Rojava per sperare nella liberazione era stato proprio il Boia di Raqqa agli inizi di ottobre quando venne intervistato dai giornalisti italiani Alberto Marzocchi e Gianni Rosini in un grande scoop per Il Fatto Quotidiano. “Tutti vogliono essere liberi, è normale” rispose Anwar Haddouchi alla domanda dei reporter in merito alla sua posizione di fronte ad un’eventuale offensiva militare turca.

Ed il suo sorriso fu eloquente come una profezia… Molto più delle sue parole condite da enormi menzogne e contraddizioni. Prima negando di aver mai ucciso qualcuno, di essere mai stato a Raqqa e poi dichiarando di aver visto proprio in quella città roccaforte dello Stato Islamico l’uccisione di un uomo da parte di un terrorista Isis.

Il boia di Raqqa Anwar Haddouchi, noto col nome di battaglia Abou Souleyman al Belgiki

Haddouchi, il cui nome di battaglia era Abou Souleyman al Belgiki anche per la sua cittadinanza belga, era stato intervistato nell’estate scorsa anche dai giornalisti di ANF, un media del Kurdistan in una prigione di massima sicurezza sotto il controllo dell’Amministrazione autonoma della Siria nord-orientale che i giornalisti italiani hanno svelato essere la base militare SDF di Rmelan, una cittadina del governorato di Hasaka, a 70 km da Qamishlo e a 30 da Al Malikiyah, un luogo di detenzione strategico in quella striscia di terra siriana che s’incunea tra Turchia ed Iraq.

Come riferito dall’agenzia siriana Sana il 19 ottobre ben 230 terroristi stranieri del Daesh che erano stati arrestati ad Al Malikiya erano stati trasportati dalle “forze di occupazione statunitensi” ad Al Shadadi, nella campagna meridionale di Hasaka, “mentre un elicottero militare americano ha trasportato 5 detenuti da Daesh dal villaggio di al-Adnaniya all’Iraq”, dove la rivolta contro il Governo sta assumendo i connotati di una guerra civile.

I prigionieri ISIS in un carcere di massima sicurezza in Siria fotografati da un reportage del Times

Haddouchi era stato catturato dalle Forze Democratiche Siriane a Bagouz il 3 marzo 2019 e si troverebbe in stato di detenzione da 7 mesi. Il condizionale è d’obbligo perché né il Rojava Information Center né i portavoce SDF, contattati via Twitter, Email e WhatsApp, forniscono notizie su singoli FTF detenuti mentre sono prodighi di aggioramenti sui numeri del fenomeno: ben 347 sono i raid compiuti negli ultimi mesi a caccia di miliziani ISIS conclusi con 476 arresti. Un’attività che è calata del 75 % dopo l’aggressione della Turchia, come è calata la sorveglianza delle carceri consentendo i reiterati episodi di fuga in seguito ai bombardamenti della cinta muraria.

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Secondo l’intelligence belga il boia di Raqqa sarebbe entrato nell’Isis nel 2014 dopo essere cresciuto in una famiglia musulmana di origini marocchine, pertanto aderente all’Islam radicale Sunnita Salafita ed aver lavorato come tassista a Bruxelles.

Ha dichiarato ad ANF di essere stato influenzato dai predicatori turchi e marocchini nella moschea che frequentava nella capitale belga. Come riferito da Il Fatto Quotidiano Abou Souleyman al Belgiki nel 2009 si è trasferito con la moglie, la radicalizzata e sua connazionale Julie Maes, nella città britannica di Birmingham, uno degli hub europei del terrorismo jihadista.

 

IL BOIA DI RAQQA CON I SUSSIDI BRITANNICI

«Durante la sua permanenza di cinque anni in Gran Bretagna, il Boia di Raqqa ha percepito anche il sussidio per le famiglie meno abbienti. Soldi che, però, sono continuati a confluire nel suo conto corrente anche dopo la partenza per la Siria, nel 2014. Circa 10mila sterline (11mila euro) con le quali ha finanziato la sua permanenza in Medio Oriente e, probabilmente, il gruppo guidato da Abu Bakr al-Baghdadi» scrivono i giirnalisti italiani di FQ.

Nel settembre 2014 è andato in Siria con sua moglie, passando per la Turchia secondo uno schema abituale dei Foreign Terrorist Fighters.

«Siamo andati da Bruxelles a Istanbul, poi da lì siamo andati ad Antep. Con l’aiuto delle persone che ci hanno accolto ad Antep, abbiamo attraversato il territorio siriano. Anche se c’erano soldati turchi lungo il confine, siamo andati in Siria senza problemi. I membri dell’ISIS, che ci hanno salutato dall’altra parte del confine, prima ci hanno portato in una città e poi a Jarablus» ha confessato l’ex combattente dello Stato Islamico.

I jihadisti dello Stato Islamico sventolano le bandiere nere dopo la conquista di Raqqa nel gennaio 2014

Haddouchi afferma che dopo un breve soggiorno a Jarablus, fu portato a Raqqa dove ricevette addestramento militare in un campo ed dove ha iniziato a vivere con la sua famiglia. Ma «non ha fornito dettagli su dove abbia combattuto o su quali ruoli abbia avuto all’interno dell’ISIS, e quando gli viene ricordato che è noto come “il Macellaio di Raqqa” sorride e basta» scrive ANF..

Quando Raqqa fu liberata dall’SDF, nell’ottobre 2017, si trasferì prima a Meyadin e poi nella regione di Deir Ezzor anche se fu catturato a Bagouz.

Al Belgiki ammette che l’ISIS ha compiuto molti massacri contro i civili, ma ha affermato che sono stati condotti secondo la legge della Shari’ah. Sebbene abbia prestato servizio nell’ISIS per 5 anni, ha dichiarato di essere dispiaciuto di essere venuto in Siria e di essersi unito all’ISIS.

«Dopo pochi giorni mi sono accorto che la vita qua non era come ce l’avevano raccontata. Non potevo esprimere la mia opinione, se lo avessi fatto sarei stato in pericolo. A quel punto è iniziato il mio bad dream, il mio brutto sogno. Volevo andarmene – ha detto anche ai reporter italiani – ma non era possibile. Avrei messo a rischio la mia vita e quella della mia famiglia, visto che chi tentava la fuga veniva messo in prigione».

Il suo desiderio è quello di tornare in Belgio con sua moglie Julie Maes e i loro due figli, che non sa dove siano. «So bene che non deciderò dove sarò processato. Sono un cittadino belga e voglio tornare lì con la mia famiglia. Se dovessi essere processato, dovrei essere processato in Belgio».

Un appello finora caduto nel vuoto come quello di altri FTF anche perché sul capo di Haddouchi non grava solo l’accusa di essere il boia di Raqqa che eseguì almeno 100 decapitazioni per devozione alla Bandiera Nera del Levante ma quella ancor più pesante, di fronte alla comunità europea ed internazionale, di essere uno dei finanziatori degli attentatid i Parigi e Bruxelles.

HADDOUCHI E LE STRAGI DI PARIGI E BRUXELLES

Secondo informazioni del Ministero delle Finanze belga, quando si trovava a Raqqa, il jihadista ha trasferito 3.500 euro dal suo conto bancario quello di Mohammed Abrini, amico d’infanzia dei fratelli Abdeslam protagonisti degli attacchi di Parigi del 13 novembre 2015.

«Abrini è stato poi identificato come “l’uomo col cappello”: è lui ad apparire nelle immagini delle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto di Zaventem prima dell’attentato bomba del 22 marzo 2016 al terminal dello scalo brussellese. I soldi di Haddouchi, sospettano le autorità belghe, sono serviti a finanziare gli attacchi di Isis in Europa» ricorda Il Fatto Quotidiano mentre ANF precisa che il governo belga nel 2016 proprio per queste implicazioni congelò il suo conto e quello della moglie.

«Non conosco i terroristi belgi – dice nell’intervista ai giornalisti italiani – Per arrivare qua ho chiesto in giro, ho cercato sul web. Ho ottenuto un numero di cellulare e sono partito come turista per la Turchia, nel 2014».

L’agghiacciante foto della strage nel teatro Bataclan di Parigi

Com’è noto il 13 novembre 2015 la Francia piombò nell’incubo terrorismo: una serie di attacchi coordinati in vari punti di Parigi portati a termine da un commando dell’ISIS formato da nove esecutori materiali e da fiancheggiatori uccisero 130 persone e ne ferirono 350. Il massacro più grave avvenne nel teatro Bataclan dove i jihadisti spararono raffiche di fucile semiautomatico kalashnikov AK-47 sulla folla riunitasi per un concerto, prima di prendere di mira vari ristoranti e locali del centro storico della capitale. Mentre tre kamikaze si fanno saltare in aria all’esterno dello Stade de France durante l’amichevole di calcio Francia-Germania. Fu il peggior attentato mai avvenuto in Francia e il secondo più grave in Europa dopo quelli di Madrid nel 2004.

Il 22 marzo 2016 una similare azione terroristica ben pianificata avvenne in Belgio, nella capitale Bruxelles. Nella mattinata due distinti attacchi colpirono dapprima l’Aeroporto di Zaventem, dove si verificarono due esplosioni provocate probabilmente da attentatori suicidi, e poi la metropolitana tra le stazioni di Maelbeek e Schuman, a pochi passi dal Parlamento Europeo; le vittime totali furono 32 e oltre 300 i feriti. Nelle ore seguenti lo Stato Islamico rivendicò l’attacco.

 

L’INERZIA DEGLI STATI EUROPEI SUI FOREIGN FIGHTERS

Oggi per l’inerzia di vari stati dell’Unione Europea Abou Souleyman al Belgiki rischia di ottenere la libertà per un’eventuale decisione di Usa e Turchia sei il Belgio o l’Unione Europea non interverranno. A spiegare le ragioni del problema lanciando l’allarme fu nel mese di settembre il Syria Study Group (SSG), un Comitato di analisi delle criticità della guerra civile, edito dallo United States Institution of Peace di Washington e sviluppato da esperti accademici, comandanti militari e diplomatici con l’aiuto di governi stranieri, associazioni ed ong. Si tratta di un dossier di 80 pagine elaborato da 12 membri incaricati dal Congresso americano.

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«Gli oltre duemila combattenti stranieri ISIS attualmente sotto la custodia di SDF rappresentano un importante sfida. Diversi paesi, inclusi gli alleati statunitensi in Europa, rifiutano di rimpatriare i propri i cittadini, in alcuni casi privandoli della cittadinanza, o sono disposti a rimpatriare solo selezionare membri della famiglia. Molti di questi paesi mancano delle prove necessarie per accusare i combattenti dell’ISIS nei tribunali nazionali; altri temono che i combattenti possano essere condannati solo con accuse minori e servirebbe brevi frasi prima di essere rilasciato».

«Stati come Tunisia e Marocco stanno riportando indietro i terroristi partiti dalle loro città, mentre la Germania ha iniziato a riprendersi donne e bambini. Gli altri, con Gran Bretagna e Francia in testa, non ne vogliono sapere» rimarca Il Fatto Quotidiano mentre nel rapporto SSG si lodava l’azione di Kosovo, Macedonia ed anche dell’Italia.

Il riferimento è al cittadino italiano di origini marocchine, ma a lungo residente in Germania, Samir Bougana rientrato in Italia grazie ad una sofisticata ed encomiabile operazione di intelligence dell’AISE (il controspionaggio italiano all’estero) e preso in carico dalla Digos di Brescia che sta cercando di ottenere da lui informazioni utili nell’attività antiterrorismo.

 

LE DRAMMATICHE CONDIZIONI DELLE PRIGIONI SDF

«La SDF non ha né la capacità né la volontà di trattenere questi detenuti indefinitamente. Le condizioni di sicurezza sono minime sia nei campi IDP che nelle carceri pop-up. ISIS ha sfruttato più carceri in Iraq per alimentare la sua ascesa al potere nel 2012 e nel 2013 ed è probabile che stia contemplando una strategia simile in Siria» ha rilevato SSG.

Mentre il Times nelle scorse settimane è entrato in una delle più grandi prigioni di massima sicurezza dove sono detenuti circa 5mila ex combattenti dello Stato Islamico, tra cui anche molti minorenni, in condizioni sconvolgenti: ammassati a decine in grandi celle e senza un’adeguata assistenza medica.

Detenuti Isis ammassati tutti insieme in una sola cella – clicca sull’immagine per vedere il video del Times

«Gli Stati Uniti hanno tenuto tutti i media fuori dalla Siria, nascondendo campi di addestramento al terrorismo, prigioni segrete e anni di furto di petrolio. Ora questo problema è nelle nostre mani ed è tempo di fare qualcosa prima che sia troppo tardi – così ha commentato l’inquietante video l’ex marines ed esperto di intelligence militare Gordon Duff, senior editor del sito di geopolitica ed intelligence militare Veterans Today – Uno dei motivi principali per il ripristino della sovranità siriana è la liberazione di queste migliaia di prigionieri, vittime di una guerra falsa, di un falso ISIS. In questo momento, il miglior modo di agire è che vengano consegnati al governo siriano che, sotto l’ex ministro della Giustizia, ha aperto i loro tribunali e carceri a un’ispezione internazionale».

«L’esperimento israeliano-saudita-CIA nel formare l’incubo di uno stato terroristico nucleare dall’India al Mediterraneo deve finire – chiosa Duff – I rifugiati devono tornare, questi uomini devono essere rilasciati, smistati, intervistati: ci sono alcune persone pericolose qui, ma per la maggior parte, sono destinati a tornare al lavoro o nell’esercito siriano ma non in prigione».

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Nel prossimo reportage vedremo la storia dei più pericolosi Foreign Terrorist Fighters di cittadinanza svizzera, italiana, portoghese, palestinese che rischiano di tornare liberi in una scarcerazione di massa senza alcuna discriminante tra coloro che sono soltanto sospettati di collusioni con lo Stato Islamico e i miliziani tagliagole che hanno combattuto per la Bandiera Nera e per il fantomatico califfo Al Baghdadi, la cui morte dichiarata dal presidente americano Donald Trump rimane avvolta nel mistero.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAIN SOURCE

IL FATTO QUOTIDIANO – INTERVISTA AL BOIA

ANF – IL MACELLAIO DI RAQQA VUOLE TORNARE IN BELGIO

VETERANS TODAY – L’INQUIETANTE VIDEO SULLE PRIGIONI E IL COMMENTO DELL’ESPERTO

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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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