CROLLO PONTE MORANDI:
LE ACCUSE DEGLI INGEGNERI
E QUELLE CONTRO LO STATO.
MA I COLPEVOLI RISCHIANO
POCO PIU’ DI 5 ANNI DI CARCERE,
MENO DI UN OMICIDIO STRADALE!
Il governo libico più scrupoloso
dell’ex ministro Pd Delrio:
ha chiuso il ponte pericolante di Morandi
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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Chi ha seguito le vicende del disastro del Vajont e della strage di Ustica capisce bene i meccanismi che stanno scattando con una girandola di generici alibi per cui alla fine il tremendo disastro del ponte crollato può diventare colpa di tutti e di nessuno, colpa di uno Stato anonimo e senza alcun volto. E quand’anche fossero individuati i responsabili rischiano poco più di 5 anni di reclusione, meno che se alla guida di un’auto avessero causato un omicidio stradale violando il Codice della Strada. Ma ciò che sconcerta chi da anni si occupa di cronaca giudiziaria è assistere ad una pantomima di mani spinte in avanti a scansare responsabilità individuali che pure paiono evidenti anche all’uomo della strada in merito a questa tragedia assolutamente evitabile.
LE ACCUSE DELLA PROCURA ALLO STATO
«Premesso che l’indagine è in una fase preliminare ed esiste comunque un segreto istruttorio, posso tuttavia fare un ragionamento più generale: io ho qualche difficoltà ad accettare l’idea che il tema della sicurezza pubblica stradale sia rimesso nelle mani dei privati. La filosofia del nostro sistema vede oggi uno Stato espropriato dei suoi poteri, una sorta di proprietario assenteista che ha abdicato al ruolo di garante della sicurezza. Come se avesse detto al privato, veditela tu». Queste sono le parole riferite al Corriere dal procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi che pare più orientato a soffermarsi su una semplicistica analisi politico-amministrativa più che a dare una risposta immediata ai tanti legitimi quesiti sulle responsabilità individuali che da giorni tolgono il sonno ai parenti delle 43 vittime innocenti. Infatti non si ha notizia di persone iscritte al registro degli indagati (fino a tre giorni fa il fascicolo era contro ignoti) sebbene esistano per legge responsabili della sicurezza del concessionario gestore del viadotto Polcevera, ovvero di Autostrade per l’Italia spa, come devono esserci per ogni struttura aperta al pubblico (negozi, fabbriche, ecc). L’impressione è che visto il calibro dei personaggi potenzialmente coinvolti la magistratura stia procedendo coi piedi di piombo.
«Nel momento in cui è stata decisa la privatizzazione delle autostrade, lo Stato si è ritagliato un ruolo riguardante soprattutto il controllo del rapporto fra investimenti e ricavi, il giusto prezzo dei pedaggi, l’inflazione… Meno la sicurezza delle infrastrutture – aggiunge il magistrato – Cercheremo di capire quali sono esattamente i poteri degli organi di controllo del ministero, anche se temo che siano molto blandi. Il concessionario è come se fosse diventato il proprietario delle autostrade, non l’inquilino che deve gestirle. Se la suona e se la canta, decide che spese fare, quando intervenire, fa i controlli periodici sulla rete che gestisce…». Un ragionamento che non fa una grinza ma è altrettanto evidente che anche l’inquilino di un palazzo pubblico può benissimo disinteressarsi di una perdita di gas o acqua in barba a ogni norma civilistica e penale senza che il proprietario possa effettuare controlli se non in presenza di allarmi specifici. Ed è su questo punto, gli allarmi reiterati giunti pure in Parlamento, che l’intervista del procuratore non scioglie alcun dubbio, ancorata ad un segreto istruttorio che pare una cautela poco proporzionata alla gravità della tragedia.
IL GOVERNO LIBICO PIU’ CAUTO DI DELRIO
Sebbene la Libia sia stata dilaniata da una guerra civile durata quattro anni dopo il golpe anglo-franco-americano per defenestrare Gheddafi, nonostante le contrapposizioni ancora esistenti tra il governo di Unità nazionale presieduto da Fayez al-Serraj voluto dalle Nazioni Unite e la coaalizione guidata dal feldmaresciallo Khalifa Haftar e al Parlamento di Tobruk che rendono ancora incerto lo svolgimento delle prossime presidenziali di dicembre, nonostante questo clima di totale incertezza politica ed amministrativa il Governo libico ha saputo rispondere ai segnali di pericolo per un ponte costruito dallo stesso ingegnere Riccardo Morandi molto più tempestivamente e seriamente del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, sollecitato da ben due interrogazioni parlamentari (2015 e 2016) del senatore ligure Maurizio Rossi ad occuparsi degli allarmanti “cedimenti dei giunti del viadotto Polcevera” (vedi precedente articolo).
Il viadotto sul Wadi al-Kuf (in arabo جسر وادي الكوف jisr è un ponte strallato stradale costruito in calcestruzzo armato precompresso e progettato da Riccardo Morandi. Fino al 1984 era il ponte con il punto di luce più elevato in Africa. Si trova nell’estremo Nord della Libia a 20 km da Beida e a circa 15 km a sud della costa nella zona dell’altopiano libico Gebel el-Achdar e fa parte del collegamento stradale che unisce Bengasi a al-Marj, Beida, Derna e Tobruch, si trova sulla strada chiamata Al-Orouba ed attraversa l’omonimo canalone (Uadi) chiamato Wadi al-Kuf. Il ponte venne costruito tra il 1965 e il 1971, in seguito ai primi ritrovamenti petroliferi nel Regno Unito di Libia, per volere del re Idris di Libia dalla CSC – Costruzioni Stradali e Civili S. A. di Lugano filiale della Co.ge.far. s.p.a. di Milano (poi confluita in Salini Impreglio). Il 26 ottobre 2017 il Governo della Libia orientale di Abdullah al-Thani ha deciso la chiusura del ponte alla circolazione di autoveicoli e pedoni in seguito al suo deterioramento strutturale. Il 7 agosto 2018 il sindaco di Beida comunicava al governo di Tobruch la pericolosità del ponte e il rischio di crollo dopo aver chiesto un urgente intervento alla società italiana per la manutenzione.
CALCESTRUZZO E SALSEDINE: CONNUBIO MORTALE
Dai primi sopralluoghi sulle macerie del Ponte Morandi la Commissione ispettiva istituita dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti avrebbe accertato che non solo il tirante in calcestruzzo (o strallo) del pilone crollato ma altre concause, quali l’ipotetico cedimento di una mensola di sostegno del manto stradale, avrebbero influito sul crollo. A dichiararlo ai giornalisti è il presidente della commissione stessa Roberto Ferrazza che ovviamente si riserva tuti gli ulteriori indispensabili approfondimenti. Ma l’attenzione dei media rimane concentrata proprio sugli stralli, i manufatti creati con l’ardita progettazione ingegneristica di Morandi. Illuminante è il parere di un esperto riportato da Il Secolo XIX: «Gli stralli in calcestruzzo armato precompresso, realizzati anche per altri viadotti analoghi (come a Maracaibo, in Venezuela, ma anche in Basilicata), hanno mostrato una durabilità relativamente ridotta – rileva Antonio Occhiuzzi, direttore dell’Istituto di Tecnologia delle costruzioni del Consiglio nazionale delle ricerche – E la statica di un ponte di questo tipo dipende fondamentalmente dal comportamento e dallo “stato di salute” degli stralli». Ed in riferimento al viadotto di Genova lo stesso Occhiuzzi fa notare che «una parte degli stralli è stata oggetto di un importante e chiaramente visibile intervento di rinforzo, ma il tratto crollato è un altro. È necessario capire perché, in presenza di elementi che hanno indotto a rinforzare alcuni stralli, non siano state operate le medesime cure sugli altri, gemelli e coevi».
E’ ormai noto che l’Autostrade per l’Italia spa aveva indetto una gara d’appalto da 20 milioni di euro proprio per il laborioso intervento su uno dei tiranti, posticipato, con tragiche conseguenze, a fine estate per non creare disagi al traffico estivo su quel nodo autostradale che collega la rete viaria proveniente da Francia, nord Italia, Riviera Ligure e diretta al centro-sud Italia con ovvio conseguente calo degli incassi sui pedaggi. I lavori progettati la scorsa primavera prevedevano la disposizione di nuovi cavi esterni che vanno dal traversone dell’impalcato fino alla sommità delle antenne del ponte. L’intervento di adeguamento strutturale, da più di 700 giorni di cantiere, interessava proprio la zona a sistema bilanciato e in particolare gli stralli 9 e 10, uno dei quali, il n. 9, è stato proprio il pilone crollato.
Ma da una documentazione scovata dal quotidiano La Verità emerge che già nel 1979 lo stesso ingegnere progettista lanciò un allarme sui rischi di corrosione di calcestruzzo e quindi dell’armatura in ferro a causa della salsedine. «La struttura – scrisse Morandi – viene aggredita dai venti marini (il mare dista un chilometro) che sono canalizzati nella valle attraversata dal viadotto. Si crea così un’atmosfera, ad alta salinità che per di più, sulla sua strada prima di raggiungere la struttura, si mescola con i fumi dei camini dell’acciaieria (il vecchio stabilimento Ilva, ndr) e si satura di vapori altamente nocivi. Le superfici esterne delle strutture ma soprattutto quelle esposte verso il mare e quindi più direttamente attaccate dai fumi acidi dei camini, iniziano a mostrare fenomeni di aggressione di origine chimica» con una «perdita di resistenza superficiale del calcestruzzo». E’ curioso notare come lo stesso ingegnere esponga un rischio che avrebbe dovuto calcolare in corso di progettazione poiché era lapalissiano che il ponte era vicino al mare e sarebbe stato esposto alla salsedine. Pertanto questo appello tardivo ad interventi di manutenzione straordinaria (con resine e di elastomeri sintetici) rivela quantomeno una scarsa valutazione iniziale e sembra quasi voler giustificare le carenze strutturali con una scusante: come l’Aeronautica Militare cercò di fare subito dopo la caduta del Dc9 Itavia ad Ustica attribuendo i cedimenti strutturali al fatto che precedentemente quell’aereo era adibito al trasporto del pesce e pertanto di residui salsugginosi corrosivi.
Infatti ben diverso è il parere di un altro esperto il professor Andrea Del Grosso, per anni ordinario di Tecnica delle costruzioni all’Università di Genova, e oggi docente di un corso di Gestione e monitoraggio delle infrastrutture, intervistato sempre dal Secolo XIX: «Il Morandi ha sempre avuto problemi di corrosione degli stralli e di eccessive deformazioni, a causa delle perdita di tensione dei cavi di acciaio dentro le strutture di cemento armato precompresso. Ma all’epoca della costruzione le deformazioni del calcestruzzo non erano conosciute come oggi. Il problema del degrado di queste strutture lo stiamo studiando solo da vent’anni. Il ponte dell’A10 sul torrente Polcevera era molto innovativo all’epoca», ma «le sue caratteristiche, come la grande “luce” fra le campate, erano più adatte a una struttura in acciaio» perciò secondo il professore quel ponte «era una struttura critica, soprattutto per l’uso del cemento precompresso». Da qui l’idea, già nel 2009, di eliminarlo totalmente per sostituirlo con il progetto della Gronda di Genova mai portato avanti (vedere precedenti articoli). Ed anche l’ingegnere Antonio Brencich, docente dell’università di Genova e membro della commissione dei Trasporti e delle Infrastrutture che deve accertare le cause del crollo, dopo i primi sopralluoghi ha commentato ai microfoni di Rainews 24: «La rottura di uno strallo è un’ipotesi di lavoro seria». Viene dunque da chiedersi quanto è stato investito da Autostrade per l’Italia spa (Aspi) nella manutenzione della rete autostradale. Poco. Molto meno di quanto preventivato…
RINCARI DI PEDAGGI, POCA MANUTENZIONE
Come riporta Il Giornale citando una relazione di 650 pagine in possesso del Ministero delle Infrastrutture c’è stata una grande sperequazione tra i molteplici rincari dei pedaggi autostradali applicati da Aspi (in virtù anche degli accordi finanziari secretati nella convenzione di concessione firmata con lo Stato) di molto superiori ai livelli di inflazione e che sono cresciute fino a triplicarsi le irregolarità contestate durante le ispezioni su Autostrade Spa: «“Alcune vengono sanate dall’azienda, altre restano – si legge – 100 nel 2014, 317 nel 2016 (anche in questo caso più che triplicate)”. Le sanzioni, invece, se si esclude una procedura da 40mila euro, sono praticamente inesistenti. E, se da una parte tra il 2008 e il 2016 le tariffe sono aumentate del 25% (il doppio rispetto alla crescita dell’inflazione), dall’altra gli investimenti sono stati inferiori del 15% rispetto a quanto promesso. Negli ultimi dieci anni sulla A10 sono stati sborsati 76 milioni di euro anziché 280 milioni previsti. Il 73% in meno».
IL MISTERO DEI VIDEO DEL CROLLO SPARITI
A rendere kafkiana la vicenda ecco un’ulteriore curiosa coincidenza: «Ci sono stati dei problemi nelle videoregistrazioni della società Autostrade. Non posso dire che ci siano materiali di grande rilevanza o utilità. Il maltempo incideva sulla cattiva qualità delle immagini. La mancanza delle immagini vera e propria o l’interruzione delle immagini è dovuta, a quanto è dato di capire, a sconnessioni sulla rete dovuta al fenomeno sismico, al crollo insomma. In poche parole, un black out». Così il procuratore di Genova Francesco Cozzi al microfono del Gr1 Rai sulle registrazioni delle telecamere della società autostrade posizionate sul ponte Morandi.
I COLPEVOLI RISCHIANO MENO DI UN OMICIDIO STRADALE
E’ sempre lo stesso magistrato nell’intervista al Corriere a concordare che per i reati per cui si procede, il disastro colposo, l’omicidio colposo plurimo e l’attentato colposo alla sicurezza dei trasporti il Codice Penale preveda pene davvero inconsistenti: «Per esempio, la pena del disastro va da uno a cinque anni – afferma il procuratore Cozzi – Un anno, come il furto in abitazione. E d’accordo che l’omicidio plurimo colposo può arrivare a un tetto più alto dei cinque anni, ma siamo pur sempre di fronte a un ponte che crolla e a quaranta persone che hanno perso la vita». Fa d’uopo al riguardo ricordare che l’omicidio stradale, che può essere contestato anche soltanto in presenza di un incidente mortale con una violazione minima del limite di velocità, viene punito molto più pesantemente come recita l’articolo 581 bis del Codice Penale: “Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale è punito con la reclusione da due a sette anni. Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, è punito con la reclusione da otto a dodici anni».
Ecco quindi una tragedia immane, un disastro apocalittico per il quale i responsabili, laddove provata la loro effettiva negligenza o imperizia, rischieranno molto, molto meno di un qualsiasi cittadino che per distrazione o imprudenza si troverà a commettere una anche piccola violazione al Codice della Strada. Vale quindi il concetto, già espresso in un precedente articolo, secondo cui lo Stato è giustiziere implacabile col privato, ma garantista, anche in virtù di leggi ad hoc come l’articolo del Codice Penale sui disastri colposi, nei confronti di imprenditori amici dei politici e gestori di appalti pubblici.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
ulteriori approfondimenti sulla notizia qui
FONTI
https://www.corriere.it/politica/18_agosto_18/procuratore-genova-lo-stato-ha-abdicato-funzione-controllo-principio-sbagliato-2af55e1c-a328-11e8-afa5-13cd0513c17b.shtml
https://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_sul_Wadi_al-Kuf
http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2018/08/15/ADxP1VAB-problemi_morandi_precedente.shtml