LA SFIDA SULL’EURO PASSA PER PUTIN

LA SFIDA SULL’EURO PASSA PER PUTIN

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PER L’ITALIA SOVRANISTA
L’USCITA DALL’EURO E DALL’UE
E’ POSSIBILE SOLTANTO
ENTRANDO NEL BRICS

Le discussioni di questi giorni sui media circa le posizioni dell’Italia di fronte all’Unione Europea in materia finanziaria mi inducono ad una riflessione generale sull’euro. Lo faccio soprattutto in difesa del ministro alle Politiche Comunitarie Paolo Savona sbeffeggiato via etere dall’ormai irriconoscibile Oscar Giannino che per riaccreditarsi dopo la vicenda delle laure fasulle si è gewnuflesso agli ideali dell’informazione sinistra di Radio 24-Il Sole 24 Ore, espressione del braccio mediatico armato dell’imprenditoria nemica di ogni populismo perché quest’ultimo può portare con sé può il rischio di riduzione dei lauti guadagni degli speculatori internazionali dell’Alta Finanza in Borsa con tracolli peggiori per le banche dei plutocrati più che per i 18 milioni di italiani già sull’orlo della povertà assoluta.

Non voglio entrare nel dettaglio delle analisi tecniche perché estremamente di parte al punto da invitare come ospite della trasmissione tale Sergio Rizzo, vicedirettore di un giornale da sempre schierato come La Repubblica ed autore del libro catastrofista “02-02-2020. La notte che uscimmo dall’Euro”, una visione apocalittica del possibile tracollo finanziario dell’Italia qualora procedesse secondo le logiche sovraniste del Governo giallo-verde M5S e Lega che vuole rinegoziare con l’Unione Europea le condizioni di rapporti politico-finanziari (dall’emergenza migranti ai contributi italiani all’Ue) e gli eventuali sforamenti al deficit. Savona, per farla breve, nel documento di piano finanziario esposto a Bruxelles torna indietro di quasi 20 anni quando furono scritte nero su bianco le condizioni di ingresso dell’Italia nell’Unione Europea in riferimento a deficit pubblico e valuta monetaria: come è noto il marco fu avvantaggiato la lira no. Una questione da sempre sostenuta anche dall’ex premier Silvio Berlusconi quale male congenito dello sviluppo economico italiano in zona euro. Ebbene con una sfacciataggine assurda Giannino ha definito risibile la posizione di Savona che vorrebbe tornare a ridiscutere quelle tragice scelte finanziarie, operate da Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi con la regia del commissario europeo Mario Monti, per riequilibrare la posizione economica dell’Italia.

Io credo invece che il vulnus finanziario del nostro paese sia proprio tutto lì: un’eredità insostenibile di pressione del debito pubblico che pare creata ad hoc per indebolirci in Europa e, di conseguenza, in ambito Nato all’interno del quale la centralità nel mare Mediteraneo è funzionale ad ogni politica geomilitare (come lo fu per abbattere Gheddafi facendo partire gli aerei Usa dalle basi italiane). Il concetto è elementare: più un paese è debole meno può incidere sulle scelte internazionali come si è visto anche nella gestione delle migrazioni sulla quale Bruxelles, dopo tante vane promesse, ci ha lasciati con il cerino in mano mentre Macron, buonista solo coi migranti in casa d’altri, soffia sul fuoco della polemica razzista e contraria all’accoglienza.

Ecco quindi che a mio giudizio fa benissimo Savona ad uscire da logiche e schemi ordinari che vedrebbero l’Italia prima in sofferenza, poi bisognosa di una procedura di emergenza, quindi l’intervento dei commissari della Troika per costringerla a svendere i patrimoni energetici, artistici e paesaggistici come fatto dalla povera Grecia, uscita dall’empasse della crisi di liquidità bancaria ma finendo strozzata in un sistema assistenziale e sanitario divenuto da terzo mondo.

Ecco quindi che fanno bene Di Maio e Salvini – sulla cui sintonia futura non sono pronto a scommettere, come la vicenda della censura ad Orban dimostra, per l’alta percentuale di infiltrati di estrema sinistra nel movimento grillino – ad alzare la voce minacciando anche un’uscita dall’euro soprattutto nel momento in cui la stessa Unione Europea, con grandissimo ritardo e strategie schizofreniche, vorrebbe imporre l’euro quale moneta per le transazioni internazionali sul mercato dell’energia in alternativa al dollaro come annunciato dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker in settimana (e ben rilevato sul blog di Cristiano Puglisi su Il Giornale).

Una sfida al dollaro che sembra quasi voler essere solo uno schiaffo provocatorio alle politiche di Trump di innalzamento dei dazi sulle importazioni negli Usa ma che, come rileva lo stesso Puglisi, può reggersi solo sul presupposto di creare un canale preferenziale di dialogo economico con Cina e Russia, gli unici partner alternativi al mercato Usa che da soli possono ribaltare ogni prospettiva di sviluppo commerciale e finanziario dell’Europa come di qualsiasi paese. Ho scritto che l’annunciata strategia di Juncker pare un po’ claudicante, come gli attacchi improvvisi di presunta sciatalgia dello stesso presidente guarda caso in coincidenza ai banchetti con libagioni e bevande abbondanti. Perché da una parte l’Ue per far piacere agli americani sulla crisi Ucraina (vedi altri articoli su www.gospanews.net La guerra per il gas) proroga le sanzioni alla Russia che proprio all’Italia stanno facendo perdere miliardi in esportazione di quei prodotti agroalimentari che ci vedono tra i leader mondiali, dall’altra vorrebbe che Vladimir Putin ed il suo ormai solido impero, sopravvissuto all’Ucraina e alla Siria, scendesse a patti con gli europei.

Purtroppo Juncker è obnubilato dalla sua prosopopea al punto da vivere nell’oblio di quello che sta già accadendo da anni tra Cina e Russia. La nascita del Brics, Brasile-Russia-India-Cina-Sudafrica, cinque potenze economiche emergenti, è servita a tessere consolidate alleanze commerciali e finanziarie tra questi paesi nel rispetto delle politiche sovraniste di ciascuno di essi. Insieme costoro hanno già fondato la NDB, New Development Bank, con cui stanno finanziando senza bisogno di sparare un solo proiettile, una valanga di progetti di sviluppo in Africa e che si sta preparando a divenire un fondo internazionale alternativo al FMI (Fondo Monetario Internazionale del quale fanno comunque parte le nazioni del Brics). In più, come nota sempre il blogger de Il Giornale, Cina e Russia hanno già in cantiere 75 progetti condivisi per 100 miliardi di dollari.

Non solo. Memori della prossibile fragilità di rublo e yuan che essendo monete solo nazionali possono subire gravi contraccolpi dalle speculazioni borsistiche pilotate dall’alta Finanza anglo-franco-americana da più di dieci anni stanno investendo in oro, accumulandolo tonnellate e facendo così crescere sempre più le loro riserve auree giunte in pochissimi anni tra le prime dieci al mondo (Russia al quinto posto con 1900 tonellate e Cina al sesto con 1808, Italia terza con 2450 dietro a Usa e Germania). Mi pare inoltre che Juncker scordi anche che la borsa di Shangai ha iniziato gli scambi finanziari sul mercato energetico con la moneta nazionale facendo nascere il petroyuan: molti futures sul petrolio, denominati in yuan, sono stati lanciati alla fine di marzo 2018 ed hanno rapidamente realizzato scambi per 62.500 contratti; e quindi per un valore nozionale di 27 miliardi di yuan, ovvero 4 miliardi di Usd. Non solo. Nicolas Maduro per difendersi dalla morsa alla liquidità imposta al Venezuela dagli Usa per ragioni squisitamente economiche sulle quotazioni del petrolio (il paese ha la metà di tutti i giacimenti mondiali) si è inventato il petrocoin, una moneta virtuale garantita dalle risorse energetiche nazionali. Giusto per citare un altro esempio di alternativa monetaria al tradizionale dollaro.

In questo contesto di paesi così avanti nella costruzione di valute e risorse finanziarie internazionali a far sorridere non è Savona, come crede Giannino, che vorrebbe una rinegoziazione del debito pubblico italiano, ma il povero claudicante Juncker che pensa di poter sfidare dollaro, petroyuan e rublo con gli artifizi delle economie virtuali della Bce. Ecco perché fa bene Salvini a fare la voce grossa perché l’Europa rischia di restare intrappolata in un’emarginazione che lei stessa si è cercata per essere serva dei Mondialisti e della cultura delle Banche Centrali a differenza di Usa, Cina, Russia e intero Brics.

Ecco perché l’Italia ha tutti i diritti di minacciare una sua uscita dall’Euro che ovviamente vorrebbe dire anche dall’Unione Europea ma può farlo solo se nel frattempo ha già un piano di sostegno internazionale alternativo come ad esempio quello di entrare nel Brics, che è un’alleaqnza commerciale più che politica, e di avere un accordo privilegiato con gli Usa in cambio di una loro permanenza militare nelle basi della penisola, comunque da ridimensionare. A quel punto lo spread Btp-Bund può pure volare a 1000 come favoleggia sciaguratamente Giannino: perché se i Btp li comprerà la NDB, la banca del Brics, l’Italia starà certo meglio che con i drogati Quantative Easing inventati da Mario Draghi, presidente della Bce, per acquistare titoli di stato e sostenere i governi Monti, Renzi e Gentiloni e non evidenziarne le criticità nella prospettiva di crescita economica; come conferma il fatto che i Qe scadranno il 31 dicembre e non saranno più rinnovati essendo cambiato il governo. Insomma dopo tanti politici italiani che hanno agito solo in servitù dei finanzieri mondialisti raccontando balle al cubo è davvero auspicabile che ce ne siano altri che agiscano finalmente con le palle quadrate.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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