MIGRANTI E MAFIA NIGERIANA

MIGRANTI E MAFIA NIGERIANA

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MAFIOSI NIGERIANI TRA I MIGRANTI
IL SOSPETTO DIVENTA SENTENZA:
IL GIUDICE: “DA LAMPEDUSA I NUOVI BOSS”
CHE PER VENDETTA FANNO A PEZZI
LE MADRI DAVANTI AI FIGLI.

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

Già nel 2011 l’ambasciata nigeriana in Italia lanciò l’allarme sull’immigrazione di violenti criminali  appartenenti a vere bande configurabili come associazioni a delinquere; nel 2016 e 2017 la Direzione Investigativa Antimafia nelle sue relazioni semestrali ha più volte segnalato la pericolosità della mafia nera Black Axe, tanto potente perché ramificata su scala internazionale dalla Nigeria al Sudafrica, dal Canada al Giappone; adesso è un giudice a mettere nero su bianco l’emergenza mafia nigeriana in stretta connessione con gli sbarchi dei migranti. In dieci anni a Torino, Brescia e Palermo ci sono state rigorose sentenze di condanna per molteplici reati, dal traffico di esseri umani a quello di droga, dagli omicidi alle violenze sessuali, nei confronti di immigrati centroafricani accusati di associazione di stampo mafioso: la cosiddetta Cosa Nera.

Come spesso accade, da quando la ventata di scriteriato buonismo spinge i barconi degli immigrati in Italia, il fenomeno dell’inflitrazione di frange malavitose tra gli africani che giungono sulla penisola è assolutamente sottovalutato per non dire volutamente occultato. Ma sono le parole del Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Torino ad emettere una sentenza che sul piano sociale è senza appello: «I moduli operativi delle associazioni criminali nigeriane sono stati trasferiti in Italia in coincidenza con i flussi migratori massivi cui assistiamo in questi anni».


CONDANNA AI BOSS VENUTI DA LAMPEDUSA

Un malavitoso nigeriano arrestato

A dichiararlo non è un avvocato filoleghista ma il giudice torinese Stefano Sala nelle 686 pagine con cui motiva le condanne (fino a dieci anni di carcere) inflitte il 12 gennaio a 21 appartenenti agli Eiye e ai nuovi boss dei Maphite, sbarcati negli ultimi anni a Lampedusa mescolati tra i migranti portati nei porti italiani dalle Ong. Clan malavitosi definiti dal magistrato «secret cults», secondo la definizione che ha reso famosa la setta universitaria Black Axe e viene normalmente utilizzata a Lagos e a Benin City. «Nell’ambito della comunità nigeriana di Torino — sottolinea il gup — i “secret cults” incutono timore e fanno paura, al punto da provocare l’insorgenza di veri atteggiamenti omertosi». Diffusi soprattutto tra i migranti che, quando si vedono negare l’asilo politico in quanto sprovvisti di requisiti, divengono le reclute ideali della mafia nigeriana: «Tra gli immigrati appena sbarcati a Lampedusa – aggiunge Sala – vengono reclutati i corrieri che ingoiano cocaina», «ricompensati con 30 mila euro» nel momento in cui riescono a superare i controlli e portare lo stupefacente a destinazione.

A fare luce sul fenomeno è stato un pentito che ha descritto per filo e per segno le modalità intimidatorie e le feroci violenze: «Sono tornati gli Eiye e ci sono ancora i Black Axe. Con loro anche i Bucaneer, i Maphite e i Vikings. E poi i Sea Dogs e i Man Fight. I gruppi si scontrano e si picchiano, hanno i loro club e i loro bar. Le persone accoltellate non denunciano, perché hanno paura o non sono in regola con i documenti». In ordine cronologico gli ultimi arrivati sono i Maphite. «Sono sbarcati a Lampedusa e la gente ha paura di loro, perché sono più pericolosi di chi li ha preceduti. Possono accoltellare e uccidere. Non hanno nessun rispetto per la vita, hanno già sofferto troppo attraversando prima il deserto e poi il mare per arrivare in Italia». Le rivelazioni di uno dei primi pentiti della mafia nigeriana sono state fatte agli agenti della Squadra Anti-Tratta della Polizia di Torino. Ma è il giudice Sala nella sua sentenza depositata nelle scorse settimane a parlare senza esitazione di «vincolo associativo» e di «metodo mafioso», di «assoggettamento» e di «omertà»: casi che richiamano le note intimidazioni con riti malefici juju o vudù (vedi link a fondo pagina). Insomma di una «struttura associativa» che opera come «la mafia siciliana e la ‘ndrangheta calabrese». Ma con ancor maggiore ferocia e brutalità come descrivono alcuni raccapriccianti testimonianze di vendette tra queste stesse mafie.

LA MADRE FATTA A PEZZI

Agghiacciante il racconto sulle violenze perpetrate nella lotta tra i differenti clan. Ecco alcuni dettagliati episodi dei violenze e ritorsioni nei confronti delle famiglie rimaste in Nigeria riportati dal Corriere: «Un membro dei Maphite è andato a casa di un componente dei Black Axe e ha ucciso la madre, tagliandole il corpo a pezzi. Poi ha portato i resti nella scuola dove il figlio della donna stava seguendo la lezione e li ha buttati lì, scatenando il panico e il terrore. Sono scappati tutti via. Dopo due mesi da questo episodio, i Black Axe sono andati a casa della mamma di un componente dei Maphite e hanno cavato gli occhi ai suoi genitori e poi li hanno decapitati con un’ascia». In un’altra occasione, i Maphite «sono andati in Nigeria a prendere a scuola i figli» dell’uomo che aveva «sgarrato», «li hanno portati a casa e hanno sparato alla loro mamma, uccidendola, e facendoli assistere». Aggressioni di inaudita efferatezza che riportano subito alla mente la tragica vicenda di Pamela Mastropietro a Macerata: un terribile delitto per il quale è accusato di omcidio aggravato dalla violenza sessuale, deturpamento e occultamento di cadavere proprio un nigeriano che per le numerose parziali confessioni a singhiozzo induce a ritenere che possa coprire qualcuno di più importante. D’altronde, come evidenzia il Corriere, gli stipendi dei boss e dei gregari della mafia nigeriana sono davvero elevati…

GLI STIPENDI D’ORO DEI BOSS NERI

E’ il confidente della magistratura a rivelare che il boss della mafia nigeriana viene definito «Don». Come i notabili siciliani di Cosa Nostra, e riceve uno «stipendio di 35 mila euro ogni tre mesi». Il suo vice è il «Deputy Don», con 17 mila euro (sempre ogni tre mesi). Poi il «Chief», con 11 mila. Fino a scendere a uno stipendio di «9 mila euro ogni novanta giorni». «Dall’appartenenza ai Maphite ho avuto vantaggi economici – racconta l’informatore – prendevo 9.500 euro ogni tre mesi e me li versavano sul mio conto corrente bancario. Chi non ha incarichi e propone un “business”, prende una percentuale sui guadagni. Può capitare che un semplice affiliato segnali l’arrivo di una ragazza dalla Nigeria: se i Maphite decidono di intervenire, di sequestrare la prostituta dalla strada e di chiedere infine alla “madame” un riscatto tra i 10 e i 15 mila euro, chi ha proposto l’affare prende 2 mila euro se tutto va a buon fine». Tra le attività illegali gestite dai nigeriani c’è naturalmente il traffico internazionale di droga. Dalla Colombia la cocaina arriva nel cuore dell’Africa: in Benin, in Ghana, in Nigeria. «Da qui poi lo stupefacente deve rientrare in Europa e per farlo vengono usati corrieri reclutati tra persone gravemente malate, che non rimangono in carcere a lungo a causa delle loro condizioni di salute».

Insomma un’organizzazione ben articolata che giunge persino ad intimidire i legali di coloro che decidono di pentirsi. Una costruzione malavitosa che prospera grazie ai continui sbarchi di nigeriani ove si nascondono mafiosi ma anche terroristi islamici come emerso dagli arresti effettuati nel mese di luglio su un barcone. Una mafia che prospera grazie ai buonisti fans dell’immigrazione indiscriminata, sempre più incuranti, per bisogno di prosopopea ideologica e complicità coi grandi finanzieri sponsor delle migrazioni volte ad ottenere manodopera a costi stracciati, che molti dei migranti diverranno clandestini e soldati delle nuove mafie nere.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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BLACK AXE: MAFIA NERA

ALLARME STUPRI NERI

MAFIA CAPITALE, BAOBAB & MIGRANTI

 

FONTI
https://torino.corriere.it/cronaca/18_agosto_28/torino-mafiosi-nigeriani-ultimi-boss-arrivano-lampedusa-02111bf6-aa9b-11e8-8af0-f325f3df3076.shtml

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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

3 pensieri su “MIGRANTI E MAFIA NIGERIANA

  1. Sono del parere che gli immigrati devono essere aiutati nei loro paesi di origine. Non tutti vengono dalle zone di guerra, qui non c’è lavoro nemmeno per gli Italiani.

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