LA PROCURA HA LE PROVE
DELLA CATTIVA MANUTENZIONE
MA TUTTI GLI INDAGATI
RIFIUTANO DI DEPORRE AI PM.
TRA LE IPOTESI DEL CROLLO
ANCHE LA “BOBINA ASSASSINA”
TRASPORTATA DA UN CAMION.
2 VIDEO KLA TV SULLA TEORIA BOMBA
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
“Manette per Genova”. E’ questo il titolo di un articolo che scrissi su questo sito il giorno dopo la tragedia del Ponte Morandi, sconcertato dalla supponenza con cui i vertici di Autostrade per l’Italia (Aspi), la spa controllata da Atlantia che fa capo ai Benetton ma è partecipata anche dal miliardario fondo americano BlackRock inc, asserivano in un comunicato che la società era «fiduciosa di poter dimostrare di aver sempre correttamente adempiuto ai propri obblighi di concessionario, nell’ambito del contraddittorio previsto dalle regole contrattuali che si svolgerà nei prossimi mesi».
Una nota stampa ufficiale in cui non veniva spesa nemmeno una parola sulle 43 vittime dai Benetton & co, impegnati nella loro villa di Saint Moritz in una grande festa organizzata per il Ferragosto. Una dichiarazione altezzosa di fronte all’immane tragedia che mi fece ritenere che questi potenti finanzieri internazionali avrebbero fatto qualsiasi cosa pur di attenuare o peggio occultare le loro responsabilità; e che pertanto i primi sospettabili, ovvero quantomeno i responsabili legali sulle norme di sicurezza del viadotto, avrebbero dovuto essere sottoposti a misure cautelari per evitare il rischio di inquinamento delle prove.
La magistratura agì con molta più prudenza: impiegò una settimana ad acquisire i primi documenti, 22 giorni ad iscrivere i primi 20 nomi nel registro degli indagati e diede quindi tempo ai legali della multinazionale Atlantia di preparare una linea difensiva da “roccia nera” (evocando il fondo che controlla la finanziaria), che ora, a distanza di due mesi e mezzo, rivela inevitabilmente la sua tetragona potenza e prepotenza. P
roprio negli ultimi giorni, infatti, sia il quotidiano genovese Il Secolo XIX che Panorama hanno messo in luce uno degli aspetti più inquietanti, vergognosi e disgustosi della vicenda: tutti i principali indagati finora sfilati in Procura si sono avvalsi della facoltà di non rispondere ai pm, una scelta consentita dal fin troppo garantista Codice di Procedura Penale italiano, una decisione che denota però un atteggiamento fortemente omertoso che certo non aiuta le indagini.
Al punto da indurre non meglio identificati inquirenti della Procura di Genova a far trapelare sommessamente sui giornali l’auspicio che almeno l’Amministratore delegato fornisca delucidazioni nel suo interrogatorio fissato per il 23 novembre. Per ora a parlare è stato solo un ingegnere della società che fece i rinforzi agli stralli del ponte: sentito come persona informata sui fatti e non quale indagato ha sostenuto l’ipotesi che il crollo sia avvenuto a causa di una bobina di acciaio caduta da un camion… Un veicolo precipitato nel crollo sia con il conducente rimasto miracolosamente illeso, sia con la bobina incriminata sulla quale i periti si potranno sbizzarrire per accertare se è fuoriuscita dal camion prima o dopo che questo precipitasse.
Fa comunque riflettere la circostanza che se ad avvalersi della facoltà di non rispondere fossero stati imprenditori corruttori o politici corrotti probabilmente si sarebbe subito sentito il tintinnare di manette. Ma siccome la questione concerne reati colposi, con un dolo eventuale e non facilmente dimostrabile, anche se ci sono stati 43 morti, ecco che manager, ingegneri e tecnici possono tranquillamente presentarsi davanti ai magistrati con le bocche cucite. Ed ovviamente, ad ogni sviluppo delle indagini a loro in parte accessibile in quanto indagati, mettersi anche d’accordo sulla versione da sostenere poi in aula.
Ma vediamo tutti questi fatti nel dettaglio compresa l’ipotesi azzardata dai reportages della webtv tedesca Klagemauer Tv (tradotta in 43 lingue) secondo cui il ponte sarebbe crollato perché fatto brillare con una detonazione esplosiva controllata: due video da guardare con ovvio beneficio del dubbio che riportiamo in calce all’articolo.
I SILENZI CHE INQUIETANO LA PROCURA DI GENOVA
«Questa mattina Il Secolo XIX di Genova porta l’attenzione su come fino a questo momento nessuna delle figure maggiormente coinvolte nell’inchiesta abbia risposto alle domande dei magistrati – ha ben evidenziato Matteo Politanò sul sito di Panorama il 29 ottobre 2018 – Tutti i principali indagati si stanno infatti avvalendo della facoltà di non rispondere»: tra loro anche i dirigenti tecnici di Autostrade responsabili del tronco. Al momento i sospettati sono 20 (link con elenco completo a fondo pagina) e sono stati indagati per differenti reati che spaziano dall’omicidio colposo plurimo, il più grave perché aumenta le pene potenziali, aggravata dal mancato rispetto delle norme anti-infortunistica, oltre all’omicidio stradale colposo e al disastro colposo; la Procura di Genova ha invece tolto l’accusa di attentato alla sicurezza dei trasporti.
Non è invece mai stata nemmeno ponderata l’ipotesi di strage per l’eventualità di un crollo causato da un’esplosione, sostenuta da diversi studiosi improvvisati sui social, ma anche da un ingegnere svizzero che è stato fonte primaria per il reportage della webtv tedesca Kla di cui parliamo, con grandissima circospezione, più avanti.
Al momento è davvero importante concentrarsi sulla vile omertà regnante tra gli indagati come ha evidenziato sempre Il Secolo XIX nell’edizione del primo di novembre: «In Procura i silenzi e i “non rispondo” dei superdirigenti di Autostrade hanno lasciato disappunto, considerato che s’indaga sul crollo d’un viadotto stradale e la morte di 43 persone – scrive il quotidiano genovese – Perciò in vista dell’interrogatorio dell’amministratore delegato Giovanni Castellucci, comparirà davanti ai pm il prossimo 23 novembre, i magistrati alzano il tiro. E ricordano come, rispetto ai dirigenti e ai tecnici che hanno sfilato in queste settimane senza dire una parola, si aspettino qualcosa di più dall’ad di Aspi inquisito per il collasso del Morandi. La considerazione condivisa dai pm e dal capo Francesco Cozzi, che ieri si sono riuniti con i consulenti, mutua da solida giurisprudenza della Cassazione. La Suprema Corte ha in passato stabilito che l’amministratore delegato d’una società concessionaria di servizi pubblici riveste la qualifica di “incaricato di pubblico servizio”. “Non c’è un obbligo di rispondere alle domande durante l’interrogatorio – ragionano gli investigatori – Ma eticamente, proprio alla luce del ruolo che ricopre, dovrebbe fornire chiarimenti e non avvalersi della facoltà di non rispondere”».
Un’aspettativa legittima che, da esperto di giudiziaria, temo resterà fortemente delusa se non sarà suffragata da sollecitazioni più robuste. Non va infatti dimenticato che proprio quell’amministratore delegato non rappresenta se stesso ma gli interessi di una spa controllata da Atlantia che, insieme crollo del Viadotto Polcevera ad agosto vide precipitare il valore delle sue azioni fino a picchi negativi de 20 %. Ed in considerazione dei potenti investitori della finanziaria è lecito immaginarsi molta cautela da parte dell’Ad.
I SOCI DI ATLANTIA, PROPRIETARIA DI AUTOSTRADE
Su internet una fonte molto esaustiva descrive la conformazione societaria di Atlantia. Il sito Contropiano analizza infatti la privatizzazione di Aspi: «E’ utile rammentare che Autostrade per l’Italia era pubblica fino al 1999 quando era detenuta al 100% dall’Iri, a sua volta controllata dal Ministero del Tesoro. Una volta operata la privatizzazione, in quell’anno, ha cambiato il nome Società Autostrade che aveva fino ad allora in quello che ha oggi ed è stata rilevata per intero da Atlantia (in precedenza Autostrade S.p.A.) nel 2003. I Benetton sono i principali azionisti stabili di Atlantia e quindi di Autostrade per l’Italia perché detengono una quota del 30,25% nella holding.
Gli altri azionisti sono, con una quota dell’8,14%, la GIC Pet. Limited, un fondo sovrano del governo di Singapore, poi con il 5,12% delle azioni c’è il famoso fondo di investimento statunitense Blackrock Inc, con il 5.08% c’è la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, con il 5,01% c’è il fondo inglese HSBC Holdings. Il restante 45,46% delle azioni definito come quota flottante del capitale complessivo è per lo più detenuta da fondi di investimento e azionisti stranieri. Di questa quota flottante, pari quasi alla metà delle azioni di Atlantia, solo il 19,9% è in mano italiana. Il 23,9% in mano americana e un 20,4% in mano britannica». Vista la delicatezza delle indagini e i nomi degli investitori cui deve rispondere l’amminsitratore delegato Aspi è assai probabile che si rifugi nel compromesso di una memoria difensiva scritta o faccia anche lui semplicemente scena muta. Ma lo si saprà solo il 23 novembre. Quel che si scopre oggi, invece, è che un teste tecnico avvalora la tesi della bobina assassina…
LA BOBINA ASSASSINA COME UNA CANNONATA
E’ l’Ansa di oggi a dare notizia in anteprima della testimonianza di una persona informata sui fatti che avvalora la tesi del cedimento strutturale causato non da cattiva manutenzione ma dalla bobina assassina piovuta dal camion con la forza di una cannonata: «In un primo momento avevo pensato che la causa del crollo del ponte Morandi fosse la corrosione degli stralli. Poi vedendo alcuni video ho iniziato a ipotizzare che a far collassare il viadotto potrebbe essere stata la caduta del rotolo di acciaio trasportato dal camion passato pochi secondi prima».
Lo ha detto Agostino Marioni, ingegnere ex presidente della società Alga che si occupò dei lavori di rinforzo della pila 11 nel ’93, sentito come persona informata dei fatti in Procura. «Secondo i calcoli che ho fatto – ha detto ancora Marioni – se il tir, che viaggiava a una velocità di circa 60 chilometri orari, avesse perso il rotolo che pesa 3,5 tonnellate avrebbe sprigionato una forza cinetica pari a una cannonata. Verificarlo è semplice: basta controllare se sulla bobina ci sono tracce di asfalto».
La narrazione è suggestiva, un po’ fantasiosa (perché bisognerebbe prima individuare la bobina e capire se su una sola ci sono tracce d’asfalto) ma tutt’altro che originale. L’ipotesi era già al vaglio degli inquirenti fin dall’alba del giorno dopo la tragedia: osservando frame a frame il video del crollo si era già ipotizzato che a dare il colpo di grazia a un ponte già compromesso fosse stato il passaggio di un tir che trasportava un rotolo d’acciaio da 440 quintali (il limite di legge è 462). «Dopo due secondi dal suo passaggio del camion dal pilone numero nove lo strallo 9 est si è spezzato risucchiando l’asfalto e il suo camion nel vuoto – scrive ancora Panorama – Il conducente, rimasto miracolosamente illeso, è stato intervistato da Corriere della Sera, e ha spiegato che quel ponte traballante lui lo attraversava col suo mezzo pesante due volte al giorno per portare i rotoli d’acciaio dall’Ilva di Genova verso altre destinazioni. L’uomo ha ammesso di sentirsi sempre poco sicuro quando attraversava il viadotto proprio per le forti oscillazioni che percepiva. Il peso del mezzo era comunque nei limiti previsti dalla legge e la struttura avrebbe dovuto reggere». Tra le ipotesi di maggiore rilievo resta invece quella del cosiddetto reperto 132.
IL REPERTO 132 E IL CALCESTRUZZO DIFETTOSO
La svolta nelle indagini era avvenuta il 19 ottobre quando la Procura analizzando i detriti del Ponte Morandi aveva individuato una presunta “prova chiave” sulle cause del collasso strutturale: il reperto numero 132, uno strallo di cemento armato che mostrerebbe un avanzato stato di corrosione dei cavi di acciaio interni. I pm sostengono che la corrosione fosse dovuta a manutenzioni carenti. Il reperto 132 è già stato inviato in Svizzera per ulteriori analisi.
La conferma sulla cattiva manutenzione darebbe forza alla tesi degli inquirenti, che sostengono come il collasso del viadotto sia dovuto alla rottura dei tiranti ammalorati nelle pile 9 (quella crollata) e 10. I lavori per rinforzarli sarebbero dovuti partire tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019. Sulla cattiva manutenzione sta effettuando approfondimenti anche la Guardia di Finanza che ha fornito ai magistrati l’elenco di 40 persone coinvolte nei lavori di consolidamento strutturale tra il 1992 ed il 2012: in particolare si sta cercando di capire se al momento degli interventi di rinforzo del pilone 11 nel 1992 i tecnici fossero già a conoscenza delle condizioni critiche degli altri due piloni 9 e 10, perché se così fosse sarebbero evidenti gravi negligenze.
Già a metà settembre, però, erano affiorate ulteriori carenze strutturali che avevano fatto passare in secondo piano l’ardita progettazione del viadotto (identico ad un altro progettato da Riccardo Morandi a Maracaibo ed a sua volta oggetto di un crollo): il team ingegneristico guidato da Piergiorgio Malerba e Renato Buratti su ordine della Procura ha prelevato campioni della struttura e le ha analizzate all’interno di un bunker nella zona rossa analizzando gli stralli spezzati del pilone 9, quello collassato: un’analisi che avrebbe evidenziato come il numero di cavi d’acciaio presenti nel calcestruzzo sarebbe inferiore rispetto a quello previsto dal progetto originario e, perdipiù, la guaina protettiva di quei cavi risulta quasi assente per un totale deterioramento dei materiali utilizzati, ritenuti quindi di scarsa qualità.
LA PROSSIMA UDIENZA E L’IPOTESI DELLA BOMBA
Il 25 settembre scorso nell’aula bunker di Genova si era tenuta la prima udienza per l’incidente probatorio sul crollo del ponte Morandi. Da allora i tre periti nominati dal Gip Angela Nutini stanno effettuando le operazioni di sopralluogo e di repertazione dei detriti per preparare la relazione che dovranno depositare entro il 25 novembre in vista della prossima udienza in Tribunale fissata per il 17 e 18 dicembre prossimi dove si confronteranno con i consulenti della Procura, degli indagati e dei familiari delle vittime. La gravità mortale dell’incidente e la farraginosa complessità investigativa e peritale ricorda moltissimo il caso del DC9 Itavia precipitato ad Ustica e le similitudini tra le inchieste aumentano man mano che le indagini proseguono incespicando nell’atteggiamento omertoso degli indagati; ma anche per le ipotesi di occulti complotti esplosivi: per una demolizione con detonazione controllata in vista della futura costruzione di un nuovo viadotto oppure un crollo conseguente ad un attentato esplosivo per una cospirazione politica come negli anni della tensione e del terrore stragista.
Al momento queste sono piste che trovano alcuni video amatoriali esplicativi sui social ma non sembrano essere state prese in considerazione dagli inquirenti per la labilità degli indizi: la presenza di mezzi tecnici sotto il ponte la notte precedente al disastro, due lampi in un video, il crollo del pilone successivo a quello del piano viario, i detriti del pilone anneriti.
Ma la televisione tedesca online Klagemauer Tv, prendendo spunto dalle supposizioni tecniche di un ingegnere esperto di infrastrutture stradali, non ha perso l’occasione per produrre un reportage dovizioso quanto malizioso che ipotizza un complotto internazionale ordito per mettere sotto scacco il nuovo governo gialloverde di Lega e M5S anche in relazione al fatto che il Ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli è un pentastellato come quei politici genovesi che si opposero al progetto della Gronda: ovvero la complessa nuova rete autostradale pensata per deviare il traffico dal Ponte Morandi creando un’alternativa al crocevia di arterie autostradali che lì connettono A7 per Milano-Svizzera, A12 per il Centro-Sud Italia ed A10 per Liguria, Francia e Spagna. Un’ipotesi che rispolvera la Strage di Bologna, i depistaggi e i collegamenti, quelli sì ormai assodati, tra terroristi, servizi segreti deviati, operazione Gladio e massoneria P2.
A giudizio di chi scrive se la teoria può destare un minimo interesse sotto il profilo tecnico-ingegneristico pare alquanto azzardata e cervellotica sotto l’aspetto geopolitico anche perché palesa la solita tendenza straniera a sparare con brutale disinvoltura sulla triade massonico-mafiosa-spionistica germogliata, cresciuta e purtroppo ancora viva in Italia. Il noto sito antibufale Butac ha dedicato un servizio a questa ipotesi mettendo in dubbio la credibilità della Tv tedesca e del suo fondatore ma non trovando oggettivi fondamenti per poterla definire una bufala.
Proprio perché bersagliata dai quotidiani svizzeri impegnati a smentire la teoria, la stessa Kla Tv ha quindi elaborato un secondo video in cui passano in secondo piano le tesi della cospirazione politica e si concentra sugli indizi tecnici della detonazione controllata con cariche esplosive, in particolare sulle testimonianze dei superstiti che riferirono del lampo e del boato prima del crollo ed il successivo vuoto d’aria. A prescindere da fantasiosi moventi e mandanti, l’eventualità dell’esplosione, che io per primo ritengo improbabile, paradossale e allo stato attuale visionaria, meriterebbe un adeguato approfondimento: in un’indagine così complessa in cui gli investigatori vagliano l’ipotesi della “bobina assassina” caduta dal camion si dovrebbe seriamente soppesare anche quella dell’ordigno giusto per non dare nulla per scontato.
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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IL LINK DEL PRIMO VIDEO DI KLA TV
IL LINK DEL SECONDO VIDEO DI KLA TV
https://www.gospanews.net/2018/09/17/massoneria-e-stragi/
FONTi
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2018/11/01/AD9MiVOC-manager_procura_rispondere.shtml
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2018/09/07/ADp8ygZB-colpevoli_responsabili_autostrade.shtml
http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2018/11/01/AD9MiVOC-manager_procura_rispondere.shtml