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SILVIA ROMANO: ARRESTI E MISTERI

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PER IL SEQUESTRO DI SILVIA ROMANO
LA POLIZIA FERMA ALTRI “COMPLICI”
E DA’ LA CACCIA A 3 FUGGIASCHI.
RESIDENTI IN RIVOLTA PER I FERITI:
PIETRE CONTRO I SOMALI ISLAMICI
DOPO I SOSPETTI SUI TERRORISTI
CHE SI NASCONDONO NELLA FORESTA

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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Quattordici arrestati e tre ricercati: è questo il primo bilancio della prima azione della Coast Regional Police di Mombasa in risposta al rapimento della giovane volontaria italiana Silvia Costanza Romano avvenuto martedì sera a Chakama, vicino a Galana-Kulalu, nell’entroterra della contea Kilifi, a pochi chilometri dalla costa famosa per la località turistica Malindi. In seconda battuta altri sei fermi “di cui tre rilevanti” sono stati effettuati proprio oggi come comunicato dal capo della Polizia keniana, Joseph Boinnet, a vari media tra cui l’emittente “Capital FM”. Gli arrestati salgono così a 2o e lo stesso comandante esprime “ottimismo” per un rapido ritrovamento della ragazza.  Gli interventi fanno seguito ad un massiccio dispiegamento di agenti per dare la caccia al commando di 5 o 8 uomini (le versioni sono discordanti) che ha rapito la ragazza in un agguato premeditato al market locale dopo aver sparato con potenti fucili d’assalto kalashnikov per aprirsi il varco e proteggersi la fuga: una sparatoria che ha ferito cinque kenioti, tra cui tre bambini, e suscitato la rivolta dei residenti contro la comunità musulmana. L’accusa nei confronti dei fermati è quella di aver ceduto informazioni ai sequestratori, anche se gli inquirenti non escludono che possano addirittura esserne complici: sono stati condotti in differenti caserme e sottoposti ad interrogatori per individuare autori e mandanti. Ma sul rapimento della ragazza milanese di 23 anni rimangono molti misteri soprattutto sul coinvolgimento dei fondamentalisti islamici somali di Al Shabaab, vicini ad Al Qaeda e noti per le numerose incursioni in Kenya avvenute tra il 2011 ed il 2013, nelle quali sono stati sequestrati turisti stranieri e attentati come quello in un ipermercato di Nairobi che fece una strage con 67 vittime. Intanto sui social si scatena il bieco cinismo ed il becero odio di troppi italiani che recriminano sulla scelta della volontaria di andare ad aiutare i bambini africani.

LA CACCIA A TRE SOSPETTI E L’AGGUATO AL MARKET

Il comandante della Coast Regional Police di Mombasa, Noah Mwivanda

A confermare i 14 arresti è stato il comandante della Polizia Costiera, Noah Mwivanda, ai giornalisti del media keniota Daily Nation.  A comunicare gli altri 6 il capo della Polizia keniana. Mentre ancora non si conosce la sorte dei fermati è iniziata la caccia a tre sospetti: un uomo sparito nel nulla prima del rapimento dopo aver affittato la casa a due estranei a loro volta scomparsi dopo il sequestro. Le forze di sicurezza,hanno avviato le ricerche dei fuggiaschi e della ragazza anche nelle vicine contee di Taita Taveta e soprattutto di Tana River, area che divide la provincia di Kilifi dove è avvenuto l’agguato e quella di Lamu, tristemente nota per essere zona di attacchi dei terroristi islamici somali Al Shabaab che si rifugiano nel vicino Parco Naturale di Boni. Secondo il quotidiano keniota Daily Nation, il ricercato si chiama Said Abdi Adan, è un residente della contea di Tana River ed «é scappato dalla zona alcuni giorni prima dell’attacco – precisa il reportage del giornalista Charles Lwanga – Una persona del posto, Mr Malik Said Gasambi, ha detto ai giornalisti che Adan ha affittato una casa a Chakama e più tardi ha portato a viverci due persone». «Gli ho dato due stanze nelle quali hanno passato notti a masticare miraa – ha sostenuto Gasambi usando un sinonimo del “qat”, la pianta che con un alcaloide che causa eccitazione ed euforia – Sorprendentemente, tutti sono spariti dall’attacco. Sono partiti silenziosamente portandosi tutto quello che avevano». Secondo quanto riferito da testimoni e poi ricostruito dalla polizia locale l’agguato è avvenuto nel piccolo market del villaggio dove la ragazza lavorava come educatrice nell’orfanotrofio Chakama Huest House. Il commando, pare di addirittura otto persone armate di machete e kalashnikov AK 47, ha assalito la ragazza mentre si stava recando a prendere una batteria per il cellulare: secondo gli investigatori alcuni sequestratori si sarebbero dati alla fuga con delle motociclette.

IL LINCIAGGIO DEI SOMALI E I MISTERI SUI RAPITORI

Alcuni abitanti davanti alla Chakama Guest House dove lavorava Silvia Romano

Com e riferisce sempre il Daily Nation mercoledì, il comandante della contea di Kilifi, Fredrick Ochieng, ha salvato tre persone, che si erano recate a Chakama, dal linciaggio della folla che li riteneva in combutta con gli assalitori: i tre sarebbero stati poi fermati per essere interrogati dalla polizia insieme agli altri 11. Il clima di tensioni sul posto ha raggiunto l’apice alla visita di alcune autorità: «I residenti hanno protestato contro i crescenti casi di insicurezza quando il vicegovernatore Gideon Saburi, il parlamentare Magarini Michael Kingi e il rappresentante del distretto Adu Ward, Stanley Kenga, hanno fatto il giro della zona – aggiunge il giornalista Lwanga – Gli sforzi dei leader per calmare la gente sono stati vani. Hanno lanciato pietre ai membri della comunità pastorale somala e oromo quando sono scesi da un autobus a Chakama e hanno minacciato di attaccarli con pietre, bastoni e machete. La polizia ha fatto portare alcuni feriti nell’ospedale della contea di Malindi». Un’aggressione rivolta a due gruppi etnici entrambi in maggioranza musulmani come i fondamentalisti di Al Shabaab. Le indagini della polizia locale, però, procedono con i piedi di piombo sulla pista del terrorismo islamico anche per non creare allarmismi che possono avere gravi contraccolpi sul turismo, entrato in crisi dopo gli attentati ed i rapimenti imputati agli estremisti somali 6 anni fa. Il Ministero del Turismo, appena si è diffusa la notizia del sequestro di Silvia Romano, si è premurato di dichiarare che la sicurezza è stata rafforzata sia per i residenti che per i turisti: «Questo è un incidente isolato che si è verificato ben lontano da qualsiasi area turistica popolare». Ma la parlata somala di alcuni sequestratori e il pesante armamento inducono a ritenere che davvero ci possa essere stato un coinvolgimento dei jihadisti probabilmente in combutta con delinquenti locali secondo la tesi ben evidenziata dal Corriere della Sera. «Uno scenario possibile – visto anche nel Sahel e in Iraq – è quello di un’azione condotta da manovalanza locale, che conosce bene il territorio, è informata sul target ed esegue la missione. Quindi passa l’ostaggio ad altri, criminali comuni oppure estremisti in cerca di denaro. Spesso è una realtà «ibrida», dove si intrecciano brigantaggio e islamismo radicale, con confini mai netti. Per tattica, ma anche perché in molti quadranti è normale che le distinzioni non siano marcate – scrivono i giornalisti Guido Olimpio e Fiorenza Sarzanini – Una realtà complessa nella quale bisogna districarsi per cercare un canale di trattativa. Si procede sul doppio binario. Mentre i carabinieri del Ros guidati dal generale Pasquale Angelosanto sono stati delegati dal pubblico ministero Sergio Colaiocco a svolgere verifiche e rintracciare i testimoni del rapimento, gli uomini dell’intelligence sfruttano i contatti locali – compresi quelli già utilizzati dai servizi segreti degli altri Paesi come imprenditori del luogo, autorità religiose, capitribù – per conoscere la contropartita richiesta. Obiettivo è fare più in fretta possibile per sottrarre l’ostaggio ai suoi aguzzini. Senza sottovalutare la possibilità che la giovane possa già essere stata trasferita oltre i confini. Se la pista è quella che porta agli Shabaab, le loro basi sono in Somalia dove hanno già compiuto rapimenti e dove mescolano tattiche guerrigliere e terrorismo indiscriminato». Ma alcuni covi dei fondamentalisti somali sono anche nella foresta Boni dell’omonimo parco naturale, nella contea Garissa dove ancora di recente hanno fatto una strage.

LO SHOCK DEL MISSIONARIO E IL SEQUESTRO DEI KALASHNIKOV

Una pattuglia della Rapid Border Patrol Unit (RBPU) che dà la caccia ai terroristi islamici somali Al Shabaab nella foresta di Boni

«E’ stato uno shock; nell’ultimo anno non si era verificato alcun episodio del genere e le aree dove Al Shabaab colpisce sono lontane anche 200 chilometri». E’ il commento di padre Alejandro Umul Chopox, da anni  missionario nella regione di Malindi, rilasciato all’agenzia Dire dopo il sequestro di Silvia Costanza Romano. Secondo il religioso, collaboratore della Caritas locale, nella zona dove la volontaria è stata rapita non erano stati segnalati pericoli particolari e non erano per questo adottati protocolli di sicurezza rafforzati. Sull’ipotesi di una responsabilità del gruppo islamista Al Shabaab, vicino ad Al Qaeda, si limita a sottolineare: «Ha rivendicato agguati e attentati solo più a nord, nell’area costiera di Lamu, che si trova a circa 200 chilometri di distanza da qui, vicino al confine con la Somalia, oppure più all’interno, ad esempio a Garissa, dove nel 2015 durante il blitz nell’università furono uccisi 147 studenti». Proprio al confine tra Garissa e Lamu, a Ijara, il 19 novembre gli agenti della Rapid Border Patrol Unit (RBPU) hanno effettuato un blitz nell’operazione di sicurezza multi-agenzia Linda Boni intesa a stanare i pericolosi miliziani di Al-Shabaab nascosti all’interno della fitta foresta di Boni: hanno ucciso quattro terroristi islamici che hanno ingaggiato un conflitto a fuoco e recuperato sei fucili AK-47: la stessa arma semiautomatica d’assalto “kalashnikov” usata anche dai sequestratori e prediletta dai miliziani jihadisti perché in grando di diventare anche un lanciagranate con l’aggiunta di un apposito congegno.

IL SILENZIO DELLA FAMIGLIA E L’ODIO DEI SOCIAL

Una foto tratta dal profilo Facebook di Silvia Romano dove la volontaria sorride con i bambini dell’orfanotrofio

Silvia Costanza Romano, insegnante di ginnastica artistica in una palestra milanese e laureata in Mediazione Linguistica per la Sicurezza e Difesa Sociale, operava nel Paese africano per la onlus marchigiana Africa Milele che opera su progetti di sostegno all’infanzia: dopo aver collaborato nell’estate scorsa con Orphan’s Dream nella cittadina di Likon era rientrata per qualche giorno in Italia prima di ripartire verso il Continente Nero dove era stata nominata referente presso la Chakama Guest House che educa ed istruisce bambini senza famiglia. «Silenzio e pace, speranza e forza» è quanto chiede ora la famiglia della ragazza rapita per bocca della sorella maggiore, Giulia: «Non condivideremo nessuna informazione finché Silvia non sarà a casa – dice – e vi preghiamo di smetterla di cercare di contattarci perché non siamo una famiglia cui piace stare in tv o suoi giornali». Nel frattempo sui social è esplosa una contestazione squallida che recrimina contro la scelta della ragazza di andare ad aiutare i bambini africani in un paese a rischio. “Se l’è cercata ed ora gli italiani dovranno pagare il riscatto” è il commento tra i più diffusi anche nella pagiuna Facebook Gospa News. Un’aggressione scriteriata che ha portato ben due opinionisti del Corsera a parlarne: sia Massimo Gramellini nel suo Caffè che Pierluigi Battista del cui editoriale riportiamo i passaggi salienti: « Gli energumeni che sui social vomitano insulti su Silvia Romano, la giovane cooperatrice rapita in Kenya, non sono dei mostri, o dei marziani: magari fossero solo questo. Sono la faccia orribile e deforme di un sentimento che, nella sfera nascosta e inconfessabile di molti di noi, alberga in modo inespresso: il fastidio, forse anche l’irritazione, per i problemi che può provocare il rapimento di una nostra giovane connazionale – scrive Battista – Gli energumeni dei social odiano e spargono veleni: è il loro mestiere. Danno addosso a una ragazza che sta rischiando la vita: non sanno fare altro e forse articoli come questo, alimentando interesse attorno alle loro gesta parecchio infami, può avere addirittura un effetto controproducente. L’insulto, il berciare torvo è il loro linguaggio. Ma stavolta non possiamo rifugiarci in un idillio di purezza separata e dire che mai scriveremmo simili orrori. Stavolta dobbiamo dire che il nostro interesse per un’italiana rapita è di molto scemato, e che ci siamo rinchiusi nella nostra nicchia nazionale perché tutto ciò che accade al di fuori dei nostri confini va tenuto lontano. Ora è così, ma fino a pochi anni fa non era affatto così».

Un disinteresse assurdo soprattutto perché molti di coloro che riversano insulti sull’operatrice rapita propalano commenti gravidi di razzismo e di cultura antimigranti; ignoranti ed incuranti del fatto che i bambini del Kenya come della Somalia e degli altri paesi africani non fossero educati da occidentali in molti casi missionari cristiani sarebbero cresciuti dai fondamentalisti islamici, istruiti con sharia e jihad contro gli occidentali. Ecco perché a chi come Silvia era lì ad educare gli orfani – e non a fiancheggiare ribelli come altre due italiane in Siria – devono essere tributati i ringraziamenti e la stima dell’Italia e dell’intero occidente.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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VOLONTARIA DI UN ORFANOTROFIO RAPITA DA TERRORISTI IN KENYA

FONTI

https://www.nation.co.ke/news/14-arrested-in-search-for-kidnapped-Italian/1056-4863662-ulsj7s/index.html

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/europa/2018/11/22/kenya-14-arresti-per-litaliana-rapita_484b7a36-2169-4bdb-b39a-038ebf6889e2.html

https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/18_novembre_21/volontaria-rapita-ipotesi-islamista-sequestro-soldi-fuga-somalia-b85f52ea-edcd-11e8-be2f-fc429bf04a05.shtml

https://www.ilmessaggero.it/italia/silvia_romano_kenya_ultime_notizie_22_novembre_2018-4124610.html

https://www.corriere.it/opinioni/18_novembre_22/italiani-rapiti-all-estero-radici-odio-paura-f404cc3a-ee72-11e8-862e-eefe03127c3f.shtml

 

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