TRIPUDIO PER SALVINI A ROMA
ODIO PER MACRON A PARIGI.
LA FORZA DELLE IDEE INCANTA
LA CIECA VIOLENZA DEVASTA.
I GILET GIALLI OSTAGGI DEI BLACKBLOKS
E DEI RISCHI DI PROTESTE MANIPOLATE
PER GIUSTIFICARE LA LEGGE MARZIALE
E RIMANDARE LE ELEZIONI EUROPEE
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
«E poiché hanno seminato vento/raccoglieranno tempesta»
(Bibbia, Profeti, Osea 8,7)
Che Emmanuel Macron sia un arrogante guerrafondaio colonialista al servo dei mondialisti Bilderberg e finanziato da George Soros è assolutamente fuor di dubbio. Lo dimostrò a settembre quando ordinò alla fregata Auvergne ormeggiata vicino alle coste della Siria di fornire il fuoco di copertura al raid di bombardamento israeliano contro le postazioni Hezbollah nel corso del quale fu abbattuto l’aereo russo da ricognizione con 15 militari a bordo. Che il modo per cacciarlo non sia quello di mettere a ferro e fuoco negozi, ristoranti ed auto sotto l’Arco del Trionfo è altrettanto indubbio. Chi getta benzina sul falò della protesta dei Gilets Jaunes francesi non legge i giornali, non conosce il retroterra culturale parigino e dimostra di non capire nulla di una rivolta che da un paio di settimane è sfuggita dalle mani degli organizzatori ed è finita in quella di professionisti della guerriglia urbana come i famigerati black-blocks che sconvolsero Genova nel 2001. Dietro a costoro potrebbe celarsi una manovra di premeditata destabilizzazione ordita dal solito George Soros, finanziatore di quelle rivoluzioni arancioni che in piazza Euromaidan nel 2013 fecero un centinaio di vittime tra poliziotti e civili per gli spari di cecchini mercenari. Perché? Per la stessa strategia adottata da Petro Poroshenko nel Mar d’Azov: provocare per suscitare una reazione forte e quindi giustificare l’adozione di misure estreme come la legge marziale che rende illegale qualsiasi forma di adunanza, contestazione e persino di opinioni scomode sui media; una legge che può addirittura motivare la sospensione ed il rinvio a tempo indeterminato di consultazioni elettorali già in programma, come quelle del maggio prossimo per il rinnovo del Parlamento Europeo. La riprova che qualcosa di “premeditato” sta accadendo si percepisce anche dei social: tutti concentrati sulle conturbanti immagini delle auto in fiamme incendiate da specialisti del terrore; sulle registrazioni video della brutalità della polizia talmente perfette, trasparenti e scioccanti che sembrano girate da esperti registi con attori professionisti più che casuali riprese di manifestanti vittime di soprusi. Parigi e Bruxelles prese d’assalto hanno così oscurato le altre pacifiche manifestazioni di piazza che sabato si sono svolte a Roma, Torino, Katovice, Budapest, Belgrado e Kuala Lumpur, a volte con motivazioni umanamente nobili come l’abbraccio del Ministro dell’Interno Matteo Salvini ai suoi sostenitori politici, a volte un po’ meno come quella in Malesia organizzata dai musulmani per applaudire il governo che ha rigettato la convenzione Onu sulle discriminazioni razziali.
I BLACK-BLOCKS TRAVESTITI DA GILETS JAUNES
Non servono reportage, interviste o scoop per capire che la natura delle proteste in Francia è cambiata: basta guardare le immagini. Fino a due settimane fa in Francia c’erano camionisti e sostenitori coi veicoli fermi per strada a bloccare il traffico mentre si fumavano una sigaretta e bevevano un thè da un thermos manifestando solo con la presenza, i clacson e i gilet gialli il loro dissenso verso il rincaro del gasolio. Purtroppo l’idiota di Parigi che si crede Napoleone IV, impegnato a seguire le battaglie navali dei suoi amici ucraini, alleati solo in quanto nemici di Putin, ha pensato bene di snobbare la rivolta popolare in un paese come la Francia, fondato sul sangue di una delle più tremende rivoluzioni della storia umana al grido di Liberté, Egalité, Fraternité che riecheggia ancora oggi nella struggente Marsigliese. Una nazione nata sul diritto ad impugnare le armi contro il sovrano cattivo andrebbe sempre trattata coi guanti di velluto più che col pugno di ferro. Così non è stato. Ci sono voluti più di 15 giorni, 2 morti, centinaia di feriti e di arrestati per indurre il maligno insipiente che sta nel Palazzo dell’Eliseo a trattare con gli autoproclamati leaders dei Gilets Jaunes. Ha concesso loro quanto richiesto: il blocco del previsto rincaro del costo del gasolio per un anno ma era ormai troppo tardi; come ammesso dagli stessi organizzatori della protesta minacciati di morte se avessero accettato di scendere a patti col governo. In quel momento gli stessi ispiratori dei Gilets Jaunes hanno capito che la situazione era sfuggita di mano e si erano infiltrati manifestanti con l’unico scopo di «fare casino». Ed alla vigilia dell’8 dicembre hanno avvertito i francesi: «State a casa» ribadendo che ormai non erano più loro a condurre le danze. Ma la macchina ancor più potente dei terroristi urbani si era già messa in azione coi canali social buoni ad infiammare gli animi di chi legge solo i titoli delle notizie…
DESTABILIZZARE PER STABILIZZARE: CHI E’ DIETRO AI GILET GIALLI?
“Destabilizzare per stabilizzare” questo è da sempre il motto confessato solo nelle stanze dei bottoni da servizi segreti ed apparati militari che si ritiene sia stato anche alla base del periodo stragista in Italia. Ecco quindi il paradosso: esasperare una manifestazione pacifica che nella prima settimana aveva causato solo disagi al traffico, salutati dal sorriso degli automobilisti solidali, fino a farla diventare un’azione pianificata di guerriglia. I Gilets Jaunes indossavano la loro improvvistata bandiera di protesta su jeans e t-shirt col volto scoperto. Quelli che a Parigi, a Marsiglia e persino a Bruxelles si sono messi la casacca gialla avevano tute nere come i black-blocks, passamontagna, maschere antigas e da saldatore sugli occhi, fumogeni, bombe molotov e persino le bandiere nere col teschio che furono dei pirati caraibici ed oggi sono anche dell’Isis. Assalti assolutamente ben pianificati. Purtroppo però una buona parte dei boccaloni dei social ragiona con la pancia e sostiene a cuore aperto i nuovi rivoluzionari francesi contro il cattivo Macron, ignorando una cosa fondamentale della storia: tutte le rivoluzioni violente hanno raggiunto lo scopo solo quando erano sovvenzionate da poteri forti. I cospiratori giacobini, bolscevichi, garibaldini furono finanziati per rovesciare regni proprio da quei massoni del Nuovo Ordine Mondiale che oggi chiamiamo mondialisti. Oggi una simile rivoluzione può funzionare solo in Ucraina o in Siria; solo perché agli occhi del mainstreming finanziato da Bilderbeg & co. contro la Russia di Putin e del suo alleato Assad vale tutto: dall’uso dei cecchini mercenari al finanziamento dell’Isis. Ma quello che vale in un paese “nemico”, proprio perché sovranista come cercò di essere l’Italia di Silvio Berlusconi, non può certo valere in una nazione in cui il presidente è pupillo del gotha della finanza mondiale ed è stato scelto proprio per sconfiggere la populista Marine Le Pen. In fondo molti francesi, ancora un po’ sanculotti e un po’ partigiani comunisti, hanno il cervello solo a sinistra e pertanto non sanno guardare a destra nemmeno quando a loro può fare del bene: Le Pen è stata sconfitta e si sono beccati il mondialista Macron. Ma non ci sarà nessuna rivolta di piazza sufficientemente forte per scalzarlo: potrebbe finire ome in Piazza Tienanmen. O al massimo il “pulzello di nonna” potrebbe essere scrificato sull’altare della patria per mettere al suo posto un sorosiano peggiore, magari un generale vicino alla Nato per il periodo di transizione fino a nuove elezioni. Nel momento in cui è sotto gli occhi di tutti lo strapotere del Bilderbeg nelle istituzioni internazionali come Onu, Fmi e Unione Europea non bisogna farsi illusioni di cambiare le politiche con la forza, perché gli strateghi della finanza, come il plutarca George Soros, hanno soldi per finanziare eserciti regolari e non (i blackblocks come i migranti nerboruti fatti arrivare in Italia): e per loro ogni guerra è “santa” perché consuma quelle munizioni prodotte dalle aziende che controllano. Ecco perché oggi più che mai l’unica sicura via per i cambiamenti politici è quella insegnata da Matteo Salvini: l’urna elettorale.
IL TRIPUDIO DI ROMA PER IL CAPITANO DELLA LEGA
Ciò che Silvio Berlusconi si conquistò grazie a televisioni e giornali di proprietà Matteo Salvini se l’è guadagnato col passaparola sui social e con la coerenza dialettica. Il tripudio di Roma per il capitano della Lega, si stimano per difetto 60-70mila persone, non è una vittoria nata sull’onda di una protesta del momento ma costruita partendo da lontano: come le Champions di quel Milan per cui lui tifa, come il successo degli azzurri di Bearzot, protagonisti nel 1978 e campioni del mondo nel 1982. Salvini non è Bossi che si guadagnava consenso gridando con voce roca “Roma ladrona” salvo essere il primo tangentista della seconda Repubblica e svuotare le case del suo stesso partito. Matteo non seduce il ventre del popolo, ne conquista la testa, il cuore e l’anima. Chi ne segue i dibattiti ammira la semplicità, a volte pacata a volte affocata, con cui distrugge le tesi degli avversari politici su temi nei quali è forte non solo perché li ha approfonditi ma perché dice la verità, esattamente come fa la sua speculare immagine politica al femminile, ovvero Giorgia Meloni.
Purtroppo però la grandiosa festa che si è celebrata sabato a Roma in piazza del Popolo, dove erano presenti anche Andrea Nanetti e Alessio Bononcini, due amministratori del gruppo Facebook Amici della Russia di Putin, il più importante social italiano filorusso con oltre 42mila iscritti, è stata parzialmente oscurata dalla valanga di post e di news dei media europei proprio sui Gilet Gialli. Non ci sarebbe da stupirsi se tra i moventi della guerriglia urbana pianificata come in un’azione paramilitare e culminata con 700 arresti a Parigi e 400 a Bruxelles ci fosse proprio anche l’intento di adombrare l’evento romano portato avanti da lpartito sovranista di un leader che, se non farà clamorosi errori, come ad esempio approvare il Global Compact sulle migrazioni proposto dalle Nazioni Unite proprio all’indomani della chiusura dei porti del Mediterraneo, è destinato ad assumere ruoli di strategica importanza a livello europeo: quali ruoli dipenderà dalle sue abilità diplomatiche con Vladimir Putin e Donald Trump più che con i “morituri qui salutant” di Bruxelles.
KATOVICE, IL CORTEO PER SALVARE IL PIANETA
Non c’è solo Salvini tra le vittime mediatiche dei Black-blocks travestiti da Gilet Gialli. Ci sono anche i manifestanti di Katovice, la città polacca capitale del distretto minerario del carbone della Slesia, dove è in questi giorni si sta svolgento la Conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite COP24. A mezzogiorno un corteo di circa 3mila persone, accompagnato da una forte presenza della polizia, è sceso in strada per chiedere un accordo che impedisca che le temperature aumentino di oltre 1,5 gradi Celsius. Il simbolo dei manifestanti è una sveglia: dato che gli organizzatori cercano di svegliare i governi fino all’urgenza dell’azione. Gli attivisti ambientalisti di Katowice hanno anche preso posizione sulla vicenda dei Gilets Jaunes francesi dichiarando, scrive la Reuters, che le violente proteste a Parigi sui costi del carburante riguardano la giustizia sociale e non dovrebbero essere confuse con la necessità di un aumento del prezzo del carbonio per spostare il mix energetico lontano dai combustibili fossili. Una dichiarazione che in qualche modo giustifica i rincari sul carburante programmati e poi annullati dal presidente francese Emmanuel Macron e che ci induce a riflettere sul fatto che non sempre ciò che suscita le proteste di un cittadino perché va a toccare le sue tasche collima con qualcosa di socialmente sbagliato. Ne è un esempio l’altra adunata tenutasi a Torino sempre nella giornata di sabato.
A TORINO “NO TAV” AD OLTRANZA
«Chiediamo che tutto questo abbia fine, lo chiediamo con forza al M5S perché l’avevano scritto nel loro programma». È l’appello lanciato dal palco della manifestazione No Tav a Torino da Alberto Perino, leader storico del Movimento che si oppone all’avveniristico progetto di collegamento ferroviario per merci e passeggeri Torino-Lione, già realizzato per il 15 % (21 km di tratta). «C’eravamo, ci siamo, ci saremo! Ora e sempre No Tav» è lo striscione che apre il corteo nel quale c’è una folta delegazione di sindaci in fascia tricolore. E poi le donne No Tav, gli studenti, i rappresentanti di numerosi comitati contro le grandi opere. Gli organizzatori parlano di 70mila presenze ma viene difficile immaginarle vedendo la foto di piazza Castello. Se così fosse quelli della Lega a Roma nella gremitissima e più vasta piazza sarebbero stati almeno 140mila: pertanto è più credibile una presenza di 20-25mila persone. La questione No Tav è una di quelle spinose per il governo gialloverde: se infatti nel Consiglio dei Ministri sembra non esserci dubbio sulla necessità di prosecuzione dell’opera la base dell’elettorato cinquestelle sostiene la protesta e vorrebbe l’interruzione del progetto.
BUDAPEST DICE NO AD ALTRE ORE DI STRAORDINARI
Migliaia di ungheresi hanno protestato sabato a Budapest contro una proposta di nuova legge che consente ai datori di lavoro di chiedere fino a 400 ore di lavoro straordinario all’anno, un’azione che i contestatori hanno definito “legge da schiavi”. I membri dei sindacati hanno sfilato con vari striscioni e slogan tra cui alcuni coloriti «costringi tua madre a fare gli straordinari» rivolti al primo ministro Viktor Orban. La modifica al codice del lavoro presentata al Parlamento questa settimana ha subito forti critiche, suscitando la più grande protesta di strada da oltre un anno. Potenzialmente, potrebbe aggiungere due ore in più a una giornata lavorativa media o l’equivalente di un giorno lavorativo extra a settimana. Secondo il disegno di legge pubblicato sul sito web del Parlamento, però, ai datori di lavoro devono essere garantite da ogni lavoratore 250 ore extra di straordinario all’anno mentre per la restante parte dovrebbe esserci un reciproco accordo. Lajos Kosa, il legislatore della proposta, ha comunque chiarito che la settimana resterà sempre di 5 giorni lavorativi e che li straordinari saranno retribuiti a parte. Ma i sindacalisti annunciano una battaglia che potrebbe diventare squisitamente politica. «Siamo davvero sconvolti dal modo in cui stanno andando le cose in questo paese – ha dichiarato a Reuters Zoltan Laszlo, vice presidente del sindacato dei lavoratori siderurgici di Vasas – Le persone che fanno questo tipo di leggi agiscono contro la società. Mostreremo loro che possiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani. Siamo disposti a diventare molto più severi». Una minaccia da tenere nelle giuste considerazioni dato che Orban ha cacciato Soros dall’Ungheria senza tanti convenevoli costringendolo a spostare la sua Central European University a Vienna e ben sappiamo che il magnate ungaro-americano ha finanziato molteplici rivoluzioni arancioni nel mondo negli ultimi vent’anni.
BELGRADO IN DIFESA DEL POLITICO AGGREDITO
Migliaia di persone si sono radunate pacificamente nel centro di Belgrado sabato per protestare contro un attacco ad un esponente di un partito di opposizione e per chiedere cambiamenti di politica da parte del presidente Aleksandar Vucic e del suo schieramento progressista serbo. Con lo slogan “Stop the bloody shirts” (basta magliette inssanguinate), i manifestanti hanno cantato mentre marciavano attraverso il centro della città per condannare l’aggressione a Borko Stefanovic, leader del piccolo partito della sinistra serba. Stefanovic è stato attaccato da un gruppo di uomini vestiti di nero il 23 novembre nella città meridionale di Krusevac e ha riportato ferite lievi causategli da un randello di ferro. Un’aggressione più intimidatoria che violenta, dunque, ma che ha suscitato vivaci proteste in quanto i portavoce dell’opposizione ritengono che gli aggressori arrestati fossero in combutta con il partito progressista, circostanza fortemente negata da quest’ultimo. «La lotta deve essere combattuta con forti canti contro questo disgustoso e viscido regime» ha detto Branislav Trifunovic, uno dei leader della protesta. La manifestazione di sabato è stata convocata dall’ex sindaco di Belgrado Dragan Djilas, leader dell’Alleanza per la Serbia, un gruppo eterogeneo di 30 partiti, che ha descritto la protesta come un raduno di cittadini contro il dominio autoritario. Come ricorda la Reuters il presidente Vucic fu guerrigliero nazionalista durante il violento crollo della ex Jugoslavia negli anni ’90 ma in seguito ha abbracciato gli ideali europei e posto l’adesione della Serbia all’Unione Europea come obiettivo strategico del paese.
MALESIA: IL DIRITTO DI ESSERE RAZZISTI CONTRO L’ONU
Decine di migliaia di musulmani malesi, 50mila secondo la polizia, si sono radunati a Kuala Lumpur sabato per celebrare il rifiuto del governo malese di ratificare una convenzione Onu contro la discriminazione razziale, cui hanno preso parte anche l’ex primo ministro malese Najib Razak e sua moglie Rosmah Mansor. I gruppi che rappresentano i malesi indigeni, circa il 60% della popolazione multietnica della Malesia, hanno sollevato timori sul fatto che firmare l’impegno delle Nazioni Unite avrebbe potuto minare i privilegi malesi e minacciare lo status dell’Islam come religione ufficiale della Malesia. Duramente sconfitto nelle elezioni di quest’anno, il partito malese ora all’opposizione ha preso la palla al balzo della discussione sulla proprosta Onu dell’ICERD (Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale) per roganizzare questa manifestazione insieme agli attivisti, poiché la razza è una questione delicata per la nazione sud-asiatica di 32 milioni di persone. Al raduno hanno preso parte anche Ahmad Zahid Hamidi, nuovo capo dell’ex partito al governo, l’Organizzazione nazionale malese degli Stati Uniti (UMNO), e il leader del Partito Islam Se-Malaysia. I loro sostenitori, vestiti di bianco, si sono incontrati nella piazza Merdeka della capitale e dopo le preghiere del pomeriggio alcuni hanno cantato “Allah è grande” altri inneggiato a slogan contro la convenzione delle Nazioni Unite, mentre sollevavano cartelli che chiedono la difesa dei diritti e della dignità della Malesia. Anche il primo ministro Mohamad Mahathir ha dato il suo benestare all’appuntamento: «A nome del governo, se la manifestazione si svolge sulla base del ringraziamento, siamo grati per il sostegno mostrato». Ma a questo punto siamo molto curiosi di sapere cosa ne pensa Michelle Bachelet, Alto Commissario per i Diritti Umani dell’Onu, che ha inviato in Italia gli ispettori del Palazzo di Vetro per investigare sul presunto dilagante razzismo per le posizioni di alcuni schieramenti politici in relazione all’invasione dei migranti. A Kuala Lumpur la discriminazione razziale è di fatto approvata dal governo: cosa farà a questo punto l’ex presidente del Cile? Manderà i caschi blu dell’Onu? O siccome sono musulmani possono essere razzisti?
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
© COPYRIGHT GOSPA NEWS
divieto di riproduzione senza autorizzazione
FONTI