AUTOSTRADE: STRAGI SENZA MANETTE

AUTOSTRADE: STRAGI SENZA MANETTE

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L’AD DEI BENETTON RISCHIA 10 ANNI
PER LA STRAGE DI ACQUALONGA
MA SUL CROLLO DEL PONTE MORANDI
FA SCENA MUTA COL PM DI GENOVA.
ASPI INDAGATA PURE AD ANCONA
PER IL VIADOTTO CADUTO SULL’A14.
85 VITTIME, NESSUNO ARRESTO:
SI RISCHIA DI PIU’ PASSANDO COL ROSSO!

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

Se a causa di una distrazione, che non dovrebbe mai accadere ma umanamente può capitare, l’automobilista passa col rosso e causa la morte di due persone scontrandosi con un altro veicolo rischia l’arresto immediato e fino a 18 anni di carcere per omicidio stradale. Se l’Amministratore Delegato della società Autostrade per l’Italia (Aspi) finisce sotto inchiesta per disastro colposo e omicidio colposo plurimo aggravato dal mancato rispetto delle norme anti-infortunistica per una evidente cattiva manutenzione nella lucrosa gestione della rete viaria a pedaggio ed un pm ne chiede la condanna a 10 anni, non solo può dormire sonni tranquilli nella sua villa ma anche avvalersi della facoltà di non rispondere davanti al magistrato che indaga su un’altra terribile sciagura assolutamente evitabile.

Non sono bastate 85 vittime, solo per citare i disastri più eclatanti del Ponte Morandi dell’A10 Genova-Ventimiglia, del viadotto “Acqualonga” dell’A16 Napoli-Canosa e del cavalcavia a Loreto sull’A14 Adriatica, a indurre i magistrati ad usare le maniere forti per inchiodare i vertici della società dei Benetton (la loro fiunanziaria Atlantia controlla Autostrade all’88 %) alle loro responsabilità e almeno indurli ad avere un atteggiamento di umile collaborazione. Nelle pieghe del diritto italiano e del Codice di Procedura Penale che consente a un indagato la facoltà di non rispondere l’ad Giovanni Castellucci ha fatto scena muta davanti ai pm genovesi come tutti gli altri dirigenti e tecnici della società che ha in concessione la rete viaria autostradale: un bene di proprietà e utilità pubblica.

Un comportamento che, per quanto ammesso dalla legge come afferma il Procuratore della Repubblica di Genova, Francesco Cozzi, stride con la gravità inaudita della vicenda del crollo del viadotto Polcevera che va ad aggiungersi a quella dell’Acqualonga del 2013 per la quale il Procuratore della Repubblica di Avellino, Rosario Cantelmo, ha chiesto 10 anni di reclusione nei confronti dello stesso Castellucci. Costui conoscerà la sua sorte giudiziaria il 21 dicembre prossimo quando il Tribunale irpino terrà l’udienza finale per la sentenza.

STRAGE IN AUTOSTRADA AD AVELLINO: CONDANNATO A 6 ANNI IN APPELLO IL BOSS ASPI

A queste inchieste si assomma quella per il crollo del ponte 167 nelle Marche nel 2017: un incidente mortale per due coniugi che vede indagata Aspi con sei dirigenti (ma non Castellucci) e sul quale la Commissione d’inchiesta del Senato rilevò criticità nell’appalto dei lavori fatto con «economia sulla sicurezza». Indagini senza alcun arresto nemmeno di fronte a reiterata palese omertà degli indagati che contrastano col tintinnar di manette di Tangentopoli usato per costringere i politici ad ammettere le colpe e con i molteplici procedimenti per corruzione che si snodano con misure cautelari (in carcere o a domicilio): come se il danno patrimoniale valesse più delle vite umane…

 

IL SILENZIO DELL’AD CASTELLUCCI: OLTRE AL DANNO LA BEFFA

Il camion sul’orlo del precipizio del viadotto Polcevera scampato miracolosamente al crollo

Avevo scritto il 3 novembre scorso dello sconcerto degli ambienti giudiziari genovesi per i silenzi a ripetizione dei dirigenti e tecnici delle Autostrade per l’Italia sfilati in qualità di indagati davanti ai sostituti procuratori che indagano sul crollo del Ponte Morandi, assai evitabile non foss’altro per le interrogazioni parlamentari del 2015 e 2016 che ne evidenziavano le criticità.

Avevo anche riportato l’auspicio degli inquirenti che almeno l’Amministratore Delegato rispondesse, come riferito dai giornalisti del Secolo XIX: “Non c’è un obbligo di rispondere alle domande durante l’interrogatorio – ragionano gli investigatori – Ma eticamente, proprio alla luce del ruolo che ricopre, dovrebbe fornire chiarimenti e non avvalersi della facoltà di non rispondere”. Ebbene Giovanni Castellucci si è guardato ben bene da trasmettere un messaggio etico nonostante la Suprema Corte abbia in passato stabilito che l’amministratore delegato d’una società concessionaria di servizi pubblici riveste la qualifica di “incaricato di pubblico servizio”.

Ha consegnato una memoria al pm Massimo Terrile in cui probabilmente infarcisce la solita nenia secondo cui Autostrade potrà dimostrare di aver adempiuto agli obblighi con «una fiducia che si fonda sulle attività di monitoraggio e manutenzione svolte sulla base dei migliori standard internazionali» come sostenuto in una nota stampa appena successiva al disastro.

Non è ben chiaro se il riferimento ai migliori standard internazionali sia a quelli del Bangladesh o del Burundi, perché la Libia, un ponte dall’architettura anomala come quello costruito dallo stesso Riccardo Morandi, lo ha chiuso al traffico ai primi segnali di pericolo (come da me riportato in un precedente articolo del 19 agosto). Ebbene Castellucci oltre al danno “etico” ci aggiunge anche la beffa alla Procura: appena uscito dall’interrogatorio se la canta e se la conta con i giornalisti come un pappagallo esotico che sa ripetere con gran talento canoro le strofe tracciate dagli avvocati e dai suoi padroni Benetton dai quali, dopo gli 83 morti nei due disastri autostradali in cui è indagato, riceverà il premio di lasciare la insidiosa amministrazione di Autostrade per dedicarsi alla finanziaria Atlantia.

L’ad di Austostrade per l’Italia spa, Giovanni Castellucci, indagato a Genova e ad Avellino

«In quanto capo azienda ho ritenuto di adempiere ad un dovere etico, dando informazioni chiare ai magistrati in merito alle ulteriori verifiche e agli accertamenti sulla sicurezza della rete, che stiamo conducendo anche con l’ausilio di società di ingegneria indipendenti esterne, e su ciò che stiamo facendo per le famiglie delle vittime per i danneggiati dalla tragedia – ha detto Castellucci uscendo dal Palazzo di Giustizia – Ho evidenziato nel dettaglio, attraverso una memoria depositata in Procura, che dopo la tragedia di Genova abbiamo promosso un’operazione straordinaria di monitoraggio delle infrastrutture della nostra rete realizzata dalle Direzioni di tronco, responsabili della sicurezza delle tratte di competenza. L’esito è assolutamente confortante. Ho potuto così rassicurare imagistrati che la nostra rete è sicura».

Affermazioni quanto meno azzardate e certamente ben poco apotropaiche in considerazione che soltanto un anno fa, il 9 marzo 2017, crollò un altro ponte vicino ad Ancona, nel tratto marchigiano dell’autostrada A14 Adriatica gestita da Autostrade per l’Italia, nel quale morirono una coppia di coniugi che viaggiava a bordo di una Nissan Qashqai travolta dall’infrastruttura che era in corso di ristrutturazione ma non fu chiusa al traffico. Due persone rimasero ferite e nell’inchiesta della Procura di Ancona sono indagate 42 persone tra cui sei digenti e tecnici della stessa Aspi.

PONTE MORANDI: PERITI E VIDEO TOP SECRET INCHIODANO AUTOSTRADE

L’avvocato Paola Severino, legale di Castellucci, ha comunque dichiarato che il suo assistito di Genova parlerà dopo l’esito dell’incidente probatorio che sta appurando le cause e la dinamica del crollo attraverso i periti incaricati dal Gip, dalla Procura e dai legali di parte civile. «In considerazione della complessità e della gravità dei tragici fatti sottoposti al vaglio della magistratura, abbiamo ritenuto opportuno dichiarare la disponibilità dell’ingegner Castellucci a rispondere, nei limiti delle competenze a lui facenti capo e delle deleghe previste dall’organizzazione societaria, una volta che l’incidente probatorio sia concluso, siano state costruite le cause dell’evento e ne siano state tratte le eventuali specifiche contestazioni» ha detto Severino ai giornalisti.

 

AD AVELLINO IL MANAGER RISCHIA 10 ANNI DI CARCERE

Il disastro trovato dai soccorritori dopo la caduta del bus dei pellegrini dal viadotto Acqualonga

Dieci anni di reclusione per omicidio colposo plurimo e disastro colposo: questa la condanna richiesta dal Procuratore capo di Avellino, Rosario Cantelmo, l’ad Castellucci e altri undici dirigenti e dipendenti dell’Aspi, imputati nel processo per la strage del bus in cui il 28 luglio del 2013 persero la vita 40 persone, precipitate dal viadotto “Acqualonga” dell’A16 Napoli-Canosa. Nella requisitoria il pm Cantelmo ha ricordato vicende umane che hanno suscitato grande emozione, prima di concludere con la richiesta di 10 anni per i vertici di Autostrade, accusati di “sciatteria” e “negligenza”.

Il magistrato si e’ soffermato in particolare sulle storie della donna che perse il marito e le figlie in quell’incidente e quella della mamma di una bimba di 5 anni sopravvissuta per miracolo ma operata piu’ volte. Proprio nei confronti dei parenti delle vittime il procuratore ha speso parole di comprensione: «Hanno sempre seguito tutte le udienze talvolta con intemperanze che non possono essere giustificate mai, ma forse in fondo comprese. E il dolore di queste persone non si compra».

Nella sua lunga ed articolata requisitoria il pm ha riportato l’analisi delle perizie, la valutazione delle testimonianze tecniche e della mole enorme di documentazione normativa raccolta in due anni di processo e altri tre di indagini preliminari. Tutta la tesi accusatoria si fonda sull’insufficienza delle barriere di sicurezza (new yersey) a reggere l’urto del pullman precipitato dal viadotto Acqualonga a causa dei sistemi di ancoraggio usurati: tirafondi corrosi da una soluzione salina che si deposita attorno al perno conficcato nel ponte in quel tratto di autostrada dove neve e ghiaccio nei lunghi mesi invernali non mancano mai e la distribuzione del sale è sempre costante e abbondante.

I tecnici di Autostrade per l’Italia hanno sempre sostenuto che il fenomeno corrosivo era imprevedibile e abnorme, rispetto alle caratteristiche dei tiranti, progettati per durare ben oltre la vita delle barriere stesse. Ma tali parapetti non ressero all’impatto del pullman quando l’autista (morto nell’incidente) affiancò il veicolo ai new-jersey del viadotto nel disperato tentativo di fermarne la corsa in discesa dopo che si erano rotti i freni (non era stato revisionati) e quindi il bus precipitò nel vuoto causando 40 morti e lasciando in vita solo 8 persone.

 

IL PM: “NEGLIGENZA ED OMISSIONE PER LOGICA DEL PROFITTO”

Il Procuratore della Repubblica di Avellino Rosario Cantelmo

Ma il pm ha contestato questa teoria sostenendo che sia da testimonianze in aula, sia da documentazione di organismi di controllo è emerso che il fenomeno corrosivo della bulloneria era ben conosciuto, a tal punto da indurre il procuratore Cantelmo a parlare di “sciatteria”, “negligenza”, “omissione” nel definire la politica aziendale di Aspi «che non pensa alla sicurezza, ma risponde alla logica del profitto».

Il magistrato accusa i dirigenti di Autostrade di non aver inserito volutamente inserire nel piano triennale specifici interventi di manutenzione sulle barriere. «Una scelta fatta in base a un generico criterio temporale. Se Aspi avesse semplicemente aderito al vincolo contrattuale – ha evidenizato il pm – senza nessuna richiesta straordinaria, ma solo il compimento delle attività previste in concessione, tutto questo si sarebbe evitato».

Nella precedente requisitoria, il pm Cecilia Annecchini aveva chiesto la condanna a 12 anni di reclusione per il principale imputato, Gennaro Lametta, titolare dell’agenzia che noleggiò il bus precipitato e privo di effetiva revisione; 9 anni per Antonietta Ceriola, la funzionaria della Motorizzazione civile di Napoli che falsificò la revisione del bus, e 6 anni e 6 mesi per Vittorio Saulino, l’ingegnere della Motorizzazione Civile che nei giorni immediatamente successivi all’incidente avrebbe “aggiustato” la documentazione falsa della revisione.

Il 21 dicembre prossimo davanti il giudice monocratico Luigi Buono del Tribunale di Avellino riprenderà il processo per le arringhe dei difensori, le conclusioni finali della pubblica accusa e l’attesa sentenza. Il giudice dovrà valutare se nel disastro abbiano pesato più le omissioni e negligenze della società concessionaria o le condizioni del veicolo che i difensori di Aspi ritengono siano la causa determinante dell’incidente. Oppure un concorso di entrambi i fattori che potrebbe portare ad una condanna per Castellucci e gli altri imputati di Autostrade ad una pena notevolmente ridotta rispetto alle richieste del pubblico ministero.

Il procuratore Cantelma si è guadagnato anche una targa di encomio da parte dell’associazione Vittime dell’A16-Uniti per la vita, analoga a quella consegnata ai Capisquadra dei Vigili del Fuoco intervenuti per i difficili soccorsi. “Sono quattro anni che ci sopporta due o tre volte al mese perché stanchi di attendere giustizia” ha motivato il presidente Giuseppe Bruno. E si spera che giustizia giunga in fretta perché un eventuale quanto probabile ricorso in appello e poi in Cassazione potrebbe spalancare le porte al rischio di prescrizione dei reati come purtroppo capita assai sovente in Italia nei procedimenti colposi per omicidi e disastri.

 

LE INADEMPIENZE SUI VIADOTTI DELL’IRPINIA

«Dopo la strage di Acqualonga del 28 luglio 2013 e la più recente tragedia del crollo del ponte Morandi di Genova, la Procura di Avellino sarebbe intenzionata a richiedere ulteriore documentazione relativa alle attività di manutenzione svolte dalla società concessionaria Autostrade per l’Italia Spa. Una linea d’azione peraltro già in qualche modo anticipata dal Procuratore Rosario Cantelmo nel corso dell’ultima requisitoria nell’ambito del processo sul bus che, cinque anni fa, precipitò dal viadotto di Acqualonga sull’Autostrada A16 causando la morte di 40 persone – scrive IrpiniaNews sul suo sito – Proprio sul quel tratto autostradale si sarebbe infatti concentrata l’attenzione della Procura che sarebbe intenzionata a richiedere tutta la documentazione relativa agli atti manutentivi eseguiti da agosto 2013 ad oggi sulle barriere laterali degli oltre 10 viadotti presenti sull’A16 tra le uscite di Baiano e Benevento. La decisione sarebbe legata ad una serie di inadempimenti rilevati, in particolare tra il 2016 e il 2017, dall’Ufficio Ispettivo Territoriale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la Vigilanza delle concessioni autostradali in riferimento all’attività di manutenzione svolta da Autostrade» soprattutto in merito alle barriere di sicurezza e l’anomalia degli ancoraggi al suolo.

 

AUTOSTRADE PER L’ITALIA NEI GUAI ANCHE AD ANCONA

Il viadotto crollato il 9 marzo 2017 vicino al casello Loreto Sud

Se fosse Ministro delle Infrastrutture, Hercule Poirot, il celebre investigatore creato dalla penna di Agatha Christie per il quale tre indizi rappresentano una prova di colpevolezza, probabilmente Autostrade per l’Italia si vedrebbe revocata la concessione delle reti autostradali perché al vecchio caso di Avellino ed a quello recentissimo di Genova si aggiunge il terzo incidente su un viadotto delle Marche. Il 18 maggio 2017 presso il Tribunale di Ancona si era tenuta la prima udienza per la consulenza tecnica nel procedimento per disastro colposo, cooperazione in omicidio colposo, lesioni personali e violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro nei confronti dei 42 indagati (38 persone fisiche e 4 società).

I magistrati stanno cercando di capire quali furono le cause che portarono al crollo del ponte 167 nei pressi di Loreto Sud, dove il 9 marzo 2017 mentre era in fase di ristrutturazione, morirono i due coniugi di Spinetoli, Emidio Diomede e Antonella Viviani. Secondo il pm titolare dell’inchiesta, il sostituto procuratore Irene Bilotta, dalle indagini sarebbe emerso che gli uomini al lavoro sul viadotto dell’A14 sapevano che il ponte si era inclinato durante gli interventi di sollevamento. Gli inquirenti vogliono capire perché l’operazione sia proseguita fino allo scivolamento dell’intera struttura sul piano autostradale rimasto aperto al traffico.

Per questo il pm Bilotta ha fatto sequestrare cinque telefoni cellulari e affidato la consulenza all’analista forense Luca Russo. Suo compito sarà setacciare messaggi e foto per capire a quale grado di responsabilità la segnalazione era arrivata e perché nessuno ha prese la decisione di chiudere precauzionalmente l’autostrada. Nel registro degli indagati sono finite 38 persone, tra cui sei dirigenti e tecnici di Aspi, più le 4 ditte coinvolte: la concessionaria Autostrade per l’Italia e le aziende incaricate dei lavori Pavimental (gruppo Aspi), affidataria degli interventi, Delabech e Spea Engeneering. Dal procedimento sono usciti i familiari delle vittime dopo il risarcimento ottenuto in sede civile da Autostrade.

Dall’ultima relazione del perito incaricato dalla Procura, il professor Luigino Dezi del dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Architettura della Politecnica delle Marche, è emerso che il crollo sarebbe stato determinato dal cedimento di un pilastro appoggiato sulla vecchia base del ponte e che sosteneva un martinetto mentre sollevava il cavalcavia. Come riferisce Ancona Today «secondo quanto ricostruito dai tecnici anconetani quei pilastri erano stati posizionati male anche a seguito dei progetti ingegneristici considerati poco dettagliati ed eccessivamente generici. Inoltre i martinetti avrebbero lavorato troppo velocemente, sollevando il manufatto con eccessiva potenza, andando così ad accentuare lo sbilanciamento del baricentro del peso».

 

LA COMMISSIONE PARLAMENTARE: «ECONOMIA SULLA SICUREZZA»

https://www.youtube.com/watch?v=cGAhm-nIj5Y

Al di là di tutti gli sbagli commessi durante l’intervento, eseguito da tre operai rumeni rimasti feriti e vivi per miracolo, come evidenziato anche dalla Commissione parlamentare d’inchiesta Infortuni presieduta dall’ex senatrice Camilla Fabbri dal momento della rotazione del pilastro fino al collasso del ponte sarebbero trascorsi 40 minuti senza che nessuno intervenisse.

«La necessità di una consultazione telefonica e l’incapacità di adottare subito le misure preventive e protettive dettate dall’emergenza (il ponte sta sfuggendo di mano alla direzione dei lavori ma le persone presenti e quelle assenti non si trovano pronte ad adottare alcuna misura) dimostra che non v’era un programma di sicurezza per fronteggiare l’emergenza in quel cantiere mediante ad es. evacuazione, interruzione del traffico, messa in sicurezza urgente con misure alternative etc – scrive nelle conclusioni la Commissione parlamentare del Senato che contesta ad Autostrade la filosofia stessa di gestione degli interventi – In primo luogo si deve rilevare che anche in questo caso la catena degli appalti, dei subappalti, dell’affidamento e dell’esecuzione dei lavori nei cantieri edili si rivela ancora una volta il punto debole della programmazione e progettazione della sicurezza. Nonostante le tassative previsioni legislative circa i costi della sicurezza negli appalti e subappalti vi è ancora spazio per una malevola discrezionalità delle imprese nella gestione economica della sicurezza. Si tratta di un ossimoro vietato dalla legge che pone la valutazione dei costi della sicurezza a priori rispetto a qualsiasi valutazione economica dell’opera da eseguire e quindi del contratto d’appalto stesso. Ancora una volta vi è la dimostrazione tragica che gli adempimenti in materia di sicurezza nei cantieri edili sono impostati quale espressione burocratica e mera produzione e adempimento di oneri formali senza considerare che una vera pianificazione della sicurezza esige il rispetto anche della vita esterna al cantiere edile e in particolare degli utenti, cittadini, collettività che possono essere messi in pericolo dalla gestione del cantiere, come purtroppo è accaduto nel caso concreto».

La relazione dell’ex senatrice Fabbri, anche alla luce crollo del ponte 167, ritiene che siano da rivedere le responsabilità degli enti appaltatori con «un’integrazione del decreto legislativo 231 del 2001 in relazione ai reati che possono verificarsi con violazione delle normative in materia di sicurezza del lavoro che mettono a rischio le strutture e la pubblica incolumità».

Ora toccherà alla Procura chiudere le indagini e valutare per quali degli indagati ci siano gli estremi per una richiesta di rinvio a a giudizio in relazione ai numerosi errori tecnici e fino alla decisione di non chiudere il ponte durante gli interventi. Resta il fatto che è il terzo procedimento giudiziario che vede coinvolta Autostrade per l’Italia per il disastro di un viadotto in cinque anni e nonostante 85 vittime e innumerevoli palesi omissioni e negligenze nessun manager, dirigente o tecnico è finora mai finito in manette…

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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STRAGE IN AUTOSTRADA AD AVELLINO: CONDANNATO A 6 ANNI IN APPELLO IL BOSS ASPI

PONTE MORANDI: VILE OMERTA’ DEI TECNICI AUTOSTRADE

FONTI

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Crollo-Ponte-Morandi-a-Genova-AD-Autostrade-Castellucci-si-avvale-della-facolta-di-non-rispondere-56732848-9ec5-4b17-aed1-c66f5f38898f.html

LA RELAZIONE DELLA COMMISSIONE D’INCHIESTA SU LORETO

TUTTI GLI INDAGATI AD AD ANCONA

http://www.anconatoday.it/cronaca/ponte-crollato-a14-cellulari-2017.html

http://www.anconatoday.it/cronaca/ponte-crollato-a14-perizia-pilastro.html

https://www.stylo24.it/cronaca/acqualonga-viadotto-strage-pm-10-anni-vertici-autostrade/

 

 

http://www.irpinianews.it/sicurezza-viadotti-a16-procura-in-pressing-su-autostrade/

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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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