KENYA: BLITZ DELLA POLIZIA
NELLA FORESTA TANA DI JIHADISTI
MA ANCORA NESSUNA TRACCIA
DELLA GIOVANE ITALIANA RAPITA.
GIALLO SULLE MEDICINE AI RAPITORI
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
Ad un mese dal rapimento di Silvia Costanza Romano, la giovane operatrice umanitaria italiana sequestrata in un piccolo villaggio del Kenya il 20 novembre scorso, a nove giorni dall’arresto di uno dei tre principali sospettati, la polizia keniana sembra ancora brancolare nel buio ed ha compiuto una rappresaglia in un villaggio islamico nella speranza di ricevere informazioni utili a ritrovare la 23enne milanese ed i suoi rapitori. Il blitz avviene proprio nel luogo dove il mese scorso furono uccisi dei jihadisti e dopo l’ultimatum lanciato alla comunità musulmana dall’ex governatore della Contea di Tana River, dove, a Garsen, gli investigatori dell’Unità Anti-terrorismo di Nairobi e gli agenti della Polizia Costiera Regionale di Mombasa hanno creato il loro campo base per le ricerche. «Più di 100 persone, incluse donne incinte e in fase di allattamento, bambini e vecchi, sono stati arrestati sabato sera nel piccolo villaggio di Ijara, nella contea di Garissa, salvo poi essere rilasciati – scrive l’inviata di Repubblica Rafaella Scuderi – Tutti gli arrestati appartengono alla comunità Wardei, musulmani di origine somala, vicina agli Orma, di cui si crede facciano parte i responsabili del sequestro di Silvia». L’azione a caccia dei complici dei sequestratori appare palesemente intimidatoria ed è avvenuta in una località non casuale. E infatti aldilà di quel fiume Tana che traccia il confine tra la contea omonima e quella di Garissa dove inizia la tanto temuta Foresta di Boni, uno dei pochi parchi naturalistici del Kenya sconsigliati ai turisti sia per la presenza di serpenti velenosissimi come il mamba verde e belve feroci ma soprattutto perché è il covo di altre bestie ancora più efferate: i famigerati terroristi islamici di Al Shabaab, la terribile filiale somala di Al Qaeda.
LA CACCIA NELLA FORESTA COVO DEI TERRORISTI SOMALI
Il fatto che le ricerche, in precedenza concentrate in altre foreste della contea di Tana River, si siano spostate in quella di Boni che gli oltre 200 agenti di differenti reparti impegnata nella ricerca di Silvia credevano di aver isolato, non è certo un buon segno dato che tale parco naturalistico caratterizzato da una fitta vegetazione di alberi secolari e arbusti è confinante con il Lag Badana-Bushbush National Park della Somalia, roccaforte degli jihadisti Al Shabaab. La convinzione ormai maturata nei detective è infatti che i tre presunti rapitori siano criminali comuni intenzionati a vendere l’ostaggio ai terroristi islamici o abbiano operato addirittura su mandato degli stessi. I kalashnikov utilizzati nell’agguato alla Chakama Guest House, l’orfanotrofio del piccolo villaggio della contea di Kilifi dove lavorava la ragazza per l’onlus marchigiana Africa Milele e dove fu rapita, sono come quello ritrovato addosso a Ibrahim Adan Omar, uno dei tre sospettati, arrestato domenica 9 dicembre e trovato in possesso oltrechè del fucile d’assalto semiautomatico Ak 47 anche di 100 munizioni. Un’arma identica a quelle sequestrate dai militari delle forze speciali Rapid Border Patrol Unit (RBPU) il 19 novembre scorso a quattro jihadisti Al Shabaab uccisi dopo un conflitto a fuoco proprio nei pressi del villaggio di Ijara durante una delle numerose battute di caccia dell’operazione “Linda Boni” volta a scovare i rifugi dei terroristi somali nella foresta.
LA LOTTA CONTRO L’OMERTA’ MUSULMANA
Non è quindi da ritenere un caso che sia avvenuto nello stesso villaggio il blitz di sabato preannunciato dal politico Hussein Dado, ex governatore di Tana River ed ora segretario amministrativo capo del Ministero del Decentramento. Quest’ultimo, come riportato da Charles Lwanga sul Daily Nation, si era detto pronto ad aiutare personalmente le ricerche e, parlando durante le celebrazioni del giorno islamico di Maulid a Oda in Garsen a cui hanno partecipato centinaia di fedeli musulmani, «ha anche condannato l’attacco e il rapimento, dicendo che è contrario alla fede e agli insegnamenti islamici» e nella stessa occasione ha lanciato l’ultimatum di cinque giorni alle comunità pastorali musulmane Wardei e Orma (o Oromo). Gli investigatori della polizia keniana sono infatti convinti che i rapitori siano stati agevolati nella fuga, negli spostamenti e negli approvigionamenti anche da altri componenti del loro gruppo etnico. Come comprovato dall’arresto di due di loro, sorpresi mentre si stavano recando nella foresta a consegnare cibo e medicine. Il blitz di sabato è stato quindi effettuato dalle forze dell’ordine per dare una scossa alla comunità: «Centinaia di persone sono state lasciate all’aperto, al freddo e sotto la pioggia. Nelle prime ore dell’alba la polizia ha rilasciato donne e bambini e condotto gli uomini alla stazione di polizia. Alcuni sostengono di essere stati picchiati e brutalizzati dalle forze dell’ordine. Il motivo di tale retata rimane un mistero, così come gli sviluppi delle indagini sul rapimento» scrive ancora la giornalista Scuderi su Repubblica aggiungendo che la ong Muhuri, con sede sulla costa del Kenya, impegnata nella tutela dei diritti umani dei musulmani, «si è detta preoccupata di quanto accaduto, definendolo “un atto di punizione collettiva che ricorda l’era coloniale, quando i civili venivano messi in condizioni deplorevoli e sottoposti a sofferenze indicibili. Noi crediamo che l’operazione volta alla liberazione di Silvia avrà successo con l’aiuto dei residenti e non certo con un tale arresto indiscriminato”». Un anziano del villaggio, Hussein Santur, ha raccontato ai media kenyani che il blitz della polizia è avvenuto verso le otto di sera. I residenti sono stati malmenati e arrestati illegalmente: «Non mi fido più delle forze di sicurezza. I nostri bambini sono rimasti traumatizzati». Ma la sensazione è che le comunità musulmane abbiano molto più paura di eventuali rappresaglie dei rapitori armati, soprattutto se, come pare, siano in contatto con i terroristi di Al Shabaab, noti per aver ucciso 147 studenti a Garissa nel 2015 durante un blitz nell’università.
UNA SEQUELA DI ARRESTI SENZA UNA VERA PISTA
Si è quasi perso il conto delle persone arrestate e detenute dalle forze dell’ordine dopo il rapimento che non hanno però portato ai risultati sperati. Le indagini sono partite con 14 arresti nei primi giorni dopo il sequestro che hanno aiutato gli inquirenti ad individuare i tre sospetti: Said Adan Abdi, ritenuto la mente del rapimento e individuato proprio per aver affittato una casa a Chakama per i suoi due complici Yusuf Kuno Adan e Ibrahim Adan. Poi i fermati sono saliti a 20 e tra questi si è rivelato prezioso quello avvenuto a Garsen della keniana musulmana Rukia Nuno, moglie di Said, in quanto ha consentito di intercettare le telefonate tra lei e il bandito e localizzare l’area del presunto covo. Successivamente sono finiti in manette due keniani della comunità Orma, Duma Haji Osman e Hassan Borrow Khamis, arrestati nella foresta vicina ad Asa Kone mentre stavano portanto approvigionamenti ai rapitori pagati via telefono. Quindi è stato fermato anche un ufficiale dei guardiaparco del Kenya Wildlife Service, sospettato di avere legami con i sequestratori, ed infine c’è stato l’arresto più importante, quello di domenica 9 dicembre con la cattura del ricercato Ibrahim Adan Omar, trovato armato di kalashnikov, e su cui pendeva una taglia di 1 milione di scellini kenioti pari a circa 9mnila euro come su ciascuno dei tre sospetti. Ma anche il suo fermo, che sembrava inizialmente potesse essere determinante alle indagini, non si è rivelato tale e pertanto è scattata la retata intimidatoria nella comunità musulmana che non si sa se abbia permesso di racimolare importanti indizi per il ritrovamento della ragazza italiana. Il comandante della Polizia Regionale Costiera, Noah Mwivanda, come riporta il sito dello Standard mantiene streto riserbo: «L’informazione è molto delicata e non può essere divulgata in pieno in quanto stiamo lavorando 24 ore su 24 per salvare la ragazza».
Un lancio di agenzia Agi due settimane fa ha riferito di trattative per il riscatto finite male per una richiesta troppo esosa dei rapitori. Ma si tratta di un’indiscrezione da prendere con le molle in quanto non avvalorata da nessun altro media: né dai reporter keniani più focalizzati sulla notizia come i quotidiani Daily Nation, Standard, la tv NTV e la radio Capital Fm, né dagli inviati italiani sul posto di Repubblica e Corriere della Sera. A questo punto le ipotesi si possono sprecare. Può darsi che i rapitori si sentano braccati ed attendano il momento giusto per consegnare l’ostaggio agli jihadisti di Al Shabaab che si occuperanno poi di richiedere il riscatto. Meno probabile che questi ultimi abbiano già nelle mani Silvia e non abbiano ancora avanzato trattative dato che è tattica tipica dei terroristi islamici quella di dare molta enfasi mediatica a un rapimento rivendicandone la paternità. Ma dopo un mese senza notizie di Silvia diventa plausibile anche l’ipotesi più tragica: ovvero che sia capitato qualcosa alla ragazza e sia stata abbandonata chissà dove. La circostanza che due dei presunti complici dei rapitori siano stati arrestati mentre stavano portando loro anche delle medicine assume a questo punto una rilevanza inquietante.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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