KHALID, IL RUSSO DI 4 ANNI UCCISO DAGLI USA IN SIRIA

KHALID, IL RUSSO DI 4 ANNI UCCISO DAGLI USA IN SIRIA

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TRUMP ANNUNCIA IL RITIRO DELLE TRUPPE
MA I BOMBARDAMENTI DELLA COALIZIONE
FANNO ALTRE 21 VITTIME TRA CUI 4 BIMBI.
STRAGE DI 1161 CIVILI NEI RAID AMERICANI

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

Si chiama Khalid il primo martire innocente del 2019 nella guerra siriana. Aveva solo 4 anni, un passaporto russo, ed è morto insieme ad altri tre bambini tra le dieci vittime dei “danni collaterali” dei bombardamenti del nuovo anno della coalizione “illegittima” a guida Usa nel sudest del martoriato paese. La notizia non c’è sui media occidentali. Si trova solo tra quelli russi o della Siria, quella nazione dove si è perso il conto dell’oltre mezzo milioni di morti in 7 anni di folle guerra fomentata dal Nobel per la Pace Barack Obama, finanziando ed armando i terroristi dell’Isis nel tentativo fallito di rovesciare il legittimo presidente Bashar Al Assad, solo perchè espressione di quella minoranza sciita invisa agli alleati sauditi degli americani. Mentre Damasco, nel giorno in cui i cristiani della città festeggiavano il Natale, è riuscita a neutralizzare i missili dei proditori raid aerei dell’Idf (Israelian Defence Force) grazie alle nuove batterie contraeree S-300 donate dalla Russia di Vladimir Putin all’esercito alleato della Repubblica Araba della Siria; mentre le milizie regolari governative si stanno difendendo senza difficoltà dai ripetuti attacchi terroristici dei ribelli intorno ad Aleppo, in violazione alla zona demilitarizzata intorno ad Idlib, ultima roccaforte degli insorti affiancati da jihadisti di Al Nusra e Isis; mentre la Turchia recede dall’invasione dei territori del Kurdistana Rojava dopo che i miliziani curdi dell’Ypg si sono ritirati cedendo la capitale Manbij all’esercito regolare siriano, mentre avvengono tutti questi segnali di allentamento della tensione del conflitto si muore ancora per le bombe “intelligenti” degli aerei Usaf della Global Coalition a guida americana di cui l’attuale presidente Donald Trump ha annunciato l’imminente ritiro da un paese in cui l’allenza occidentale di 79 paesi (Usa, Gb e Francia i più operativi) ha una presenza illegittima, come sempre evidenziato da Siria e Russa.

DUE BOMBARDAMENTI USAF IN POCHI GIORNI: STRAGE DI 21 CIVILI

I cacciabombardieri F-16 della coalizione Usa in Siria

Il massacro di 10 persone, tra cui i quattro bambini, è avvenuto giovedì nella città di al-Kishkiah a Deir Ezzor, a meno di 24 ore da un precedente bombardamento che ha causato 11 vittime tra i civili nel villaggio di al-Sha’afa. «Fonti locali hanno riferito al reporter della Sana che una casa ad al-Kishkia è stata rasa al suolo quando gli aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti hanno lanciato un’aggressione sulla città situata sulla riva sinistra del fiume Eufrate nella campagna sud-orientale di Deir Ezzor con il pretesto di combattere i terroristi del Daesh in Siria e in Iraq, uccidendo dieci civili, tra cui quattro bambini» riferi riferisce l’agenzia di stampa nazionale siriana Sana. Lo conferma in tutta la drammaticità il media filo-moscovita Sputnik News perché due delle vittime hanno cittadinanza russa come riporta Kheda Saratova, rappresentante del Consiglio per i diritti umani della presidenza cecena e membro della task force per il rimpatrio di donne e bambini russi nelle zone di conflitto in Medio Oriente: «A seguito della caduta di un razzo contro una casa nella stessa zona ha perso la vita il bambino di 4 anni Khalid, nipote di Rosa Yuzbekova, cittadina del Daghestan; la madre del bambino è rimasta gravemente ferita all’addome e non può muoversi, il secondo figlio, Umar è sopravvissuto e si trova con lei». Secondo la funzionaria cecena, circa quindici donne hanno affermato che le loro figlie si erano messe in contatto dalla zona dei bombardamenti ed avevano chiesto aiuto: quasi tutte hanno bambini molto piccoli. La 35enne Khava Akhiadova, originaria del distretto Nadterechny della Cecenia, ha lasciato cinque figlie di età compresa tra 1 mese e mezzo e 12 anni, che si trovano temporaneamente in custodia presso una famiglia curda.

L’ATTACCO DOPO LA FESTA A DEIR EZZOR

L’attacco degli aerei della Global Coalition americana che ha sterminato i civili avviene all’indomani di una grande festa nella località di Deir Ezzor per il ritorno in patria di circa 500 siriani a conferma della situazione di cessato pericolo per la presenza ormai ridotta al minimo di combattenti Isis isolati, con pochi armamenti e senza fonti di approvigionamento continuative. Nonostante ciò, per motivi che i generali dell’Us Air Force non hanno mai ritenuto necessario spiegare in 7 anni di illegittima presenza all’Onu ed ai sordi media occidentali, è avvenuto il bombardamento con danni collaterali gravissimi per le 21 vittime civili e le distruzioni di abitazioni dove si scopre c’erano anche persone col passaporto della Federazione Russa. Indubbio che la presenza nell’area di cittadini della Cecenia e del Daghestan, due stati a maggioranza musulmana che hanno fornito numerosi foreign-fighters all’Isis, possa essere ritenuta sospetta dagli statunitensi. Ma ciò avviene nel momento in cui il Minsitero degli Esteri di Mosca sta operando per rimpatriare i bambini russi presenti nel carcere di Baghdad proprio in risposta al problema dei genitori imprigionati per la loro adesione allo Stato Islamico. Agli occhi di chi sa leggere la continua schermaglia sul filo di spada della guerra Usa-Russia, fredda solo nelle diplomazie ma caldissima e cruenta sui campi di battaglia mediorientali, la presenza di madri e bimbi di stati delle repubbliche russe assume una rilevanza tutt’altro che secondaria.

 

LA STRAGE SILENTE DI 1140 CIVILI

La disperazione di un padre siriano per la morte del figlio in un bombardamento ad Aleppo

«La coalizione illegittima guidata dagli Stati Uniti ha ammesso di aver ucciso 1140 civili nei raid lanciati su Siria e Iraq dal 2014. La coalizione ha tentato come al solito di ridurre il numero delle vittime, dicendo in una dichiarazione pubblicata dall’agenzia di notizie TASS che 1139 civili sono stati uccisi “inavvertitamente” nei raid – riferisce sull’agenzia Sana Rasha Milhem – Dalla sua formazione fuori dall’ombrello dell’UNSC (Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ndr) nel 2014, la coalizione internazionale ha compiuto dozzine di massacri bombardando le zone residenziali di Aleppo, Deir Ezzor, Raqqa e Hasaka, oltre a distruggere le infrastrutture con il pretesto di combattere Daesh mentre i dati mostrano lo stretto legame tra la coalizione e l’organizzazione Takfiri per colpire l’esercito arabo siriano e le aree residenziali nella regione orientale». Il bilancio di questa nota del 30 dicembre deve essere purtroppo aggiornato con l’aggiunta delle 21 vittime di questi primi giorni del 2019 (per un totale di 1161) che riporta di attualità la dichiarazione del presidente americano Donald Trump in merito alle stragi di civili compiute dall’Arabia Saudita in Yemen a causa dei missili forniti dagli Usa: l’inquilino della Casa Bianca, che in questi giorni ha annunciato con grande risalto mediatico il ritiro dalla Siria delle sue truppe e dei suoi micidiali caccia f-15 e F-16 dell’Usaf (Us Air Force), ebbe infatti l’infelice sortita di ammettere che le bombe erano “intelligenti” perché di precisione ma che i militari sauditi non le sapevano usare. Viene quindi da chiedersi se l’aviazione Usa sia anch’essa incapace di usarle oppure sia perfettamente cosciente dei danni collaterali che arrecano. Secondo un bilancio complessivo dell’Unicef sulle piccole vittime causate dagli attacchi da Sdf (esercito siriano libero), jihadisti, coalizione occidentale e siriani-russi, nei sette anni di guerra in Siria, il 2017 è stato quello che ha registrato il numero più alto di morti tra i bambini: 910, il 50% in più rispetto al 2016. A questi si aggiungono 361 bimbi feriti, molti diventati disabili. Ed i dati dell’agenzia dell’Onu riferivano di oltre 60 piccole vittime solo nel gennaio 2018 preannunciando una strage ancora peggiore nell’ultimo anno in cui ebbe grandissimo clamore il rapimento di 16 bambini ad opera dell’Isis nell’estate scorsa: uno dei quali fu persino tremendamente decapitato.

 

ARMI E MISSILI USA ABBANDONATI DAI JIHADISTI

Armi e munizioni di fabbricazione americana e israeliana abbandonate dai jihadisti e scoperte dall’esercito siriano

E’ ormai l’agenzia Sana (Sirian Arab News Agency), l’unica fonte di informazioni primarie dal territorio del conflitto. L’agenzia di stampa nazionale finanziata dal governo di Assad può vantare un sito tradotto in molteplici lingue, anche in italiano, ed ha assunto sempre più peso mediatico in occidente dopo la cacciata degli Elmetti Bianchi (White Helmets) di invenzione britannica, denunciati nei giorni scorsi all’Onu da un’organizzazione antiterrorismo russa per complicità con l’Isis e persino traffico di organi umani, e dalla conseguente sparizione delle veline rilanciate sempre dall’Inghilterra dall’Osservatorio per i Diritti Umani in Siria (Sohr). E dal website si apprende che venerdì 30 dicembre sono state scoperte «quantità di armi e munizioni nei dintorni del villaggio di Tal Dahab nella campagna settentrionali di Homs. Il reporter della SANA ha riferito che l’Esercito arabo siriano, mentre conduceva operazioni nell’area dopo aver ripristinato la sicurezza nelle campagne settentrionali di Homs, ha sequestrato quantità di varie munizioni e missili TOW fatti dagli Stati Uniti lasciati dai terroristi che erano nascosti sotterrati all’interno della fattoria nel villaggio di Tal Dahab nella zona di al-Houla». Altre, di fabbricazione americana e israeliana, sono state rinvenute vicino a Daraa, tra le città di Um al Mayazen e Saida.

 

23MILA TERRORISTI UCCISI DA RUSSI E SIRIANI

Militanti dello Stato Islamico in Siria con la bandiera nera che identifica l’Isis

Il Ministero della Difesa russo ha affermato che migliaia di terroristi sono stati uccisi in Siria e centinaia di loro posizioni, magazzini di armi e attrezzature pesanti sono stati distrutti durante la guerra contro il terrorismo lo scorso anno. «Nel 2018, più di 23mila terroristi sono stati uccisi in Siria, e sono stati distrutti inoltre 159 carri armati, 57 veicoli corazzati, più di 900 cannoni e circa 3mila macchine equipaggiate con mitragliatrici appartenenti a gruppi terroristici – riferisce l’agenzia Sana riportantdo un comunicato del Cremlino – Da settembre 2015 sono stati uccisi oltre 87mila terroristi tra cui 830 dei loro leader e oltre 4500 terroristi del Commonwealth degli stati indipendenti. Sono stati distrutti anche circa 1.000 campi da campo, 10 mila depositi di munizioni e carburante, 650 carri armati e 700 veicoli appartenenti a terroristi in Siria. L’esercito arabo siriano in cooperazione con le forze di appoggio ha stabilito il controllo su (96,5%) dei territori siriani». E’ dal settembre 2015 che le forze militari di Mosca, su richiesta della Repubblica Araba della Siria, hanno sostenuto l’esercito regolare nella guerra contro i ribelli dell’Esercito Libero Siriano, sostenuto dagli Usa e varie organizzazioni occidentali (Bilderberg e George Soros compresi, vedi link a ofndo pagina all’articolo I cospiratori contro Assad) ma soprattutto delle organizzazioni terroristiche di Al Nusra, derivazione di Al Qaeda, e Isis di Al Baghdadi. Da notare l’utilizzo non certo casuale ed ironico della parola Commonwealth (unione per il bene comune) nel comunicato, riferita ai foreign-fighters stranieri giunti da ogni parte del mondo per sostenere la jihad dello Stato Islamico ma anche in probabile riferimento agli “illegittimi” soldati della coalizione occidentale.

 

NESSUNA PACE PER IDLIB ED ALEPPO

Terroristi qaedisti di Al Nusra a Idlib in una tenda con il marchio Usaid (United States Agency fort International Development), l’agenzia governativa americana per la lottà alla povertà globale e il rafforzamento delle democrazie nei paesi del terzo mondo

La tregua di Idlib è stata siglata dalla Russia con la Turchia il 17 settembre scorso per indurre Assad ad evitare ogni azione militare contro l’ultima roccaforte dei ribelli e dei terroristi di Al Nusra (maggior parte) e Isis (in minoranza) ed impegnava le due nazioni e la Siria a garantire una zona demilitarizzata che facesse da cuscinetto alla città di Aleppo, liberata dall’esercito siriano, e le colline della provincia controllate dai jihadisti. Ciò avrebbe dovuto consentire alle milizie di Ankara di intervenire per sollecitare la resa di ribelli e terroristi, il loro disarmo e la loro fuoriuscita dal paese proprio attraverso il confine turco. Ma tale armistizio ebbe valore per le nazioni implicate ma non per i rivoltosi che non persero mai occasione per ripetuti attacchi a sorpresa simili a quelli di Hamas in Cisgiordania. Gli ultimi episodi sono avvenuti ancora nei giorni scorsi nella campagna settentrionale di Hama dove l’Esercito siriano ha individuato e respinto un gruppo terroristico affiliato a “Brigate al-Izza” che si era trasferito nella periferia orientale della città di al-Latamneh per attaccare una posizione militare. A nord-est della zona di Mhardeh, un gruppo terroristico ha violato l’accordo demilitarizzato della zona tentando di uscire dal villaggio di al-Sakher per attaccare i villaggi vicini: «le postazioni dell’esercito nella zona li hanno bersagliati con il fuoco delle mitragliatrici, infliggendo perdite ai terroristi mentre gli altri sono fuggiti» riferisce Hazem Sabbagh sull’agenzia Sana. Nella stessa zona alcuni giorni prima due civili erano rimasti feriti in un attacco terroristico con granate. Altri due proiettili di mortaio erano invece caduti vicino a Cordoba Roundabout nel quartiere di New Aleppo, causando danni materiali. Ma non è finita. Pochi giorni dopo c’è stato un attacco contro la periferia di Aleppo. Gruppi terroristici armati, posizionati ad al-Rashideen, hanno sparato razzi su Halab al-Jadidah, sui quartieri al-Hamadaniyah ad ovest di Aleppo, causando danni materiali alle proprietà senza ulteriori conseguenze, e nei dintorni del mercato locale alla periferia di Al-Neil Street. Eventi che sembrano confermare il totale disinteresse del presidente turco Recip Erdogan a farsi carico della risoluzione del problema della presenza di terroristi in quell’area poco lontana dalla città di Afrin controllata dalle milizie turche che si sono invece dovute rassegnare alla perdita del controllo della Siria nordorientale dopo il ritiro dell’esercito curdo dell’Ypg dalla città principale Manbij e l’ingresso dell’esercito siriano supportato da quello russo.

 

LA QUESTIONE CURDA DI MANBIJ

La presa di possesso dell’allenza siriana-russa di Manbij ha scongiurato, si spera definitivamente, la messa in atto delle minacce di Erdogan di attacco al Kurdistana Rosajava, il territorio della Siria da tempo popolato dai curdi che lo hanno difeso strenuamente dall’Isis con l’aiuto degli Usa, intervenuti ad eliminare quel mostro dello Stato Islamico da loro stessi creato ed oggi pronti al ritiro delle truppe. Com’è noto le milizie dell’Ypg (Unità di Protezione Popolare), fanno riferimento al Pyd – Partito Democratico Curdo, che è a sua volta collegato con il Pkk, Partito dei Lavoratori del Kurdistan, considerato di matrice terroristica dalla Turchia, dagli Usa, dalla Nato, dall’Unione Europea e dall’Iran in relazione a vari attentati compiuti in trent’anni di attività politica-rivoluzionaria. Ecco perché per evitare l’attacco militare annunciato dal presidente turco i curdi hanno liberato Manbij consentendo la ripresa del controllo da parte dell’esercito siriano e scoraggiando Ankara dal mettersi contro Damasco e Mosca. Questo ennesimo successo strategico dell’asse Assad-Putin ha consentito la riapertura di un corridoio per il rimpatrio dei siriani profughi per la guerra. Non solo. In varie città ci sono state manifestazioni nazionaliste proprio in risposta alle intimidazioni giunte da Erdogan. Ad Hasaka c’è stato un massiccio raduno popolare per la denuncia delle minacce turche di lanciare un’aggressione sui territori siriani e per il rifiuto di ogni illegittima presenza straniera in Siria. Il raduno si è tenuto nella Piazza del Presidente con la partecipazione di anziani e dignitari dei clan e delle tribù e rappresentanti di diverse attività nella provincia. Analoga riunione di clan di anziani siriani è avvenuta a ad Al-Ghariya Asharkia, nelle campagne di Daraa, dove si è confermata l’adesione ai principi nazionali e alla sovranità siriana su tutto il suo territorio. «I partecipanti hanno lodato i sacrifici offerti dai membri dell’esercito siriano per il bene della Patria – scrive Sana – ribadendo il sostegno all’esercito per completare la battaglia per difendere la dignità e liberare il Golan». E proprio l’altopiano del Golan rischia di essere l’area incandescente dei prossimi anni.

 

GOLAN CONTESO DA SIRIA, LIBANO ED ISRAELE

Un soldato israeliano su un carroarmato nell’altopiano del Golan annesso da Israele dopo la guerra col Libano controlla il villaggio siriano di Breqa nel novembre 2012. AFP PHOTO / JACK GUEZ (Photo credit should read JACK GUEZ/AFP/Getty Images)

Se in una logica russo-iraniana l’intervento degli Hezbollah del “partito di Dio” libanese e sciita è stata vista come una mossa necessaria a sostenere la Siria in particolare nei confini dell’altopiano del Golan, dove non è mai formalmente cessata la guerra del 2006 tra il Libano ed Israele, per Tel Aviv, che occupò i territori libanesi delle alture in rappresaglia ad alcuni agguati militari contro propri soldati, i miliziani Hezbollah, inquadrati come organizzazione terrorista anche dall’intelligence occidentale, rappresentano una spada di Damocle inaccettabile. Ed in questa logica hanno perpetrato numerosi raid aerei persino lo scorso 25 dicembre su Damasco. La risposta è però arrivata pochi giorni dopo sia dall’Iran, che ha sottoscritto un piano per strategie di sviluppo comuni con la Siria, che dall’Iraq che per bocca del Ministro degli Esteri Mohamed Ali Alhakim ha ribadito il sostegno del suo paese alla Siria nella sua guerra al terrorismo, sottolineando la necessità di riaprire il passaggio di confine e di rilanciare il commercio tra i due paesi. Ecco perché ora più che mai quel piccolo altopiano può diventare il casus belli per uno scontro tra culture e confessioni religiose differenti: da una parte gli sciiti libanesi, siriani e iraniani, dall’altra i sunniti sauditi da sempre alleati di Israele. In mezzo Europa, Usa e Russia che dovranno decidere se gettare benzina o acqua sul fuoco. L’ennesima strage di questi giorni non pare certo destinata a spegnere i tizzoni ardenti di una guerra siriana che è epifenomeno di asperrime rivalità religiose e scellerate aspirazioni geopolitiche internazionali. Troppe per evocare la parola pace, troppo poche, per ora, per rammentare il biblico Armageddon.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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Redazione Gospa News

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