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GARANTE PROTESTA PER IL CARCERE DURO AI SUPERBOSS

Il superboss del Clan dei Casalesi Michele Zagaria e il garante Mauro Palma

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L’AVVOCATO DEL DECRETO PD SVUOTACARCERI
DIFESE GLI ASSASSINI DI DESIREE E BATTISTI
ORA CONTESTA IL 41-BIS AI PLURIOMICIDI
COME IL CAMORRISTA ZAGARIA, RE DEL CEMENTO
CHE ANCHE IN PRIGIONE MENA GLI AGENTI

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

L’Italia dei Garanti, quasi tutti istituiti o nominati nel settennato del disastro economico-politico del Partito Democratico sostenuto dai due presidenti della Repubblica prodotti e spudoratamente militanti in tale schieramento, è una delle tante aberrazioni di una deriva iperdemocratica ed ultralibertaria che finisce con lo sconfessare le proprie finalità di tutela delle vittime di abusi in questo o in quel settore sociale. Il loro compito primario è, o dovrebbe essere, quello di giudicare i singoli o collettivi episodi di violazioni dei diritti umani ma finiscono, come tutti i depositari di autorità istituzionale del Pd, per usarlo per fare politica tout court. Era capitato con il Garante della Privacy che invece di occuparsi dei milioni di intervenire a tutela di 214mila italiani derubati delle proprie informazioni personali da Facebook intervenne a gamba tesa sulla querelle sui Gender, per censurare la volontà del Ministero dell’Interno Matteo Salvini di riportare i moduli telematici online della carta identità al metodo naturale ovvero alla distinzione tra padre e madre e non tra Genitore 1 e 2. Oggi ecco l’ex consigliere di fiducia del già Ministro di Giustizia, Andrea Orlando, quello della riforma svuocarceri per cui lo stupratore “gentile” condannato a meno di 4 anni non finisce più in galera e della derubricazione dell’appropriazione indebita aggravata salva-parenti di Matteo Renzi nel caso Unicef, irrompe sulla scena politica a tutela dei boss emulando la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo che aveva condannato l’Italia per il carcere duro contro il Capo dei Capi di Cosa Nostra e pluriomicida Bernardo Provenzano. Mauro Palma di professione fa l’avvocato ma probabilmente non ha mai difeso nessun parente delle vittime trucidate dalla mafia visto che si sente in dovere di intervenire a difesa dei supermalavitosi in qualità di Garante Nazionale dei Diritti delle Persone Detenute o Private della Libertà Personale. Quindi anche a tutela di quel superboss della Camorra Michele Zagaria che, condannato a vari ergastoli per omicidi e associazione di stampo mafioso, non solo non ha palesato il minimo pentimento ma ha pure minacciato direttori di carceri e agenti di polizia penitenziaria addirittura schiaffeggiandone alcuni, pur trovandosi nel regime del carcere duro. Prima di entrare nel merito di un’analisi tecnico-politica dell’ultimo comunicato di tale authority dobbiamo assolutamente rimarcare che Palma, fondatore dell’associazione Antigone per i diritti dei carcerati e attivista in tale ambito da vent’anni anche in Europa senza grandi risultati concreti in tema di sovraffollamento carcerario (emergenza sanabile semplicemente con nuove prigioni), è lo stesso che, con uno sconfinamento di competenze abbastanza impudente, ha censurato contro il Governo per il ritardato attracco a Siracusa della SeaWatch, per le dichiarazioni dei ministri sul terrorista Cesare Battisti e la spettacolarizzazione del suo arrivo a Roma dopo trent’anni di latitanza e rampognò pubblicamente l’alpinista ed opinionista Mauro Corona per aver osato esprimere il pensiero di ogni italiano senziente: ovvero il proprio disprezzo verso gli assassini immigrati irregolari della sedicenne Desirèe Mariottini, drogata fino a ridurla in stato di semi-incoscienza e quindi stuprata a turno, da vergine e poi pure da morta, nel quartiere San Lorenzo di Roma. Chiarito chi è vediamo la sua ultima estemporanea protesta…

 

LE PRESUNTE VIOLAZIONI AI DETENUTI

L’avvocato Mauro Palma dal 2016 presidente del Garante dei detenuti e già consigliere del ministro Pd Andrea Orlando nella riforma svuotacarceri

«Il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ha visitato tutte le sezioni per detenuti in regime speciale previsto dall’articolo 41-bis: 738 uomini, dieci donne e cinque internati in Casa di lavoro. Al gennaio 2019, soltanto 363 di essi – e delle dieci donne, solo quattro – hanno una posizione giuridica definitiva. Inoltre, diciotto persone sono ricoverate nei reparti ospedalieri interni agli Istituti (a Parma e a Milano-Opera)». Ha scritto martedì scorso il presidente dell’authority Mauro Palma commettendo il primo lampante errore di gettare in un unico calderone, senza alcun distinguo, le posizioni dei detenuti con pene definitive e quelle di coloro che sono in attesa di giudizio. In un paese come l’Italia dove la giustizia non funziona (lo dicono 7 italiani su 10 secondo l’Istat, ovvero quel Popolo in nome del quale i magistrati lavorano), dove un Giuseppe Gulotta può trascorrere 22 anni in carcere sebbene innocente, il primo dovere del Garante sarebbe quello di fare una netta distinzione tra le condizioni di chi è stato riconosciuto malavitoso autore di efferati crimini tanto da meritarsi il regime del 41-bis e chi non è ancora passato al vaglio di una Corte d’Assise e pertanto potrebbe anche essere giudicato non colpevole: con tanti risarcimenti del caso… Il Garante dei detenuti no, facendone una questione ideologica e non specifica come sulla SeaWatch e sugli aguzzini di Desirèe, generalizza, si è ormai calato anima e corpo nel «Meccanismo nazionale di prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene, crudeli, inumani o degradanti». Già perché sul sito di questa authority non si parla di “osservatorio” ma si è scelto il risibile e anche inquietante termine di “meccanismo”… Digressioni linguistiche a parte ecco cosa scrive ancora Palma: «Le principali criticità riscontrate riguardano in primo luogo le situazioni soggettive relative alle reiterate proroghe del regime e all’inserimento di taluni in “aree riservate” che finiscono per costituire un regime nel regime e sulle quali il Garante nazionale ha già espresso perplessità nelle sue passate Relazioni al Parlamento. In secondo luogo, le condizioni materiali in alcune sezioni risultano inaccettabili, mentre in alcuni Istituti l’adozione di regole interne eccessivamente dettagliate su aspetti quotidiani vanno anche oltre le già minuziose prescrizioni della Circolare del 2 ottobre 2017, su cui peraltro il Garante nazionale aveva espresso a suo tempo alcune riserve. Il Garante nazionale ribadisce che l’esame dell’attuazione del regime speciale si è sviluppato nel solco tracciato da diversi pronunciamenti della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei diritti umani, che individuano la piena necessità di misure volte a proibire ogni forma di comunicazione con le organizzazioni criminali di appartenenza e al contempo a vietare ogni altra misura che possa configurarsi come inutile aggiuntiva afflizione».

 

I SEPOLTI VIVI IN 7 CARCERI SENZA… GELATI IN FRIGO!

L’ingresso di una cella di isolamento del cosiddetto carcere duro

Parole che dicono tutto e dicono nulla, riecheggiano la sentenza in difesa di Provenzano, ma vengono spiegate nella dettagliata relazione al Ministero di Giustizia che Il Giornale, curiosamente sempre più vivino a ideologi Pd, ha sintetizzato definendolo rapporto choc soprattutto per quelli che ha un po’ tragicomicamente definito “sepolti vivi”: «Può un paese civile, in nome della lotta al crimine, seppellire degli uomini sotto il livello del suolo, come fanno a Bancali, il carcere-inferno vicino Sassari, dove hanno scavato nel terreno celle in cui la luce del giorno non entra mai? – scrive il Luca Fazzo sul quotidiano milanese dei Berlusconi – Lì sotto vivono 87 dei 748 italiani che per lo Stato sono il piano più alto del crimine. Sono i detenuti sottoposti al 41-bis, il carcere duro che dai tempi della strage di Capaci viene usato per spezzare i legami con l’esterno degli uomini del clan. Eppure per una piccola parte di loro, lo Stato ha deciso di andare più in là. Sono i cinquantuno sepolti vivi. E il capitolo più urticante è quello sulle «aree riservate», quelle dei sepolti vivi. Quattordici aree, sparse in sette carceri, per ospitare i cinquantuno irriducibili. Trenta di loro sono condannati con sentenza definitiva. Ventuno sono ancora in attesa di giudizio. Ma per tutti loro il ministero ha stabilito che anche dal 41 bis riuscirebbero a mandare ordini all’esterno. Per questo, scrive il Garante, nei loro confronti “si applica un regime detentivo di ancor maggior rigore rispetto a quello del 41 bis”. Per quattro di questi detenuti, la conseguenza è l’isolamento totale». Orbene che un efferato pluiromicida sia condannato al carcere duro ed all’isolamento totale per illo tempore, e non alla pena di morte come in 57 paesi del mondo su 193 nazioni Onu, non mi pare dimostrazione di un trattamento così disumano ma soprattutto dal rapporto emergono dettagli tutt’altro che shock: non riguardano torture fisiche o psicologiche come quelle del reality cult movie Brubaker con Robert Redford o del film di Sylvester Stallone Sorvegliato Speciale ma semplici modestissime privazioni: «Per tutti i cinquantuno delle “aree riservate” l’isolamento si aggiunge alle norme già ferree del 41 bis, sulle quali il Garante è tornato a avanzare dubbi respinti in blocco dal ministero – aggiunge Il Giornale – Alcune di queste norme appaiono giustificate dalle esigenze di sicurezza, altre appaiono inspiegabili e quasi grottesche. Nel carcere di Cuneo si possono comprare due gelati per volta, ma è proibito metterli in frigo: bisogna mangiarli contemporaneamente. A Novara non si può andare a fare la doccia con l’accappatoio e l’asciugamano: o uno o l’altro. All’Aquila è proibito andare all’aria con i sandali infradito. Nei reparti del 41-bis le padelle possono avere al massimo 22 centimetri di diametro e si possono tenere al massimo quattro libri. Le fotografie non possono essere più grandi del formato 20×30 perché, spiega il ministero, in caso contrario «i detenuti più abbienti e con posizione di supremazia si doterebbero di formati più grandi rispetto agli altri. Inoltre formati grandi possono essere esposti in cella e visibili dalle celle speculari o da detenuti in transito trasmettendo così messaggi criptici. La necessità di impedire il passaggio di comunicazioni in codice giustifica anche il divieto per i familiari di presentarsi ai colloqui indossando qualunque capo marchiato o griffato, perché anche i loghi potrebbero contenere un messaggio. Per lo stesso motivo, proibite le etichette sulle bottiglie d’acqua».

 

I PLURIMOCIDI MAI PENTITI COME ZAGARIA

Michele Zagaria al momento dell’arrrsto nel 2011 da parte della Squadra Mobile di Napoli della Polizia di Stato

Se volessi indugiare a parodiare le denunciate gravi persecuzioni emerse dall’articolo potrei farci uno spettacolo di cabaret. Cerchiamo invece di capire chi sono coloro cui vengono imposti “tremendi” divieti come tenere i gelati nel frigo o usare le infradito. Non c’è un elenco ufficiale ma si sa che sono i malavitosi «apicali» che, come spiega il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: «in virtù del loro carisma e della carica rivestita nell’ambito dell’organizzazione criminale possono ricreare situazioni». Tra loro ci sono il sopracitato Zagaria, il capo del Clan dei Casalesi, condannato a tre ergastoli, insieme ai padrini della Cupola di Cosa Nostra e alcuni boss della ‘Ndrangheta. Ebbene al fine di capire chi si prodiga a difendere il Garante dei detenuti ecco un breve excursus proprio su Michele Zagaria. Nato a San Cipriano d’Aversa, il 21 maggio 1958, è un mafioso italiano, boss dell’organizzazione camorristica del Clan dei Casalesi, e soprannominato Capastorta. Siccome fu il primo boss a controllare il territorio Casapellese, molte volte all’interno delle Serie TV e delle Fiction a lui ispirate, viene definito Padrino di Casapesenna. Il 7 dicembre 2011, gli uomini della III Sezione della Squadra Mobile di Napoli lo arrestarono all’interno di un bunker di cemento armato, costruito sotto un’abitazione di Casapesenna. Data la pericolosità del catturando alla maxi operazione coordinata dai magistrati della DDA di Napoli, partecipò un piccolo esercito con personale del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, della Squadra Mobile di Caserta e del Nucleo Prevenzione Crimine Campania. Oltre a essere il capo del clan dei casalesi, viene considerato il “re del cemento” a livello nazionale. I suoi interessi, negli appalti pubblici e no, partono dalla Campania per estendersi fino al Lazio, la Toscana, l’Umbria, l’Abruzzo, la Lombardia e, in particolare, l’Emilia-Romagna. Secondo le ultime rivelazioni dell’Antimafia di Bologna, il clan di Michele Zagaria comanda la rete degli affari relativi al cemento in Emilia-Romagna. Inoltre, Zagaria ha dimostrato di riuscire a egemonizzare anche il territorio delle ‘ndrine calabresi, portandovi alte quantità di cemento. Il 19 giugno 2008, nel processo d’appello del maxiprocesso Spartacus, viene condannato alla pena dell’ergastolo, insieme ad altri componenti del Clan dei Casalesi. Tale condanna è stata confermata in Cassazione il 15 gennaio. Il 13 ottobre dello stesso anno la Corte d’assise di Latina infligge a Zagaria l’ergastolo risultando il mandante dell’omicidio di Pasquale Piccolo, ucciso il 21 luglio 1988 a Gaeta. Due giorni dopo arriva una nuova condanna all’ergastolo dalla Corte d’appello di Latina. Nel giugno scorso gli furono affibbiati altri 24 anni per estorsione aggravata dall’associazione mafiosa ed è ormai difficile tenere il computo di tutte le sue pene. Ma per il Garante il suo isolamento nelle “aree riservate” desta «perplessità» in quanto «inutile aggiuntiva afflizione» come per tutti i “poveri” ergastolani pluriomicidi condannati! Nonostante non abbia mai palesato la minima resipiscenza per le atrocità criminali commesse…

 

IL SUPERBOSS IN CARCERE MINACCIA E PICCHIA GLI AGENTI

Michele Zagaria condannato a vari ergastoli per efferati omicidi e casi di lupara bianca in qualitù di Superboss camorrista del Clan dei Casalesi

«Se avessi voluto uccidere Giovanni Zara lo avrei fatto con o senza Barone, e non lo avrei fatto con un incidente, ma a modo mio». Sono le dichiarazioni spontanee pronuniate in videoconferenza dal boss dei Casalesi Michele Zagaria col Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), al processo che lo vedeva imputato insieme con l’omonimo Fortunato Zagaria, ex sindaco di Casapesenna, suo paese d’origine, per il reato di violenza privata con l’aggravante mafiosa commessa ai danni di un altro ex primo cittadino di Casapesenna, Giovanni Zara. Parole che non palesano il minimo pentimento come i suoi atteggiamenti in carcere per cui è ora sottoposto ad un ulteriore procedimento penale. «Minacce e schiaffi agli agenti della polizia penitenziaria, frasi intimidatorie al direttore del carcere e agli psichiatri e, infine, telecamere di videosorveglianza staccate dai muri a colpi di bastone: non si può certo dire che sia stata una detenzione senza intoppi quella dell’ex boss del clan dei Casalesi Michele Zagaria nell’istituto penitenziario di Milano Opera, dov’era recluso in regime di carcere duro fino a qualche mese fa – scrive Il Fatto Quotidiano evidenziando che il detenuto fu poi trasferito nel carcere di Napoli più vicino alla famiglia, forse per farlo stare più tranquillo – La Procura della Repubblica di Milano ha notificato all’ex primula rossa della mafia campana un avviso di conclusione indagini riguardante 11 episodi avvenuti tutti lo scorso mese di maggio anche se l’insofferenza di Zagaria, palesemente testimoniata dai circa 950 giorni di isolamento accumulati, non può certo essere riferibile solo a quel periodo.
Gli episodi più eclatanti di cui si è reso protagonista sono sicuramente gli schiaffi a un agente, il 18 maggio, e le minacce al direttore del carcere, qualche giorno prima, il 10 maggio, durante il colloquio con il medico di turno. “Il direttore lo paragono a una busta dell’immondizia – ha detto al dottore – e io l’immondizia la butto fuori”. Zagaria non ha risparmiato neppure gli psichiatri, sempre mentre era a colloquio con il dottore: “Gli psichiatri come hanno fatto mettere a me la busta in testa, così posso fargliela mettere a loro”. Parole pesanti che possono mettere paura se pronunciate da un criminale che ha sulla coscienza decine e decine di morti. Poi ci sono le telecamere installate nella sua camera detentiva, che tenevano d’occhio ogni sua mossa, prese a bastonate, strappate dai fissaggi e scaraventate fuori dalla cella. Quando poi si rendeva conto di avere commesso qualcosa di veramente grave minacciava le forze dell’ordine per costringerli a omettere di farne menzione sui rapporti: “…se quel rapporto esce io prendo 15 giorni di isolamento quindi…strappate il foglio”».

IL GARANTE PALADINO DEGLI ASSASSINI DI DESIREE

L’alpinista, scrittore ed opinionista Mauro Corona

Per questi superboss oggi il Garante dei detenuti, senza distinzione di sorta tra coloro che stanno accettando il regime duro con buona condotta e quelli che come Zagaria si comportano da mafiosi anche in carcere, protesta col Governo. Come aveva protestato per chi offese in tv gli assassini della giovanissima Desirèe: «Scrivo per esprimere il profondo disappunto nonché l’indignazione dell’Autorità Garante che ho l’onore di presiedere rispetto ad alcune affermazioni dell’alpinista e scrittore Mauro Corona nel corso della puntata di “Carta Bianca” dello scorso 30 ottobre. Nel riferirsi alle persone indagate per la violenza sessuale e la morte di Desirée Mariottini, egli ha utilizzato appellativi quali “neanche bestie” e “vermi putrefatti nel cervello” e ha chiaramente fatto riferimento a una auspicabile castrazione” – scrisse Mauro Palma allora – Pur nel dolore, sconcerto e collera per il grave delitto, non è ammissibile l’utilizzo di un linguaggio simile nei confronti di persone, anche se accusate o colpevoli di reati gravissimi, né sono ipotizzabili forme che riportino al desiderio di vendetta e di annientamento la risposta al reato, facendoci regredire alla pre-modernità e
soprattutto negando i valori costituzionalmente definiti». Caro Garante se la modernitù significa difendere i Zagaria di turno o gli immigrati stupratori ed aguzzini di branco ne facciamo volentieri a meno: come facciamo volentieri a meno del presidente di un’authority se invece di scoprire e denunciare i casi concreti di violazioni e crimini sui detenuti, sicuramente numerosi come prova la tragica vicenda della morte di Stefano Cucchi, gioca a fare il politico senza mandato elettorale.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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FONTI

http://www.ilgiornale.it/news/politica/sepolti-vivi-carcere-i-51-detenuti-fantasma-che-non-vedono-1641032.html

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/10/25/il-boss-michele-zagaria-indagato-per-minacce-a-direttore-del-carcere-di-opera/4718738/

https://napoli.repubblica.it/cronaca/2018/01/23/news/casalesi_frasi_choc_in_aula_del_boss_zagaria-187113538/

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