BLACKOUT VENEZUELA: “SABOTAGGIO CRIMINALE USA” ALLA DIGA

BLACKOUT VENEZUELA: “SABOTAGGIO CRIMINALE USA” ALLA DIGA

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DOPO LE MOLOTOV SUGLI AIUTI UMANITARI
IN TILT LA CENTRALE ELETTRICA SIMON BOLIVAR
CARACAS DENUNCIA: “ATTACCO AL POPOLO
DEGLI IMPERIALISTI AMERICANI PRO-GUAIDO”.
DEPUTATA ISLAMICA USA DIFENDE LO STATISTA CRISTIANO
INVECE IL PRESIDENTE UE TAJANI INVITA IL GOLPISTA

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

«Oggi 8 marzo, giornata internazionale della donna, quando sono le 7,22 della sera, in nome del presidente Nicolas Maduro, vogliamo condividere con il popolo alcuni degli elementi connessi con il grave sabotaggio criminale che è stato perpetrato contro il sistema elettrico nazionale del Venezuela». Senza mezzi termini il Ministro della Comunicazione del Governo di Caracas, Jorge Rodriguez, ha commentato il blackout di quasi 20 ore iniziato giovedì pomeriggio dopo un attentato “tecnico e cibernetico” alla mega centrale idroelettrica Simon Bolivar di Guri, nello stato Bolivar nella Guyana venezuelana compresa tra l’Orinoco, la zona del suo Delta Amacuro, la Guyana ed il Brasile, dove si trova una delle più importanti dighe di tutta l’America Latina. Le dichiarazioni alla tv nazionale TeleSur giungono a commento dell’ultimo tremendo atto di una cospirazione golpista iniziata nel 2002 con la destituzione armata statunitense di Hugo Chavez (durata pochi giorni per l’insurrezione popolare), proseguita dopo la sua morte prematura di tumore e intensificatasi dopo il 2013 con l’elezione a presidente del suo discepolo Maduro. Lo statista non ha mai esitato a definirsi cattolico cristiano e ad invocare l’intervento di Papa Francesco, rimasto defilato da buon paladino dei diritti umani finché i suoi porporati lo consentono, ma viene perseguitato dall’amministrazione Usa del presidente Donald Trump, il cui vice è il cristiano evangelico Mike Pence, e boicottato dal presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani, anch’egli sedicente credente in Cristo, trova invece paradossalmente il supporto della deputata americana musulmana Ilhan Omar che ha scritto al Segretario di Stato di Washington per invitarlo a cambiare politica sul Venezuela. Mentre scriviamo il backout è stato superato solo in parte: le linee telefoniche funzionano ancora a singhiozzo ma la metropolitana di Caracas è ancora ferma. Per oggi, sabato 9 marzo, sono previste le solite manifestazioni contrapposte tra i sostenitori di Maduro e quelli del presidente autoproclamato Juan Guaidò. I facinorosi manifestanti di quest’ultimo, in larga parte di estrema destra o foraggiati dall’intelligence americana, già filmati durante attentati  esplosivi ai motociclisti della polizia ed altri efferati crimini ai danni di agenti anche arsi vivi. Una cospirazione ormai abbastanza palese a tutti tanto che persino il New York Times ha svelato l’inganno degli incendi agli aiuti umanitari perpetrati dagli stessi contestatori di Maduro al confine con la Colombia e riportati in un video…

https://www.youtube.com/watch?v=E4c0X53yi0o

Un’attacco talmente reiterato, sistematico e condotto con la manipolazione dei grandi media occidentali che avrebbe ridotto come lo Yemen qualsiasi paese sprovvisto di un’organizzazione sociale efficiente come quella del Socialismo Bolivariano cattolico. Unico esempio al mondo dove l’attenzione ai poveri di una dottrina socialista cerca di coniugarsi con il rispetto dei valori etici cristiani. Mentre infatti nello Stato di New York si legittima l’aborto anche al nono mese, quando il bimbo è ormai pronto per vedere la luce, in Venezuela, all’ombra del chavismo di cui Maduro si dichiara anche sul suo profilo Twitter “hijo”, figlio, prima dell’attacco finanziario e politico degli Usa di George Bush, Barack Obama e infine di Donald Trump, la tutela della popolazione e delle famiglie si era consolidata in dati indiscutibili: un balzo di circa 20 posizioni dalla fine degli anni Novanta fino al 2016 nell’Indice di Sviluppo Umano attestato dall’Onu (Human Development Index) che smentisce nel modo più categorico ogni accusa di fallimento del sistema socio-assistenziale bolivariano collocando il paese nella categoria delle nazioni ad Alto Sviluppo Umano in un’onorevolissima 78° posizione davanti a Brasile, Cina, Thailandia, Ucraina e Tunisia. La grande battuta d’arresto in questa crescita vorticosa che ha poi portato Caracas in una crisi economica di liquidità finanziaria e di beni di primaria necessità come pasta, latte e medicine è infatti giunta tra il 2015 ed il 2017: prima coi giudizi delle agenzie di rating, in complotto con le sanzioni Usa, che hanno fatto esplodere l’inflazione; poi coi blocchi economici imposti dall’amministrazione Trump e sempre più inaspriti alla Pdvsa, la società energetica nazionale Petroleos de Venezuela, che hanno strangolato il paese, vittima di un vero e proprio tentativo di estorsione internazionale dei giacimenti di petrolio più ricchi della terra che rappresentano la metà delle risorse mondiali di oro nero.

 

AIUTI UMANITARI INCENDIATI CON LE MOLOTOV DAI GOLPISTI

Il lancio di una molotov da parte dei golpisti di estrema destra che ha incendiato, volutamente o involontariamente, il camion con gli aiuti umanitari al confine tra Venezuela e Colombia 23 febbraio tratto dal video amatoriale diffuso da Paolo Pablito Rossi su Facebook

Di come il tentativo di golpe abbia avuto un’accelerazione proprio a inizio 2019 a causa della nascita del Petrocoin, la prima moneta digitale ancora ad una valuta nazionale, il Bolivar Soberano, e garantita proprio dalle immense risorse naturali del paese (petrolio ed oro), abbiamo già parlato in altri articoli (tutti i link a fondo pagina) così come della storia politica di Juan Guaidò, studente universitario a Washington e pupillo di Leopoldo Lopez, presunto agente della Cia a Caracas, con cui fondò il partito Voluntad Popular nel dicembre 2009, pochi mesi dopo l’elezione dell’esponente democratico Obama a presidente degli Stati Uniti. Ora voglio concentrarmi sui fatti di cronaca e politica delle ultime settimane partendo dalla rapida segnalazione di moltissime immagini che mostrano gli autori della distruzione degli aiuti umanitari americani invocati dall’autoproclamato presidente ad interim Guaidò, riconosciuto da Usa, Brasile, vari stati dell’America Latina e dell’occidente. Un riconoscimento avvenuto a dispetto delle elezioni presidenziali che il 20 maggio 2018 avevano riconfermato Maduro presidente con quasi il 60 % dei consensi anche se a fronte di una bassa affluenza alle urne (solo 46 %) per il boicottaggio delle consultazioni da parte dell’opposizione, con tutta probabilità timorosa di una sconfitta che l’avrebbe privata di ogni possibilità di contestazione. Ebbene il 23 febbraio sul ponte di Cucuta in Colombia, i camion carichi di pacchi umanitari mandati dagli Usa per dar manforte a Guaidò, sono stati bloccati dal presidente del Venezuela che non accetta il sostegno di quegli stessi politici americani che tra sanzioni e svalutazioni del debito hanno strozzinato il paese portandolo al collasso. Circolò la fake news che fossero stati incendiati dalle forze militari del governo madurista nonostante alcuni video amatoriali ed un reportage di Russia Today diffusi nei giorni successivi dimostrassero subito il contrario. Ora è anche l’autorevole New York Times a dedicare ampio risalto al filmato che mostra come siano state le molotov lanciate dai guerriglieri pro Guaidò ad appiccare gli incendi.

Una delle immagini contenute nel video su cui ruota il reportage del New York Times – CLICCA SULLA FOTO PER VISIONARE IL VIDEO

 

IL BLOCCO DEGLI AIUTI E LA FAME IN COLOMBIA

Molti criticano il presidente venezuelano per quel blocco di aiuti ma d’altronde chi accetterebbe due pezzi di pane da chi gli ha accerchiato il granaio per impedirgli di produrre pane? La risposta diplomatica di Maduro, certamente ispirato dal paziente presidente della Russia Vladimir Putin che dal dicembre scorso ha iniziato a sostenerlo apertamente (anche con il preventivo supporto militare ed il primo emblematico invio di aerei bombardieri del Cremlino), è stata formidabile: “Gli Usa diano gli aiuti umanitari ai suoi 40 milioni di poveri”. Ha cioè ricordato che negli evoluti United States of America il numero di persone indigenti è addirittura superiore ai 32 milioni di abitanti del Venezuela. A ciò si aggiunge il fatto che Caracas non si troverebbe in questa situazione di emergenza umanitaria se la Banca d’Inghilterra avesse restituito al Banco Central de Venezuela le 15 tonnellate d’oro richieste già nell’agosto 2018, pari a 517 milioni di euro di liquidità immediata.

Gli scontri tra la Guardia Nacional Bolivariana del Venezuela e i manifestanti del 23 febbraio scorso – CLICCA SULL’IMMAGINE PER IL VIDEO DI RUSSIA TODAY

Fortunatamente a dare qualche respiro alla popolazione il 14 febbraio, in occasione di un San Valentino festeggiato nei ristoranti da buona parte dei venezuelani abbienti, era giunto il gesto di amore dei “fidanzati” Russia, Cina e Cuba che insieme avevano spedito una fornitura di 933 tonnellate di medicine ed alimenti. Giovedì 7 marzo un cargo militare C130 con un carico di medicinali, attrezzature mediche, cibi ad alto contenuto calorico, accessori igienici è stato inviato dagli americani. «Oggi, gli Stati Uniti hanno trasportato per via aerea ulteriori aiuti umanitari dalla Florida a Cucuta, Colombia, allo scopo di aiutare le persone colpite dalla crisi politica ed economica del Venezuela» recita il comunicato di Usaid (US Agency for International Development), l’agenzia governativa tristemente nota nel mondo per aver supportato con la parvenza di inziative umanitarie il regime-change nei paesi ostili a Washington anche movimentando armi nelle presunte casse di aiuti. Un’iniziativa che sa pure un po’ di beffa mondiale visto che proprio dalla filo-americana Colombia, attestata dall’Onu al 90° posto nell’indice di Sviluppo Umano già citato (ovvero 12 posizioni dietro il Venezuela) è di recente giunto l’SOS per la malnutrizione infantile in età da 0 e 5 anni. «Abbiamo bisogno di scuotere la mentalità della gente e renderla consapevole del problema – ha affermato il responsabile della Fundación Grupo Éxito, Carlos Mario Giraldo – Che 1 su 9 bambini patisca malnutrizione cronica in Colombia è molto grave, sono 560.000 i bambini nel paese (…) 90.000 bambini a Bogotà». Ennesima riprova che i piani umanitari internazionali degli Usa servono solo a consolidare un controllo politico-economico sulle risorse del paese più che a risolvere loro i problemi… Ed all’emergenza di beni di primaria necessità si aggiunge oggi il blackout improvviso al gioiello dell’ingegneria idroelettrica venezuelana sul bacino artificiale della diga di Guri, una delle più importanti infrastrutture dell’America Latina.

 

IL “SABOTAGGIO” ALLA CENTRALE IDROELETTRICA SIMON BOLIVAR

La mappa dello stato venezuelan del Bolivar confinante con Brasile, Guyana e delimitato a nord dal fiume Orinoco dove si getta l’altro fiume Caronidopo aver formato il lago dell’invaso artificiale della Diga di Guri (nel cerchio) dove sorge la centrale idroelettrica Simon Bolivar

«Nel fiume Caroní, a 100 chilometri dalla confluenza con l’Orinoco, si trova questa opera d’ingegneria e di arte, ch’è la centrale idroelettrica “Simon Bolivar “, anche conosciuta come la diga del Guri. La costruzione s’iniziò nel 1963. La prima tappa si concluse nel 1978 e la seconda nel 1986 – spiega dettagliatamente il sito turistico Venezuela Tuja – Un opera d’ingegneria che produce 10 milioni di chilowatt nelle sue due sale di macchine, rendendola la seconda centrale idroelettrica del mondo, dopo la centrale di Itaipú (Fra il Brasile e Paraguay). Per produrre questa quantità di energia sarebbe necessaria una produzione di 300.000 barili di petrolio giornalieri. La diga, in cemento armato, tiene una lunghezza di 1500 metri e una altezza di 180 metri. Conta con uno scarico di tre canali, che permette lo sfogo del eccesso di acqua nell’epoca delle piogge. (da maggio a ottobre). Il lago artificiale che si è formato è il secondo più grande di Venezuela (dopo il lago di Maracaibo) con una superficie di 3919 Km², cioè più grande della superficie dello Stato Carabobo. In questo lago si pratica la pesca del “pavón” e vi sono altre strutture ricreative».

La gigantesca diga di Gur in Venezuela con la centrale idroelettrica Simon Bolivar che sarebbe stata oggetto di un sabotaggio tecnico

L’impianto è arricchito dalle opere di arte cinetica di Carlo Cruz Diéz e da una gigantesca scultura rotante denominata Torre Solar di Alessandro Otero. Da Caracas piovono le accuse di «sabotaggio criminale» agli Usa che rimpallano ogni accusano. La battaglia diventa così mediatica ed agguerrita soprattutto su Twitter. Ma le reiterate informazioni manipolate dalla Casa Bianca e dal mainstream occidentale rendono ovviamente più facile credere ai ministri venezuelani. Il blackout elettrico inziato giovedì pomeriggio ha interessato 21 dei 23 stati compresa la capitale Caracas. «A partire dalle 09 di venerdì (ore 1 di sabato GMT), l’elettricità è tornata nel distretto centrale di Altagracia a Caracas, nella zona sud-orientale di Colinas De Santa Monica, nel distretto settentrionale della Florida e nelle aree occidentali di Caricuao e Catia» ha scritto il network russo d’informazione Sputnik International citando il Twitter eloquente del Ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza: «Mentre la società venezuelana ha tranquillamente accettato le circostanze derivanti dal sabotaggio nell’industria elettrica del paese, e gli impiegati di Corpoelec, fornitore nazionale di elettricità, lavorano freneticamente, quelli vicini a Donald Trump hanno festeggiato, godendosi la spregiudicata manipolazione dei dei fatti nonostante ciò che stanno vivendo i venezuelani».

Il Minsitro degli Esteri del Venezuela Jorge Arreaza

Un messaggio in risposta a quelli del Segretario di Stato degli Usa, Mike Pompeo, che ha fermamente negato ogni implicazione americana nel blackout alla stessa stregua con cui il suo predecessore Hillary Clinton negava il finanziamento all’Isis… Tra le tante motivazioni del guasto ci sono anche quelle folkloristiche riprese dal senatore republicano americano Mark Rubio che ha rievocato i piccoli disagi creati in passato dagli iguana entrati per caso nella centrale idroelettrica, comunicati dallo stesso governo venezuelano. Ma entrambi gli esponenti dell’amministrazione Trump vengono colti in fallo dal Ministro della Comunicazione Jorge Rodriguez che fa notare la tempistica sospetta con cui hanno twittato pochi minuti dopo il blackout, di cui nemmeno Caracas ancora conosceva la portata. «Hanno effettuato un attacco informatico sul sistema di controllo automatico, tutto dimostra che si tratta di un attacco multiforme e violento contro l’intero Venezuela… Nei prossimi giorni, una delegazione guidata dall’Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, visiterà il Venezuela. Le mostreremo le prove su questi criminali e le sottoporremo una denuncia affinché il mondo rispetti i diritti umani in Venezuela».

 

BOTTA E RISPOSA DI ACCUSE TRA MADURO, GUAIDO’ E BOLTON

Lo scambio di tweet nelle ultime ore tra Nicolas Maduro, Juan Guaidò e John Bolton

Volano invece gli schiaffi politici tra Maduro e Guaidò sempre su Twitter. Il preisdente eletto ringrazia il personale del sistema elettrico e «ammira il popolo venezuelano che resiste con gagliardia a questo nuovo attacco dei nemici della patria». Il presidente autoproclamato e golpista ribatte che «sabotaggio è rubarsi il denaro dei venezuelani». Gli fa eco il consulente della sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton, quello che minaccia di portare a Guantanamo Maduro ma tace sulla liberazione dei capi Isis in Afghanistan, Irak e Siria: «I soldi che avrebbero dovuto essere investiti nella rete elettrica per la manutenzione della diga di Guri, e lo sviluppo del settore energetivo sono andati invece nelle tasche di Maduro e dei suoi ispiratori cubani». Accuse brandite senza minima prova che ricordano tanto quelle sul finto attacco chimico dell’esercito siriano di Bashar Al Assad a Douma che giustificò il lancio americano di 100 missili in un paio d’ore, al costo approssimativo di 16milioni di dollari bruciati da Washington solo per intimidire il nemico politico. Una politica che comincia però a scricchiolare nello stesso Congresso, dove i Democratici si sono trovati in perfetta sintonia con i Repubblicani di Trump avendo iniziato loro le danze di golpe contro il Venezuela. Ma oggi i nuovi deputati dem non ci stanno più a reggere il gioco.

 

LA RIVOLTA DEI DEPUTATI DEM ALLA CAMERA USA

La deputata Dem negli Usa Ilhan Omar duramente critica sullla politica di Trump in Venezuela

«Più di una dozzina di democratici progressisti alla Camera dei rappresentanti, tra cui le matricole “teste-calde” Alexandria Ocasio-Cortez di New York, Ilhan Omar del Minnesota e Rashida Tlaib del Michigan, in una lettera inviata giovedì alla Casa Bianca hanno sollecitato la sua amministrazione a «cambiare rotta» sulla sua politica nei confronti del Venezuela – scrive Shira Tarlo sul sito americano d’opinione politica Salon citando una missiva di cui parla anche Russia Today ma illeggibile sul link misteriosamente oscurato – I legislatori, in una lettera indirizzata al Segretario di Stato Mike Pompeo, hanno espresso preoccupazione per i suggerimenti dell’amministrazione Trump sull’intervento militare contro il presidente venezuelano Nicolás Maduro. Hanno anche criticato l’imposizione di sanzioni economiche da parte dell’amministrazione contro Maduro e la compagnia petrolifera statale del Venezuela per “ferire la gente comune” e messo in dubbio la decisione dell’amministrazione di riconoscere il leader dell’opposizione venezuelano Juan Guaidó come legittimo presidente ad interim del paese “senza un chiaro piano in atto per tenere elezioni democratiche ed evitare un’escalation di violenza “. I membri del Congresso hanno sottolineato che la crisi economica e politica in Venezuela ha già causato 3 milioni di venezuelani a fuggire dal paese e ha avvertito che l’imposizione “controproducente” dell’amministrazione di sanzioni economiche e presunti piani per mettere in scena l’intervento militare nel paese potrebbe causare il tasso della migrazione per accelerare e comportare un “aumento drammatico dei rifugiati negli Stati Uniti”».

L’altra deputata Dem negli sa Alexandria Ocasio Cortez tra i firmatari della lettera al Segretario di Stato

«Le minacce e il coinvolgimento negli affari interni del Venezuela da parte degli Stati Uniti sono controproducenti, dal momento che interpretano la narrazione del governo venezuelano secondo cui l’opposizione è vicina agli Stati Uniti – afferma la lettera – Queste azioni aiutano a rafforzare la base di Maduro e ad allontanare l’attenzione da urgenti problemi domestici». Come spiega sempre Shira Tarlo molti democratici, tra cui la presidente della Camera Nancy Pelosi, il leader della minoranza al Senato Chuck Schumer, hanno riconosciuto Guaidó come leader legittimo del Venezuela il 23 gennaio dopo le contestate elezioni boicottate dalla stessa opposizione. Gli Stati Uniti, l’Unione Europea e una serie di paesi dell’America Latina hanno rifiutato di riconoscere la vittoria di Maduro come legittima e ciò ha iniziato l’escalation dello scontro diplomatico culminato con il rifiuto del presidente di Caracas di accettare la visita di una delegazione di parlamentari Ue spagnoli del Ppe e l’espulsione dell’ambasciatore tedesco Daniel Martin Kriener. Uno scontro in cui si fa sempre più controversa la posizione politica dell’Italia…

 

IL PRESIDENTE UE INVITA GUAIDO’. GOVERNO ITALIANO A RISCHIO

Il presidente del Parlamento Europeo, l’italiano Antonio Tajani eletto nelle file di Forza Italia per il gruppo Ppe, nei giorni scorsi ha voluto rilanciare la questione venezuelana a Bruxelles dopo lo smacco maldigerito del 31 gennaio scorso. In quell’occasione il Parlamento Europeo aveva riconosciuto, con una risoluzione non legislativa, Juan Guaidò come legittimo presidente ad interim del Venezuela, invitando i governi e le istituzioni Ue a fare lo stesso e chiedendo la convocazione di elezioni «libere e trasparenti». La risoluzione era stata approvata con 439 voti a favore, 104 contrari e 88 astensioni. Compatta era stata l’astensione degli eurodeputati dei partiti italiani che sostengono il Governo di Giuseppe Conte, ovvero M5S e Lega. La vicenda aveva suscitato una forte polemica a Roma con l’intervento persino del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a sostenere la posizione Ue: invito che inasprì il contrasto di vedute tra il movimento CinqueStelle di Luigi Di Maio, che attraverso il Sottosegretario agli Esteri Manlio di Stefano aveva ribadito la necessità di rispetto dei diritti democratici sovrani del Venezuela sostenendo la legittimità della presidenza Maduro, e dei leghisti di Matteo Salvini, che attraverso l’altro Sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, molto vicino all’amministrazione Trump (dirigente in aspettativa della Barckays), sosteneva l’appoggio indiscriminato al presidente autoproclamato. Risale a qualche giorno fa il tweet con cui Antonio Tajani ha ufficialmente invitato il leader venezuenalo dell’opposizione a Bruxelles in spagnolo: «Dopo la visita di vari paesi dell’America Latina se il presidente Guaidò desidera venire in Europa è assai benvenuto. Le porte del Parlamento Europeo sono aperte». «Accoglieremo opportunamente l’invito fatto dal Parlamento Europeo per voce del presidente» ha subito ritweettato Guaidò come se fosse uno scambio di comunicazioni ufficiali seguenti ad un accordo già segretamente concordato che rischia di mettere ancora più in crisi il delicatissimo scontro politico interno al governo italiano dove proprio il Venezuela potrebbe essere l’ultimo di una serie di casus belli per la rottura dell’alleanza tra Lega e M5S. Intanto la ong Human Rights Watch ha chiesto al Dipartimento della Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti di garantire ai venezuelani lo status di protezione temporanea perché il deterioramento delle condizioni rende in questo momento non sicuro costringere le persone a tornare nel loro Paese. «La crisi umanitaria in Venezuela – afferma una nota Bill Frelick, direttore per i diritti dei rifugiati nell’ong – è un caso classico di necessità di una protezione temporanea generalizzata. Questo non è il momento di deportare i venezuelani».

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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