PONTE MORANDI, IL PERITO DEL GIUDICE ACCUSA: «CROLLO PER INCURIA»
«IL VIADOTTO NON SAREBBE CADUTO
SE AUTOSTRADE AVESSE RIPARATO I TIRANTI
CLAMOROSE ANTICIPAZIONI DELL’ESPERTO
SUL DISASTRO DI GENOVA CON 43 MORTI
«I CAVI DEI PILONI CORROSI DALL’ACQUA»
UN VIDEO DI RSI MOSTRA GLI STRALLI LOGORATI
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
«Rimaniamo con i piedi per terra e non cerchiamo cose fantasiose… Se nel 1993 avessero riparato tutti i piloni, il ponte sarebbe in piedi». In un’intervista esclusiva la Radiotelevisione Svizzera Italiana (Rsi) il superperito incaricato dal Tribunale di studiare le cause del crollo del Ponte Morandi di Genova boccia senza riserve ogni teoria alternativa: dalla bizzarra teoria della pesantissima bobina d’acciaio caduta con violentissimo urto sulla soletta, a quella del fulmine (o bomba secondo alcuni), fino all’ipotizzata anomalia strutturale del viadotto che cadendo il 14 agosto strappò la vita a 43 persone.
Lo scoop realizzato dalla trasmissione settimanale d’inchiesta Falò andata in onda giovedì sera è davvero clamoroso. Anche per i contraccolpi che può avere sulla societàdi Autostrade per l’Italia (Aspi), la spa controllata da Atlantia che fa capo ai Benetton ma è partecipata anche dal miliardario fondo americano BlackRock inc con il 5.08%. A scagliare pesantissime accuse d’incuria e negligenza è l’ingegnere elevetico Bernhard Elsener, docente del Politecnico di Zurigo e a Cagliari, uno dei periti nominati dal giudice Angela Maria Nutini per l’incidente probatorio nell’inchiesta sul disastro. E’ lui a fornire queste rivelazioni deflagranti.
Talmente dirompenti che i legali della cinquantina di indagati, tra manager e funzionari Autostrade e dirigenti del Ministero delle Infrastruture, stanno valutando se agire formalmente. Anche se, proprio sotto il propfilo formale, l’esperto non ha fatto anticipazioni sulla sua perizia tecnica ma si è limitato a rispondere con le proprie opinioni al giornalista Michele Galfetti, premuratosi di avvertire i telespettatori che il reportage non sarebbe «entrato nel merito del rapporto alla magistratura ma il professore ci parlerà in generale».
Ma di fatto Elsener, specializzato in Durabilità delle opere in calcestruzzo, ha rivelato moltissimi fondamentali particolari consentendo anche alle telecamere della Rsi di entrare nei laboratori svizzeri dell’EMPA di Dübendorf dove si sono svolte le analisi sulle macerie giunte da Genova: monconi di calcestruzzo e fili di acciaio. Materiale da lui analizzato per capire le cause della tragedia avvenuta sull’importante ponte dove si connettono le autostrade A7 per Milano-Svizzera, A12 per il Centro-Sud Italia ed A10 per Liguria, Francia e Spagna.
IL SUPER-PERITO: «CROLLO PER COLPA DEI TIRANTI»
L’ingegnere elvetico, infatti, insieme ai colleghi Massimo Losa e Giampaolo Rosati dovrà consegnare la super-perizia al Tribunale per l’incidente probatorio. Si tratta dell’analisi commissionata dal Giudice delle Indagini Preliminari che sarà pertanto lo studio portante dell’inchiesta sul quale si apriranno i contradditori dei periti degli indagati (e delle parti civili) in un’udienza pre-processuale che avrà poi valori probatorio nel corso del successivo dibattimento penale. Ecco perché le sue parole hanno molto molto più peso di quelle di tutti gli altri esperti intervistati finora da giornali e tv.
E dicono sostanzialmente quello anticipato dal conduttore Galfetti prima all’inizio degli 80 minuti di scrupoloso servizio con interviste a parenti delle vittime e altre persone coinvolte: «Avrebbe dovuto essere essere un sorvegliato speciale invece il ponte Morandi è stato lasciato al suo destino». Come spiega Elsener, infatti, il crollo è avvenuto non per colpa di difetti di costruzione o progettazione ma per le carenze di manutenzione che proprio tale particolare manifatto architettonico avrebbe richiesto: «Il difetto del Morandi, visto con gli occhi di oggi, è che non ha ridondanza: quando uno degli stralli (i tiranti con anima in acciaio e guaina in calcestruzzo che scendono da ciascuno dei tre piloni principali, ndr) si rompe, cade il ponte. È basato su un particolare sistema di bilanciamento: quando manca uno degli stralli diventa asimmetrico e cade. Gli stralli sono solo 4 per pilone e questo è il punto debole: se fallisce uno dei quattro stralli, la pila crolla, non c’è possibilità che resti in piedi».
RIPARATI GLI STRALLI DIFETTOSI DI UN SOLO PILONE
L’ingegnere svizzero non fornisce dati o dettagli ma argomentazioni circostaziate che sono l’equivalente del suo giudizio ripetendo come un mantra più volte il concetto: «Se cede il tirante cade il viadotto». Entrando poi nel merito della criticità elabora un ragionamento che sembra già pesare come un atto d’accusa verso la società Autostrade che aveva ed ha in gestione la rete autostradale: «Il crollo ci ha dimostrato quello che si sa dagli Anni 80: il calcestruzzo armato non è eterno, si può deteriorare».
Pertanto: «Se nel 1993 avessero riparato tutti i piloni, il ponte sarebbe in piedi». L’emergenza negli stralli, infatti, era ben nota anche all’interno dell’ente gestore del viadotto come confermato da uno degli indagati durante la trasmissione. E’ un ex funzionario di Autostrade: si tratta dell’ex direttore ricerca e manutenzione Gabriele Camomilla che coordinò nel 1993 l’intervento sui tiranti del pilone 11 (rimasto in piedi). «Posizionammo 48 stralli esterni autosufficienti – precisa davanti alle telecamere di Falò – Sugli altri piloni non intervenimmo poiché non erano ammalati così gravemente: sarebbe stato come paragonare dei foruncoli a un tumore». Ma in realtà, come rammentato dai giornalisti, nel report conclusivo riferì di ammaloramenti «diffusi» su tutte le pile. Chiarite le cause che avrebbero determinato il crollo resta da capire che cosa ha determinato la rottura di uno o più stralli.
CAVI DI ACCIAIO CORROSI DALLE INFILTRAZIONI D’ACQUA
Il superperito svizzero si muove davanti al cineoperatore e tocca proprio le anime dell’armatura in acciaio dentro al calcestruzzo che spuntano dalle macerie ammassate nel deposito del laboratorio Empa. «Ci devono essere stati dei problemi di umidità, di acqua all’interno di questi cavi che dovevano tenere il ponte. Avevano un livello di corrosione inaspettato. O perché l’ambiente protettivo è mancato dall’inizio. Oppure perché sostanze aggressive sono penetrate e hanno corroso i cavi. A causa dei problemi di umidità i cavi si sono assottigliati e si spezzano facilmente. E abbiamo trovato meno cavi integri di quelli che avremmo dovuto trovare».
Per mancanza di ambiente protettivo s’intende che l’acqua potrebbe essersi insinuata fin dal primo istante della costruzione a causa della colata di calcestruzzo necessariamente in diagonale che potrebbe aver lasciato delle fessure. Ma non è che un’ipotesi azzardata dallo stesso conduttore di Rsi per spiegare il concetto tecnico espresso dall’ingegnere che, a precisa domanda su cosa sarebbe accaduto se Autostrade avesse compiuto gli interventi di rinforzo su tutti i tiranti, risponde lapidario: «Il ponte sarebbe ancora in piedi».
E non risparmia una velenosa frecciata anche al consulente del Politecnico di Milano che segnalò criticità, ma non ottenne risposta dal concessionario: «Doveva sollecitare o rivolgersi al Ministero, non può dormire tranquillamente. Non dovevano dormirci». Per Elsener invece tutte le altre ipotesi sono «Petardi di nebbia (fumo negli occhi, ndr) che vengono messi in giro. Rimaniamo con i piedi per terra e non cerchiamo cose fantasiose… Se nel 1993 avessero riparato tutti i piloni, il ponte sarebbe in piedi».
Considerazioni perentorie che non lasciano adito a dubbi e, salvo clamorosi ripensamenti che lederebbero la sua immagine professionale, sembrano destinate ad essere parte integrante e decisiva del suo rapporto per il Gip del Tribunale. Per l’esperto ciò che è accaduto è chiarissimo come lo è per uno dei parenti delle vittime intervistato dalla trasmissione Falò: «Autostrade non ha voluto mettere mano ai portafogli e non ci ha nemmeno chiesto scusa».
D’altro canto tutti gli indagati di Autostrade, compreso l’amministratore delegato Giovanni Castellucci, hanno fatto scena muta anche davanti ai magistrati che indagano: ai quali, però, il top manager ha consegnato una memoria difensiva. Più che la dignità umana, per la società controllata dalla finanziaria Atlantia dei Benetton e partecipata anche dal ricchissimo fondo d’investimento americano Blackrock, conta non fare ammissioni che possano costare ad amministratori e manager una sentenza di condanna per omicidio plurimo e disastro colposo: E dunque un risarcimento da centinaia di milioni di euro.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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