NEL SILENZIO DEI MEDIA BUONISTI PRO MIGRANTI
TRAGEDIE IN CONGO, UGANDA E BURKINA FASO
TRENTA ARRESTI DI PENTECOSTALI IN ERITREA
DOVE SONO STATI CHIUSI CON LA FORZA
29 OSPEDALI CATTOLICI CHE CURAVANO GRATIS
200MILA PERSONE DEL PAESE ALLA FAME
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
Ancora giorni di sangue per i cristiani in Africa nel silenzio quasi totale dei media buonisti che si sperticano per difendere i diritti umani dei migranti, molti dei quali delinquenti al soldo della mafia nera o dell’Isis come evidenziato in molteplici reportage di Gospa News, ma tacciono sulle stragi dei seguaci di Cristo, sempre più martiri nel Terzo Millennio.
Il bilancio è tragico: un sacerdoto trucidato a colpi di machete in Congo, un altro strangolato in Uganda, quattro fedeli laici ammazzati dai terroristi jihadisti in una rappresaglia nel sempre più tormentato Burkina Faso (12 vittime di brutali esecuzioni in un mese) ed infine repressioni senza fine in Eritrea con l’arresto di 30 cristiani pentecostali solo perché riuniti a pregare e la chiusura con la forza dell’ultimo degli ospedali cattolici. E’ questa la sintesi del bollettino dell’agenzia Fides, organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie dal 1927, ignorato dalla quasi totalità dei media con le poche eccezioni dei quotidiani e siti cattolici come Avvenire, Vaticans News ed Il Sismografo che hanno riportato i casi dei religiosi uccisi.
PARROCO RAPITO E AMMAZZATO A COLPI DI MACHETE IN CONGO
Il corpo di padre Paul Mbon in stato di decomposizione, con ferite, probabilmente colpi di machete, è stato ripescato nelle acque del Sangha. La sua sepoltura è avvenuta il 4 luglio a Ouesso, nel nord della Repubblica del Congo. Proprio in quel paese, secondo notizie di stampa, il prete era stato rapito da alcuni sconosciuti mentre stava facendo una passeggiata con un amico sacerdote nella notte tra il 28 e il 29 giugno. Il sacerdote cattolico per diversi anni aveva prestato servizio nella diocesi di Ouesso e recentemente era stato assegnato alla parrocchia di Sembé nel dipartimento del Sangha. “Le circostanze della morte di p. Paul, sono in via di accertamento. Per questo preferiamo al momento non rilasciare dichiarazioni” dicono all’Agenzia Fides fonti della diocesi di Ouesso. Nonostante il sequestro e le evidenti ferite da arma da taglio i servizi di sicurezza e le autorità locali non hanno ancora confermato l’ipotesi di un assassinio, forse per evitare clamori sulla reiterata persecuzione dei cristiani, ma sono in corso le indagini e un primo sospetto sarebbe stato arrestato.
SACERDOTE STRANGOLATO IN UGANDA DA UNO STUDENTE
“Era un vero servitore di Dio e persino nel giorno fatale, la morte lo ha trovato al suo posto di missione” ha detto il fratello Charles Dominic Kagoye, portavoce dei Brothers of St Charles Lwanga, nel ricordare, Fratel Norbert Emmanuel Mugarura, ucciso il 3 luglio.
Il religioso è stato ucciso da uno studente universitario, Robert Asiimwe, che è stato arrestato dopo la denuncia di un autista di un veicolo che aveva noleggiato per raccogliere spazzatura dalla sua casa. Questi si è rivolto alla polizia che ha scoperto che la presunta spazzatura era un cadavere, avvolto in un telone.
Il corpo del religioso presentava segni di strangolamento. Lo studente avrebbe ucciso fratel Mugarura per rubargli l’automobile Fratel Norbert Emmanuel Mugarura è stato Superiore Generale dei Brothers of St Charles Lwanga, ordine religioso nato in Uganda nel 1927, per appena 158 giorni, essendo stato eletto il 27 gennaio di quest’anno.
P. Mugarura era nato il 28 dicembre 1972 da nel villaggio di Buyanja, parrocchia di Nyakibaare nella diocesi di Kabale. Nel 1992 divenne un postulante dei Brothers of St Charles Lwanga, ed ha emesso i voti il 6 gennaio 1995.
RAPPRESAGLIA JIHADISTA IN BURKINA FASO: 12 MORTI
Una vera rappresaglia religiosa, nella totale indifferenza dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani dell’Onu, è invece avvenuta in Burkina Faso. Quattro laici cattolici sono stati uccisi a Bani, a circa 12 km da Bourzanga, capoluogo dell’omonimo dipartimento della provincia di Bam, nel nord del paese, nell’assalto da parte di un gruppo jihadista del villaggio la sera del 27 giugno. Dopo aver costretto gli abitanti a ritirarsi nelle loro abitazioni, i terroristi sono passati casa per casa ad identificare le persone secondo la loro appartenenza religiosa. Il 28 giugno 2019, i jihadisti si erano recati anche a Pougrenoma un altro villaggio della parrocchia di Bourzanga per minacciare gli abitanti. “Secondo le testimonianze raccolte, non hanno fatto vittime ma hanno lasciato un messaggio nel quale affermano che le forze di difesa e sicurezza (FDS) devono abbandonare la zona così come i rappresentanti del governo, e minacciano i cristiani locali di convertirsi altrimenti rischiano di essere giustiziati alla loro prossima visita” afferma un comunicato firmato da don Victor Ouedraogo, direttore del centro per le comunicazioni sociali della diocesi di Bourzanga. “Questo nuovo attacco porta a dodici nello spazio di due mesi i cristiani cattolici uccisi dai terroristi a causa della loro affiliazione religiosa nella diocesi di Ouahigouya” dichiara il comunicato pervenuto a Fides. “Ricordiamo che i primi attacchi contro i cristiani si sono verificati il 13 maggio 2019 nella parrocchia di Bam, uccidendo quattro persone seguito il 26 giugno 2019 dall’assalto alla parrocchia di Titao, provocando quattro morti e alcuni feriti”. “Tutti questi eventi e il modus operandi dei gruppi armati terroristici (GAT) dimostrano che si tratta di attacchi mirati contro i cristiani” Di fronte a sempre più attacchi ricorrenti e alle minacce pressanti, molti cristiani hanno iniziato a lasciare i loro villaggi per raggiungere le parrocchie centrali.
TRENTA PENTECOSTALI ARRESTATI PERCHE’ PREGAVANO
Più di trenta cristiani, appartenenti alle Chiese pentecostali, sono stati arrestati dalle forze di sicurezza nei giorni scorsi. La polizia li ha fermati mentre erano raccolti in preghiera in tre luoghi diversi nella capitale Asmara. Sulla carta, il governo eritreo riconosce la libertà religiosa. In realtà, le autorità riconoscono solo quattro religioni: il cristianesimo ortodosso, la Chiesa cattolica romana e la Chiesa evangelica-luterana dell’Eritrea (che complessi rappresentano il 50 % della popolazione) e l’islam sunnita (48% della popolazione). Gli altri gruppi religiosi sono considerati “illegali” in quanto il governo afferma che sono strumenti di governi stranieri. Agenti della polizia compiono continui raid nelle case private dove devoti di religioni non riconosciute, soprattutto i cristiani pentecostali, si incontrano per la preghiera comunitaria. Vengono rilasciati solo se ripudiano la loro fede. Anche con le confessioni ammesse le autorità di Asmara hanno un atteggiamento rigido. La stessa Chiesa ortodossa, molto legata all’Eritrea, ha subito la forte ingerenza delle autorità. Nel 2007, il Patriarca Antonios, critico nei confronti del presidente Isayas Afeworki, è stato deposto dal governo nel 2007 e da allora vive agli arresti domiciliari. Al suo posto il governo ha imposto Abuna Dioskoros. Quest’ultimo è morto nel 2015 lasciando la sede vacante.
La Chiesa cattolica vive in una condizione difficile ma anche le istituzioni islamiche sono sotto pressione. Le autorità esigono infatti il pieno controllo di tutte le organizzazioni di matrice religiosa quali scuole private, cliniche mediche e orfanotrofi, istituzioni che danno un innegabile sostegno alla popolazione eritrea stretta in una morsa di povertà. Oltre alle persecuzioni religiose, l’Eritrea, secondo Ong per la difesa dei diritti umani come Amnesty International e Human Rights Watch, è uno stato che pratica sistematicamente la repressione di gruppi politici e sociali di opposizione e la società resta altamente militarizzata.
UN MASSACRO CONTINUO DAL MESE DI FEBBRAIO
Come evidenzia il sito dell’organizzazione umanitaria evangelica Open Doors, focalizzata nell’aiuto dei cristiani perseguitati nel mondo, dal mese di febbraio sono ben 27 i cristiani uccisi in Burkina Faso. Il 15 di quel mese è stato il sacerdote salesiano padre Antonio Cesar Fernandez, 72 anni a cadere vittima di un agguato al confine a Nohao. Lui e altri due sacerdoti hanno subito un attacco jihadista mentre viaggiavano dal Togo. Quattro giorni dopo il pastore Jean Sawadogo di 54 anni è statao assassinato sulla strada tra Tasmakatt e Gorom-Gorom.
Un altro pastore è stato ucciso il 23 aprile vicino alla città principale di Arbinda nel Sahel e cinque giorni dopo sei cristiani, tra cui il pastore ottantenne Pierre Ouedraogo, sono state massacrati in una chiesa al termine della messa nella piccola città di Silgadji vicino a Djibo nel nord del Burkina Faso. Il 12 maggio altre sei persone, tra cui un prete, sono state vittima di un eccidio da parte di uomini armati che hanno preso d’assalto una chiesa a Dablo nel nord del Burkina Faso durante il culto. Hanno bruciato la chiesa, i negozi, il centro sanitario e altri edifici della comunità. Il 13 maggio quattro fedeli sono stati ammazzati Singa, nel comune di Zimtenga nel nord del centro. I membri della chiesa stavano riportando una statua di Maria nella loro parrocchia dopo la processione quando sono stati intercettati e bloccati da un commando jihadista. Gli assalitori lasciano andare i bambini prima di freddare i quattro adulti. Il 26 maggio altri quattro fedeli sono stati trucidati durante un servizio di culto in chiesa a Toulfe. Secondo l’agenzia di stampa Fides, otto persone pesantemente armate sono arrivate nel villaggio intorno alle 9:00 su quattro motocicli. Sono entrati in chiesa e hanno ucciso tre persone. Un quarto cristiano è morto in seguito a causa delle ferite. Un numero imprecisato di persone è rimasto ferito. L’attacco è arrivato proprio quando gli operatori di Open Doors sono tornati dal Burkina Faso con un appello urgente alla preghiera per i credenti del posto.
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OSPEDALI CATTOLICI CHIUSI CON LA FORZA IN EITREA
Proprio in Eritrea, anche l’ultimo ospedale cattolico è stato chiuso venerdì 5 luglio. Le suore che gestivano la struttura di Zager sono state allontanate con la forza dalle forze dell’ordine e sulle porte sono stati messi i sigilli. Alle religiose è stato intimato di lasciare l’ospedale immediatamente ed è stato impedito loro di portare con sé le attrezzature ospedaliere. L’ospedale forniva servizi di maternità e assistenza medica generale per il villaggio di Zager a una trentina di chilometri dalla capitale, Asmara Nelle ultime settimane, 22 ospedali e cliniche cattoliche sono stati chiusi. Alcuni osservatori leggono in questa ondata di requisizioni una risposta del regime di Isayas Afeworki alle critiche della Chiesa al suo governo. Nelle loro lettere pastorali, i vescovi cattolici hanno chiesto profonde riforme politiche nel Paese che, attualmente, non ha una Costituzione e non ha mai organizzato elezioni presidenziali e legislative. Il governo ha ribattuto che le chiusure sono in linea con le norme introdotte nel 1995, che limitano le attività delle istituzioni religiose dalle scuole ai progetti agricoli, dagli ospedali all’assistenza degli anziani. Giovedì 4 luglio, a un altro gruppo di suore che gestiva una struttura sanitaria nel Sud del Paese, è stato anche intimato di lasciare la loro residenza. Una suora ha dichiarato di essere affranta: «Questa azione ferisce più le persone comuni che le organizzazioni religiose».
LA CHIESA PERSEGUITATA DALLE DITTATURA
«La Chiesa cattolica in Eritrea ha sempre collaborato e cooperato con le istituzioni. Nel caso specifico della sanità, la qualità del servizio offerto dalle nostre strutture era considerata dal governo stesso come un’eccellenza del Paese». Lo dice all’Agenzia Fides padre Mussie Zerai, sacerdote dell’eparchia di Asmara, rappresentante dell’Agenzia Habeshia e candidato al Nobel per la Pace nel 2015, parlando della decisione dell’esecutivo di chiudere i centri sanitari gestiti dalla Chiesa, avvenuta nelle scorse settimane. «Davvero, non riusciamo a capire su quali basi il governo abbia maturato questa decisione – prosegue – i nostri ospedali curavano ogni anno duecentomila persone, circa il 6% dell’intera popolazione eritrea». In totale, sono 29 i presidi sanitari che sono stai costretti a chiudere i battenti: «Già lo scorso anno erano stati serrati altri otto ospedali senza motivazioni apparentemente plausibili – rileva padre Zerai – Questa rappresenta l’ennesima violazione alla libertà di scelta, oltre che a un danno per la popolazione più povera che non può permettersi di affrontare spese mediche per curarsi».
«Qualsiasi altra attività svolta al di fuori dei nostri luoghi di culto è sottoposta a un ferreo controllo da parte delle forze di sicurezza. Dal 2001, inoltre, il governo ci ha anche impedito di stampare tutti i nostri giornali – racconta – Le restrizioni e le violazioni dei diritti fondamentali, la prospettiva della leva a tempo indeterminato sotto forma di servizio nazionale e le limitate opportunità di lavoro e istruzione spingono migliaia di eritrei, ogni anno, a tentare la fuga dal paese».
Come spiega padre Mussie vi sono inoltre migliaia di prigionieri di coscienza e politici che soffrono nelle prigioni eritree senza accusa né processo: «Molti detenuti sono scomparsi. Le loro famiglie non sanno dove si trovino esattamente e, in molti casi, non hanno più avuto loro notizie. Le Nazioni Unite stimano che tratti di almeno 10.000 persone. Invito la comunità internazionale a non rimanere in silenzio, affinché il dramma del popolo eritreo non cada nell’indifferenza generale».
INFERNO SAHEL: JIHADISTI AFRICANI TRUCIDANO PRETI E CRISTIANI
Dall’inizio dell’anno sono più di un centinaio i fedeli uccisi in Africa in differenti agguati, tra cui undici sacerdoti (17 nel mondo in totale). I recenti casi avvenuti in Congo, Uganda, Burkina Faso, Eritrea non fanno altro che confermare la persecuzione indirizzata soprattutto contro i cristiani e ormai gravissima nei paesi del Sahel come evidenziato nell’ultimo reportage di Gospa News sulle stragi compiute dai musulmani estremisti dei Fulani o degli ormai sempre più diffusi gruppi dell’Isis. come Ansar ul islam, che secondo fonti dell’intelligence sono proliferati grazie ai capi dello Stato Islamico deportati in Nigeria ed in altri paesi africani dall’esercito Usa che li aveva catturati in Iraq e Siria.
Appare evidente uUn piano di destabilizzazione del continente nero finalizzato ad un più agevole sfruttamento delle risorse naturali del sottosuolo di cui è ricchissimo come petrolio, diamanti, oro. Una strategia che consente ai mondialisti sionisti-massonici dell’alta finanza di raggiungere due obiettivi: far proliferare il mercato delle armi e distruggere la cultura cristiana che è portatrice di un messaggio di amore universale e perciò contrario ad ogni lucrosa guerra.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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