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GIUSTIZIA SFATTA: BOSS DELLA ‘NDRANGHETA LIBERO. TOLTO IL CARCERE DURO A CARMINATI

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Il boss della Cosca Paviglianiti
scarcerato per cavilli giuridici
L’ex terrorista graziato dalla Cassazione
nel processo su Mafia Capitale
La Consulta boccia il regime 41 bis
I pm: “ora i mafiosi possono far festa”

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio 

AGGIORNAMENTO DEL 22 APRILE 2021

I giudici della Corte d’appello di Roma si sono riservati la decisione sulla rideterminazione della durata della misura di prevenzione della libertà vigilata per Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, principali imputati del processo Mondo di Mezzo-Mafia Capitale. All’attenzione della Corte di seconda istanza il procedimento è arrivato dopo un annullamento con rinvio da parte della Cassazione. Carminati – si ricorda – il 9 marzo scorso è stato condannato a 10 anni. Buzzi ha invece avuto 12 anni e 10 mesi. Per entrambe i soggetti la Suprema corte ha disposto il ricalcolo della durata dell’obbligo di soggiorno nel Comune di Roma.

Dieci anni di reclusione per l’ex militante dei Nar Massimo Carminati e 12 anni e 10 mesi all’ex capo delle cooperative Salvatore Buzzi. E’ l’esito del processo d’appello bis al ‘Mondo di Mezzo’, disposto dalla Cassazione solo per la rideterminazione delle pene per venti imputati, a seguito della sentenza del 22 ottobre del 2019, che faceva definitivamente cadere il reato di mafia.

Massimo Carminati e Salvatore Buzzi

“Con questa sentenza il mio assistito è sotto il limite che consente una misura alternativa e quindi potrebbe non tornare più in carcere”, è quanto ha affermato Cesare Placanica, difensore di Carminati. L’ex militante dei Nar, arrestato nel dicembre del 2014, ha già trascorso 5 anni e 7 mesi di carcere preventivo. Per Buzzi, invece, “è stata una condanna molto più dura di quanto ci aspettassimo, perchè la corte ha considerato più grave il reato di associazione a delinquere semplice – ha dichiarato -. Il pg aveva chiesto 12 anni e 8 mesi e venti giorni di reclusione. Faremo ricorso nuovamente in Cassazione. Comunque meglio dei 18 anni della volta scorsa”.

 

ARTICOLO DEL 26 OTTOBRE 2019

Nella settimana in cui i giudici della Corte Costituzionale, un terzo dei quali (5 su 15) nominati dai presidenti della Repubblica Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, hanno bocciato come incostituzionale l’ergastolo ostativo 41 bis spalancando così virtualmente le porte ai permessi premio per i sanguinari super-boss mai pentiti, l’Italia si conferma per l’ennesima volta la Repubblica delle Banane o, forse, ancora peggio, il paese dove politica, massoneria e mafia vanno a braccetto per continuare a derubare i poveri contribuenti italiani dietro lo scudo del crimine organizzato.

MALA-GIUSTIZIA, FEDE ARRESTATO A 89 ANNI, VERI CRIMINALI LIBERI: Carminati a casa, Mesina fuggiasco

Domenico Paviglianiti (1961), definito dalla stampa tra gli anni ’80 e ’90 come il “boss dei boss” della ‘Ndrangheta, coinvolto in molteplici omicidi, appartenente all’omonima famiglia più volte bersagliata da inchieste giudiziarie anche negli ultimi cinque anni, avrebbe dovuto scontare 168 anni di carcere per la somma algebrica di 8 sentenze di condanna, ma nei giorni scorsi ha potuto tornare in libertà dopo aver trascorso solo 23 primavere dietro le sbarre.

La sua storia, rivelata in anteprima dal Corriere, è emblematica nel dimostrare come il Bel Paese sia un’isola felice per mafiosi e terroristi per i quali la “giusta pena” scivola via nei fangosi rivoli dei cavilli tecnico-giudirici di una giustizia sempre più incline ad essere clemente nei confronti dei più malvagi e protervi criminali.

 

GRAZIATO CARMINATI: “MAFIA CAPITALE NON E’ MAFIOSA”

Pochi giorni orsono uno dei peggiori terroristi e delinquenti della storia della Repubblica Italiana, Massimo Carminati (classe 1958), ha ottenuto un’interpretazione favorevole dei suoi crimini da parte della Corte di Cassazione che ha cancellato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso dalla condanna inflitta a lui ed al suo complice Salvatore Buzzi per la cosiddetta Mafia Capitale.

MAFIA CAPITALE, BAOBAB & MIGRANTI

Si tratta del procedimento giudiairio per le infiltrazioni mafiose nel tessuto imprenditoriale, politico ed istituzionale di Roma, attraverso un sistema corruttivo finalizzato ad ottenere l’assegnazione di appalti e finanziamenti comunali, con interessi anche nella gestione dei centri di accoglienza degli immigrati e nel finanziamento di cene e campagne elettorali di autorevoli amministratori pubblici.

Tre immagini di Massimo Carminati da ieri a oggi

In conseguenza della decisione dei giudici ermellini si è appreso ieri da fonti del Ministero di Giustizia che è stato revocato il regime 41 bis del cosiddetto “carcere duro” allo stesso Carminati: il ministro Alfonso Bonafede ha firmato il decreto dopo il parere positivo della Dda di Roma e della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo,

Ciò è avvenuto nonostante il milanese Carminati sia un inveterato delinquente, ex attivista politico italiano di estrema destra, esponente del gruppo eversivo d’ispirazione neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar) e successivamente legato all’organizzazione malavitosa romana denominata Banda della Magliana.

Ha collezionato varie condanne per rapina fino alla sentenza più pesante per traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, riciclaggio, omicidio, rapina e soprattutto associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito del clan malavitoso della Magliana. Il pm al processo iniziato a Roma nel 1995 chiese 25 anni di condanna, fu condannato a 10 ridotti a 6 in Appello e nel 2006 ottenne la revoca della libertà vigilata.

 

ASSALTO AL CAVEAU DEL TRIBUNALE PER RICATTARE I GIUDICI

Nell’aprile 2005 il Tribunale di Perugia, però, condanna Carminati a quattro anni di reclusione per un furto avvenuto a Roma il 17 luglio del 1999 ai danni del caveau della Banca di Roma che si trovava all’interno al Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio. Considerato la mente di tutta l’operazione, assieme ad una banda composta da circa 23 persone compresi i complici interni, riuscì a trafugare da 147 cassette di sicurezza di “proprietà” di dipendenti del palazzo 50 miliardi di lire in oro e gioielli, oltre a diversi documenti riservati appartenenti a giudici e pubblici ministeri che sarebbero serviti per ricattare alcuni magistrati.

Nell’aprile 2010 la Cassazione conferma la condanna a 4 anni ma nel maggio del 2010 il procuratore generale di Perugia dispone la sospensione dell’esecuzione della pena. Tre mesi dopo arriva l’indulto per i reati antecedenti il 2006 che consente al condannato di ottenere l’affidamento in prova fino al’estinzione della pena nel gennaio 2011.

Uno degli articoli dell’epoca sul clamoroso assalto al caveau della Banca di Roma nel Palazzo di Giustizia

Ma il lupo perde il pelo – oltrechè l’occhio sinistro perso in un conflitto a fuoco di gioventù – ma non il vizio. Il 2 dicembre 2014 viene arrestato dai Carabinieri del ROS insieme ad altre trentasei persone (tra cui Salvatore Buzzi, ritenuto suo braccio destro) con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione aggravata, trasferimento fraudolento di valori, corruzione, turbativa d’asta, false fatturazioni nell’ambito dell’inchiesta Mondo di Mezzo della procura di Roma, ribatezzata dai giornali Mafia Capitale.

Il 27 aprile 2017 i sostituti procuratori della procura di Roma chiedono la sua condanna a 28 anni di carcere in quanto ritengono l’ex NAR il capo e l’organizzatore dell’associazione mafiosa. A luglio viene condannato a 20 anni di reclusione dal tribunale ordinario di Roma per associazione a delinquere. L’11 settembre 2018 la terza sezione della Corte d’Appello di Roma ripristina il disposto dell’art. 416 bis c.p., riconoscendo la sussistenza del “metodo mafioso”.

La Corte d’Appello di Roma condanna Buzzi e Carminati a 18 anni e 4 mesi di reclusione per il primo e 14 anni e 6 mesi per il secondo. Pochi giorni fa, il 22 ottobre 2019, però, la Corte di Cassazione, non riconosce l’aggravante del “metodo mafioso”, annullando il 416 bis c.p. senza ulteriori rinvii, ma stabilendo che sia celebrato un nuovo processo in Corte di appello, solo per la rimodulazione delle pene, in base alla nuova sentenza.

Per l’ennesima volta, quindi, un criminale incallito come Carminati si ritroverà presto a beneficiare di un sensibile sconto della pena che potrebbe farlo uscire dalla cella in tempi brevissimi avendo già scontato 5 anni di carcerazione preventiva. Intanto la decadenza dell’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso  gli ha già regalato subito la fine del carcere duro…

 

LIBERO IL BOSS DELLA ‘NDRANGHETA CONDANNATO A 168 ANNI

Cavilli giuridici ancor più tecnici tanto da apparire assurdi hanno consentito, nei giorni scorsi, di tornare in libertà al boss della ‘Ndrangheta della famiglia Paviglianiti, una cosca dominante nei comuni di S. Lorenzo, Bagaladi e Condofuri in quello che la Direzione Investigativa Antimafia, nell’ultimo rapporto semestrale 2018, ritiene il Mandamento Centro della provincia di Reggio Calabria.

A spalancare a Domenico Paviglianiti le porte del carcere è stata una disomogeneità tra la legislazione iberica e quella italiana. Il boss latitante fu infatti arrestato nel 1996 in Spagna ed estradato in Italia nel 1999 ma solo a condizione che non fosse sottoposto alla pena dell’ergastolo previsto per i mafiosi dall’articolo 41bis, la legge sul carcere duro risalente agli Anni di Piombo del terrorismo delle Brigate Rosse inasprita, con l’isolamento per i detenuti mafiosi, dopo la strage di Capaci (23 maggio 1992) in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta.

Il super boss della ‘Ndrangheta Domenico Paviglianiti oggi e vent’anni fa quando fu arrestato

Come spiega il Corriere «L’ergastolo, maturato nel 2002 in base alla norma che lo fa discendere da due condanne superiori ciascuna a 24 anni (e lui, su 8 sentenze, ne aveva quattro a 30 anni per altrettanti omicidi), gli era stato annullato due mesi fa perché l’Italia nel 2002 non aveva rispettato la parola data alla Spagna nel 1999 e 2006 che il superlatitante, là catturato nel 1996, qui non sarebbe stato sottoposto al carcere a vita, all’epoca non contemplato della legislazione iberica».

«Caduto l’ergastolo, i 168 anni di somma aritmetica di otto sentenze di condanna erano stati assorbiti, a norma di legge, nel tetto massimo ammesso in Italia da scontare in cella, 30 anni. Ma a questo punto, oltre a 3 anni e mezzo «fungibili» ad altro titolo, gli avvocati Mirna Raschi e Marina Silvia Mori avevano fatto valere anche la detrazione di 3 anni per un indulto, e di oltre 5 anni (1.815 giorni) di «liberazione anticipata» (45 giorni per legge ogni 6 mesi espiati): sicché Paviglianiti, dopo 23 anni di cella, a febbraio 2019 risultava aver già raggiunto e anzi superato il tetto massimo dei 30 anni. E il 4 agosto il gip aveva dovuto ordinarne «l’immediata scarcerazione».

La sua libertà era durata solo 24 ore: il tempo necessario perché la Procura di Bologna si opponesse al provvedimento in virtù di un conteggio diverso da quello della Procura Generale di Reggio Calabria del 2002. Secondo il nuovo calcolo il fine pena per Paviglianiti non sarebbe terminato all’11 febbraio 2019, ma al 24 gennaio 2027, in riferimento ad una condanna del 2005 a 17 anni per associazione mafiosa a Reggio Calabria.

Ma i suoi legali hanno fatto ricorso per dimostrare che tale pena era già conteggiata nei 168 anni di reclusione. Ed il Gip ha ritenuto fondata la contestazione concedendo la libertà al boss della ‘Ndrangheta dopo soli 23 anni di carcere, a fronte di un ergastolo cui sarebbe stato condannato se fosse stato arrestato in Italia e non ci fosse stata l’estradizione dalla Spagna.

 

LA COSCA REGGINA DEI PAVIGLIANITI

Ora potrà quindi tornare in Calabria, se lo vorrà, e riavvicinarsi ai suoi familiari che negli ultimi anni si sono dati un gran da fare come riassume in modo sintetico anche Wikipedia: «Il 18 dicembre 2014 si conclude l’operazione Ultima Spiaggia che porta all’arresto di 52 persone per associazione mafiosa, estorsione, corruzione e traffico di droga. Il 27 ottobre 2016 si conclude un’operazione Nexum dei Carabinieri che porta all’arresto di 5 persone, presunte affiliate ai Paviglianiti».

Alcuni degli esponenti della Cosca Paviglianiti arrestati dai Carabinieri nell’operazione Ultima Spiaggia

Ed ancora: «Il 7 dicembre 2016 si conclude l’operazione Ecosistema che porta all’arresto di 14 persone, tra cui il sindaco di Bova Marina Vincenzo Crupi, il vicesindanco Giuseppe Benavoli e l’assessore all’ambiente Alfredo Zappia di Brancaleone e due imprenditori nel settore dei rifiuti. Già arrestati in un’altra operazione Angelo e Natale Paviglianiti. Sono accusati di vari reati tra cui corruzione e turbativa d’asta e di aver agito con modalità mafiose favorendo le ‘ndrine degli Iamonte e dei Paviglianiti».

«Il 12 luglio 2018 si conclude l’operazione Via col vento che porta all’arresto di 13 persone presunte sodali delle ‘ndrine Paviglianiti, Mancuso, Anello e Trapasso che volevano infiltrarsi negli appalti di costruzione dei parchi eolici delle province di Reggio Calabria, Crotone, Vibo Valentia e Catanzaro e accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione e illecita concorrenza. Tra gli arrestati anche il sindaco di Cortale (CZ)» rileva sempre Wikipedia citando tutte le autorevoli fonti.

«La spiccata capacità di inquinamento dell’economia legale da parte di questi gruppi è emersa, nello scorso mese di luglio, nell’ambito dell’operazione “Via col vento”, eseguita dai Carabinieri con la cattura di 13 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, illecita concorrenza con violenza o minaccia e danneggiamento, aggravati dal metodo mafioso, e induzione indebita a dare o promettere utilità» scrive invece la Direzione Investigativa Antimafia (task-force di investigatori di Polizia, Finanza e Carabinieri) nella relazione al Parlamento del II semestre 2018.

Alcuni agenti della Direzione INvestigativa Antimafia, il gruppo interforze che raggruppa Polizia, Carabinieri, Finanza e Polizia Penitenziaria

«L’indagine, avviata nel 2012, ha documentato una sistematica infiltrazione, da parte dai sopracitati Paviglianiti, ma anche dei Mancuso di Limbadi (VV), dei Trapasso di Cutro (KR) e degli Anello di Filadelfia (VV), nel complesso delle opere necessarie alla realizzazione dei parchi eolici nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Crotone e Vibo Valentia, esercitando un condizionamento anche attraverso attività di natura estorsiva, per cui le imprese appaltatrici non colluse si vedevano costrette a corrispondere alle cosche una percentuale sull’importo delle opere da realizzare – aggiungono gli inquirenti della DIA – Nel medesimo contesto operativo è stato eseguito un sequestro preventivo di 6 società riconducibili agli indagati (una delle quali con sede nella provincia di Reggio Calabria) con relativi patrimoni aziendali, quote sociali e conti correnti, per un valore complessivo stimato in circa 42 milioni di euro».

Ovviamente nulla di tutto ciò è penalmente ascrivibile al boss Domenico perché in quel periodo lui era in carcere a San Vittore a Milano. Quel che succederà da domani lo scopriremo poi. In una sola settimana di ordinaria giustizia emergono però tre sconcertanti certezze nella lotta alle mafie che fetano di malagiustizia…

 

PER LA POLITICA LA LOTTA ALLA MAFIA NON E’ PRIORITA’

I mafiosi non pentiti condannati all’ergastolo ostativo per omicidi plurimi o altri gravissimi crimini potranno beneficiare dei permessi premio perché la Corte Costituzionale ritiene incostituzionale la norma sul 41bis sposando la visione della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo che si è espressa sul caso specifico dell’ergastolano Marcello Viola (ritenuto tra i boss della ‘Ndrangheta rei della faida di Taurianova) ma già lo scorso anno era intervenuta in difesa del capo dei capi di Cosa Nostra Bernando Provenzano ritenendo lo stato di salute di un sanguinario assassino incompatibile col carcere duro.

GUAI A CHI TOCCA PROVENZANO E MAOMETTO

Nella stessa settimana l’ex terrorista e malavitoso recidivo Massimo Carminati non è punibile per associazione di stampo mafioso secondo i giudici clementi della Cassazione: i quali hanno sconfessato le sentenze dei loro colleghi della Corte d’Appello, secondo una moda tristemente nota in Italia.

Infine un boss calabrese condannato per vari omicidi di stampo mafioso si è visto graziare 145 anni di carcere sui 168 a cui era stato condannato, in un momento storico in cui, come vedremo in un prossimo reportage, la ‘Ndrangheta sta avvinghiando con i suoi tentacoli non solo il Nord Italia ma anche tutta l’Europa, il Canada e l’America Latina, dove persino Cosa Nostra per fare affari coi Narcos sudamericani deve farsi raccomandare da qualche Mammasantissima calabrese…

Proprio come durante le stragi di Capaci e Via d’Amelio, in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il Governo ed i politici italiani sembrano avere altre priorità che paiono però nel segno della continuità…

Basti pensare alle dichiarazioni fatte dall’ex premier Giuliano Amato (presidente Consiglio dei Ministri dal 1992 al 1993) durante il processo per la cosiddetta Trattativa Stato-Mafia in cui fu chiamato a deporre anche l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al centro della polemica per l’intercettazione telefonica con l’ex ministro Nicola Mancino distrutta per segretezza di Stato.

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 12 settembre 2013 nominò Giuliano Amato giudice della Corte Costituzionale

«Nel momento della formazione del Governo – ammette Amato a verbale come riportato da Il Tempo nel 2015 – nonostante fosse così vicina la strage di Capaci, dedicammo alla lotta alla mafia meno attenzione che ad altri temi» perché «disponevamo già di un pacchetto di norme inserite in un decreto legge varato dal precedente governo che contenevano tra l’altro l’inasprimento del 41bis, i colloqui investigativi ed altro».

https://www.gospanews.net/2019/07/21/mafia-appalti-poteri-occulti-falcone-e-borsellino-uccisi-per-linformativa-caronte/

Tra i giudici della Consulta che hanno bocciato l’ergastolo ostativo ai permessi premio per i super-boss, previsto dal 41 bis, c’è lo stesso Amato, nominato nella Corte Costituzionale il 12 settembre 2013 dal presidente Napolitano.

«I mafiosi tireranno un bel sospiro di sollievo – ha commentato il Capo della Procura antimafia di Catanzaro, Nicola Gratteri – è passata l’idea che puoi commettere qualunque crimine, anche il più abietto, poi alla fine esci di galera».

DEPISTAGGIO SULL’ATTENTATO A BORSELLINO: INDAGATI DUE PM DEL POOL

Ancor più duro il commento di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo ucciso dalla mafia nell’attentato di via D’Amelio: «Un regalo che neanche l’Italia aveva mai fatto alla mafia. Era una richiesta che la mafia aveva fatto col papello (il presunto accordo della mafia stragista – ndr) ma non era riuscita ad ottenerla, ora ci sono riusciti con l’Europa. Falcone e Borsellino hanno fortemente voluto il carcere a vita per i mafiosi perché conoscevano bene la criminalità organizzata e i suoi meccanismi».

MASSONERIA E GRANDI DELITTI: DAL GIUDICE AL PRESIDENTE USA

«Queste erano le aspettative degli stragisti – ha ricordato il magistrato Nino Di Matteo, di recente estromesso dal pool nazionale antimafia ma eletto dai colleghi quale consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura – ribadisco quanto ho già avuto modo di dire in questi giorni e cioé che le bombe servivano per raggiungere, tra gli altri, anche questo scopo». Ventisette anni dopo, grazie a Bruxelles e Roma, ci sono riusciti!

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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