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Libano-Iraq: i capi religiosi cristiani benedicono i golpe CANVAS di USA-CIA, Sionisti e Sunniti

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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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«Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. (…) Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo dunque dovete pagare i tributi, perché quelli che sono dediti a questo compito sono funzionari di Dio. Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto, il rispetto».

E’ evidente che i capi religiosi cristiani dei Maroniti del Libano e quelli dei Caldei dell’Iraq si sono completamente dimenticati della XIII lettera ai Romani scritta dall’apostolo San Paolo in un periodo in cui l’oppressione delle centurie imperiali in Palestina era certamente ben peggiore di quella dei governi libanesi ed iracheni oggi. Già il messia Gesù Cristo sancì senza spazio ad obiezioni “date a Cesare quel che è di Cesare”, in un momento in cui le tasse affamavano la popolazione ben più di ora; e, in ossequio ad una logica di sacrificio e sopportazione che è l’anima del Vangelo, prese le distanze dagli Zeloti che invocavano la rivoluzione.

Trovano invece ampio risalto sull’agenzia di stampa FIDES delle Pontificie Opere Missionarie i proclami dei vescovi maroniti e caldei a favore delle insurrezioni popolari che le guide spirituali degli Islamici Sciiti ritengono invece fomentate da potenze straniere per una totale estromissione degli stessi Sciiti, appoggiati dall’Iran, dai centri di potere politico nei rispettivi paesi, da dove saebbero già spariti se non avessero avuto il sostegno di Teheran.

 

IL SOSTEGNO DEI CAPI CRISTIANI ALLE RIVOLUZIONI

E’ a dir poco sconcertante che le autorità religiose che si definiscono cristiane diano il loro totale appoggio a proteste di piazza perpetrate con molotov e barricate indendiarie che stanno causando feriti, morti soprattutto in Iraq dove mercoledì scorso è stato sparato persino un missile katiusha contro la Green Zone di Baghdad uccidendo un militare della Security Force irachena.

Ma non lo è più di tanto se si ricorda che nei giorni scorsi tutti i capi religiosi della Turchia, cristiani compresi, si sono riuniti nel monastero di Mardin per pregare per i soldati dell’esercito turco ed ascoltare il messaggio del dittatore islamico Recep Tayyip Erdogan che attraverso l’operazione Peace Spring sta portando avanti un genocidio contro i nemici Curdi, nonostante varie tregue sottoscritte e ripetutamente violate da Ankara e dai suoi mercenari jihadisti.

I patriarchi iracheni cristiani caldei che hanno appoggiato la rivoluzione

I patriarchi maroniti libanesi rendono omaggio “al popolo che ha manifestato la sua unità” e chiedono di “abbracciare e proteggere la legittima rivolta dei nostri figli”, sottolineando l’urgenza “che il potere e il governo diano risposta alle loro richieste nazionali”.

Mentre, come riporta sempre Fides, «i rappresentanti delle diverse compagini ecclesiali irachene hanno dichiarato di condividere le richieste di chi manifesta pacificamente il proprio malcontento sociale, e hanno ringraziato soprattutto i giovani che nell’esprimere le loro protesta verso la leadership politica nazionale, hanno anche “rotto le barriere settarie, hanno affermato l’unità nazionale irachena ed hanno chiesto che l’Iraq diventi una patria per tutti”, fondata sul riconoscimento della sua identità plurale».

Pare davvero difficile credere che i capi religiosi non sappiano chi c’è dietro a queste insurrezioni che non sono improvvise ma cicliche e rappresentano la stessa sceneggiatura messa in atto dai golpisti della triplice alleanza tra americani, sionisti e islamici sunniti tanto in Siria quanto in Ucraina, per citare solo due dei conflitti più cruenti.

 

I GOLPE DEL PUGNO CHIUSO DI CANVAS

Le prove si trovano sbandierate senza nemmeno un po’ di vergogna sul sito di Canvas, il Center for Applied NonViolent Action and Strategies che sotto il paravento delle proteste pacifiche getta benzina sul fuoco del malcontento sociale nelle nazioni sostenute da governi ritenuti nemici dagli Usa, facendo divampare rivolte abilmente pilotate da hacker lautamente retribuiti da associazioni che spuntano come funghi grazie alle cascate di dollari versati dalle varie fondazioni americane per l’esportazione della democrazia.

Il mosaico delle azioni internazionali di regime-change è così complesso e fluido che diventa possibile solo analizzare poche tessere a conferma di una strategia internazionale della tensione di cui si vantano gli stessi attivisti di Canvas mettendo in risalto le operazioni riuscite, ma non quelle fallite, e fornendo un resoconto settimanale sui tumulti da loro stessi organizzati.

I leader di Canvas Srdia Popovic e Slobodan Djinovic

Canvas può contare su centri operativi ramificati in molteplici parti del mondo ma ha la sede principale a Belgrado in quanto è l’invenzione dei due serbi Srdia Popovic e Slobodan Djinovic che dopo aver lanciato la rivoluzione Otpor (resistenza) per la destituzione di Slobodan Milosevic, nello stesso momento in cui CIA e Arabia Saudita stavano finanziando la nascita del Califfato d’Europa in Bosnia come descritto in un precedente reportage da Gospa News, prima di dedicarsi alla Rivoluzione delle Rose in Georgia (2003), alla Rivoluzione dei Cedri in Libano (2005) ed alla Rivoluzione Arancione in Ucraina “Pora” (E’ l’ora!)-

Le rivoluzioni vincenti di Canvas celebrate sul loro stesso sito

Lì, in sfregio ad ogni spirito di non violenza, non esitarono ad allearsi alle milizie neonaziste per portare a termine il golpe contro il presidente Viktor Janukovyc culminato nella strage di piazza Euromaidan che causò la morte di 70 manfestanti e 17 agenti della polizia sotto il fuoco di alcuni cecchini mercenari che un’inchiesta giornalistica svelò essere guarda caso proprio georgiani…

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Nello stesso sito di Canvas si fa esplicito riferimento all’impegno ancora attivo in Venezuela ma anche e soprattutto in Siria: sono stati i sedicenti non-violenti dell’organizzazione di Belgrado a seminare i germi della rivoluzione contro Bashar Al Assad gettando così le basi per il supporto militare americano all’Esercito Siriano Libero (Esil o Fsa in inglese) e dando compimento al progetto CIA già previsto nel 1983, come dimostrato da un documento svelato da Gospa News, contro Hazis Al Assad, padre di Bashar.

https://www.gospanews.net/2019/09/17/cia-x-file-la-guerra-usa-in-siria-pianificata-dal-1983/

LE AGENZIE USA A SOSTEGNO DEI GOLPISTI

«Quando gli Stati Uniti volevano rovesciare un governo, lo facevano fare segretamente alla Central Intelligence Agency (CIA), particolarmente quando questi governi erano stati democraticamente eletti, come Iran (1953), Guatemala (1954), Cile (1973), Nicaragua (1980), Haiti (2006), Honduras (2009), Ucraina (2013) e Siria (2011) – scrive l’opinionista internazionale britannico Davide William Pear – Nel corso degli ultimi decenni, gli Stati Uniti sono diventati più sfrontati nei loro progetti di regime change. Quel che di solito si faceva in segreto, attualmente viene praticato senza complessi sotto gli occhi di tutti. Il progetto di regime change in Venezuela del 2017 è oramai diventato di pubblico dominio».

Le operazioni di Canvas in essere come risulta dal loro stesso sito

«Gli Stati Uniti hanno perfezionato le loro tecniche di regime-change, camuffandole in promozione della democrazia, che finanzia la sovversione attraverso l’Agenzia per lo Sviluppo internazionale (USAID), il Servizio di Informazioni degli Stati Uniti (USIS) e il National Endowment for Democracy (NED) finanziato dal Congresso, l’International Republican Institute (IRI) e altre organizzazioni non governative selezionate» aggiunge Pear.

Se oggi Siria, Libano ed Iraq sono ancora nel mirino degli Usa è solo per la triplice alleanza tra Washington, Tel Aviv e Riad che vede i massoni americani alleati dei musulmani Sunniti (Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) e Fratelli Musulmani (Turchia, Qatar) e con i sionisti di Israele nel progetto di distruzione non solo dell’Iran ma della stessa etnia religiosa Sciita che detiene il potere nei tre paesi oggi al centro degli scontri.

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In Libano la Rivoluzione dei Cedri, dopo molti anni e difficoltà. partorì un governo multireligioso di pacifica convivenza il partito Movimento Patriottico Libero (MPL) del cristiano maronita Michel Aoun, Presidente della Repubblica dal 2016, la coalizione “8 marzo” costituita con gli schieramenti sciiti di Amal di Nabih Berri e di Hezbollah guidato da Hassan Nasrallah, e lo schieramento musulmano sunnita Movimento Il Futuro di Sa’ad al Hariri, fondato da suo padre ucciso nell’attentato di un’autobomba. Le insistenti proteste con i blocchi della autostrade hanno indotto il premier sunnita a dimettersi creando una crisi di governo che non sarà facile sanare.

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Come anticipato richiederebbe una ricerca enorme sviscerare ogni singola connessione pertanto, a riprova dell’attività di golpisti professionisti di Canvas, ci limitiamo a narrare proprio il caso del Libano grazie ad un dettagliatissimo articolo dell’analista canadese Ahmed Bensaada pubblicato in tempi non sospetti, nel 2015, sul sito italiano di geopolitica Osservatorio Internazionale per i Diritti presideduto dall’avvocato ed ex magistrato Nicola Quatrano.

RIVOLUZIONE DEI CEDRI E DELLA MONNEZZA

L’inchiesta analizza la Rivoluzione dei Cedri ma si focalizza anche sulla fallita Rivoluzione della Monnezza. «La serie di manifestazioni che si sono svolte in Libano durante l’estate 2015 è stata chiamata da qualcuno “crisi dei rifiuti”, rivoluzione della “monnezza” o della “spazzatura” da altri. E’ nata a causa di un problema nella raccolta e nella gestione della spazzatura, ma le rivendicazioni dei manifestanti si sono rapidamente allargate e hanno preso di mira il governo, denunciando la corruzione e l’inerzia dello Stato – scrive Bensaada – Il collettivo civico creato nel corso delle manifestazioni ha preso il nome di “Voi puzzate!” (Tal3at Rihatkom, in arabo). Nome breve e che colpisce, ricorda perfettamente il protocollo raccomandato da CANVAS. Si iscrive nella stessa linea di “Otpor” serba (Resistenza), ”Kmara” georgiana (E’ abbastanza!) o “Pora” ucraina (E’ ora!)».

«Il dissidente che rappresenta il trait d’union tra la rivoluzione del Cedro e quella della “spazzatura” è sicuramente Michel Elefteriades, una sorta di “anello mancante” del Libano rivoluzionario colorato. Dieci anni dopo, colui che fu in stretto contatto con gli specialisti della resistenza non violenta di CANVAS ritorna alla ribalta della contestazione popolare» aggiunge l’analista canadese facendo riferimento al musicista, produttore e uomo d’affari greco-libanese che fu tra i registi di entrambe le insurrezioni ma anche il fondatore di “Harakat El Girfanine” (il movimento dei disgustati”).

In esso si fondono due segni distintivi palesi dei progetti CANVAS: il logo del movimento con il pugno chiuso di Otpor ed il nome che ricorda quello dei cyber dissidenti sudanesi “Grifna” (ci siamo disgustati).

Michel Elefteriades ed il suo Movimento dei Disgustati con il pugno chiuso di Otpor-Canvas

«Benché le molteplici rivendicazioni del movimento “Voi puzzate!” esprimano una reale esasperazione del popolo libanese, bisogna ammettere che le inestricabili relazioni tra i leader della rivoluzione della “spazzatura” e le varie organizzazioni statunitensi di “esportazione” della democrazia non sono irrilevanti – evidenzia Bensaada – Tali connivenze latenti sono il risultato di un lavoro di fondo che ha preceduto la rivoluzione del Cedro, che è proseguito fino ai giorni nostri e che proseguirà certamente in futuro. La “primavera” araba ne è la perfetta illustrazione».

«Tanto più se si pensi che il Libano è un paese chiave nell’equazione mediorientale a cagione della sua vicinanza a Israele, le sue relazioni geopolitiche con l’esangue Siria e la presenza di un elemento di forte irritazione per gli Occidentali: Hezbollah» rilette dopo quattro anni le parole dell’analista di origini arabe appaiono profetiche.

«Sia CANVAS che i vari movimenti dissidenti dei paesi dell’est o delle ex Repubbliche sovietiche hanno beneficiato dell’aiuto di numerose organizzazioni statunitensi di “esportazione” della democrazia, come l’USAID (United States Agency for International Development), la NED (National Endowment for Democracy), l’IRI (International Republican Institute), il NDI (National Democratic Institute for International Affairs), Freedom House e l’OSI (Open Society Institute)» prosegue l’analisi di Bensaad che poi spiega la dinamica dei contributi.

Il plutarca George Soros

«Queste organizzazioni vengono finanziate dal bilancio USA o da capitali privati statunitensi. Per esempio, la NED riceve stanziamenti votati dal Congresso e i fondi vengono gestiti da un Consiglio di amministrazione nel quale sono rappresentati il Partito Repubblicano, il Partito Democratico, la Camera di Commercio degli Stati Uniti e il sindacato USA American Federation of Labour-Congress of Industrial Organization (AFL-CIO), mentre l’OSI è legata alla Fondazione Soros, dal nome del fondatore, George Soros, il miliardario statunitense, illustre speculatore finanziario».

 

GLI ATTIVISTI LIBANESI ADDESTRATI DA CANVAS

Nell’articolo si dimostra che queste stesse organizzazioni hanno aiutato, formato e messo in rete i cyber-dissidenti arabi, protagonisti della famosa “primavera” che ha sovvertito i loro paesi. «Si rilevano peraltro le “impronte” di queste organizzazioni negli avvenimenti di Teheran (Rivoluzione verde, 2009) (5), dell’Euromaidan (Ucraina, 2013-2014) (6) e, più recentemente, a Hong Kong (Rivoluzione degli ombrelli, 2014) – aggiunge Bensaada – Secondo qualcuno, il più grande successo di CANVAS nella regione MENA (Middle East and North Africa) è stato certamente il Libano (Rivoluzione del Cedro, 2005) e il fallimento peggiore l’Iran. Ciò che spiega perché Popovic abbia fieramente menzionato il Libano come un trofeo del suo carniere “rivoluzionario” e non abbia fiatato sull’Iran».

Il giornalista Sharmine Narwani ha riferito che Gebran Tueni, direttore del giornale An-Nahar, era in contatto con Frances Abouzeid, direttrice di Freedom House ad Ammam (Giordania) e su suo consiglio ha invitato i formatori di CANVAS a Beirut.

«E’ importante sottolineare che Freedom House è il più importante finanziatore del centro di formazione serbo. I serbi di CANVAS hanno formato gli attivisti libanesi nei locali del giornale An-Nahar. Ivan Marovic, cofondatore di CANVAS, ha personalmente tenuto dei corsi di formazione alla resistenza non violenta» precisa l’analista canadese.

Ma per comprendere a meglio il quadrante del Medio Oriente bisogna fare riferimento anche tre dei principali protagonisti della Rivoluzione del Cedro: «La cellula decisionale comprendeva un nocciolo duro di attivisti formato da tre amici: Eli Khoury, un esperto di comunicazione e marketing che lavora per Quantum e Saatchi & Saatchi, Samir Kassir, un saggista che dirige il Movimento della sinistra democratica (MGD), fondato nel settembre 2004 e il giornalista Samir Frangieh». Kassir fu assassinato nel 2005 durante le proteste.

 

IL RIVOLUZIONARIO LIBANESE AMICO DI SIONISTI, SUNNITI E SOROS

Nei giorni scorsi la rubrica geopolitica InsideOver de Il Giornale ha pubblicato un’intervista a Khoury senza peraltro minimamente accennare alla sua sfolgorante carriera da New York a Dubai a soli 55 anni, Dopo la laurea nell’American University di Beirut comincia a lavorare per BBDO, una società del gruppo pubblicitario mondiale statunitense Omincom Group per il quale segue campagne pubblicitarie a New York, Los Angeles e Londra. Nel 2001 si trasferisce a Dubai dove fonda l’agenzia di stampa OMD (Optimum Media Direction) come costola della holding.

Proprio all’indomani della Rivoluzione dei Cedri in Libano costituisce nella città degli Emirati Arabi Uniti la filiale regionale Omnicom Media Group MENA (Medio Oriente e Nord Africa) di cui diviene prima direttore e poi CEO nel 2010. La sua ascesa nel panorama dei media arabi è contestuale alle sue frequentazioni esclusive nei salotti americani del cosiddetto Deep International State.

Elie Khoury, protagonista della Rivoluzione dei Cedri in Libano ed oggi Ceo della holding mediatica Omnicom Group Mena con sede a Dubai negli Emirati Arabi Uniti

«Si ritrova il nome di Eli Khouri nella lista degli invitati ad una conferenza internazionale su “Democrazia e sicurezza”, tenuta a Praga (Repubblica Ceca) dal 5 al 6 giugno 2007. Un incontro che ha visto insieme molte celebrità nel campo della dissidenza, dello spionaggio, della politica e dell’accademia – rivela sempre Bensaada – Nel corso della conferenza, Khoury ha avuto anche occasione di intrattenersi con l’attivista egiziano Saad Eddin Ibrahim, col dissidente sovietico (attualmente israeliano), anticomunista e sionista, Natan Sharansky e con l’oppositore russo Garri Kasparov».

«Ma quel che colpisce in questa lista, è il gran numero di partecipanti di primo piano provenienti da Israele; tra essi, l’ambasciatore israeliano nella Repubblica Ceca, Arie Arazi, e il suo omologo ceco, Michael Zantovsky, il responsabile economico dell’ambasciata israeliana negli Stati Uniti, Ron Dermer, oltre a molti universitari israeliani. E tuttavia il clou della conferenza si è avuto, indubbiamente, con la presenza del presidente G.W.Bush, che ha approfittato dell’occasione per fare un discorso sulla libertà, la democrazia e l’attivismo politico».

Facendo un salto geografico è bene ricordare, come evidenziato da Gospa News in un precedente reportage, che in quello stesso anno in Ucraina si tenne la prima edizione del Kiev Security Forum, una conferenza di sicurezza organizzata da Open Ukraine e finanziata da International Renaissance, braccio ucraino della Open Society di New York del magnate ungherese-americano George Soros.

STRAGE VOLO MALAYSIA: DEPISTAGGI A KIEV TRA NATO, 007 E ONG DI SOROS

E proprio come la conferenza di Kiev anche quella di Praga fu finanziata da Open Society International mentre fu organizzata da “Adelson Institute for Strategic Studies” e dalla “Prague Security Studies Institute” (PSSI) che poteva vantare tra i suoi consiglieri anche James Woolsey, ex direttore della CIA (ed ex presidente del Board di Freedom House), e Madeleine Albright, la 64° segretaria di Stato USA e, a tempo perso, presidente del Board di NDI.

I COSPIRATORI CONTRO ASSAD

Come si riferisce nel medesimo articolo “Adelson Institute for Strategic Studies” è un istituto di ricerca creato con un generoso dono di “Adelson Family Foundation” (Miriam and Sheldon G. Adelson). Ha come finalità ”la valutazione delle sfide mondiali cui devono fare fronte Israele e l’Occidente” e lo studio delle questioni legate al progresso della democrazia e della libertà in Medio Oriente.

Due sionisti docg: Sheldon Adelson con Benjamin Netanyahu

Sheldon G. Adelson è un miliardario statunitense di origine ebrea e ucraina di conseguenza Askenazita coem i fondatori del Movimento Sionista Internazionale). La principale mission della sua fondazione è quella di “rafforzare lo Stato di Israele e il popolo ebraico”. Secondo il giornalista Nathan Guttman, l’ideologia di Sheldon G. Andelson è un insieme di sostegno al Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, di simpatia per il movimento dei coloni e di ostilità verso l’Autorità Palestinese”.

Come evidenzia sempre l’analista canadese Eli Khouri non era uno sconosciuto per l’amministrazione statunitense. «Il cablo Wikileaks “06Beirut1544_a” ci rivela che circa un anno prima di questa conferenza egli fu tra gli invitati ad un pranzo offerto dall’ambasciatore statunitense in occasione della visita di Kristen Silverberg, segretario di Stato aggiunto alle organizzazioni internazionali. Jeffrey Feitman indica Khouri come direttore generale di Saatchi & Saatchi (una compagnia pubblicitaria) e lo descrive come uno “stratega della pubblicità e un esperto creativo” che ha contribuito al “branding” della rivoluzione del Cedro» che qualcuno ha sarcasticamente definito “patrocinata da USAID e da Saatchi & Saatchi”.

SAUDITI ED EMIRATI ACCUSATI DEL GOLPE IN IRAQ

Sarebbe interminabile soffermarsi sugli altri innumerevoli dettagli descritti nel reportage di Bensaada che dà ovviamente grande spazio ai cyber-attivisti della cosiddetta “Lega araba del net”. Mi limito quindi a tirare le fila facendo alla luce degli ultimi episodi di cronaca segnalati dal sito iraniano FarsNews secondo il quale «nel primo round di proteste pubbliche 3 settimane fa, le analisi hanno rivelato che il 79% degli hashtag sulle proteste in Iraq su Twitter provenivano dall’Arabia Saudita e solo il 6% proveniva dall’Iraq, in netto contrasto con le affermazioni secondo cui le manifestazioni erano popolari e spontanee».

Non solo. «Il giornale al-Akhbar in lingua araba ha scritto sabato che da quando Abdul Mahdi è stato incaricato della formazione di un Governo in Iraq e le coalizioni di al-Fatah e Sa’eroun hanno guadagnato il maggior numero di seggi nel parlamento iracheno, Abu Dhabi e Riyadh hanno fatto vari tentativi per rovesciare il governo di Abdul Mahdi».

L’articolo afferma che «la trama del colpo di stato è stata progettata negli Stati Uniti, negli Emirati Arabi Uniti e in Arabia Saudita, aggiungendo che gli Emirati Arabi Uniti sono stati il “centro per la gestione del piano e un certo numero di funzionari, tra cui Tahnoon bin Zayed Al Nahyan, consigliere per la sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti e il suo consigliere Mohammad Dahlan (un palestinese accusato di legami con Israele)», sono responsabili della pianificazione del golpe.

Secondo Al-Akhbar e FarsNews l’Arabia Saudita avrebbe investito una somma di 150 milioni di dollari nella pianificazione e nell’attuazione del progetto di colpo di stato e ha affermato che la trama è stata implementata dalla società civile irachena che riceve il sostegno finanziario dell’ambasciata americana.

YEMEN: BAMBINA SCHELETRO E PIANO NUCLEARE USA-ARABIA

Il giornale ha ricordato le osservazioni fatte dall’ex ambasciatore saudita a Baghdad Thamer al-Sabhan, che aveva affermato che l’Iraq sarebbe stato diverso in ottobre, affermando che al-Sabhan aveva garantito che un grave incidente avrebbe scosso il processo politico del paese.

Alla luce della sua storia in Medio Oriente il libanese Khouri rappresenta l’anello di congiunzione perfetto tra il Libano, gli Usa, dove nel 2007 ha fondato l’ong “Lebanon Renaissance Foundation” a Washington, e gli Emirati Arabi Uniti dove ha assunto incarichi di prestigio nazionale.

E’ diventato un membro del consiglio di amministrazione di Injaz-UAE, un’organizzazione dedicata a educare gli studenti sulla prontezza della forza lavoro, l’imprenditorialità e l’alfabetizzazione finanziaria e START, un’organizzazione senza fini di lucro fondata da Art Dubai e dalla Fondazione Al Madad. È stato anche membro del consiglio di amministrazione del capitolo Emirati Arabi Uniti dell’International Advertising Association (IAA) e nel 2017, è stato nominato membro del consiglio di amministrazione della consociata degli Emirati Arabi Uniti di Endeavour, l’organizzazione globale senza scopo di lucro che supporta gli imprenditori di grande impatto.

 

L’ARRESTO DEI TERRORISTI ISIS TRA I RIVOLTOSI

Dietro alle proteste in Libano come in Iraq aleggiano quindi i fantasmi del guru della comunicazione di Dubai come degli attivisti di Belgrado che per ora si assumono solo la paternità delle sommosse in Ucraina e Siria senza minimamente curarsi delle catastrofiche conseguenze delle gueere civili che hanno fatto oltre 10mila morti in Donbass e più di mezzo milione nel paese arabo.

Intanto in Iraq la situazione sociale è sempre più incandescente, i morti dopo l’inizio delle proteste si contano a centinaia  e tra le cronache delle violenze quotidiane emergono due episodi alquanto inquietanti.

L’arresto di alcuni terroristi dell’Isis è stato riferito dal generale iracheno Rashid Falih che ha denunciato una situazione allarmante: «I terroristi dell’ISIL hanno anche creato nascondigli e case sicuri, hanno ricevuto uno stipendio in dollari e preso di mira le forze di polizia con cocktail Molotov».

Mentre nei giorni scorsi ci sarebbe stato il massacro di oltre 35 manifestanti a Karbala. Il condizionale è d’obbligo perché la polizia smentisce la notizia e negli ospedali sono stati medicati 100 poliziotti e 22 contestatori ma non vi è traccia dei deceduti.

Alcuni testimoni oculari avrebbero però riferito della strage effettuata da misteriosi uomini che indossavano un’uniforme nera ma non sono stati identificati né come poliziotti né come militari dell’esercito. In attesa che si capisca se l’eccidio sia davvero avvenuto il pensiero ritorna rapidamente ai cecchini mercenari di piazza Euromaidan…

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAIN SOURCES

FIDES – IRAQ

FIDES – LIBANO

ORGANIZZAZIONE DIRITTI – RIVOLUZIONI IN LIBANO

FARSNEWS

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