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CONDANNATI PER TORTURA 3 MIGRANTI PORTATI IN ITALIA DA RACKETE. Speronò la Finanza e fu lodata da Amnesty che ora tace

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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

Un vecchio adagio rammenta che, prima o poi, tutti i nodi vengono al pettine. Un aforisma più forbito del grande poeta libanese cristiano Gibran Kahlil Gibran sostiene che “I trucchi a volte funzionano ma si autodistruggono sempre”. È la versione in lirica del più semplice proverbio sul diavolo che fa le pentole ma non i coperchi…

Con l’attenzione investigativa che li contraddistingue i reporters de Il Giornale hanno alzato il coperchio delle menzogne politiche calato dai buonisti di sinistra sullo scandalo della nave Sea Watch 3 e ci hanno trovato dentro il verminaio che qualche poliziotto intraprendente e qualche magistrato lontano dalle sirene del PalamaraGate hanno accertato a prova di aula giudiziaria.

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Ebbene sì! Carola Rackete, il capitano con la chioma rasta contrapposto al “capitano” della Lega Matteo Salvini che pretende un’immigrazione regolamentata dalla Repubblica Italiana e non dalle ONG finanziate dal plutarca dell’Unione Europea George Soros, violò il blocco navale di una motovedetta della Guardia di Finanza e la speronò anche per portare al sicuro in Italia tre trafficanti di esseri umani ritenuti da un giudice torturatori dei lager libici.

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Questo è stato certificato nel Tribunale di Messina nei giorni scorsi con pesantissime condanne a 20 anni di carcere (nonostante lo sconto di un terzo della pena del rito abbreviato) in applicazione al “nuovo” reato di tortura. Questa sentenza fa seguito alle tante altre su migranti africani criminali al soldo della tremenda mafia nigeriana, divenuta ormai braccio armato dei boss ormai solo finanziari di Camorra, Cosa Nostra e ‘Ndrangheta.

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Confermano un’architettura ben congegnata tra gli autori della propaganda, che illudono i giovani nigeriani con i viaggi della speranza costringendo le famiglie a indebitarsi e le donne più piacenti ad entrare nella sprirale senza fine della prostituzione, i feroci carceriere usati dai rais tribali della Libia figlia della NATO post-Gheddafi, gli scafisti che gestiscono il lucroso traffico di carne umana e infine le ONG.

Queste associazioni sedicenti “umanitarie“, fingendo di ignorare questa tratta di persone, si appellano alle leggi del mare per soccorrerli persino vicino alle coste libiche. Da lì vengono poi trasportati nella penisola italica con il benestare dei tanti governi Democratici che si sono succeduti a Roma. Nemmeno la pandemia fu in grado di fermare gli attivisti della migrazione sostenuti anche dai Diavoli

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LA PRIMA CONDANNA PER TORTURA IN ITALIA

«Erano arrivati a bordo della Sea Watch di Carola Rackete, la comandante tedesca della nave che lo scorso anno speronò una motovedetta della Guardia di Finanza ed erano stati riconosciuti come torturatori nei centri di detenzione libici da alcuni migranti sbarcati dalla Alex & co di Mediterranea Saving Humans – scrive Il Giornale – Il Gup di Messina ora li ha condannati a 20 anni di carcere ciascuno. Si tratta di Mohamed Condè, detto Suarez, 22 anni della Guinea, Hameda Ahmed, 26 anni, egiziano e Mahmoud Ashuia, egiziano, 24 anni. Erano stati fermati il 16 settembre dello scorso anno all’hotspot di Messina e accusati, di torture, violenza sessuale, associazione a delinquere, tratta di esseri umani e omicidio».

I tre scafisti-carcerieri condannati per tortura

Il quadretto dei profughi disperati in fuga delle guerre, l’immagine dei migranti affamati in cerca di dignità e lavoro (che ovviamente troveranno a fatica in un paese come l’Italia col 10 % di disoccupazione destinata a impennarsi per la pandemia) in due frasi diventa la trama di un film horror nel quale s’innesta la perversione di un occultamento politico.

«Il fermo dei tre, giudicati con la formula del rito abbreviato, era avvenuto con ordinanza della Direzione Distrettuale Antimafia di Agrigento. Il fatto che fossero arrivati a bordo della Sea Watch di Carola Rackete era stato messo a tacere sia dal Viminale (Ministero dell’Interno – ndr) che dai vertici della Polizia, ma raccontato in esclusiva proprio dal Giornale» riferisce la collega Chiara Gianni.

Quando i tre furono arrestati nel settembre 2019 l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini (uscito da governo dopo la crisi da lui stesso scatenata ad agosto) chiese chiarimenti e si rivolse direttamente al Premier, al Ministro degli Esteri, al Ministro della Giustizia, e al Viminale.

«Siamo pronti a denunciare Rackete e i parlamentari che hanno voluto a tutti i costi lo sbarco» dichiarò il leader della Lega ricordando gli esponenti del Partito Democratico saliti sulla nave per chiedere di far sbarcare tutte le persone a bordo, compresi gli individui «sospettati di essere feroci criminali».

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Ora arriva la conferma dei sospetti. «Per la prima volta è stata emessa una condanna per il reato di tortura che è stato introdotto nel luglio del 2017» hanno commentato gli inquirenti come riportato dalle pagine di Palermo di Repubblica.

Secondo quanto riscostruito dagli investigatori della Squadra Mobile di Agrigento coordinati dal sostituto procuratore Calogero Ferrara e dall’aggiunto Marzia Sabella, «i tre gestivano per conto di una organizzazione criminale il campo di prigionia a Zawyia, dove i profughi pronti a partire per l’Italia venivano tenuti sotto sequestro e rilasciati solo dopo il pagamento di un riscatto». Al momento del fermo i tre si trovavano nell’hot-spot di Messina e pertanto lì sono stati processati.

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«Testimoni che li hanno identificati hanno raccontato di essere stati torturati, picchiati e di aver visto morire compagni di prigionia. “Ci hanno colpiti con bastoni, calci di fucili, tubi di gomma, frustati, torturati con scariche elettriche” hanno raccontato dopo lo sbarco nell’agrigentino» aggiunge il giornalista Francesco Patanè precisando che ai tre è stata contestata l’associazione a delinquere finalizzata anche al sequestro di persona a scopo di estorsione.

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Ma nel quotidiano del gruppo GEDI di Carlo De Benedetti, tessera n. 1 del Partito Democratico, della famiglia Agnelli guidata da John Elkann, esponente di spicco del Bilderberg e dei mondialisti sostenitori delle ondate migratorie, non si fa il minimo accenno al fatto che i tre feroci criminali sono stati traghettati i Italia dalla Sea Watch 3 della Rackete.

Se sia giusto che per portare una decina di immigrati tra donne e minori sovente fasulli, destinati in larga parte a diventare un ingranaggio nello sfruttamento della manodopera sottocosto nell’arruolamento della mafia nera, si debba accettare di accogliere centinaia di clandestini senza requisiti di asilo umanitario, tra i quali si nascondono anche spietati torturatori, è una questione squisitamente etica e politica su cui andrebbe aperto un urgente dibattito senza pregiudiziali.

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IL CASO GIUDIZIARIO DELLA CAPITANA CAROLA

La questione giudiziaria, invece, rivela che la capitana Carola quando infranse la legge violando una disposizione della Guardia di Finanza, che il 29 giugno 2019 vietò alla nave Sea Watch 3 da lei comandata di entrare nel porto di Lampedusa in Sicilia, non solo avrebbe favorito l’immigrazione clandestina di 42 migranti qualsiasi ma anche di tre feroci criminali.

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Conosceva la loro identità? Sapeva che i tre erano gli trafficanti-torturatori che gestivano la tratta degli esseri umani di fatto veicolata dalla sua nave con bandiera olandese (ma di proprietà di un’ong tedesca)? Qualcuno di loro aveva gestito i contatti con la Sea Watch?

Anche a queste domande dovrebbe cercare di rispondere il procedimento penale che vede la donna della Bassa Sassonia indagata per per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e disobbedienza a nave da guerra dopo il suo rocambolesco e grottesco arresto.

Finì nella caserma della Guardia di Finanza su ordine del Procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, lo stesso che aveva indagato l’ex Ministro dell’Interno Matteo Salvini per sequestro di persona in relazione ad alcuni ritardati sbarchi di migranti da alcune imbarcazioni della Guardia Costiera e di una Ong.

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Nel caso della nave Diciotti il leader della Lega fu salvato dal Parlamento che rifiutò l’autorizzazione a procedere al Tribunale dei Ministri di Catania come ha fatto di recente la Giunta del Senato sulla questione Open Arms (ma ora deve esprimersi l’aula), mentre per la questione Gregoretti l’ex ministro andrà a processo ad ottobre, tra le polemiche del complotto politico delle toghe rosse emerso col PalamaraGate, perché la maggioranza dei senatori lo autorizzò, guidata dal Movimento 5 Stelle in una sorta di “vendetta politica” dopo la rottura dell’alleanza di governo con la Lega.

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Rackete, invece, finì in manette perché il pm agrigentino le contestò la disobbedienza alla nave da guerra culminata nello speronamento della motovedetta della Guardia di Finanza che rischiò di essere schiacchiata contro il molo dal più grosso natante da 600 tonnellate. Ma la capitana tedesca fu subito scarcerata dal Gip del Tribunale Alessandra Vella che non convalidò l’arresto. Il procuratore Patronaggio fece ricorso ma la Corte di Cassazione benedisse l’azione della comandante di Sea Watch.

Il caso aveva pure suscitato l’indignazione di varie istituzioni come riportò il Corriere. «Esortiamo le autorità italiane a porre immediatamente fine alla criminalizzazione delle operazioni di ricerca e soccorso. Salvare migranti in pericolo in mare non è un crimine» affermarono cinque esperti indipendenti delle Nazioni Unite in un comunicato congiunto pubblicato a Ginevra esprimendo «grave preoccupazione» per gli attacchi mediatici cui venne sottosposta dopo la scarcerazione dai media e da Salvini (querelato dalla tedesca).

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«Le infondate accuse mosse contro una giovane coraggiosa e di sani principi mostrano la determinazione con cui le autorità intendono intimidire e stigmatizzare coloro che salvano vite in mare» aveva dichiarato Elisa de Pieri, ricercatrice di Amnesty International sull’Europa meridionale.

«L’operato di Carola Rackete andrebbe encomiato e non criminalizzato e le accuse contro di lei devono essere ritirate. L’Unione europea deve trovare una soluzione praticabile per sbarcare e ricollocare le persone soccorse in mare» concluse de Pieri.

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Ma sulla condanna dei tre torturatori traghettati in Italia dalla capitana della Sea Watch è sceso un velo di omertoso silenzio. Né ONU, né Amnesty International hanno infatti rilasciato dichiarazioni sulla sentenza sebbene si tratti del primo caso di condanna per tortura in Italia.

Come non hanno commentato le notizie riportate da Gospa News e rilanciate da altri media sull’arrivo in Italia di circa 200 feroci jihadisti impiegati nella guerra civile quali mercenari della Turchia in volazione a ogni legge internazionale. Non si vuole correre il rischio di confermare quanto la tratta degli esseri umani nel Mediterraneo favorita dalle ONG sia vergognosa, pericolosa e criminale.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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