“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati”
Gesù Cristo – Vangelo di Matteo 5,6
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
ENGLISH VERSION (first sections only)
Finalmente, dopo decenni di accuse vaghe o difficili da documentare, le cospirazioni delle famigerate Toghe Rosse vengono a galla per saziare quella sete di giustizia che arde nelle gole bramose di verità ancor più che in quelle affamate di vendetta politica.
Ecco perché con questo reportage apriamo un nuovo ciclo d’inchieste sullo scandalo PalamaraGate che sta facendo perdere l’esigua credibilità alla magistratura italiana, violentata da una storia di infami depistaggi persino sulle stragi di alcuni giudici come Giovanni Falconi e Paolo Borsellino (meno lontani di quanto possa sembrare dagli scandali attuali come vedremo presto…).
Uno stillicidio di intercettazioni ha spalancato il vaso di Pandora di complotti giudiziari e losche trame tali da travolgere e lordare di tremendi sospetti persino il Consiglio Superiore della Magstratura (CSM), l’organo di governo e sorveglianza di quei giudici e pubblici ministeri che, come rammentato nell’altro articolo, hanno segnato la storia politica italiana negli ultimi 20 anni.
Gli inviti a sciogliere tale istituzione lanciati dai partiti di opposizione al Capo dello Stato, Sergio Mattarella, presidente di diritto del CSM, hanno sortito un suo ambiguo comunicato in cui di fatto allarga le braccia in un gesto di conclamata impotenza che appare ancor peggiore del suo già lungo e imbarazzante silenzio.
https://www.gospanews.net/2019/07/21/mafia-appalti-poteri-occulti-falcone-e-borsellino-uccisi-per-linformativa-caronte/
Oggi, 2 giugno 2020, anziché la festa, bisognerebbe celebrare la morte della Repubblica Italiana, già nata sotto le cattive stelle di presunti brogli elettorali nel referendum per l’abrogazione della monarchia del 1946 e dell’Unità d’Italia pepretrata tramite la Spedizione dei Mille ordita dalla Massoneria Britannica (vedi articolo su Garibaldi).
Non si può infatti parlare solo di “complotti” tra esponenti del Partito Democratico (PD) e magistrati in relazione ale ultime rivelazioni di un progetto per screditare Matteo Salvini, leader della Lega, in merito alla spinosa e delicatissima questione della nave Diciotti, epifenomeno simbolico di quell’emergenza migranti ormai epidemica da anni per le coste della penisola italica.
Poiché Salvini era Ministro dell’Interno quandofu bersagliato attraverso un’inchiesta giudiziaria che lo costrinse a ricorrere all’immunità parlamentare suscitata da un attacco politico pianificato addirittura dall’ex vicepresidente del CSM Giovanni Legnini, già sottosegretario in due Governi PD, il nome tecnico di quel piano è “congiura” come ben ricorda l’enciclopedia Treccani.
“Patto segreto, e per lo più confermato da giuramento, fra persone che s’accordano a rovesciare l’ordinamento di uno stato e chi lo rappresenta”.
Un intrico di messaggini privati tra politici e magistrati, intercettati dalla Guardia di Finanza nelle indagini per corruzione in atti giudiziari nei confronti del sostituto procuratore romano Luca Palamara, partorirono una presa di posizione del CSM contro Salvini per la sua decisione di ritardare lo sbarco dell’imbarcazione coi clandestini in seguito al quale scaturì l’inchiesta per sequestro di persona nei confronti dell’ex Ministro.
Si salvò dal processo grazie all’immunità parlamentare ma così finì sotto “ricatto politico” degli alleati di governo del Movimento 5 Stelle tanto da indurlo alcuni mesi dopo a presentare una mozione di sfiducia contro il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.
Dopo la crisi Conte tornò al Governo, su incarico del presidente Mattarella, grazie agli stessi parlamentari dei 5 Stelle che si allearono con i Democratici del PD che avevano criminalizzato pubblicamente il Ministro dell’Interno per la gestione delle politiche migratorie.
Tutto ciò sarebbe soltanto normale conflittualità politica se non fosse stato innescato da un componente del CSM come Legnini che avrebbe avuto il compito di vigilare sui comportamenti imparziali dei magistrati e invece pare essersi comportato come il direttore d’orchestra di una banda di toghe rosse, nonostante il suo ruolo.
In qualità di vice presidente, infatti, è delegato per consuetudine a guidare il Consiglio Superiore della Magistratura dal Capo dello Stato che ne è presidente di diritto.
Ancora più inquietante è ricordare (come profeticamente accennato nel precedente articolo prima di queste nuove sconvolgenti rivelazioni) che proprio il nome dell’ex vicepresidente dell’organismo di governo della magistratura è emerso nell’ambito di un’altra inchiesta culminata con addirittura l’arresto di due magistrati e che era un affiatato collaboratore di Palamara tanto da scieglierlo come compagno di viaggio per una missione ufficiale in Argentina…
IL PALAMARAGATE IN SINTESI
Nel maggio 2019 scoppia lo scandalo da noi ribattezzato PalamaraGate. Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (sindacato di categoria) grazie ai voti della sua corrente UNICOST, ex componente del CSM viene inquisito per corruzione in atti giudiziari perché sospettato dalla Procura di Perugia di aver ricevuto soldi e regalie per insabbiare l’inchiesta nei confronti di un imprenditore amico (storia completa qui).
Ma nell’ambito delle intercettazioni avviate dai militari del GICO (Gruppo Investigativo Criminalità Organizzata) della Finanza inoculando un trojan nel telefono di Palamara si scoprono cose ancora più gravi.
Il magistrato, poi indagato e sospeso dalle funzioni senza stipendio, fece riunioni private con altri colleghi ed esponenti del Partito Democratico in cui si discusse su come pilotare le nomine in alcune Procure strategiche come Perugia (titolare dell’inchiesta su lui stesso) e Roma, dove è pendente un’indagine per favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio sull’ex ministro Luca Lotti, braccio destro dell’ex segretario PD Matteo Renzi, in relazione ad alcune soffiate su una maxi-inchiesta per tangenti nel CONSIP, la società governativa che gestisce gli appalti miliardari dell’amministrazione pubblica. Lotti è tra i protagonisti di quegli incontri in un hotel romano cui partecipò anche Cosimo Maria Ferri, giudice in aspettativa, ex sottosegretario col PD e oggi deputato in questo stesso schieramento.
TOGHE SPORCHE ALLA CORTE PD: PM ROMANO SOSPESO ma la “spia” torna a fare il procuratore
Palamara andò nel panico e cercò in ogni modo di avere anticipazione sui contenuti delle indagini a suo carico ed avrebbe ricevuto alcune “spiate” da autorevoli colleghi del CSM come l’allora Procuratore generale della Cassazione Riccardo Fuzio e il consigliere Luigi Spina, entrambi indagati e indotti alle dimissioni come altri tre componenti dell’organismo dei magistrati (Fuzio in realtà chiese il prepensionamento).
Un’ondata di fango travolse Palazzo dei Marescialli, sede del CSM, nel maggio scorso nonostante il tentativo del presidente Mattarella di elogiare il PG Fuzio per attenuare la portata dello scandalo. La vicenda si andò affievolendo anche perché la Corte di Cassazione si pronunciò sulle intercettazioni col trojan ritenendole utilizzabili nei confronti di Palamara ma non nei confronti dei coindagati per le rivelazioni dei segreti d’ufficio per i soliti cavilli giuridici all’italiana.
A distanza di 12 mesi, però, il 22 aprile scorso, la Procura di Perugia ha depositato gli atti nei confronti del principale imputato per la notifica della chiusura delle indagini e, all’interno di essi, centinaia e centinaia di messaggi tra toghe rivelati in anteprima dal quotidiano La Verità. Tra i quali quelli sconcertanti di Legnini.
LE CHAT SCOTTANTI DI LEGNINI
«La prima chat intercettata riportata da La Verità è della sera del 24 agosto 2018. Legnini scrive a Palamara: “Luca, domani dobbiamo dire qualcosa sulla nota vicenda della nave. So che non ti sei sentito con Valerio (il consigliere del Csm in quota Area Valerio Fracassi – ndr) Ai (Autonomia e indipendenza – ndr) ha già fatto un comunicato, Area (la corrente di sinistra delle toghe – ndr) è d’accordo a prendere un’iniziativa Galoppi idem (il consigliere del Csm Claudio Galoppi – ndr). Senti loro e fammi sapere domattina”» scrive l’agenzia ANSA in merito al caso della nave Diciotti per cui finì sotto inchiesta Salvini.
Palamara risponde: “Ok, anche io sono pronto. Ti chiamo più tardi e ti aggiorno”. E Legnini: “Sì, ma domattina dovete produrre una nota, qualcosa insomma”. Un minuto dopo Palamara scrive a Fracassi: “hai parlato con Gio (Giovanni Legnini – ndr)?… che dici, che vogliamo fare?”. I due si danno appuntamento per l’indomani. A metà mattina sul cellulare di Palamara arriva questo messaggio Whatsapp (non si dice da chi): “Dobbiamo sbrigarci! Ho già preparato una bozza di richiesta. Prima di parlarne agli altri concordiamola noi”.
Secondo quanto scrive La Verità a questo punto parte un giro di consultazioni per l’approvazione della bozza e nel pomeriggio del 25 agosto agenzie e giornali online battono la notizia che quattro consiglieri del Csm (Valerio Fracassi, Claudio Galoppi, Aldo Morgigni e lo stesso Palamara) chiedono che il caso Diciotti sia inserito all’ordine del giorno del primo plenum del Csm, sollecitando un intervento del Consiglio “per tutelare l’indipendenza della magistratura e il sereno svolgimento delle attività di indagine” a fronte di “interventi del mondo politico e delle istituzioni” che “per provenienza, toni e contenuti rischiano di incidere negativamente sul regolare esercizio degli accertamenti in corso”.
Poco dopo, sempre secondo la ricostruzione de La Verità, Legnini dichiara che l’istanza sarà trattata nel primo comitato di presidenza, aggiungendo che “il nostro obiettivo è esclusivamente quello di garantire l’indipendenza della magistratura e il sereno svolgimento delle indagini e di ogni attività giudiziaria”.
Una tesi smentita da un articolo del Primato Nazionale: «Come se non bastasse, riporta sempre La Verità, Legnini e Palamara, all’epoca dei fatti entrano in contatto anche direttamente con il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che ha aperto il fascicolo su Salvini per sequestro di persona. “Carissimo Luigi ti chiamerà anche Legnini siamo tutti con te un abbraccio”, gli scrive Palamara. Immediata la risposta: “Grazie. Mi ha già chiamato e mi ha fatto molto piacere”».
LA REAZIONE DI SALVINI E MATTARELLA
Inevitabile la dura reazione del leader della Lega Matteo Salvini contro “le trame di Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm e sottosegretario di due governi a guida Pd, per far intervenire il Consiglio Superiore della Magistratura a supporto delle indagini sullo sbarco degli immigrati dalla nave Diciotti”.
Nel precedente articolo, infatti, avevamo già riportato altre intercettazioni da cui emergeva la palese volontà di Palamara di attaccare l’allora Ministro dell’Interno che hanno indotto nei giorni scorsi Salvini e l’alto leader dell’opposizione di centrodestra Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, a chiedere lo scioglimento del Consiglio Superiore della Magistratura.
Ma il Capo di Stato Sergio Mattarella ha risposto con inconcludente diplomazia come riporrato dall’ANSA: «Per quanto superfluo va chiarito che il Presidente della Repubblica si muove – e deve muoversi – nell’ambito dei compiti e secondo le regole previste dalla Costituzione e dalla legge e non può sciogliere il Consiglio Superiore della Magistratura in base a una propria valutazione discrezionale».
«Per quanto gravi e inaccettabili possano essere considerate, sull’intera vicenda sono in corso un procedimento penale e procedimenti disciplinari e qualunque valutazione da parte del Presidente potrebbe essere strumentalmente interpretata come una pressione del Quirinale su chi è chiamato a giudicare in sede penale o in sede disciplinare» aggiunge la nota di Mattarella.
La chiosa finale del Quirinale ventila il rischio di impunità per tutti in caso di azzeramento del CSM: «È appena il caso di ricordare che un eventuale scioglimento del Consiglio Superiore della Magistratura comporterebbe un rallentamento, dai tempi imprevedibili, dei procedimenti disciplinari in corso nei confronti dei magistrati incolpati dei comportamenti resi noti, mettendone concretamente a rischio la tempestiva conclusione nei termini previsti dalla legge».
PROPAGANDA PD TRA LE TOGHE ROSSE
«Si trattò di un intervento doveroso, che rientra nelle competenze del Csm, svolto esclusivamente a tutela dell’indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello Stato, e che rifarei esattamente negli stessi termini» ha replicato nei giorni scorsi Giovanni Legnini, confutando ogni complotto politico tra Dem e toghe ma scordandosi di quando nel 2016 era intervenuto per censurare un componente del CSM, l’ex Gip a Palermo Piergiorgio Morosini, che si permise di criticare il Referendum di Matteo Renzi per un «rischio di democrazia autoritaria».
«Sono inaccettabili gli attacchi a esponenti di governo e parlamento. Noi pretendiamo rispetto per le nostre funzioni, ma per farlo dobbiamo prima di tutto assicurare rispetto ai rappresentanti dei poteri dello Stato» dichiarò allora Legnini a Repubblica prima di cambiare opinione, due anni dopo, per attaccare Salvini sul caso Diciotti in un contesto di cospirazione politica come emerge oggi da altre intercettazioni. Tra l’altro in una vicenda in cui ci fu un’aspra divergenza di vedute tra il pm Patronaggio che istruì la pratica e il procuratore competente per territorio che chiese il proscioglimento dell’allora ministro.
«A sgretolare la difesa di Legnini è una chat in cui il consigliere del Csm, Nicola Clivio, appare titubante di fronte alla strategia dell’allora vicepresidente di Palazzo dei Marescialli. “Ma Giò (si riferisce a Giovanni Legnini ndr) si candida per Abruzzo. Sarebbe importante saperlo visto l’aria che tira”, chiede Clivio a Palamara il 24 agosto 2018. La risposta di Palamara non tarda ad arrivare: “Ancora incertezza”» scrive invece Il Giornale.
«A quel punto Clivio ribatte: “Ok. Perché lui ci chiede di dire qualcosa sulla storia della nave e noi lo facciamo volentieri ma poi non si deve dire che lui comincia così la sua campagna elettorale. Chiaro lo schema?”. Palamara chiarisce meglio la situazione con due messaggi: “Esatto lo chiede a tutti anche a noi. Gli ho detto che ci devo riflettere Deve essere una riflessione di tutti”. E ancora: “Per farlo occorre: 1. Richiesta di tutti noi, 2. Coperta anche dai nuovi… Altrimenti la nostra diventa una cacchetta…”».
L’avvocato Legnini, 61 anni, originario della provincia di Teramo (Abruzzo) è un compagno storico all’interno della sinistra essendo transitato attraverso tutte le trasformazioni dal Partito Comunista Italiano fino al PD da cui è stato nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del Ministri nel Governo Letta (2013-2014) e Sottosegretario del Ministero dell’Economia nel Governo Renzi (2014), ruolo che ha però ricoperto per pochissimi mesi in quanto l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo fece entrare nel CSM come consigliere laico grazie al voto di ben 524 parlamentari.
Il 30 settembre 2014 è stato quindi nominato vicepresidente con 20 voti a favore, 3 schede bianche, una nulla e una dispersa (voto ad altro candidato). Ha tenuto questo incarico fino al settembre 2018 quando ha ceduto il posto ad un altro collega del PD per poi candidarsi senza successo alla Presidenza della Regione Abruzzo. Sarà quindi nominato dal governo di sinistra nel ruolo attuale di Commissario per la Ricostruzione del Terremoto di L’Aquila.
Dal momento dell’incarico al CSM diventa indipendente in politica ma, come provano le intercettazioni, rimane al centro degli intrighi tra toghe e Dem fino alla fine del suo mandato durante il quale esplodono sui media le varie indagini sui genitori dell’ex premier Matteo Renzi per bancarotte fraudolente e false fatturazioni in cui viene implicato un imprenditore finito in manette in un’altra inchiesta su giudici corrotti tra i cui atti comparirà ancora il nome di Legnini per una festa nel quartiere più sfarzoso di Roma.
LA FESTA AL PARIOLI COL PM POI ARRESTATO
«C’è un’inchiesta per corruzione in atti giudiziari che parte da Trani, passa per Firenze e torna di nuovo in Puglia. A Lecce. E da qui si proietta nelle stanze del potere: Palazzo Chigi e il Consiglio superiore della magistratura. L’indagine ha come protagonisti un magistrato, l’ex pm di Trani trasferito a Roma, Antonio Savasta, e un imprenditore, Luigi Dagostino, socio del padre dell’ex premier Matteo Renzi. Il reato ipotizzato è uno scambio tra i due: da una parte Savasta che ritarda un’indagine su Dagostino, dall’altra Dagostino che porta il magistrato dall’allora sottosegretario Luca Lotti, a Palazzo Chigi, e poi a una festa romana, ai Parioli, a cui partecipava il vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini».
Il racconto non giunge da un giornale di destra ma da uno di sinistra: Repubblica. Lo scrisse il 29 giugno 2018. Un anno prima che scoppiasse il PalamaraGate portando alle dimissioni di cinque membri del CSM e poi trascinandone altri nel fango dei sospetti con le rivelazioni di questi ultimi giorni sulle loro conversazioni inquietanti per uno stato democratico
«Nell’incartamento arrivato in Puglia c’è la ricostruzione di una storia cominciata tra il 2014 e il 2015, quando Savasta cerca un modo per farsi trasferire da Trani. E Dagostino, per il tramite di un avvocato barlettano amico di Savasta, Ruggiero Sfrecola, gli organizza due incontri che gli possono essere utili. Il primo a Palazzo Chigi, con l’allora potente sottosegretario alla Presidenza, Luca Lotti» riferisce ancora Repubblica in merito al pm poi trasferito a Roma, dove è stato arrestato per aver preso soldi anche da un altro imprenditore (Flavio D’Introno) per evitargli una condanna per usura. La Procura di Lecce ha chiesto per Savasta una condanna a 10 anni nel gennaio scorso durante il processo con rito abbreviato.
IL GIUDICE ARRESTATO E CONDANNATO PER L’AFFARISTA DEI RENZI. 10 anni in carcere
Della vicenda, sempre nel 2018, s’era già occupato il quotidiano La Verità, con un’intervista della giornalista Ilaria Proietti a Giovanni Legnini il quale aveva replicato indignato:
«Sono molto arrabbiato per questa vicenda. Non solo per la mia onorabilità, ma soprattutto per il rispetto che si deve al Consiglio, la cui immagine di garanzia ed imparzialità in alcun modo può essere appannata. Ho evitato accuratamente in questi 4 anni qualunque incontro conviviale con magistrati sottoposti a procedimenti disciplinari o interessati a decisioni del Consiglio riguardanti la loro carriera. Ciò era un mio dovere perché del corretto funzionamento del Csm sono responsabile».
Allora, però, non si erano ancora dimessi il procuratore generale Riccardo Fuzio e il consigliere Luigi Spina per rivelazione di segreto d’ufficio avendo spifferato al collega Palamara informazioni riservatissime sulle indagini a carico di quest’ultimo avviate dalla Procura di Perugia.
Proprio in virtù del loro ruolo all’interno de CSM, interessato per i risvolti disciplinari della questione, i due magistrati erano venuti a conoscenza del fascicolo: ma non del trojan inoculato dagli investigatori della Finanza nello smartphone di Palamara che consentì di intercettare anche le confidenze di Fuzio e Spina mettendoli nei guai.
TOGHE SPORCHE: NEI GUAI ANCHE IL PROCURATORE GENERALE, MATTARELLA SI DIMETTA
Ciò ha assunto notevole gravità proprio perché negli incontri di Palamara per manipolare le nomine nella Procura di Roma comparve anche l’ex giudice Ferri, ora deputato Dem, e l’ex ministro Lotti, indagato per il caso CONSIP insieme al padre di Renzi che era segretario del PD che sostenne in Parlamento la nomina di Legnini a componente del Consiglio Superiore della Magistratura.
L’incontro al Parioli con l’imprenditore Dagostino e il magistrato Savasta, entrambi poi arrestati, fu decisamente minimizzato dallo stesso Legnini come risulta dalle dichiarazioni riportate dal media locale Il Capoluogo.
«Si trattò di una cena in piedi a casa di un giornalista mio ex collaboratore, alla quale parteciparono una trentina di persone. In alcun modo sapevo della presenza né di Dagostino né del dottor Savasta. Non li conoscevo e nessuno mi aveva informato della loro presenza, altrimenti di sicuro non sarei andato. Non parlai con loro, se non per i convenevoli di presentazione. Lo stesso Savasta ha dichiarato al vostro giornale che lo salutai con freddezza».
Il pm fu poi trasferito a Roma con provvedimento del CSM (delibera del Plenum del 18-1-2017) come da lui richiesto «al fine di rimuovere la eventuale situazione di incompatibilità» dopo una precedente dura istanza del Procuratore Generale di Cassazione, a sua volta poi inguaiatosi per aiutare Palamara. Va doverosamente precisato che a Legnini non è mai stata fatta alcuna contestazione né di carattere penale né disciplinare per quel convivio quantomeno inopportuno.
LEGNINI IN ARGENTINA CON PALAMARA
Fino a prova contraria bisogna quindi credere che Legnini non avrebbe avuto fino ad allora una conoscenza diretta di Dagostino che invece era in strettissima confidenza con i genitori di Renzi al punto da coinvolgerli in un affare per un outlet per poi compensarli con una maxi-parcella per una consulenza da 160mila euro, ritenuta dall’autorità giudiziaria fittizia e pertanto attribuita a false fatturazioni che nell’ottobre 2019 sono costate loro la condanna a un anno e 9 mesi nel Tribunale di Firenze.
Entambi futono citati anche negli atti per l’arresto di Savasta e di altri professionisti: «Secondo quanto contenuto nell’ordinanza, l’avvocato Sfrecola riceveva dall’imprenditore Luigi Dagostino, re degli outlet ed ex socio di Tiziano Renzi e Laura Bovoli, soldi da dividere con Savasta che stava appunto indagando per false fatturazioni relative proprio alle imprese di Dagostino e che avrebbe poi aggiustato le indagini a suo favore, commettendo “plurimi atti contrari ai doveri d’ufficio”» scriveva Il Fatto Quotidiano in relazione a quattro tangenti per un totale di 53mila euro.
Ma ciò sarebbe ovviamente avvenuto a totale insaputa di Legnini che non si è mai confrontato con Palamara nemmeno sul caso di Lotti, in apprensione per la scelta del nuovo procuratore di Roma dove era pendente l’inchiesta sul Consip in cui è indagato.
Ciò nonostante la stretta collaborazione che li portò ad andare insieme in Argentina per una missione di rappresentanza del CSM per una riunione col Ministro della Giustizia German Garavano presso l’Ambasciata d’Italia alla presenza dell’ambasciatore Teresa Castaldo, e alla Corte Suprema di Giustizia, dal Presidente Riccardo Lorenzetti.
«La trasferta si è conclusa con la visita al “Consejo de la Magistratura del Poder Judicial de la Nacion” dove il Vice Presidente Legnini e i Consiglieri Morosini e Palamara hanno presentato i punti cardine dell’autoriforma del CSM, evidenziando i punti di contatto tra Consiglio italiano e argentino e hanno offerto un sostegno concreto nelle attività di formazione dei magistrati» recita il resoconto pubblicato il 29 settembre 2016 sul sito ufficiale di Palazzo dei Marescialli.
CONSIP: RIVINCITA DELLE TOGHE CONTRO L’EX MINISTRO LOTTI E RENZI SENIOR
L’esito di quell’autoriforma, com’è ormai tristemente noto, fu il PalamaraGate che ha indotto quattro componenti del CSM a dimettersi e il PG Fuzio al prepensionamento per le conseguenze dell’inchiesta su Palamara per corruzione in atti giudiziari e influenza illecita in relazione ad alcune nomine.
«Era un magistrato molto influente ed era il capo di fatto di una corrente. Sulle decisioni importanti, spesso siamo stati in disaccordo. Ma io ho conosciuto un altro Palamara, non certo quello delle conversazioni che sono state rese pubbliche, che mi hanno sorpreso e amareggiato nei toni e nei contenuti» dichiara oggi Legnini nel tentativo di prendere le distanze da un’altra chat imbarazzante tra i due.
Legnini lo ha infatti invitato ad attivarsi per “orientare la linea del gruppo” di Repubblica. «Vorrei contestualizzare – si difende arrampicandosi sui vetri Legnini in un intervista ripresa da Libero Quotidiano – Siamo al 29 maggio del 2019, Repubblica aveva raccontato i primi esiti dell’inchiesta di Perugia. Palamara si diceva oggetto di una sorta di congiura. E io sbagliai a credergli. Mi chiese come potesse far emergere la sua versione. Mi sembrava un uomo distrutto e mi dichiarai disponibile ad aiutarlo. Ma certamente ho usato una frase infelice».
«Giovanni Legnini è un uomo di parte, che ha utilizzato il ruolo istituzionale di vicepresidente del Csm per aizzare i pm contro l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. È sconcertante quanto emerge dalle intercettazioni pubblicate da La Verità. A questo punto, Legnini lasci immediatamente il ruolo di commissario straordinario per la ricostruzione. Ha contribuito a demolire la credibilità del Csm, stia lontano dalle nostre regioni». Hanno invece scritto in una nota i parlamentari Riccardo Marchetti, commissario Lega Marche, Virginio Caparvi, segretario Lega Umbria, Francesco Zicchieri, segretario Lega Lazio e Luigi D’Eramo, segretario Lega Abruzzo.
Ma alla fine, secondo il diretto interessato, sembra soltanto il festival delle frasi infelici. Peccato che di mezzo ci sono inchieste giudiziarie che interessano politici del PD, altre il loro avversario della Lega e altre ancora che coinvolgono magistrati pronti a sfoderare la loro anima da toga rossa, a trascorrere ore a studiare strategie per attaccare Salvini sui migranti o a riunirsi segretamente per pilotare le nomine nelle Procure che avevano in mano i fascicoli scottanti.
In mezzo a questa bufera di scandali il vicepresidente del CSM, come pure il presidente Mattarella, non si accorse di nulla ed il 27 settembre 2018 lasciò l’incarico per fare posto al suo successore Davide Ermini, anche’egli avvocato, anch’egli ex deputato del Partito Democratico in una perfetta linea di successione politica interna all’organismo di sorveglianza sulle toghe, sempre più rosse. Ormai soprattutto di vergogna.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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