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BEIRUT: BASE MILITARE ITALIANA DEVASTATA DALL’ESPLOSIONE. Video shock sulla caserma del soldato ferito

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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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Se, come ritiene possibile anche il generale Michel Aoun, Presidente del Libano, la disastrosa esplosione avvenuta a Beirut il 4 agosto scorso fosse stata causata da un attacco esterno con una bomba o un missile, è del tutto casuale – come sembra – la devastazione di un’ampia struttura della Base Shama dei militari dell’Esercito Italiano che rappresentano uno dei più importanti contigenti di pace nel paese?

E’ una domanda capziosa, ardita, imbarazzante che però si è legittimati a porsi dopo la diffusione sui social di un video che dimostra quale distruzione abbia causato all’unità Jmou di Beirut nel complesso dove operano varie attività della missione italiana Leonte avviata all’interno dei Caschi Blu UNIFIL.

Si tratta della forza internazionale di pace che sotto l’egida ONU è stata impiegata nel 2006, dopo l’invasione in Libano dell’Israeli Defense Forces, l’esercito di Tel Aviv, per presidiare la Blue Line del confine tra Israele e Libano nelle Alture del Golan.

E’ evidente che anche nella base militare si è sfiorata la strage come, guardacaso, nell’ambasciata della Siria a Beirut, tra i luoghi più gravemente danneggiati. Coincidenze o chirurgici atti intimidatori in qualche modo connessi all’attacco esterno sul porto di Beirut ipotizzato anche dai generali US Army e riferito dal presidente americano Donald Trump?

Al momento l’Occidente non pare volersi porre tropèpe domande… E’ solo interessato a fare il benefattore con il Libano (a colpi di milioni di dollari di donazioni preambolo di futuri asfissianti debiti in un paese strangolato dalle sanzioni di Washington) senza curarsi nemmeno di appurare l’ipotesi di un’aggressione straniera quale causa del disastro.

Proprio come nel caso della pandemia da SARS-Cov-2 si attuano interventi sociali di emergenza senza voler investigare sulle origini di un virus ritenuto costruito in laboratorio persino dall’ex direttore dell’MI6, il controspionaggio britannico.

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Il conteggio purtroppo ancora provvisorio dei morti del massacro nel porto di Beirut ha già superato i 200, tra cui 43 cittadini siriani residenti in città, ma pare destinato ad aumentare in considerazione di circa 5mila feriti e numerosi dispersi.

La strage, come già scritto, sarebbe avvenuta per l’esplosione di un deposito di nitrato di ammonio: 2750 tonnellate di questo fertilizzante agricolo idoneo anche per esplosivi rudimentali IED (in inglese ordigno esplosivo improvvisato) sequestrato 7 anni fa su una nave russa con bandiera Moldava e rimasto abbandonato nel porto per misteriosi e sospetti ritardi burocratici.

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Hezbollah, forza paramilitare in Libano ritenuta terroristica da Usa, Israele e altri paesi in quanto alleata dei Pasdaran Iraniani della stessa confessione Islamica Sciita, nega di aver detenuto munizioni o altro di pericoloso. Alcune autorità portuali libanesi, invece, sono già state messe agli arresti domiciliari dalla magistratura che indaga.

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Secondo fonti di intelligence, esperti militari e persino un politico Sionista ex membro della Knesset, come riportato solo da Gospa News in Occidente, si è scatenata una deflagrazione simile a quella di un piccolo ordigno nucleare inducendo persino alcuni generali US Army a ritenere che lo scoppio possa essere stato innescato da una bomba o da un missile, come evidenziato nel precedente reportage.

 

“LA BASE NON C’E’ PIU’! TUTTA DISTRUTTA…”

«E’ una situazione terribile. Ha distrutto tutto! Tutta la Base… Tutta, non c’è più la base: distrutta completamente! Distrutta completamente dalla A alla Z. Macchine tute distrutte» è il commento di chi ha girato il filmato rimbalzato tra sulle chat dove i vari uffici logistici della Joint Multimodal Operations Unit (Jmou di Beirut) appaiono sventrati con attrezzature logistiche e veicoli militari pesantemente danneggiate insieme a qualche container.

Le immagini shock nel complesso Jmou di Beirut

Mostra le sconcertanti immagini all’interno della base Shama dove è stato ferito ad un braccio il caporalmaggiore Roberto Caldarulo che si trovava in servizio con altri 11 militari al momento dell’esplosione: di tale potenza da devastare la base sebbene non vicina al porto. Non era grave ma era stato immediatamente trasferito in ospedale.

Nei pressi delle banchine devastate c’era anche una nave Task Force Unifil. A bordo c’era solo uno dei membri dell’equipaggio, il sessantanovenne Vincenzo Orlandini che all’improvviso è stato scaraventato ad alcuni metri di distanza. Era stato proprio il comandante generale Stefano Del Col ha comunicare subito sul profilo ufficiale della missione di Twitter il ferimento di alcuni soldati.

La gravità del disastro di Beirut e della devastazione nell’unità al momento inutilizzabile ci induce a far prevalere le ragioni del diritto di cronaca rispetto a quelle della riservatezza militare pubblicando il video sul canale YouTube di Gospa News.

Quasi tutti i soldati coinvolti nelle esplosioni, feriti e non, appartengono all’unità Joint Multimodal Operations Unit (Jmou di Beirut, inquadrata nel Comando Contingente Italiano (IT-NCC) di Naqoura, con il principale scopo di favorire la cooperazione internazionale e l’integrazione sociale tra i militari italiani e la popolazione libanese. Il percorso, focalizzato sull’apprendimento delle principali nozioni della lingua italiana, ha visto, tra l’altro, la partecipazione di alcune donne, perlopiù vedove di militari locali, spiega il sito della Difesa, come riferito da SkyTg24 Italia.

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I RISCHI PER I 1.076 MILITARI ITALIANI UNIFIL

Nel clima rovente delle proteste occultamente pilotate da registi internazionali del Deep State come evidenziato nei precenti reportage sulla Rivoluzione del Cedro del 2005 e su quelle iniziate nel novembre 2019 che hanno portato alle dimissioni del nuovo Governo Sciita-Cristiano di Hassan Diab, non sono da sottovalutare i rischi cui è esposta la missione degli oltre mille peace-maker italiani in Libano, come già evidenziammo quando ai razzi lanciati dai droni dell’Israeli Defense Forces nell’agosto 2019 risposero le cannonate degli Hezbollah.

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Attualmente la consistenza massima annuale autorizzata dall’Italia per il contingente nazionale impiegato nella missione è di 1.076 militari, 278 mezzi terrestri e 6 mezzi aerei. In ambito nazionale l’operazione è denominata “Leonte”, si legge sul sito ufficiale Unifil in Italiano.

Da 7 agosto 2018, l’Italia per la quarta volta ricopre l’incarico di Head of Mission e Force Commander di UNIFIL con il Generale di Divisione dell’Esercito Stefano Del Col, alle cui dipendenze operano circa 10.300 militari provenienti da 45 paesi. Il Generale di Brigata dell’Esercito Andrea Di Stasio, dal 27 luglio 2020 è al comando del Settore Ovest di UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) e della Joint Task Force italiana in Libano (JTF L-SW), principalmente composta da militari della Brigata “Sassari”, di stanza in Sardegna, alla seconda partecipazione alla missione UNIFIL nel “Paese dei cedri” dopo il mandato semestrale del 2016. In calce il dettaglio delle truppe come risulta dal sito ufficiale.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAIN SOURCES

GOSPA NEWS – JIHADISTS REPORTS

GOSPA NEWS – WARZONES REPORTS

 

Assetti Italiani nella Task Force Unifil

Nell’ambito del Sector West, operano unità di Armenia, Bielorussia, Brunei Darussalam, Corea del Sud, Ghana, Irlanda, Kazakistan, Macedonia del Nord, Malesia, Malta, Polonia, Serbia, Slovenia, Tanzania e Ungheria.

Inoltre, fanno parte del contingente nazionale:

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