I NUOVI BARBARI, VILI ASSASSINI IN BRANCO: Con le arti marziali uccidono a mani nude un ragazzino
“Non lo abbiamo toccato. Respingiamo ogni accusa. Siamo intervenuti per dividere, abbiamo visto un parapiglia e siamo arrivati”. E’ quanto hanno detto Marco e Gabriele Bianchi durante l’interrogatorio di convalida dell’arresto per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte. Francesco Belleggia, 23 anni, Mario Pincarelli, 22 anni e i fratelli Gabriele e Marco Bianchi di 25 e 24 anni, sono tutti accusati di omicidio preterintenzionale in concorso dopo l’arresto da parte dei Carabinieri.
Con impudenza, negano pertanto di aver picchiato fino alla morte il ragazzino, in 4 e usando le arti marziali, dopo che lui era intervenuto in difesa di un amico coinvolto in una lite violenta scatenata dalla gang già nota alle forze dell’ordine per episodi criminali. I Carabinieri hanno escluso il movente razziale dell’aggressione.
eccellente articolo di Matteo Carmieletto pubblicato su Il Giornale
Calci, pugni e gomitate. E sangue, tanto sangue. È la notte tra il 5 e il 6 settembre scorso quando a Colleferro, zona dei Castelli Romani, scoppia una lite. Willy Monteiro Duarte, un ragazzo nato a Roma da una famiglia capoverdiana, sta tornando a casa con alcuni amici quando, in lontananza, assiste al diverbio. Tra i volti sfigurati dall’ira riconosce anche quello di un suo amico. Si avvicina, cerca di fare da paciere (“smettetela, così vi fate male”), ma non c’è nulla da fare: la lite si trasforma in rissa.
Succede tutto in una frazione di secondo: Willy crolla a terra. Poco alla volta, mentre il branco infierisce su di lui, il sangue comincia ad appicciarsi sui suoi vestiti. Non riesce a reagire: non può fare nulla per salvarsi. I suoi presunti aggressori, infatti, sono campioni diMma (arti marziali miste): sanno come e dove colpire per fare male. Forse anche per uccidere. Willy non ce la farà: nonostante l’intervento dei carabinieri, morirà poche ore dopo in ospedale.
I presunti colpevoli della morte del giovane sono quattro, tutti di età compresa tra i 20 e i 26 anni: Mario Pincarelli, Francesco Belleggia e, infine, Marco e Gabriele Bianchi. Capelli colorati, tatuaggi, catene e orologi d’oro e un culto per il corpo portato all’estremo. Il tutto condito da espressioni da gangster di periferia: “La vita in ginocchio fatela fà a l’altri”, “Non cambio per nessuno, ma sarò migliore per chi lo merita!”, “Essere maledetto mi benedice”. Un canone estetico orrendo, figlio di idee peggiori. In una parola: barbaro.
Il nuovo barbaro, scriveva Ortega y Gasset ne La ribellione delle masse(1929), coincide con l’uomo massa: “Si trova circondato da strumenti prodigiosi, da medicinali benefici, da Stati previdenti, da diritti comodi. Ignora, viceversa, quanto sia stato difficile inventare quelle medicine e quegli strumenti e assicurare per l’avvenire la loro produzione; non si rende conto di quanto sia instabile l’organizzazione dello Stato, ed è un miracolo se sente dentro di sé qualche obbligo.
Questo squilibrio lo falsifica, lo vizia alla radice del suo essere vivente”. Così i “briganti di Artena”, come sono stati ribatezzati gli aggressori di Willy. Non sanno che i loro costosi telefoni sono frutto di tecnologie sempre più complesse; non sanno che la luce ha un costo e che il prezzo del carburante dei loro costosi Suv dipende da ciò che avveiene nel mondo. Giovani che, in poche parole, se ne fregano di ciò che accade attorno a loro. Prima i tatuaggi, l’Mma e il divertimento. Il resto si fotta.
L’AMERICANO ASSASSINO SATANISTA ED IL SANTO MARTIRE CARABINIERE
Sulla Treccani, Riccardo Chiaberge declina all’attualità il concetto di barbaro espresso da Ortega y Gasset: l’invasione verticale dei barbari non viene da fuori, ma dall’interno della nostra stessa società: i nuovi barbari, infatti, “parlano la nostra stessa lingua, sono figli nostri: figli degeneri, esseri primitivi sbucati all’improvviso dalle viscere stesse della società europea. Uomini-massa privi di cultura e di coscienza individuale, portati ad agire in branco e a cadere facile preda di demagoghi e tiranni”. L’articolo, scritto cinque anni fa, descrive con pienezza i presunti aggressori di Willy.
Energumeni che hanno colpito con violenza inaudita un giovane che era la metà di loro. Ragazzi che non sanno, e forse nemmeno possono comprenderlo, che la forza può essere un valore, se ben gestito. È quello che ha fatto l’Occidente nel corso dei secoli, almeno fino a quando non ha deciso di abdicare dal suo ruolo civilizzatore. Da sempre, infatti, all’interno della società ci sono elementi che sognavano la violenza, che desideravano lo scontro e la guerra. Ma si è sempre cercato di gestirli. Ed è così che la violenza fine a stessa è diventata forza. È così che bande distruttrici si sono tramutate in falangi e legioni. È così che si sono costruiti gli imperi. È così che un gruppo di uomini a cavallo si è trasformato nel più formidabile esempio di educazione: la cavalleria.
Tutto iniziò quando tutti coloro che ruotavano attorno ai castelli cominciarono a fidarsi – e spesso anche ad accettare le angherie – di signorotti soddisfatti e arroganti che però avevano dallo loro la forza. Il popolo sapeva che, nel momento del bisogno, sarebbero stati proprio quei signorotti a scendere in campo con lancia, spada e cavallo per difenderli. La nobiltà divenne quindi un dovere prima ancora che un diritto. E doveva esser riconquistata ogni giorno in punta di spada. Scrive Ortega y Gasset: “I privilegi della nobiltà non sono originariamente concessioni o favori, ma, al contrario, sono conquiste.
E in principio, il suo mantenimento presuppone che il privilegiato sarebbe capace di riconquistarle a ogni istante, se fosse necessario e se qualcuno gliele contendesse. I diritti privati, e privilegi non sono, dunque, possessione passiva e semplice godimento, ma rappresentano il limite a cui arriva lo sforzo della persona. Invece, i diritti comuni, quali quelli dell’uomo e del cittadino, sono proprietà passiva, puro usufrutto e beneficio, dono generoso del destino con cui ogni uomo s’incontra, e che non corrisponde a nessuno sforzo. Io direi, allora, che il diritto impersonale si possiede, e quello personale si sostiene”.
L’uomo nobile, prosegue Ortega, si distingueva – e si dovrebbe distinguere ancora oggi – per i doveri: “Per me, nobiltà è sinonimo di vita coraggiosa, posta sempre a superare se stessa, a trascendere ciò che è, verso ciò che si propone come dovere ed esigenza. In questo modo, la vita nobile rimane contrapposta alla vita volgare o inerte, che, staticamente, si reclude in se stessa, condannata a una perpetua immanenza, dato che una forza esteriore non la costringe ad uscire fuori di sé. Da qui la ragione di chiamare ‘massa’ questo modo d’essere umano, e non tanto perché appartenga alla moltitudine, quanto perché è inerte”.
Nobile è stato Willy quando, vedendo un amico in pericolo, è sceso dall’auto per difenderlo con il buon senso (“smettetela, così vi fate male”). La violenza come extrema ratio, tipica dell’Occidente. Una cosa che i suoi aggressori, novelli barbari, non possono nemmeno comprendere.
“I due fratelli violenti, si sapeva”
articolo Ansa
Si trovano nel carcere di Rebibbia i quattro ragazzi arrestati dai carabinieri della Compagnia di Colleferro per l’omicidio di Willy Monteiro Duarte e nei prossimi giorni ci sarà l’udienza di convalida. Si tratta di Francesco Belleggia, 23 anni, Mario Pincarelli, 22 anni e dei fratelli Gabriele e Marco Bianchi di 25 e 24 anni. Sono tutti accusati di omicidio preterintenzionale in concorso.
“Non si può morire a 21 anni così. Li conoscevano tutti qui quei due fratelli. Da due anni litigano e picchiano con le stesse modalità, sono stati autori di altri pestaggi”. A raccontarlo Alessandro, un amico di Willy, il ragazzo ucciso a Colleferro, arrivato sul luogo dell’aggressione del 21enne. “Con uno di loro ho litigato pochi mesi fa perché dava fastidio a un mio amico – aggiunge – La rabbia è che non è la prima volta che fanno così. Si poteva evitare”.
“Vi auguro che il Signore ricambi la vostra esistenza con la stessa cattiveria e violenza”, “Che lo spirito di quel ragazzo vi perseguiti” e ancora “inutile accanirsi contro essere spregevoli come voi”. Raffica di insulti e minacce sui profili social dei due fratelli arrestati. In poche ore sui loro profili sono arrivati centinaia di commenti. “Spero che muori male”, “non meriti di stare al mondo”, “fate schifo”, questi alcuni dei commenti con minacce anche alla compagna di uno dei due fratelli: “E’ meglio che scappa”. Molti commenti incitano al linciaggio.
Una maglietta della Roma con su scritto “Grazie Willy gli eroi non muoiono mai”, una targa “Ciao Angelo mio” e decine di di mazzi di fiori a Colleferro sul luogo in cui è stato picchiato a morte. Un pellegrinaggio silenzioso di amici e conoscenti. Alle 12 nella vicina piazza Italia, a pochi metri di distanza, c’è stato un minuto di silenzio in memoria del ragazzo con il sindaco di Colleferro Pierluigi Sanna che oggi ha proclamato il lutto cittadino. “Non si è trattato di una semplice rissa, ma di qualcosa di più cruento, cui in nessun modo si può trovare una giustificazione” ha detto il sindaco.
“Qui non si dorme. Servono più controlli nella zona di piazza Italia dove ci sono i pub”. A dirlo alcuni abitanti che si sono recati sul luogo del pestaggio. “Io sono una mamma e poteva essere mio figlio” dice una di loro. “Servirebbero pattuglie che girano la sera e che controllano. Chi lo dice che non possa ricapitare?”. “Qui nel weekend è un ‘macello’ – dicono alcune cittadine – tutti senza mascherine, assembrati e bevono. Le forze dell’ordine sono poche e non possono farcela, devono aumentarle”.