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COVID, RIVELAZIONE SHOCK DALL’ISTITUTO SPALLANZANI: «Rischio confusione tra influenza stagionale e virus SARS-Cov-2»

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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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Ancora una volta Gospa News ha colpito nel segno. Nei giorni scorsi, infatti, abbiamo pubblicato il parere di un giornalista scientifico irlandese che sollevava un dubbio inquietante: i casi di influenza stagionale sono spariti quindi può darsi che i dati siano confusi con quelli dei contagiati dal coronavirus SARS-Cov-2. A supporto delle sue affermazioni abbiamo pubblicato la tabella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che evidenziava la scomparsa delle persone contagiate dall’influenza a partire dalla scorsa primavera.

Oggi dall’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, il primo impegnato sul fronte della lotta alla pandemia in Italia dal febbraio scorso che è anche partner per la ricerca sul vaccino con la società Reithera (del gruppo GlaxoSmithKline) arriva una rivelazione clamorosa.

“Probabilmente la settimana prossima arriveranno questi test” che permetteranno di distinguere il Covid dall’influenza, ha scritto l’agenzia Adnkronos lo scorso 8 novembre riprendendo le dichiarazioni fatte dal professor Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Istituto Spallanzani di Roma nel corso della trasmissione di Rai 1 ‘Buongiorno Benessere’, condotto da Vira Carbone.

Francesco Vaia, direttore dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma

«Questi test che sono test antigenici ci consentono in tempi rapidissimi, tra i 15 e i 30 minuti, di sapere se il soggetto che si sottopone al test ha in corso un’attività virale da coronavirus oppure di tipo influenzale. Inutile sottolineare la grandissima rilevanza di questo test in un momento in cui purtroppo la curva epidemica è ancora in atto e che si sovrappone alla curva influenzale. Sarà molto rilevante dal punto di vista della sanità pubblica». I costi del test “saranno molto contenuti dai 4 ai 10 euro”, aggiunge comunicando che “faremo gli esperimenti”.

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E’ pertanto lapalissiano che se i test per distinguere il Covid-19 dall’influenza stagionale stanno arrivando soltanto adesso significa che finora non sono stati utilizzati e che, pertanto, come evidenziato da Gospa News, è altissima la possibilità che si prendano lucciole per lanterne.

Ciò può essere capitato anche in considerazione dei rischi di falsi positivi connessi alla metodologia di amplificazione genica dei tamponi rino-faringei utilizzati per individuare i contagiati dal nuovo ceppo di coronavirus ma, se tarati erroneamente, in grado di rivelare la positività a qualsiasi microbo, come spiegato in un precedente reportage dal professor Giorgio Palù, accademico di Padova e Philadeplhia, per sette anni presidente della Società Europea di Virologia e fondatore di quella italiana.

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Il medesimo concetto è stato ribadito dalla dottoressa Maria Grazia Dondini, medico di Medicina generale di Monterenzio, in provincia di Bologna, in un’intervista rilasciata alla Nuova Bussola Quotidiana. «L’OMS mette a disposizione la possibilità di consultare idati relativi all’influenza. Dall’aprile di quest’anno, praticamente pare non esista più l’influenza» scrive il giornalista riportando quanto anticipato nel nostro precedente articolo.


«Certo. Ma non solo – risponde la dottoressa Dondini – Noi riceviamo annualmente il report dell’influenza dell’autunno-inverno precedente. Ce lo consegnano nell’autunno successivo, in occasione dell’apertura della campagna vaccinale antinfluenzale. Quest’anno, stranamente, questo report è arrivato verso la fine di febbraio: questo significa che si era già deciso che tutte le forme influenzali/simil-influenzali dovevano essere battezzate come COVID-19. L’influenza è sparita, insieme a tanto altro. Io sono convinta che ci troviamo di fronte a numerose sovradiagnosi di COVID-19. Bisognerebbe indagare bene su come vengano allestiti questi tamponi e ricordiamoci che lo stesso ideatore del test di amplificazione genica, il Dott. Mullis, ha sempre sostenuto che non dovesse essere utilizzato a fini diagnostici!».

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La sua convinzione è oggi avvalorata dalle affermazioni del direttore dello Spallanzani mentre in Italia l’allarme resta altissimo con il lockdown quasi totale in Piemonte, Lombardia e Calabria e quello parziale in moltre altre regioni che proprio in queste ore potrebbero subire restrizioni più severe per disposizione del Ministro della Salute Roberto Speranza anche se i dati sono contraddittori. Ma nonostante ciò il presidente nazionale dell’Ordine dei Medici ha insistito nel chiedere una chiusura totale generalizzata. Nel frattempo dichiarate “zona rossa” anche Toscana e Campania, dove l’allarme era elevatissimo soprattutto per la carenza cronica di posti letto negli ospedali e l’atteggiamento terroristico del governatore Vincenzo De Luca, esponente di spicco del Partito Democratico che sostiene il governo del premier Giuseppe Conte.

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Emergono infatti 37.978 nuovi contagi da coronavirus in Italia nelle ultime 24 ore, secondo i dati ministeriali, rilevati grazie a 234.672 tamponi effettuati nell’ultimo giorno. Gli attualmente positivi sono 635.054 (+21.696), i guariti e dimessi sono 387.758 (+15.645). Questo numero ha indotto a suonare un campanello di allarme la fondazione GIMBE che analizzando le statistiche ha rivelato come sia stata superata la soglia dell’1 % della popolazione contagiata sebbene i sintomatici, siano «circa 1/3 dei casi totali». Ovvero circa 400mila persone sono asintomatiche: pertanto non presentano sintomi dell’infezione virale e pertanto, come in precedenza spiegato da Palù ed altri esperti, «non sono contagiosi».

Ciò nonostante alla data dell’11 novembre si trovavano in isolamento domiciliare ci sono 602.011 persone (+21.178). Il caso più clamoroso è quello del Comune di Arcisate (Varese) che vanta il primato di mille persone in quarantena su 10mila abitanti, sebbene i “positivi“ siano solo 203 e gli ospedalizzati soltanto 8.

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Ma il bilancio delle vittime in Italia, 636 in un giorno, che tocca il record del 6 aprile scorso, ha innalzato il livello di preoccupazione. Sono aumentati anche i pazienti in terapia intensiva, + 89 per un un totale di 3.170 persone in rianimazione. Mentre i ricoverati con sintomi in reparti ordinari per Covid sono aumentati di 429 unità e sono ora 29.873.

«Destano particolare preoccupazione i tassi di occupazione ospedalieri: in 11 Regioni è stata superata la soglia di saturazione del 40% dei posti letto in area medica e in altre 11 Regioni quella del 30% per le terapie intensive» ha affermato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE che durante la trasmissione “Melog – Il piacere del dubbio” su Radio24 del 12 novembre ha però evidenziato che i dati sono generici e non tengono in considerazione, ad esempio, le persone che dalle terapie intensive vengono portate nei reparti ordinari o quelle decedute creando una moltiplicazione imprecisa nei numeri.

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«Dobbiamo provare a cambiare la versione sulle terapie intensive. E’ giusto e corretto affermare che dobbiamo potenziarle ma si dica anche che la terapia intensiva non è l’anticamera della fine della vita. In terapia intensiva si guarisce» sottolinea proprio il professor Vaia dello Spallanzani facendo l’esempio di «un sacerdote di 50 anni che è venuto dall’Albania in condizione gravissime, in fin di vita e che è guarito e ora sta a casa». Questa malattia, aggiunge, «dà un respiro corto ma non dobbiamo avere paura. Dobbiamo rimanere coesi e uniti. Si guarisce da questa malattia, ce la faremo».

«Sui dati dei ricoveri e delle terapie intensive: non ci può essere chiarezza fino a quando non si specificherà chi sono queste persone e di cosa effettivamente soffrono – precisa la dottoressa Dondini – Dai dati comunicati non si capisce: non si fa questa necessaria operazione di definizione dei ricoveri. Si danno semplicemente dei numeri, come i numeri dei tamponi positivi in pazienti per la maggior parte asintomatici. E questo allontana dalla reale misura del problema, sempre che di COVID-19 si debba parlare. E’ evidente che si voglia ricercare solo quello».

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«La comunicazione è stata sbagliata. Terrorizzare le persone può aiutare a farle stare in casa, ma a livello ospedaliero gestire una popolazione nel panico genera solo caos». In una intervista a “Libero” Matteo Bassetti, direttore della Clinica Malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, sostiene che «se oggi le strutture sanitarie rischiano il collasso è anche perché sono assediate da migliaia di persone asintomatiche o poco sintomatiche che si potrebbero tranquillamente curare a casa e che invece prendono d’assalto i pronto soccorso, intasano i centralini degli ospedali, fanno perdere tempo ai mediciı.

«E tutto avviene perché sono state spaventate dalle istituzioni, che avrebbero invece dovuto tranquillizzarle. Il Covid e’ stato ingigantito: e’ il panico e la paura di finire intubato che fa esplodere il sistema sanitario non i malati. Se ricevo cento telefonate al giorno da chi non sta male, come curo i malati veri?”» aggiunge l’infettivologo, tra i primi a rimarcare già lo scorso mese che rispetto alla primavera scorsa ora ci sono le cure efficaci (Remdesivir, cortisonici, eparina, idrossiclorichina, plasma iper-immune).

Matteo Bassetti, infettivologo dell’ospedale San Martino di Genova

«Andava detto che il Corona sta facendo danni enormi ma che la maggioranza dei positivi è asintomatica o poco sintomatica e che il virus ha una letalità inferiore all’1% e fa male soprattutto a pazienti anziani e con la salute già compromessa» aggiunge Bassetti spiegando perché vi sono anche numerosi decessi.

«Perché è una brutta infezione – ammette l’infettivologo – e concorrono tanti fattori: la genetica, le condizioni di salute, lo stato delle difese immunitarie nel momento del contagio, la carica virale introiettata. Ma già prima della comparsa del Covid, la polmonite contratta fuori dall’ospedale era la quinta causa di morte nel mondo, e uccideva anche cinquantenni e bambini».

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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