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LA PIRA, IL SINDACO SANTO DI FIRENZE NEL MIRINO DELLA CIA. Una spy-story tra Italia, Russia, Vaticano e Usa

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Il rapporto segreto del XX Congresso del Pcus
nella borsa di Bogomolov per Giorgio La Pira

di Raffaele Angiolillo

In occasione dell’anniversario della nascita dello stimato politico Giorgio La Pira (9 gennaio 1904) pubblichiamo un resoconto esclusivo dello scrittore Raffaele Angiolillo che gli ha dedicato il libro di alto valore storiografico “Il Magnete di Dio”.

Il rapporto segreto del XX Congresso del Pcus nella borsa di Bogomolov per Giorgio La Pira? Non si tratterebbe soltanto d’una ipotesi. Tanto che persino gli americani avevano deciso di tenerlo sotto “controllo”.

Lo stesso Giorgio La Pira, “sindaco santo” di Firenze, fine personalità prestata alla politica della Democrazia Cristiana e componente –nel 1946 – dell’Assemblea Costituente, ebbe modo di fare capire che conosceva gli avvenimenti. Ma non ritenne mai di ammetterlo ufficialmente o di giustificarsi quando lo accusavano che s’era prestato come una “pedina” ad un torbido complotto internazionale innestato dall’URSS di Kruscev. La questione ritorna in questi giorni, prepotentemente alla ribalta, in seguito alla coraggiosa pubblicazione dell’editore Calibano del romanzo “Il magnete di Dio e altre vicende”. Giorgio La Pira è il magnete di Dio.

La copertina del libro Il magnete di Dio di Raffaele Anglolillo

Il XX Congresso del Pcus, presieduto dallo stesso Kruscev, si tenne dal 14 al 26 febbraio 1956 nella Sala Bianca del Cremlino di Mosca. Ed il giorno prima della chiusura dei lavori il Presidium mise alla porta tutti i delegati stranieri del partito comunista per tentare di aprire il processo di destalinizzazione. Sull’uscio della Sala Bianca venne messo pure il delfino genovese Palmiro Togliatti. E siccome non trapelò nulla dalla riunione riservata, le cancellerie ed i servizi segreti di mezzo mondo si misero in agitazione ipotizzando un “rapporto segreto” che dava la stura ad una guerra nucleare. E non pochi furono coloro che posarono gli occhi su Giorgio La Pira per avere informazioni sulla sessione dei lavori, ch’era stata tenuta misteriosamente a porte chiuse.

E questo in funzione del fatto che il “sindaco santo” di Firenze aveva avuto –a distanza di qualche settimana dalla fine del mese di febbraio- un incontro riservato con l’ambasciatore sovietico a Roma Alexander Bogomolov.  La Pira era già noto a vassalli e capi di Stato (indipendentemente dall’appartenenza religiosa o situazione politica) come “costruttore di Ponti” e uomo del dialogo. Ma che poteva anche prestarsi inconsapevolmente come “pedina” del diplomatico sovietico. I due s’erano conosciuti a Roma nel 1944.

Il polito Giorgio La Pira

La causa scatenante del complotto internazionale, quindi, era stata originata da Nikita Sergeevič Kruscev in qualità di Primo Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Era salito al potere nel mese di settembre 1953, dopo la morte del dittatore Iosif Stalin. Alla Casa Bianca sedeva Dwight Eisenhower che non perse tempo a convocare nel suo studio ovale il segretario di Stato John Foster Dulles ed il fratello minore Allen Welsh Dulles, autorevole ed influente direttore della Cia. John Foster era noto come sostenitore della rappresaglia massiccia (ricorso al nucleare) e teorico della strategia aggressiva Rollback, ossia all’impiego delle forze armate per sconfiggere l’influenza comunista nel mondo.

Ed in tale ottica sembrerebbe difficile escludere dagli incontri strategici il tedesco General Major Reinhard Gehlen della Wehrmacht con la II guerra mondiale. Successivamente reclutato dagli Usa con lo scopo di organizzare una rete di spionaggio contro l’Unione Sovietica. Sarà capo dei servizi d’informazione della Germania ovest sino alla fine degli anni sessanta.

Per cui Gehlen, con la sua organizzazione Bundesmachrichtendienst (BND), s’occupò del fronte orientale facendo veicolare le informazioni che raccoglieva dalle nazioni del Patto di Varsavia sottomesse all’URSS ad uso dell’intelligence della Nato. Fece infiltrare pure i suoi agenti nei paesi della “Cortina di ferro” con lo scopo di appoggiare le attività e le rivolte di coloro che s’opponevano al dominio sovietico. Dunque, Gehlen lavorava in stretta collaborazione con la Cia (Central Intelligence Agency, agenzia di spionaggio) con sede a Langley McLean, Virginia, Stati Uniti fondata da Harry S. Truman il 18 settembre 1947 con la partecipazione di Eisenhower, William Joseph Donovan ed Allen Welsh Dulles.

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Sul fronte occidentale, invece, sotto la lente d’ingrandimento della Cia prese posto essenzialmente l’Italia. Perché quello che preoccupava gli americani non era soltanto Giorgio La Pira, ma pure la consapevolezza della traballante situazione politica. C’erano i comunisti italiani che sembravano potessero salire al potere e la Democrazia Cristiana che già faceva emergere segnali d’indecisione e di corruzione, secondo gli americani, ovviamente. Ma, forse, nel senso che ogni tanto, alcuni politici italiani dello “scudo crociato”, davano la sensazione di strizzare l’occhio al duro e convinto comunista Palmiro Togliatti che avrebbe potuto agevolare le mire espansionistiche del Soviet Supremo.

E per questa intrigante matassa italiana, pertanto, non doveva essere difficile associare il “rapporto segreto” di Kruscev alla sponda tra Roma e Firenze. E così l’azione americana venne affidata nelle mani di James Jesus Angleton, capo del controspionaggio della CIA (Central Intelligence Agency), meglio conosciuto con lo pseudonimo Kingfisher e vociferato come “la madre dell’intelligence” statunitense. Dal 1954 aveva assunto la missione di dare la caccia alle spie sovietiche. Era il periodo della “guerra fredda” ed era diventato un cacciatore di spie. Nel suo tabulato figurava il nome di Giorgio La Pira?

Alexsej Agjubei con la moglie figlia di Kruscev e La Pira. Palazzo Vecchio, Firenze

Il sindaco di Firenze non preoccupava soltanto il papa romano Pio XII, detto Pastor Angelicus. Dato che La Pira piaceva muoversi nella società del suo tempo come “Libero apostolo del Signore”, “Con l’impegno di umanità e di santità”, “Con il desiderio di potere convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia, di carità”. Convinzioni che lo spingevano a scrivere personalmente e direttamente a tantissimi capi di Stato fra cui Chou En-Lai, Brandt, Ho Chi Minh, Kruscev.

Angleton era stato in Italia e conosceva bene la lingua italiana. Inoltre, sembrerebbe sia stato mentore del futuro papa Paolo VI, monsignore Giovanni Battista Montini. Al quale non pochi storici gli riconoscono la nascita del Servizio Informazioni del Vaticano ossia una vera organizzazione dei servizi segreti del pontefice.

Ma per ritornare al nostro punto di partenza che cosa avrebbe chiesto l’ambasciatore sovietico Alexander Bogomolov al “sindaco santo” di Firenze Giorgio La Pira? Nelle ambasciate internazionali l’atmosfera era davvero bollente dato che il XX Congresso Sovietico aveva lasciato, in piena “guerra fredda”, con il fiato sospeso gli Alleati del Patto Atlantico. In allerta, sicuramente, si trovarono anche i servizi segreti italiani. E quelli che balzano alla cronaca sono gli uomini della Sezione D del Sifar (controspionaggio italiano) ed il nome del generale di brigata Giovanni De Lorenzo.

Mentre le seguenti strane coincidenze sono ancora in attesa d’una risposta. Il portale storico della Presidenza della Repubblica registra che l’allora capo dello Stato italiano è il presidente Giovanni Gronchi che riceve il 25 gennaio 1956 (soltanto alcune settimane prima della seduta misteriosa del XX Congresso del Pcus) alle ore 12,30 S. E. il Signor Alexander Bogomolov, ambasciatore dell’URSS. Rimane, però, incerto parte del contenuto del colloquio.

L’ambasciatore sovietico in Italia Alexander Bogomolov

Poi Bogomolov, in seguito all’incontro con il presidente della Repubblica italiana e dopo poche settimane dalla riunione segreta del famoso 25 febbraio, sarebbe stato ricevuto da Giorgio La Pira nel mese di aprile 1956. Ha, segretamente, eseguito la propria missione? Rivelando i fatti dell’assise riservata, voluta e presieduta da Kruscev? Il luogo dell’incontro forse è stato il monastero degli Olivetani, annesso alla Basilica di San Miniato al Monte di Firenze.

Il “sindaco santo” cadde, dunque, nell’intrigo sovietico Kruscev/Bogomolov per fare divulgare all’estero quello che poteva essere pericoloso in patria dato che il “nuovo corso politico” di Kruscev aveva non pochi nemici in casa? Ma se in possesso del “rapporto segreto” di sicuro, purtuttavia, La Pira aveva i suoi referenti che erano monsignore Angelo Dell’acqua, prelato della Curia romana appartenente ai prelati palatini della famiglia pontificia nonché sostituto della segreteria di Stato dal 1950 ed il potente democristiano toscano Amintore Fanfani.

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La conclusione enigmatica dell’assise del Presidium sovietico, con l’ombra della guerra globale nucleare, avvenne –a sorpresa- il 5 giugno 1956 con la pubblicazione del rapporto (approdato “magicamente” al Dipartimento di Stato statunitense a poca distanza di settimane dalla presenza di Bogomolov a Firenze) sul quotidiano americano The New York Times e rilanciato –pedissequamente – da tutta la stampa occidentale.

Kruscev aveva raggiunto il suo scopo? Ma per lui si trattava di aprire un nuovo corso al socialismo oppure nella rete del ragno c’erano altre strategie? Certamente, comunque, annunciava al mondo intero tutti i crimini di Iosif Stalin. Triturando il culto della personalità del dittatore georgiano per il quale lo spirito del marxismo-leninismo era pure quello di forgiare l’uomo solo al comando come un superuomo favorito di doti affini a quelle di Dio. Un comandante militare infallibile e con il diritto di vita e di morte persino sulla propria popolazione: cosa che poi la storia denunciò.

Padre Gianni Festa, il postulatore dei Domenicani, nel curare la Causa di Beatificazione di Giorgio La Pira ebbe modo di riconoscerlo come Un mistico prestato alla politica.

Raffaele Angiolillo
(scrittore e storico)

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BIOGRAFIA DI GIORGIO LA PIRA – ENCICLOPEDIA TRECCANI

LA PIRA, Giorgio. – Nacque a Pozzallo, una cittadina di mare presso Ragusa, il 9 genn. 1904 da Gaetano e Angela Occhipinti, primogenito di sei figli. Nel 1914, per poter proseguire gli studi, si trasferì a Messina presso lo zio Luigi Occhipinti, titolare di un’azienda commerciale nella quale si impiegò dopo aver ottenuto, nel 1921, il diploma di ragioniere; intanto, sotto la guida del prof. F. Rampolla del Tindaro, preparava l’esame per la maturità classica, che conseguì nel 1922.

Nel periodo siciliano il L. strinse amicizia con S. Quasimodo e con S. Pugliatti, frequentò i circoli futuristi, ebbe parole di ammirazione per G. D’Annunzio, lesse gli autori russi, fra cui F.M. Dostoevskij. Degli anni 1921-22 è la crisi spirituale che lo portò a una ricerca religiosa di cui è indice, per esempio, l’entusiasmo per la Storia di Cristo di G. Papini; lesse L’azione di M. Blondel, tradotta da E. Codignola nel 1921, e alcuni degli autori classici della tradizione francese, da B. Pascal a F.-R. de Lamennais, a F.-R. de Chateaubriand, al Bossuet del Discorso sulla storia universale. In casa Rampolla conobbe poi il fratello del suo professore, il sacerdote don Mariano, che gli sarebbe stato vicino nella riscoperta della fede e della tradizione cristiana.

Nella Pasqua del 1924 il L. annotò sulla prima pagina dei suoi Digesta Iustiniani (Corpus Iuris civilis, I, Berolini 1920, conservato fra i suoi oggetti a Firenze: cfr. Catalano) di aver ricevuto l’eucarestia, richiamando, poi, più volte questa data come quella della sua “conversione”. Significative nel suo itinerario religioso furono anche altre figure sacerdotali come: E. Foghesato, S. Gallo, gesuita, coordinatore della Congregazione mariana, e mons. L. Bensaja, assistente della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI), all’interno della quale il L. fu rappresentante della Società di S. Vincenzo.

Nel novembre 1922 il L. si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Messina, dove insegnava il prof. E. Betti che, trasferitosi a Firenze, nel 1925 lo invitò a seguirlo nella città toscana; con lui, nel 1926, si laureò in diritto romano con una tesi su La successione ereditaria intestata e contro il testamento in diritto romano (poi pubblicata, Firenze 1930, e dedicata “a Contardo Ferrini che per tutte le vie mi ricondusse nella Casa del Padre”). Intanto il suo impegno religioso si era approfondito e già nel 1925, a Messina, era divenuto terziario domenicano con il nome di fra’ Raimondo, nel primo nucleo di terziari fondato dal p. Enrico de Vita.

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Nell’anno accademico 1926-27 il L. era stato nominato assistente di diritto romano presso la facoltà di giurisprudenza fiorentina e nel successivo 1928-29 ottenne l’incarico di istituzioni di diritto romano; vinse quindi una borsa di studio presso le Università di Vienna e di Monaco di Baviera. Dal 1929-30 ricoprì anche l’incarico di storia del diritto greco-romano. Nel 1930 ottenne la libera docenza in diritto romano. Contemporaneamente, nel 1927, aveva confermato la sua vocazione, vestendo l’abito di terziario domenicano anche in S. Marco a Firenze, sempre con il nome di fra’ Raimondo. Nel 1928 divenne membro dell’Istituto secolare dei missionari della Regalità di Cristo, inserito nel movimento spirituale del Terz’Ordine francescano; pronunciò quindi i voti di povertà, castità, obbedienza. A questi anni datano i legami con p. A. Gemelli e con don L. Moresco.

La prospettiva intransigente dell’Istituto della Regalità, alla quale il L. sembrò aderire con convinzione, era quella espressa da Pio XI nella enciclica Quas primas del 1925; in questa chiave l’istituzione della festa di Cristo Re, a coronamento dell’anno liturgico, con l’immagine del “regno sociale di Cristo” da instaurare, era concepita come una risposta ai processi di laicizzazione dello Stato scaturiti dalla Rivoluzione francese. Nei primi anni Trenta a Firenze la vita del L. si caratterizzò come impegno scientifico-accademico e religioso-ecclesiale.

Fu incaricato di istituzioni di diritto romano nell’Università di Siena dal 1931 al 1933; in quell’anno vinse il concorso in diritto romano, e venne chiamato, nel dicembre, come straordinario, presso la seconda cattedra dell’Università di Firenze. Fu incaricato di elementi di storia del diritto romano a Firenze dal 1933 al 1935 e anche di istituzioni e di pandette a Pisa sempre nel 1935. Promosso ordinario, nel 1936 fu chiamato alla cattedra di istituzioni di diritto romano presso l’ateneo fiorentino.

Nella vita religiosa si impegnò nell’Azione cattolica fiorentina, strinse amicizia con don G. Facibeni, fondatore dell’Opera della Divina Provvidenza “Madonnina del Grappa” e animatore di un’innovativa esperienza pastorale nella parrocchia operaia di Rifredi. Nel 1934 il L. dette vita, prima a S. Procolo poi alla Badia, alla “messa del povero” in cui, dopo la celebrazione, il L. si rivolgeva ai fedeli con una predicazione laica e dove praticava un’assistenza caritativa, coinvolgendo anche giovani della città. Nel 1937 fondò la Conferenza di S. Vincenzo “Beato Angelico”, inizialmente composta in prevalenza da avvocati e magistrati che si riunivano presso la LEF (Libreria editrice fiorentina), una piccola casa editrice che aveva un ruolo significativo di promozione culturale in ambito cattolico, in particolare a Firenze, e che, negli anni successivi, avrebbe pubblicato anche gli scritti del L. e di altri protagonisti del mondo cattolico fiorentino, quali don L. Milani. In questo periodo strinse un’amicizia importante e duratura con G.B. Montini, che gli avrebbe fatto conoscere don R. Bensi, sacerdote fiorentino legato alla Gioventù di Azione cattolica, noto in città per la sua finezza spirituale e anche per gli orientamenti antifascisti; il profondo legame di amicizia con Bensi, che era diventato suo padre spirituale, e anche quello con Montini lo avrebbero accompagnato per tutta la vita.

Nel 1936 fu accolto nella comunità domenicana di S. Marco, dove abitava nella cella VI, e dove approfondì lo studio delle opere di s. Tommaso. In questi anni e in questi ambienti si affermò una presa di distanza del L. dalle iniziative del regime, che si accentuò dopo l’emanazione delle leggi razziali; una reazione a questo suo atteggiamento politico si può intravedere in un articolo polemico di Papini, Discorsetti ai cattolici (cfr. Il Frontespizio, luglio 1938), nel quale i riferimenti al L. sono evidenti, in particolare a due articoli del L. apparsi sullo stesso periodico: nel 1937 Natura dell’uomo e ordine giuridico e nel 1938 (sullo stesso fascicolo nel quale apparve l’articolo polemico di Papini) Architettura del corpo sociale. Nel gennaio 1939 il L. iniziava a curare la pubblicazione di Principî, supplemento di Vita cristiana, la rivista di ascetica e mistica edita dai domenicani di S. Marco.

In esso la condanna del razzismo si univa a una forte riaffermazione dell’uguaglianza di tutti gli uomini; le ampie citazioni di brani dei padri e dei dottori della Chiesa miravano a denunciare, senza incorrere immediatamente nella censura, gli errori e le deviazioni della politica nazista e fascista. La rivista riaffermava inoltre l’esigenza di un corpus unitario del pensiero cristiano che qualificasse un ideale etico-sociale riproposto per il tramite della Chiesa, della quale si sottolineava con forza la dimensione societaria e gerarchica; in questa chiave va letta l’enfasi posta sul ruolo del pontefice nel disegno di ricostruzione della società, così come sulla matrice unicamente religiosa e cattolica dei “principî” affermati. Venivano in questo modo proposti valori alternativi a quelli del regime, imperniati su concetti tematici oggetto dei singoli fascicoli della rivista: gerarchia, mistica, guerra, crociata; il tema della libertà, affrontato nell’ultimo numero (gennaio-febbraio 1940, n. 1-2), provocò l’intervento repressivo del regime. Contestualmente il L. esplicitava una prospettiva tesa a sottolineare la responsabilità di ciascun credente di fronte ai problemi storico-sociali (si veda l’articolo, sempre del 1940, in Il Ragguaglio, dal significativo titolo La crisi della morale).

Nel 1939 il L. aveva commentato con entusiasmo su Vita cristiana l’enciclica programmatica del nuovo pontefice Pio XII, Summi pontificatus, nella quale vedeva proposto un “sistema dottrinale che costituisca l’armatura razionale con la quale la Chiesa difende i suoi immutabili principî”; dello stesso anno è anche il suo inserimento più organico a S. Marco come fratello laico con il nome di Donato. Nel novembre 1941, con l’assenso della curia arcivescovile, che gli lasciava spesso mano libera, organizzò presso il convento di S. Marco una “settimana di cultura cattolica” che suscitò un violento articolo del periodico della federazione fascista, Il Bargello, e un’inchiesta della polizia politica. Alla fine di settembre del 1943, in seguito a una perquisizione nazifascista del convento durante la quale risultò che era tra i ricercati, si ritirò a Fonterutoli, presso Siena; poi, in novembre, in presenza di un mandato di cattura nei suoi confronti, si diresse a Roma, dove ottenne una tessera di riconoscimento della Città del Vaticano come collaboratore de L’Osservatore romano. Nel settembre 1944, dopo la liberazione di Firenze, rientrò in città e venne nominato presidente dell’Ente comunale di assistenza, sviluppando una vasta attività in cui fu coadiuvato da don Bensi.

Legato a G. Dossetti, G. Lazzati, A. Fanfani, nel gruppo denominato dei “professorini”, che aveva una sua posizione autonoma all’interno della Democrazia cristiana (DC), nel 1946 fu eletto alla Costituente. Membro della Commissione dei settantacinque, relatore nella prima sottocommissione sui Diritti e doveri dei cittadini, contribuì significativamente alla stesura del testo costituzionale intervenendo su molti temi e, in assemblea generale, nel dibattito che precedette la votazione finale, propose di porre all’inizio della Costituzione il riferimento al “nome di Dio”.

Di là da questo episodio, frequentemente ricordato, nella circostanza il L. utilizzò il suo retroterra culturale di romanista e di pensatore legato alla tradizione tomistica, attraverso la conoscenza diretta sia dell’opera di s. Tommaso sia della reinterpretazione tomistica di J. Maritain, e importante fu il suo contributo e la collaborazione con Dossetti nella elaborazione dello storico “compromesso” con Togliatti che portò all’approvazione dell’articolo 7. La sua matrice tomista lo portava ad affermare una prospettiva di “organicismo pluralistico”, sulla base di un’originale utilizzazione delle teorie sulla pluralità degli ordinamenti giuridici di S. Romano e delle dottrine tedesca e francese.

Eletto alla Camera dei deputati il 18 apr. 1948 e nominato, nel V governo De Gasperi, sottosegretario al ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, si impegnò in appoggio alle lotte sindacali, mentre, in stretta collaborazione con il gruppo dei “professorini”, nel maggio 1947 aveva fondato, insieme con Dossetti, la rivista Cronache sociali (pubblicata fino al 31 ott. 1951). Dopo due anni, per dissensi su alcuni aspetti della politica economica e sociale del governo, si dimise insieme con altri esponenti della corrente dossettiana, poi disciolta. Nel 1951 il L., candidatosi anche su sollecitazione delle autorità ecclesiastiche e in particolare dell’arcivescovo E. Dalla Costa, venne eletto sindaco di Firenze nella lista della DC; rieletto a tale carica nel 1956 vi rimase un anno ancora.

L’impegno sul piano locale assunse il valore di una verifica delle ultime possibilità di concretizzare una linea politica particolarmente aperta alle istanze di un cattolicesimo sociale che, nell’accezione del L., dimenticava spesso remore di partito o ragioni prudenziali. D’altro canto le difficoltà incontrate all’interno della DC portarono il L. a chiedere una legittimazione, una supplenza ecclesiale per una politica sociale diversa, ritenuta necessaria anche per contrastare diversamente il comunismo, sentito come pericolo in ambito religioso, oltreché politico. Emblematici furono gli episodi delle fabbriche fiorentine del Pignone nel 1953, quando il sindaco e gran parte della Chiesa fiorentina appoggiarono le lotte operaie, fino ad accettare l’occupazione della Pignone – dove il L. assistette alla messa all’interno della fabbrica occupata, riuscendo, quindi a risolverne la crisi con il contributo di Fanfani e di E. Mattei, presidente dell’ENI (Ente nazionale idrocarburi) che rilevò l’azienda – e a effettuare la requisizione della fonderia Le Cure, poi trasformata in cooperativa. Si trattò di episodi di forte significato emblematico e aggregante, che suscitarono tuttavia non poche polemiche nella stampa moderata, e anche in ambito cattolico, in particolare con P. Malvestiti e L. Sturzo negli anni 1953-55. Durante la crisi della Pignone tali polemiche furono ulteriormente aggravate da un’allusione di condanna contenuta nel discorso natalizio del pontefice del 1953 (a questo proposito le smentite ufficiali non mutano l’evidenza del riferimento, che è anche confermata dalla recente pubblicazione delle Lettere a Pio XII dello stesso La Pira).

Durante la sua amministrazione il L. iniziò la costruzione del nuovo ampio quartiere dell’Isolotto, che si proponeva di dare una soluzione organica al problema dell’emergenza abitativa, mentre la crisi degli alloggi, sia per le distruzioni della guerra sia per l’arrivo degli alluvionati dal Polesine, lo indusse a cercare anche soluzioni tampone come la costruzione di “case minime” o la requisizione di ville disabitate per gli sfrattati, suscitando pure in questo caso non poche polemiche.

Altro filone centrale delle iniziative del L., in questo primo mandato come sindaco, fu quello della pace. I convegni internazionali “Per la pace e la civiltà cristiana” (il primo fu del 1952) crearono fervore di dibattiti e di proposte, ma anche le ormai consuete polemiche e opposizioni.

Il L. trovò ampio consenso e consonanza di prospettive religiose e storico-politiche con una parte significativa del mondo cattolico. Sembrava a molti che, attraverso la sua azione, si potesse realizzare quel “mito” della “società cristiana” così a lungo coltivato nella Chiesa e nella cultura cattolica. Egli cercò di tenere uniti, in una logica di complementarietà, quanti esprimevano filoni culturali e articolazioni diverse di quella medesima prospettiva: da chi privilegiava l’assetto giuridico-istituzionale della “società cristiana”, a quanti si ispiravano ai temi della “nuova cristianità” propugnata da Maritain, a chi era sensibile alle sollecitazioni de L’avventura cristiana di E. Mounier.

Il tema della pace, connesso al pericolo costituito dalle armi nucleari, fu al centro del suo intervento, Il valore delle città, tenuto il 12 apr. 1954, al comitato internazionale della Croce rossa di Ginevra, dove sottolineò il ruolo delle città quali protagoniste nella costruzione della pace. Fu ancora questa la prospettiva del Convegno dei sindaci delle capitali del mondo, convocato dal 2 al 6 ott. 1955 a Firenze, dove si incontrarono per la prima volta sindaci del mondo occidentale e comunista, che firmarono insieme un appello contro la guerra nucleare.

In quegli anni gli “appelli” di intellettuali che accompagnarono la convocazione dei convegni per la pace e la civiltà cristiana e ne indirizzarono in qualche modo lo svolgimento, sottolineavano la distinzione tra Rivelazione ed espressioni culturali cristiane e occidentali, che avrebbe dovuto incoraggiare una disponibilità al dialogo tra culture diverse. Negli ultimi convegni in particolare si assistette a una significativa presenza di rappresentanti del mondo arabo. La necessità di un confronto politico più specifico trovò uno sbocco nei quattro Colloqui mediterranei, tenutisi a Firenze dal 1958 al 1964, dove si ebbe anche un primo tentativo di dialogo tra arabi ed ebrei e un approccio alle tematiche che sarebbero poi state identificate nel problema del rapporto Nord-Sud.

Nelle elezioni amministrative del 1956 la lista DC registrò un notevole incremento di voti, e per il L. le preferenze passarono da 19.192 del 1951 a 33.907. Nonostante il successo, la logica strettamente proporzionale della nuova legge elettorale impose una coalizione difficile, per l’impossibilità di una “apertura” ai socialisti. Il L. venne eletto sindaco, ma la mancanza di una maggioranza per l’approvazione del bilancio impose le sue dimissioni e la nomina di un commissario prefettizio. Eletto nel 1958 alla Camera come capolista della DC, il L. rimase comunque fortemente legato alla realtà fiorentina, dove prese posizione decisamente nella vicenda delle Officine Galileo, difendendo le lotte sindacali contro la paventata chiusura dell’azienda, e promosse l’avvio dei già ricordati Colloqui mediterranei. Nel 1961 venne nuovamente eletto sindaco di Firenze in una delle prime giunte di centro-sinistra.

In questo secondo mandato la sua azione si caratterizzò per alcuni elementi nuovi: l’abbandono del modello della civiltà cristiana e una forte connessione con i temi della libertà religiosa e della libertà di coscienza, momenti centrali di un rinnovato rapporto della Chiesa con la società e con la storia, sulla base delle novità che stavano affiorando nel pontificato di Giovanni XXIII e nel Concilio.

Concretamente, durante la sua amministrazione fu varato un nuovo piano regolatore e, nel 1961, il L. si impegnò in un’azione diplomatica per evitare la prima esplosione nucleare sovietica. Negli anni (1962-67) dei dibattiti relativi all’obiezione di coscienza, collegati al processo, tenutosi a Firenze nel 1962, al primo obiettore cattolico, G. Gozzini, e ai successivi processi per “apologia di reato” contro padre E. Balducci, don Milani e F. Fabbrini, il L. organizzò, in forma privata, ma tuttavia alla presenza di un vasto pubblico, una proiezione del film Tu ne tueras point di C. Autant-Lara, di cui era stata proibita la circolazione e in cui si affrontava appunto il problema dell’obiezione di coscienza. Questi anni furono definiti dal L. come quelli di una “germinazione fiorentina”, nei quali la città si era proposta come un “laboratorio” di una nuova politica di pace, ritenuta assolutamente necessaria di fronte al “crinale apocalittico” costituito dalla corsa agli armamenti.

Nel novembre 1964 il L. fu eletto come capolista nelle elezioni comunali, ma le divisioni interne al suo partito lo costrinsero a ritirare la candidatura a sindaco e a lasciare questa carica definitivamente. Ciò nonostante, in collaborazione con Fanfani, allora ministro degli Esteri, si fece promotore di una vasta azione diplomatica per una soluzione politica della guerra del Vietnam.

Nell’aprile 1965 si tenne a Firenze un simposio internazionale per la pace in Vietnam, con presenze internazionali autorevoli, fra cui parlamentari inglesi, francesi, sovietici. Dal convegno ebbe origine il viaggio ad Hanoi del L., che vi incontrò Ho Chi Minh e Pham Van Dong, e la successiva proposta di pace trasmessa al governo americano tramite Fanfani, in quel momento presidente dell’Assemblea generale dell’ONU. L’iniziativa fallì, forse anche a causa di anticipazioni e rivelazioni su quotidiani e periodici statunitensi, mentre attacchi giornalistici violenti venivano rivolti al L. in Italia; di fatto, quando più tardi si giunse alla pace, gli accordi presentavano sostanziali punti di contatto con i suggerimenti del La Pira.

Nelle elezioni amministrative del 1966 la DC decise di non ricandidare il L. alle elezioni amministrative, evidenziando così le difficoltà e le incomprensioni da lui incontrate all’interno del suo stesso partito e provocando gravi polemiche nel mondo cattolico fiorentino, anche perché molti ritenevano che tale decisione fosse stata presa con l’avallo dell’arcivescovo di Firenze, E. Florit.

In effetti il governo della diocesi da parte di Florit aveva rappresentato una svolta rispetto alla precedente linea di governo del cardinale Dalla Costa: Florit si opponeva, man mano con maggior decisione, alle iniziative “imprudenti” del L., mentre censure “romane” si erano verificate alla fine degli anni Cinquanta con l’allontanamento di religiosi legati al sindaco e alle sue iniziative, quali Balducci, D.M. Turoldo e C. Vannucci. La dialettica e il conflitto, già presenti nella Chiesa fiorentina, si erano accentuati negli anni Sessanta con i processi a E. Balducci e a Milani e uno scontro di più vasta portata si evidenziò nel 1968 con il caso Isolotto, che vide contrapposti la comunità di base, l’arcivescovo di Firenze e lo stesso Paolo VI. Di fronte a una crisi che sembrava registrare una frattura profonda, il L. ribadì la sua assoluta fedeltà ecclesiale e gerarchica.

Lacerazioni e incomprensioni avrebbero continuato a caratterizzare la vita ecclesiale fiorentina degli anni successivi, in un clima di rassegnato immobilismo. Tuttavia il L. proseguì e ampliò la sua intensa attività politico-diplomatica internazionale sui temi del disarmo nucleare e della distensione con numerosi viaggi, proposte, iniziative; dal 1967 divenne presidente della Federazione delle città unite.

Propose un ampliamento della struttura dei gemellaggi al fine di approfondire la cooperazione tra le città dell’Ovest, dell’Est e del Sud del mondo; seguì e partecipò nei primi anni Settanta alle iniziative per le conferenze di convergenza, come quella di Helsinki per la sicurezza e cooperazione in Europa (CSCE) del 1973, quella di Parigi sulla fine della guerra e il mantenimento della pace in Vietnam, quella di Ginevra per un “cessate il fuoco” in Medio Oriente dopo la quarta guerra arabo-israeliana. Seguì anche la politica italiana, impegnandosi nella campagna per il referendum sul divorzio (13 maggio 1974), in appoggio alla richiesta di abrogazione della legge Fortuna-Baslini.

Nel 1976 dette il suo sostegno all’opera di B. Zaccagnini come segretario della DC, accettando di candidarsi come capolista alla Camera dei deputati, dove fu eletto con un alto numero di preferenze. La sua candidatura aveva assunto di fatto anche il significato di una risposta alla candidatura nella Sinistra indipendente di non pochi cattolici che nel passato gli erano stati molto vicini, come M. Gozzini e R. La Valle, e che nel referendum sul divorzio si erano schierati tra i “cattolici del no”. Il L. morì a Firenze il 5 nov. 1977.

Poco tempo prima aveva ricevuto una lettera autografa di Paolo VI, a conferma di un’amicizia e di un legame spirituale che non erano mai venuti meno. Il suo funerale, che vide una partecipazione corale, diversificata e vastissima, fu la conferma di un rapporto profondo e singolare che si era instaurato con la Chiesa e la città fiorentina. Nel gennaio 1986 l’arcivescovo di Firenze, cardinale S. Piovanelli, aprì il processo diocesano per la causa di beatificazione.

 

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