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IL DIRITTO DEL POPOLO A CONTRASTARE LE LEGGI SPECULATIVE. Riflessione di Paolo Maddalena, Vice Presidente Emerito della Consulta sulla globalizzazione (parte 3)

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Introduzione di Gospa News. Nell’immagine di copertina la presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde (sx), che sta guidando l’EuroTower di Francoforte alla conquista del debito sovrano italiano grazie al bazzooka dei Quantitative Easing, e l’ex giudice Paolo Maddalena (dx)
L’ex giudice Paolo Maddalena, Vice Presidente emerito della Corte Costituzionale e presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”, non è soltanto un raffinato giurista esperto di Costituzione ma anche un intelligente studioso di economia e geopolitica. Oggi, con la sua autorizzazione, riportiamo la terza parte di un suo breve saggio che lui pubblicò sul sito dell’Istituto Nazionale di Bioetica alcuni anni fa in relazione all’enciclica “Laudato sii” di Papa Francesco, terminata dal Pontefice il 24 maggio 2015 in occasione della Pentecoste e diffusa il 18 giugno dello stesso anno.La lunghezza della riflessione ci ha indotti a riportarla suddivisa in tre segmenti che fanno riferimento ad argomenti di stretta attualità. Dopo la prima puntata su “La bellezza utile alla salvezza del pianeta”, pubblicata nei giorni scorsi, e la seconda parte su “L’armonia italiana deturpata dagli speculatori finanziari” ecco la terza ed ultima parte cui seguirà un’interessantissima considerazione recente dell’ex giudice sulla moneta.
Ciò consentirà a Gospa News di preparare il lettore a successive interviste e interventi già concordati con l’ex giudice Maddalena su questioni rilevanti di questo momento come l’alienazione del patrimonio naturale italiano, menzionata nel suo ultimo libro La Rivoluzione Costituzionale. (Diarkos) le strategie di utilizzo del Recovery Found e altri argomenti di politica finanziaria sui quali è molto competente per aver svolto non solo il ruolo di procuratore della Repubblica a Torino ma anche di magistrato contabile come Procuratore generale e poi Presidente di sezione della Corte dei Conti. Buona lettura da Gospa News!


di Paolo Maddalena

(parte III ed ultima – segue dalle precedenti riflessioni)

 

La tendenza, favorita dai nostri governi, è dunque quella di abbattere gli Stati nazionali per creare un mondo globalizzato, nel quale, come predica il “neoliberismo”, non esistono più “territori” o “Popoli”, ma uno “spazio libero”, nel quale si realizza l’obiettivo unico del “massimo profitto” degli operatori economici e finanziari, i quali possono agire con la massima libertà anche se le loro azioni di carattere economico finanziario producono distruzioni ambientali e veri e propri genocidi. Infatti, come prevede il citato Trattato transatlantico di prossima emanazione, essi sono indenni da qualsiasi responsabilità, anche penale.

Insomma, stiamo camminando verso una configurazione del mondo in cui il “valore” della “Natura” è completamente calpestato e, con la Natura, è schiacciato anche il ”valore” dell’uomo inteso come essere vivente dotato di intelletto e volontà, mentre viene configurandosi il modello, cui mira l’ideale neoliberista, dell’uomo “auto imprenditore”, la cui attività deve essere rivolta all’accumulo del danaro e all’abbattimento di tutti vincoli che frenano questo tipo di attività.
A questo punto si capisce come e perché ci sia stato un travaso di ricchezza dagli Stati ai privati che agiscono nel mercato e perché “la ricchezza privata supera ora di 12 volte la ricchezza di tutti gli Stati del mondo”.

L’ex giudice Paolo Maddalena, Vice Presidente emerito della Corte Costituzionale

La premonizione di Roosevelt, secondo la quale “una democrazia non è salda, se consente a uno dei suoi componenti di possedere una ricchezza maggiore di quella dello stesso Stato democratico”, si è verificata a livello globale e la conseguenza, che è purtroppo sotto gli occhi di tutti, specie dopo le recenti riforme costituzionali, è la fine della “democrazia”. Dal punto di vista giuridico, si può affermare che la “sovranità”, cioè la somma dei poteri da far valere in ultima analisi con la forza, è passata dagli Stati o dalle Unioni di Stati al “mercato”, e cioè alla “finanza”, la quale determina il livello dei prezzi e dei tassi di interesse e, di conseguenza, ha nelle sue mani la nostra vita e il nostro futuro.

 

E’ URGENTE CORRERE AI RIPARI APPLICANDO LA COSTITUZIONE

E’ urgente, dunque, correre ai ripari. E la soluzione è a portata di mano:si tratta di applicare la nostra Carta costituzionale, la quale è stata violata e addirittura vilipesa dalle sopra citate leggi in contrasto con gli interessi di tutti gli Italiani. Si deve in sostanza affermare che la “potenza” della “finanza” è come un gigante dai piedi di argilla, che si può senz’altro neutralizzare se, anziché andar dietro le inconcepibili teorie neoliberiste, si realizza lo “Stato sociale” che la Costituzione prevede, dando reale attuazione alle norme del Titolo III della I Parte della Costituzione, dedicato ai “Rapporti economici”.

L’obiettivo fondamentale da raggiungere è far capire che l’arma di cui si serve la finanza per accentrare tutta la ricchezza nei mercati e indebolire gli Stati nazionali togliendo loro pezzi di demani e di estesi territori, è l’istituto giuridico della “proprietà privata”, la quale non è affatto quello “strumento acuminato” al quale è impossibile resistere, che la propaganda neoliberista vorrebbe far credere, ma è, in base alla Costituzione, un tipo di “appartenenza” subordinato all’”utilità sociale” e controbilanciato da un altro tipo di appartenenza che è la “proprietà collettiva del territorio”, che spetta al Popolo a titolo di sovranità.

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Conviene innanzitutto mettere in evidenza che “in principio” non esisteva la “proprietà privata”, ma la “proprietà collettiva”, come inconfutabilmente ha dimostrato il Niebuhr sin dal 1811. Quando l’uomo branco, che viveva di caccia e di rapina combattendo altri uomini branco, divenuto più maturo, decise di diventare uomo “civile” e costituì la prima “Comunità politica”, intuì subito che nell’ambito dei tre elementi di cui la Comunità era costituita (Popolo, territorio e sovranità) un dato indefettibile era l’”appartenenza del territorio al Popolo”, a titolo di sovranità.

Infatti, se, venendo ai tempi storici, si guarda alla fondazione di Roma, si vede subito che l’utilizzazione da parte dei singoli di piccole zone del territorio fu possibile solo a seguito di un atto sovrano del Popolo, la Lex centuriata o un plebiscitum, che era presupposto necessario della divisio et adsignatio agrorum, che questo uso consentiva. “La correlazione tra sovranità e appartenenza del territorio” fu mantenuta anche nel medio evo, quando la sovranità passò al Sovrano e si distinse tra “dominium utile” del coltivatore della terra e “dominium eminens” del Sovrano, e fu recisa solo dalla restaurazione borghese, quando il Tomalis diresse i lavori di compilazione del code civil del 1804 in base al principio “l’imperio al Sovrano, la proprietà ai privati”.

 

IL TERRITORIO APPARTIENE AL POPOLO PER SOVRANITA’

Fu allora che avvenne una “cesura” tra proprietà collettiva del territorio e sovranità e si cominciò a parlare di “proprietà privata” come di un diritto originario, pieno e assoluto. La questione è stata, tuttavia ricomposta dalla nostra Costituzione, per la quale il “territorio” appartiene al Popolo a titolo di sovranità.
 Ciò si ricava da una lettura letterale e logica dell’art. 42 Cost. Secondo questo articolo “la proprietà è pubblica e privata”. L’aggettivo “pubblica”, come da tempo rilevò Massimo Severo Giannini, significa “del popolo”, si tratta cioè di un’appartenenza riferita a tutti i cittadini e inerente, quindi, a “beni fuori commercio”, mentre l’aggettivo “privata” fa riferimento alla proprietà disciplinata dal diritto privato, che riguarda i beni “commerciabili” e può appartenere a qualsiasi soggetto, sia pubblico, sia privato. Lo conferma il seguito dell’art. 42, che così di esprime: “I beni economici (e cioè i beni commerciabili) appartengono allo Stato, a enti o a privati”.

Si tratta, come agevolmente si nota, di “due tipi di proprietà”, caratterizzati da una ben diversa disciplina.
 Quanto alla “proprietà privata”, è molto significativo quello che si legge nel secondo comma di questo stesso comma, secondo il quale “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale”.

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E’ ovvio che qui si parla solo della grande proprietà, cioè della proprietà dei beni che producono un’utilità esuberante rispetto ai bisogni strettamente individuali e familiari (che sono diritti fondamentali ai sensi dell’art. 2 Cost.) del proprietario privato e il limite che si pone è di grande importanza, poiché afferma che questo tipo di proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge solo e in quanto “assicura” il perseguimento della “funzione sociale”, con l’ovvia conseguenza che “il mancato perseguimento della funzione sociale” fa venir meno la “tutela giuridica” del bene stesso, il quale torna là da dove era venuto, cioè nella proprietà collettiva del Popolo, senza bisogno di esproprio e indennità di espropriazione.

E’ un discorso questo di grande attualità, poiché riguarda un’immensità di industrie e terreni privati abbandonati che coprono migliaia di Km quadrati del nostro territorio senza essere utilizzati. E’ urgente che i sindaci promuovano adatte procedure per l’acquisizione di questi beni al patrimonio comunale e per la loro utilizzazione per fini sociali. Il Comune di Napoli, con due delibere approvate dalla Giunta comunale, si è già posto su questa strada.

 

PROPRIETA’ DEL POPOLO E PROPRIETA’ PRIVATA

Dunque, in base alla nostra Costituzione, che è legge fondamentale della Repubblica, la “proprietà privata” non ha quella portata che il pensiero neoliberista vuol far credere ed esistono tutti i mezzi giuridici per ricomporre il grande “squilibrio” che si è verificato tra “proprietà del Popolo” e “proprietà dei privati”. Né si dimentichi che la ricostituzione dello Stato sociale comporta anche “un’economia mista”, nella quale le industrie di appartenenza del Popolo cooperano con i proprietari di industrie e aziende private. In tal modo si assicura anche ai giovani di poter accedere a concorsi, poiché “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”, come prescrive l’ultimo comma dell’art. 97 Cost., concorsi che, ovviamente, sono spariti con le “privatizzazioni”, le quali, tra l’altro, sono state operate in aperto contrasto con quanto prescrive l’art. 43 Cost., riguardo alle imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, a fonti di energia e a industrie che possano dar luogo a situazioni di monopolio.

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Per dettato costituzionale, questi tipi di impresa dovrebbero essere in mano pubblica o di “Comunità di lavoratori o di utenti”. La loro privatizzazione, come anche la privatizzazione di una quantità enorme di imprese e territori, ha reciso il collegamento dell’attività produttiva con il territorio, e ha dato ingresso a licenziamenti di operai, lavori saltuari, “delocalizzazioni”, disoccupazione e miseria.

Da quanto sin qui esposto risulta inoltre evidente che la proprietà collettiva non solo ha una precedenza storica sulla “proprietà privata”, ma ha anche una “prevalenza costituzionale” sulla stessa, poiché la tutela giuridica del proprietario privato è subordinata al perseguimento della “funzione sociale”. Insomma è l’interesse pubblico, è l’interesse del Popolo che deve prevalere su quello dei privati e non viceversa, come oggi avviene. Lo conferma anche l’art. 41 Cost., secondo il quale “l’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”.

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L’interesse pubblico, dunque, deve prevalere sul privato e sono illecite le “privatizzazioni”, poiché perseguono un fine opposto.
 Un dato molto importante da porre in evidenza è che la titolarità della proprietà privata immobiliare non porta con sé il potere di edificare, il “ius aedificandi”, o di scavare nel sottosuolo, il “ius fodiendi””. Ciò significa che il Popolo sovrano, nel “cedere” a privati piccole zone del suo territorio, non ha ceduto il potere di “trasformare” il territorio stesso, né in superficie, modificando il “paesaggio”, né in profondità, modificando il sottosuolo, le falde acquifere e così via dicendo.

Dunque, nel contrasto tra un privato che vuol costruire in base al suo diritto di proprietà privata, ed un cittadino che vuole impedirglielo in quanto comproprietario di una proprietà collettiva che spetta a tutti a titolo di sovranità, è quest’ultimo che si trova in posizione molto più forte, poiché esso fa valere, come “parte” di tutto il Popolo, un potere sovrano che il privato non ha.

 

E’ NECESSARIO FAR VALERE IL DIRITTO COLLETTIVO SU AMBIENTE E PAESAGGIO

Dunque, per “riequilibrare” il grande “squilibrio” che si è verificato tra conservazione e valorizzazione della Natura e speculazione edilizia distruttiva dei suoli agricoli e della bellezza del paesaggio, è necessario far valere il “diritto collettivo di tutti” alla tutela dell’ambiente e del paesaggio” contro i sopraffattori di questi beni, che sono “beni comuni” in appartenenza di tutti.
 Per far sì che la “Natura” si esprima in tutta la sua “bellezza”, la Costituzione ci dà un efficacissimo aiuto, ponendo nelle mani del Popolo la possibilità di ricostituire un “equilibrio” sia del “sistema economico finanziario”, sia dell’”ordinamento giuridico”.

Si tratta, in sostanza di abrogare le leggi illegittime sopra menzionate che stravolgono sia il sistema economico che quello giuridico e occorre soprattutto far capire all’immaginario collettivo la posizione subordinata che, nell’ordinamento costituzionale, occupa la “proprietà privata” rispetto alla “proprietà collettiva del Popolo”.
A questo fine, lo strumento giuridico che ci offre la Costituzione è quello della “partecipazione popolare”, che mai come oggi, nel comportamento anomalo dei pubblici poteri, ha assunto il valore di un vero e proprio “contropotere” per correggere gli errori dei governanti.

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E si badi bene che questo potere si esercita sul piano legislativo con la proposta di legge popolare (art. 71 Cost.) e con la richiesta di un referendum abrogativo (art. 75); sul piano amministrativo costituendosi davanti al responsabile del procedimento amministrativo come “portatori di interessi diffusi”, ai sensi della legge n. 241 del 1990; sul piano amministrativo e giudiziario facendo valere i poteri di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., secondo il quale: “Stato, Regioni, Città metropolitane, province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa di cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, in base al principio di sussidiarietà”.
 E si badi bene che di un “contropotere” rispetto alle prescrizioni della “troica” dispone anche la Corte costituzionale, la quale può vietare l’ingresso nel nostro ordinamento di normative europee che violino i “diritti dell’uomo”. Si tratta della teoria cosiddetta dei “controlimiti”, affermata costantemente dalla stessa Corte costituzionale.

 

IL VOLONTARIATO ITALIANO CONTRO GLI SCHEMI NEOLIBERISTI

In conclusione, può dirsi che il volontariato italiano, che è tanto attivo in tutti i campi, deve assumersi due importanti carichi: l’uno sul piano sociale, l’altro sul piano politico e giudiziario.
 Sul piano sociale, l’obiettivo deve essere, in conformità a quanto si legge nell’Enciclica “Laudato sì”, quello della “decrescita”. Come sopra si accennava, gli scienziati hanno già detto che, a partire dal 2 agosto 2012, la Terra non è più in grado di “rigenerare” quanto viene consumato da 7 miliardi e 200 milioni di abitanti.

La lettera enciclia Laudato sii di Papa Francesco sull’ecologia del pianeta – clicca sull’immagine per leggere il testo integrale

E’ impossibile pensare che si possa andare avanti secondo gli schemi neoliberisti di uno “sviluppo senza fine”, essendosi ormai esaurita la capacità rigenerativa della Terra, e essendo sulla via dell’esaurimento anche le risorse non rinnovabili. Qui, come è ovvio, non ci sono ricette miracolose e la stessa tecnologia può esserci di aiuto solo fino a un certo punto. Il provvedimento da adottare è solo “il cambiamento degli stili di vita”, che significa evitare gli sprechi, incrementare l’agricoltura biologica e l’artigianato, gestire il turismo in modo accorto e consapevole, evitare completamente il consumo dei suoli agricoli con altre edificazioni, impedire le emissioni di gas tossici e così via dicendo.

Sul piano politico e giudiziario, anche questa volta in perfetta consonanza con L’Enciclica di Papa Francesco, occorre far capire che potremo salvarci da quella che viene chiamata crisi, abolendo la nostra sottomissione ai voleri della finanza (la quale si esprime soprattutto con le prescrizioni della BCE e del Fondo monetario internazionale, formati entrambi da banche private), ricostruendo lo Stato sociale, vietando le privatizzazioni, le delocalizzazioni e le liberalizzazioni, tutti strumenti micidiali che hanno come fine i guadagni delle multinazionali e l’impoverimento del popolo italiano.

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E c‘è, infine, per riattivare l’economia, la necessità di un intervento statale nell’economia attraverso la realizzazione di una grande opera pubblica di risanamento dello “squilibrio” idrogeologico d’Italia, un’opera pubblica che diffonda ricchezza su una vasta platea di lavoratori, i quali certamente chiederebbero prodotti ai negozi, costringendoli a rivolgersi alle imprese, le quali, a loro volta dovrebbero, per necessità, assumere operai, ricreando così un circolo virtuoso.

Ben altro che gli aiuti diretti alle imprese e alle banche, che si trovano, non alla base, come i lavoratori, ma alla fine del ciclo economico, e che certamente non ritengono conveniente investire i capitali ricevuti in attività produttive.

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E’ questo che potrà far crollare il gigante dai piedi di argilla della finanza internazionale. E’ indispensabile, a questo fine, capovolgere l’immaginario collettivo, ponendo al centro dell’attenzione la “proprietà collettiva del territorio” e non la “proprietà privata”; è necessario abrogare quel fiume di leggi incostituzionali che difendono gli interessi della finanza e non quelli del Popolo; occorre, in una parola, restaurare lo Stato sociale, che, secondo il pensiero di Papa Francesco, è da considerare come una “famiglia”, nella quale si evitano distorsioni e si distribuisce la ricchezza secondo criteri di assoluta “eguaglianza”.

Se si riuscirà a cambiare l’attuale stato di cose, se gli Italiani sapranno far valere la loro intelligenza creativa e la loro integrità morale, potremo risalire la china e fare del nostro Paese un luogo nel quale domina l’armonia, l’equilibrio, la bellezza, la vita.

Paolo Maddalena
Vice Presidente emerito della Corte Costituzionale
Presidente dell’associazione “Attuare la Costituzione”
per gentile concessione dell’autore

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