DELITTO KHASHOGGI: “SAPEVA TROPPI SEGRETI SAUDITI SULL’11 SETTEMBRE”. La pista celata dall’intelligence USA mentre accusa il principe ereditario Mohammed bin Salman
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
Nel momento della sua fulminea nomina il giorno successivo all’insediamento del presidente americano Joseph Biden alla Casa Bianca, il Direttore dell’Intelligence Nazionale Usa, Avril Haines aveva annunciato l’imminente desecretazione del dossier sulla morte del giornalista Jamal Khashoggi.
Chi attendeva con ansia questo momento è rimasto un po’ deluso perché il rapporto rivelato dall’ODNI (Office Director of National Intelligence), la plancia di comando per tutte le agenzie dei servizi segreti dalla CIA alla NSA del Pentagono, non ha fatto altro che ribadire – con l’ufficialità fragile di un carteggio di un’intelligence di parte – quanto già in parte noto a tutti i media in relazione al presunto ruolo di “mandante” del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman nella brutale uccisione del famoso opinionista arabo del Washington Post.
Khashoggi, lontano parente della famiglia reale, era scomparso nell’ottobre 2018 dopo essere entrato al Consolato Generale saudita a Istanbul. Riyadh ha inizialmente negato di essere a conoscenza del suo destino ma in seguito ha ammesso che il giornalista era stato brutalmente assassinato all’interno della sede diplomatica, negando però ogni coinvolgimento dei membri della famiglia reale nell’omicidio che definì una “operazione canaglia”.
Infatti il giornalista era entrato nel Consolato del suo paese a Istanbul la mattina del 2 ottobre 2018 per ottenere i documenti per sposarsi con la fidanzata turca, Hatice Cengiz, che era rimasta fuori ad attenderlo invano. Fu infatti ucciso ed il suo corpo fatto a pezzi per far sparire ogni traccia.
«Valutiamo che il principe ereditario dell’Arabia Saudita Muhammad bin Salman abbia approvato un’operazione a Istanbul, in Turchia, per catturare o uccidere il giornalista saudita Jamal Khashoggi – si legge nella breve relazione di 4 pagine dell’ODNI – Basiamo questo valutazione sul controllo del principe ereditario sul processo decisionale nel Regno dal 2017, il diretto coinvolgimento di un consulente chiave e di membri del dettaglio protettivo di Muhammad bin Salman nell’operazione e il sostegno del principe ereditario all’uso di misure violente per mettere a tacere i dissidenti all’estero, compreso Khashoggi. Dal 2017, il principe ereditario ha avuto il controllo assoluto del regno organizzazioni di sicurezza e intelligence, rendendo altamente improbabile che i funzionari sauditi lo avrebbero fatto ha effettuato un’operazione di questo tipo senza l’autorizzazione del principe ereditario».
A distanza di quasi tre anni, nei quali i responsabili sono stati condannati dai giudici del Regno Saudita prima a morte e poi “graziati” con enormi riduzioni delle pene, i documenti declassificati dalla direttrice ODNI, Avril Haines, ex vice direttore CIA nell’amministrazione Obama poi divenuta una delle sospette profetesse della pandemia da Covid-19 insieme a Bill Gates partecipando alla famosa esercitazione Event 201 dell’ottobre 2019 finanziata dalla Fondazione del tycoon di Microsoft, aggiungono pochi dettagli certi e pertanto assumono l’importanza di una mossa politica invece che di un contributo alla giustizia internazionale invocata da ONU e dalla fidanzata della vittima.
IL RUOLO DELLA GUARDIA REALE RAPID INTERVENTION FORCE
«Al momento dell’omicidio Khashoggi, il principe ereditario probabilmente ha promosso un ambiente in cui gli assistenti temevano che potesse verificarsi il mancato completamento dei compiti assegnati in lui sparandogli o arrestandoli. Ciò suggerisce che era improbabile che gli aiutanti facessero domande a Muhammad bin Salman o intraprendesero azioni sensibili senza il suo consenso» aggiunge il report dell’intelligence USA che naviga nella sfera delle supposizioni prima di svelare qualche elemento circostanziato.
CINQUE CONDANNE A MORTE PER L’OMICIDIO DI KASHOGGI. Assolto e scarcerato il console saudita
«La squadra saudita di 15 membri è arrivata a Istanbul il 2 ottobre 2018 inclusa funzionari che lavoravano per o erano associati al Centro saudita per gli studi e i media Affari (CSMARC) presso la Corte Reale. Al momento dell’operazione, CSMARC era guidato da Saud al-Qahtani, stretto consigliere di Muhammad bin Salman, che affermò pubblicamente a metà 2018 che non ha preso decisioni senza l’approvazione del principe ereditario» riferisce il documento ODNI.
«La squadra comprendeva anche sette membri dell’élite personale di Muhammad bin Salman dettaglio protettivo, noto come Rapid Intervention Force (RIF). Il sottoinsieme RIF, la guardia reale saudita esiste per difendere il principe ereditario, risponde solo a lui e lo aveva fatto ha partecipato direttamente a precedenti operazioni di soppressione dei dissidenti nel Regno e all’estero sotto la direzione del principe ereditario. Riteniamo che i membri del RIF non l’avrebbero fatto ha partecipato all’operazione contro Khashoggi senza l’approvazione di Muhammad bin Salman».
Il documento si conclude con un elenco di sauditi che avrebbero avuto un ruolo in questa azione “pre-programmata” ma non si sa «con quanto anticipo» aggiunge l’ufficio diretto da Avril Haines prima di esporre un altro fondamentale elemento aleatorio «abbiamo grande convinzione che le seguenti persone abbiano partecipato, ordinato o fossero altrimenti complici o responsabili della morte di Jamal Khashoggi per conto di Muhammad bin Salman. Non sappiamo se questi individui sapessero in anticipo che l’operazione sarebbe avvenuta con la morte di Khashoggi».
NESSUNA SANZIONE PER IL PRINCIPE EREDITARIO
Le informazioni raccolte dal “NIO (National Intelligence Officer) for Near East” e dal potente controspionaggio della Central Intelligence Agency non ha però saputo – o voluto – svelare il probabile movente dell’omicidio, a suo tempo ipotizzato da due interessanti inchieste giornalistiche che non furono prese in grande considerazione dai servizi segreti USA perché rischiavano di riaprire una ferita dolente.
Sia l’Herald Sun autraliano che il Florida Bulldog americano, infatti, evidenziarono come probabile causa del delitto le troppe cose di cui era a conoscenza Kashoggi sul ruolo dei sauditi negli attentati dell’11 settembre.
Prima di vedere perché questa pista è quanto meno verosimile e supportata da indizi significativi analizziamo le immediate conseguenze del dossier dell’ODNI. Il documento esprime “un’alta convinzione” sulle responsabilità degli individui coinvolti nella morte del giornalista.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden venerdì ha detto che “cambiamenti significativi” alle politiche tra Stati Uniti e Arabia Saudita saranno annunciati già lunedì. “Ho parlato ieri con il re, non con il principe. Gli ho chiarito che le regole stanno cambiando e che annunceremo cambiamenti significativi”, ha detto Biden a Univision in un’intervista. “Li considereremo responsabili delle violazioni dei diritti umani e faremo in modo che […] se vogliono trattare con noi, dovranno affrontarlo in modo tale da trattare le violazioni dei diritti umani”.
In concreto, però, il principe saudita Mohamed bin Salman non sarà colpito da sanzioni Usa. Lo riporta Politico citando fonti dell’amministrazione Usa. Il Tesoro americano si appresta invece a varare sanzioni sul generale saudita Ahmed al-Asiri, ex vice responsabile dei servizi di intelligence di Riad, per l’assassinio Khashoggi. Sanzioni anche per la Saudi Rapid Intervention Force coinvolta nell’omicidio.
Il Dipartimento di Stato Usa vara la cosiddetta ‘Khashoggi policy’ o ‘Khashoggi ban’ per punire tutte le persone che, agendo in nome di un governo, si pensa abbiano direttamente partecipato o partecipino in attività contro i dissidenti “gravi e di natura extraterritoriale”. Lo riporta l’agenzia Bloomberg. L’amministrazione Usa avrebbe già identificato 76 persone che potrebbero essere sanzionate con il ritiro o la restrizione dei visti.
“Il governo del regno dell’Arabia Saudita rifiuta completamente la valutazione negativa, falsa e inaccettabile contenuta nel rapporto relativo alla leadership del regno, e osserva che il rapporto conteneva informazioni e conclusioni inesatte”, ha detto in un comunicato il ministero degli Esteri saudita.
Il segretario generale della Lega araba Ahmed Aboul Gheit ha «ha espresso il suo sostegno alla dichiarazione del ministero degli Esteri saudita che confuta le conclusioni del rapporto dell’intelligence statunitense, sottolineando che quest’ultimo non è un organo giudiziario o internazionale e che le questioni relative ai diritti umani non dovrebbero essere politicizzate».
LA QUESTIONE DELLE ARMI AMERICANE ALL’ARABIA SAUDITA
In soltanto un mese dal suo insediamento è la seconda volta che il presidente Biden prende di mira il Regno dell’Arabia Saudita. In precedenza aveva infatti sospeso la vendita di armi a Riyad e Abu Dhabi (capitale UAE) in relazione all’embargo sullo Yemen, sovente violato da fornitori come la coropration bellica americana Raytheon attraverso subappalti come quello alla Rehinmetall tedesca che ha utilizzato la fabbrica della filiale italiana (in Sardegna) per onorare le forniture con vari escamtoge di recente bloccati dal governo di Roma proprio dopo il provvedimento di Biden.
Va però rammentato che gli “Accordi di Abramo” sulla normalizzazione dei rapporti tra i paesi del Golfo Persico con Israele potranno consentire a Tel Aviv di diventare un intermediario nel business degli armamenti.
«I ministri israeliani hanno approvato domenica acquisti di armi per un valore di 9 miliardi di dollari con gli Stati Uniti, ha riferito il New Arab. L’accordo considerevole include l’acquisto di elicotteri Chinook, aerei da guerra F-35 e navi cisterna per il rifornimento aereo, oltre a una grande quantità di bombe e munizioni» ha scritto Middle East Monitor lo scorso 14 febbraio.
BIDEN RIPRENDE LA GUERRA IN SIRIA. Bombardate le postazioni delle milizie iraniane: 22 morti
Pochi giorni dopo Biden ha twittato: «Ho parlato oggi con il premier israeliano Netanyahu e ho affermato il fermo impegno degli Stati Uniti per la sicurezza del nostro alleato Israele. I nostri team sono in costante contatto per rafforzare la cooperazione strategica USA-Israele su tutte le questioni di sicurezza regionale, compreso l’Iran”. Circa una settimana dopo il POTUS (President of the United States) ha ordinato agli F-35 dell’US Air Force di bombardare le milizie iraniane in Siria che da anni sono perseguitate dai missili dell’Israeli Defense Forces.
Non va inoltre dimenticato che la Raytheon ha avuto fino ad alcune settimane fa un consulente americano di eccezione: il generale Lloyd Austin, già comandante di varie missioni in Medio Oriente congedatosi dall’esercito Us nel 2016, nominato da Biden.
https://www.gospanews.net/2019/09/17/cia-x-file-la-guerra-usa-in-siria-pianificata-dal-1983/
Ed è importante ricordare che durante la precedente amministrazione del presidende Barack Obama (di cui era vice lo stesso Biden) il Pentagono e il progetto CIA Mom fornì missili Raytheon alle fazioni jihadiste siriane, con la scusa che fossero ribelli contro il regime di Bashar Al Assad nel tentativo di regime change pianificato dalla stessa Central Intelligence Agency fin da quando governava il padre Haziz nel 1983, come conferma un documento desecretato dagli USA e pubblicato in esclusiva da Gospa News.
Come rivelò il dossier SETA, altro studio svelato in anteprima in Europa dal nostro webmedia, a 21 gruppi sospettati di essere legati al terrorismo islamico furono infatti regalate forniture dei micidiali razzi anticarro BGM-71 TOW (Tube-launched, Optically tracked, Wire-guided – lanciato da un tubo, tracciato otticamente, teleguidato), progettati da Hughes Aircraft negli anni ’60, ma attualmente prodotti da Raytheon.
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E’ pertanto lecito supporre che la preziosa vendita di bombe americane all’Arabia Saudita potrà continuare attraverso altri canali: non solo Israele ma anche il Regno Unito, già protagonista di un colossale business nella Lobby delle Armi con i Fratelli Musulmani, come vedremo in altri reportage.
Ecco perché la verità è sembre nascosta dietro a un velo d’ipocrisia diplomatica come nel caso dell’omicidio del giornalista musulmano del Washington Post.
IL GIORNALISTA DEI FRATELLI MUSULMANI
Quando mi mi si a cercare informazioni aggiornate sulla strage dell’11 Settembre 2001 per scrvere un sintetico reportage volto ad evidenziare le complicità internazionali dietro agli attentati attribuiti ad Al Qaeda mi sono imbattuto in alcuni preziosi articoli che hanno messo in correlazione l’attacco alle Twin Towers del World Trade Center con l’uccisione di Jamal Khashoggi.
La questione è così complessa ed oscurata da depistaggi che non ho la pretesa di diffondere certezze assolute. Ma i reportages cui farò riferimento si avvalorano a vicenda e l’attendibilità di uno di essi è indirettamente confermata dall’autorevolezza di un giornalista che fece vari scoop intervistando alcuni dei senatori americani che sostennero non solo la tesi di un intrigo internazionale dietro al complotto stragista ma incolparono senza alcuna remora proprio l’Arabia Saudita.
Sul giornale australiano Herald Sun il reporter investigativo Andrew Bolt già il 16 ottobre 2018 analizzò la complessa figura di Kashoggi, sospettato di essere un agente segreto arabo, prima di diventare paladino dei diritti umani come opinionista del Washington Post di Jeff Bezos, fondatore e padrone di Amazon ma anche figura esemplare di quel Deep State finanziario trasversale a Repubblicani e Democratici, supportato dalla massoneria internazionale e dalle intelligences militari.
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«In verità, Khashoggi non ha mai avuto molto tempo per la democrazia pluralistica in stile occidentale. Negli anni ’70 è entrato a far parte dei Fratelli Musulmani, che esistono per liberare il mondo islamico dall’influenza occidentale. È stato un islamista politico fino alla fine, di recente ha elogiato i Fratelli Musulmani nel Washington Post» aggiunge Bolt forse scordando chi sostiene che proprio questa organizzazione politico-religiosa islamica sarebbe stata creata dalla massoneria occidentale per controllare più efficacemente il Medio Oriente attraverso gli storici alleati di Turchia e Qatar dove infatti i Fratelli Musulmani sono più influenti come evidenziato nel reportage Lobby Armi 4.
Herald Sun rammenta quindi il legame del giornalista assassinato con «Yasin Aktay – un ex parlamentare del Partito turco per la giustizia e lo sviluppo (AKP) – che Khashoggi aveva detto alla sua fidanzata di chiamare se non fosse uscito dal consolato. L’AKP è, in effetti, il ramo turco dei Fratelli Musulmani. Il suo amico più fidato, quindi, era un consigliere del presidente Erdogan, che sta rapidamente diventando noto come il più feroce persecutore di giornalisti sulla terra. Khashoggi non ha mai criticato in modo significativo Erdogan. Quindi non dovremmo vedere questo come l’assassinio di un riformatore liberale».
Parole pesanti soprattutto perché riferite ad un uomo ucciso e poi squartato per occultarne i resti. Ma che sono in perfetta sintonia con la teoria riportata in un dossier a puntate da Irina Tsukerman, un avvocato specializzato in diritti umani e sicurezza nazionale di New York, analista di geopolitica e sulla politica estera degli Stati Uniti su pubblicazioni americane e israeliane come Begin-Sadat Center for Strategic Studies (Besa).
«Sulla scia dell’uccisione di Qassem Soleimani da parte degli Stati Uniti, il ruolo significativo dell’Iran nell’11 settembre ha brevemente guadagnato terreno. Ciò che rimane completamente oscurato, tuttavia, sono gli islamisti sauditi che si nascondono in bella vista, che stanno scambiando le loro passate associazioni con l’intelligence occidentale per perseguire lo stesso programma che avevano prima dell’11 settembre. Gli islamisti sauditi hanno un interesse sia ideologico che finanziario nel vedere fallire la Vision 2030 di modernizzazione del regno»
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Lo ha scritto l’avvocato sul website israeliano specializzato in intelligence militare e pertanto esponendosi al rischio di avere qualche legame con il Mossad, il famigerato controspionaggio di Tel Aviv, sospettato di aver avuto un’occulta regia tanto nell’addestramento del leader ISIS Al Baghdadi quanto negli attentati dell’11 settembre 2001 come più volte riportato da Veterans Today, portale d’informazione gestito dall’ex ufficiale CIA, Gordon Duff, e da Gospa News nella nostra precedente inchiesta. Proprio per questo dobbiamo prima verificare e analizzare con attenzione le correlazioni sulla strage del World Trade Center menzionate da Tsukerman che chiamando in causa l’Iran di confessione musulmana Sciita, nemico giurato dei Sunniti-Salafiti radicali come Fratelli Musulmani e Wahabiti Sauditi, odorano già di palese e gigantesco depistaggio. A conferma della faziosità del dossier di Tsukerman i suoi tre reportage non risultano più rintracciabili su Besa (ma abbiamo screenshot).
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Ma una frase è invece interessante perché si lega all’articolo australiano: «Molto di ciò che tutti pensano di sapere sugli sforzi di riforma del re Salman e del principe ereditario Muhammad bin Salman (MBS) è in realtà disinformazione prodotta da questi “dissidenti”. Includono ex membri dell’intelligence saudita e dei Fratelli Musulmani come Jamal Khashoggi, che voleva che l’Arabia Saudita diventasse di più, non di meno, come lo Stato islamico immaginato dall’amico di Khashoggi Osama bin Laden».
Chiudiamo questa parentesi israeliana e torniamo all’Herald Sun che prosegue l’analisi: «Khashoggi e i suoi compagni di viaggio credono nell’imposizione del dominio islamico impegnandosi nel processo democratico. Questo è importante perché, sebbene bin Salman abbia rifiutato il wahhabismo – per la gioia dell’Occidente – continua a vedere i Fratelli Musulmani come la principale minaccia che molto probabilmente farà deragliare la sua visione di una nuova Arabia Saudita. La maggior parte dei religiosi islamici in Arabia Saudita che sono stati imprigionati negli ultimi due anni – gli amici di Khashoggi – hanno legami storici con i Fratelli Musulmani. Khashoggi era quindi emerso come un leader de facto del ramo saudita. A causa del suo profilo e della sua influenza, era la più grande minaccia politica al governo di bin Salman al di fuori della famiglia reale».
«Aveva stretto amicizia con Osama bin Laden negli anni ’80 e ’90 in Afghanistan e Sudan mentre difendeva la sua jihad contro i sovietici nei dispacci. Allo stesso tempo, è stato assunto dai servizi segreti sauditi per cercare di persuadere bin Laden a fare la pace con la famiglia reale saudita. Il risultato? Khashoggi è stato l’unico saudita non reale che ha avuto il problema degli intimi rapporti dei reali con al Qaeda prima degli attacchi dell’11 settembre. Sarebbe stato cruciale se avesse intensificato la sua campagna per minare il principe ereditario».
«Come i reali sauditi, Khashoggi si è dissociato da bin Laden dopo l’11 settembre (che Khashoggi ed io abbiamo visto svolgersi insieme nell’ufficio di Arab News a Gedda). Ma poi ha collaborato come consigliere dell’ambasciatore saudita a Londra e poi a Washington, il principe Turki Al Faisal» aggiunge Andrew Bolt.
Il giornalista australiano ricorda infine che «quest’ultimo era stato capo dell’intelligence saudita dal 1977 fino a soli dieci giorni prima degli attacchi dell’11 settembre, quando inspiegabilmente si dimise. Ancora una volta, lavorando al fianco del principe Turki durante i periodi di ambasciatore di quest’ultimo, come aveva fatto mentre scriveva su bin Laden, Khashoggi si è mescolato con funzionari dell’intelligence britannica, statunitense e saudita. In breve, è stato in grado di acquisire informazioni privilegiate inestimabili».
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Seguendo la tesi del reporter australiano che dimostra di aver conosciuto bene il collega assassinato viene quindi da chiedersi cosa volesse farne di quelle informazioni privilegiate… Provimo a rispondere con un’analisi di psicologia umana prima ed una investigazioni giornalistiche poi. Da quanto risulta Jamal si era davvero innamorato della fidanzata turca, Hatice Cengiz, tanto da essere disposto a sfidare i pericoli di cui era ben consapevole pur di recarsi nel Consolato Saudita di Instnbul per ritirare i documenti necessari al matrimonio.
E pertanto evidente che per garantire a sé e soprattutto alla consorte un futuro sereno possa aver fatto prima qualche tentativo di mediare una sorta di “immunità” da Riad e poi abbia invece cercato di liberarsi la coscienza sull’11 settembre rendendo di dominio pubblico i segreti in suo possesso al fine da vanificare un eventuale attentato contro lui stesso.
Se mi avventuro in questa speculazione logica è soltanto perché ho letto con attenzione l’articolo pubblicato sul Florida Bulldog dal giornalista investigativo americano Dan Christensen, divenuto celebre per le sue interviste sul complotto internazionale dietro gli attentati alle Torri Gemelle di New York.
Gli attacchi causarono la morte di 2.996 persone (compresi tutti i 19 dirottatori) e il ferimento di oltre 6.000 altri. Il bilancio delle vittime ha compreso anche le 265 sui quattro aerei dirottati (di cui non ci sono stati sopravvissuti), 2.606 nel World Trade Center e nell’area circostante e 125 al Pentagono.
«“Khashoggi è stato ucciso non perché fosse un dissidente, ma a causa del suo contatto con noi”, ha detto James Kreindler, un importante avvocato di New York che rappresenta migliaia di familiari e sopravvissuti dell’11 settembre che stanno facendo causa all’Arabia Saudita. Un mese dopo che Khashoggi, nato in Arabia Saudita, sarebbe stato ucciso e smembrato da una squadra saudita il 2 ottobre 2018, la comunità dell’intelligence statunitense ha rivelato ad altri le intercettazioni di comunicazioni con il telefono di Khashoggi. Uno scambio è stato con Khalid bin Salman, il fratello minore del principe ereditario Mohammed che allora serviva come ambasciatore saudita negli Stati Uniti» riportò FloridaBulldog.
Il Washington Post riferì della presunta conversazione tra KBS che avrebbe detto a Kashoggi di andare a ritirare i documenti al consolato saudita a Istanbul per il suo matrimonio programmato assicurandogli che “che sarebbe stato sicuro farlo”. La rivelazione faceva parte proprio del dossier della CIA che oggi accusa Mohamed Bin Salman ma poche ore dopo l’ambasciatore saudita smentì la telefonata.
“Come abbiamo detto al Washington Post, l’ultimo contatto che ho avuto con il signor Khashoggi è stato via SMS il 26 ottobre 2017. Non gli ho mai parlato per telefono e di certo non gli ho mai suggerito di andare in Turchia per nessun motivo. Chiedo al governo di rilasciare qualsiasi informazione in merito a questa affermazione “, scrisse Khalid su Twitter il 16 novembre 2018.
MISTERIOSO INCONTRO TRA KASHOGGI E L’INVESTIGATORE DELLE VITTIME
Secondo l’avvocato Kreindler, il 26 ottobre 2017 è stato anche il giorno in cui Khashoggi ha incontrato un investigatore delle famiglie dell’11 settembre a Washington.
«”Khashoggi faceva parte della comunità dell’intelligence e sapevamo che sapeva molto sul coinvolgimento del governo saudita nell’11 settembre. Era collegato alla Fratellanza Musulmana e all ‘[ex principe ereditario saudita] Muhammad bin Nayef, ed è per questo che il nostro investigatore è andato a parlare con lui”, ha detto Kreindler. “Verresti a New York e parleresti con il mio capo? Ha detto di sì”» aggiunge Christensen. Poi riporta le considerazioni personali del legale delle vittime del World Trade Center.
«Sono sicuro che non appena se n’è andata, ha chiamato la KBS [Khalid bin Salman] e ha detto, ‘Guarda, gli avvocati dell’11 settembre sono su di me. Loro sanno che so cosa avete fatto voi ragazzi e non gli ho dato niente, ma tenete in braccio mio figlio in Arabia Saudita e se gli farete del male lo farò”. Quindi credo che Khashoggi sia stato ucciso non perché lo fosse. un dissidente, ci sono molti dissidenti, ma perché teneva questa ascia sopra le teste dei sauditi».
Secondo Kreindler si trattò però di un incontro preliminare nel quale Kashoggi, in esilio volontario dall’Arabia Saudita dal settembre 2017 per un “clima di paura e intimidazione, non avrebbe fornito alcuna informazione utile.
L’articolo del Florida Bulldog termina ricordando che «ci sono ancora altri motivi per cui il regno potrebbe aver voluto la morte di Khashoggi. All’inizio del 2018 Khashoggi sarebbe stato coinvolto nella creazione di un gruppo di difesa chiamato Democracy for the Arab World Now (DAWN) per una contro-narrativa agli scettici sulle Primavere Arabe, avviate dall’amministrazione Obama-Biden.
REPORTER SOTTO SCORTA PER L’INCHIESTA WTC
Il giornalista Christensen aveva già evidenziato le presunte responsabilità del Regno dell’Arabia Saudita partecipando ad una clamorosa intervista realizzata da Matthew Ogden all’ex senatore Bob Graham a Napoli, in Florida, l’11 novembre 2014. Il senatore Graham è stato co-presidente dell’inchiesta congiunta del Congresso sull’11 settembre.
«L’oggetto dell’intervista è l’urgenza di declassificare le 28 pagine redatte del rapporto dell’Inchiesta Congiunta del Congresso per esporre il ruolo dell’Arabia Saudita nel finanziamento non solo degli attacchi di Al Qaeda dell’11 settembre 2001, ma anche di continuare a finanziare l’ISIS e il terrorismo correlato oggi a queste organizzazioni». Ciò è stato evidenziato anche da Gospa News in relazione all’attentato dinamitardo alle Chiese dello Sri Lanka nella Pasqua del 2019 e in riferimento all’impiego di condannati a morte nella guerra dello Yemen, testimoniato da un documento esclusivo che comprova i legami dell’intelligence di Riad con l’invio di miliziani ad Al Qaeda anche successivamente agli attentati alle torri gemelle.
JIHAD SAUDITA, TOP SECRET FILES: DAI DETENUTI INVIATI IN SIRIA ALLE BOMBE IN SRI LANKA
«All’intervista parteciparono anche il giornalista investigativo Dan Christensen del Broward Bulldog, così come l’avvocato di primo emendamento di Miami Tom Julin. Christensen e Julin sono stati determinanti nel combattere il persistente ostruzionismo da parte del Federal Bureau of Investigations nel perseguire piste cruciali relative ai collegamenti tra un’importante famiglia saudita e una cellula di dirottatori dell’11 settembre a Sarasota, in Florida, prima degli attacchi dell’11 settembre»
Fu evidenziato anni fa da un articolo di LaRouchePAC, il progetto di comunicazione dell’intraprendente Lyndon Hermyle LaRouche Junior, un politico e attivista statunitense dei Democratici scomparso nel 2019, che per anni si oppose al Deep State proponendosi come candidato alle primarie presidenziali molteplici volte, persino quando finì in carcere per alcune cavillose violazioni fiscali scoperte dalla FBI che lui aveva accusato di insabbiamenti per la tragedia del World Trade Center.
L’INGANNO AGGRESSIVO AL CONGRESSO
Nello stesso reportage fu riportata una dichiarazione pubblica rilasciata dallo stesso senatore Graham che lanciava accuse pesanti per il complotto internazionae e i conseguenti depistaggi da lui definiti un “inganno aggressivo” del Congresso degli Stati Uniti e del pubblico in relazione agli attentati.
«Il collegamento è diretto. Non solo l’Arabia Saudita ha promosso questa forma estrema di religione, ma è stata anche il principale finanziatore, prima di Al Qaeda, poi dei vari franchise di Al Qaeda in tutto il mondo, in particolare quelli in Somalia e Yemen – e ora il sostegno dell’ISIS … Credo che il ruolo dell’Arabia Saudita nell’11 settembre sia stato rivelato dal rilascio delle 28 pagine e dalla declassificazione di altre informazioni sul ruolo e sul sostegno sauditi dei dirottatori dell’11 settembre, che avrebbe reso molto più difficile per l’Arabia Saudita continuare quel modello di comportamento, e penso che [noi] avremmo avuto buone possibilità di frenare l’attività che oggi il Canada, gli Stati Uniti e altri paesi ancora stanno pensando di entrare in guerra».
«Non è un segreto che la famiglia reale saudita sia molto vicina ai Bush. In effetti, il principe Bandar bin Sultan, ex ambasciatore saudita negli Stati Uniti, il cui ruolo nell’11 settembre è altamente discutibile, è noto a molti come “Bandar Bush”. Forse l’amministrazione Bush ha bloccato il rilascio delle 28 pagine per difendere il KSA, che considerano un caro amico di famiglia, un socio in affari e un alleato politico» è la conclusione di LaRouchePAC che in un altro reportage mostra la foto dell’ex presidente USA George W. Bush jr, il vicepresidente Cheney, Condoleeza Rice e il principe saudita Bandar sul balcone della Casa Bianca il 13 settembre 2001. Due giorni dopo l’olocausto delle Twin Towers.
Il documento di 28 pagine fu poi desecretato negli anni successivi (faremo presto un reportage di sintesi dei contenuti), dimostrando gli stretti collegamenti tra esponenti finanziati dal governo saudita e i terroristi di Al Qaeda che progettò l’attacco dei dirottatori kamikaze. Ma i rapporti tra Usa ed Arabia Saudita non cambiarono di una virgola e l’inchiesta sull’11 settembre rimase avvolta nella polvere del crollo delle due torri e dell’edificio 6 imploso senza essere mai stato raggiunto come se ci fosse stata l’esplosione denunciata da tanti esperti. Quella polvere forma una coltre sempre più spessa sulla verità.
Oggi arriva un altro dossier dell’Intelligence Usa svelato su indicazione politica del nuovo presidente Joe Biden che accusa Bin Mohamed Salman dell’assassinio brutale di Jamal Kashoggi ma, proprio come allora, tra Washington e Riad non capita di fatto nulla… E’ forse capzioso ricordare che proprio l’ex presidente repubblicano Bush junior ha fatto un endorsement fondamentale per la vittoria di Biden nella rovente campagna elettorale 2020 che lo ha contrapposto al presidente uscente Donald Trump?
LOBBY ARMI – 1: BLACKROCK E GLI ALTRI AFFARISTI DELLE GUERRE USA
Una piccola reazione all’orrenda esecuzione del giornalista musulmano del Washington Post è avvenuta invece in Europa. Reporters sans frontières ha annunciato di aver presentato una denuncia in Germania per crimini contro l’umanità contro il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed ben Salman, per la sua “responsabilità” nell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi e nell’incarcerazione di una trentina di suoi colleghi. Presentata lunedì al Procuratore generale della Corte federale di giustizia di Karlsruhe” per la sua giurisdizione “sui principali crimini internazionali”, la denuncia “riguarda la diffusa e sistematica persecuzione dei giornalisti in Arabia Saudita”, si legge in un comunicato di Rsf.
Capiterà qualcosa? Non crediamo visto che le bombe MK 80 usate dall’Arabia Saudita anche contro gli ospedali yemeniti sono state prodotte in Sardegna dalla RWM Italia Spa che è una filiale della tedesca Rheinmetall, subappaltatrice di un contratto tra gli arabi e l’americana Raytheon…
La Lobby delle Armi è più forte di ogni strage: anche quella odierna iniziata con la pandemia da Covid-19, costruito in laboratorio secondo esperti di virologia ed intelligence, e proseguita coi vaccini delle Big Pharma in un unico colossale progetto del Nuovo Ordine Mondiale per il controllo della popolazione mondiale prima sotto il profilo sanitario, poi economico e infine militare.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAIN SOURCES
GOSPA NEWS – DOSSIER JIHADISTI
GOSPA NEWS – REPORTAGES SULLA SIRIA
GOSPA NEWS – DOSSIER LOBBY ARMI
GOSPA NEWS – REPORTAGES ZONE DI GUERRA
MIDDLE EAST MONITOR – ISRAEL DEAL FOR US ARMS PURCHASES
HERALD SUN – DID SAUDIS KILL KHASHOGGI FOR HIS 9/11 SECRETS
FLORIDA BULLDOG – KHASHOGGI MET 9/11 VICTIMS’ INVESTIGATOR
LAROUCHEPAC – 28PAGES HIDDEN ON 9/11 INQUIRY
https://www.gospanews.net/2020/12/05/wuhan-gates-covid-19-il-complotto-del-nuovo-ordine-mondiale-il-libro-in-arrivo/
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