Grandine di sospetti sul nuovo premier libico
legato al presidente turco Erdogan
ed acclamato dal Draghi e Di Maio a Tripoli
Nella foto di copertina da sinistra: Mario Draghi, nuovo premier in Italia, Abdulhamid Dabaiba, nuovo primo ministro della Libia, Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, Tamin bin Hamad al Thani, emiro del Qatar
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
Molti analisti di geopolitica hanno visto la visita del presidente del Consiglio Mario Draghi a Tripoli (accompagnato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio) come una mossa strategica auspicata dal nuovo presidente USA perché l’Italia riprenda il controllo dell’ex colonia libica al fine di contrastare le mire dell’espansionismo del presidente turco Recep Tayyp Erdogan che nemmeno troppo celatamente sogna la rinascia di un Impero Ottomano del Mediterraneo nell’area MENA (Middle East – North Africa).
Ma non si può cmprendere gli spiragli per la riscossa della Libia, dilaniata da una guerra civile ad intermittenza fin dal 2014 ed interrotta da una vera tregua solo nell’autunno 2020, senza analizzare a fondo la conrroversa figura del nuovo Primo Ministro Libico Abdulhamid Dabaiba, 61 anni, che sulla carta dovrà guidare il paese fino al 24 dicembre del 2021, il giorno del 70esimo anniversario della Libia, la data in cui dovrebbero tenersi le elezioni legislative e parlamentari.
Per comprendere la situazione basta leggere le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Draghi in riferimento al cosiddetto incidente diplomatico del “sofagate” (l’incontro tra il presidente Erdogan e la delegazione UE durante il quale la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen è stata fatta accomodare su un divano defilato mentre mentre lui e il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, prendevano posto su due poltrone con le rispettive bandiere alle spalle).
“Non condivido assolutamente Erdogan, credo che non sia stato un comportamento appropriato. Mi è dispiaciuto moltissimo per l’umiliazione che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dovuto subire”, ha premesso il presidente del Consiglio, per poi aggiungere: “Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono”, ha sottolineato Draghi, “di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; e deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Bisogna trovare il giusto equilibrio”. Soprattutto quando l’Italia è un partner strategico di Turchia e Qatar nella Lobby delle Armi: pecunia non olet…
Tutto ciò si interconnette in modo eclatante nel dossier Libia. Ancor prima di insediarsi, infatti, il nuovo premier libico Dabaiba è stato bersagliato da molteplici sospetti internazionali: da quello di essersi conquistato il suo ruolo grazie a presunte corruzioni messe in campo dal suo staff a Ginevra a quella di essere troppo vicino allo stesso Erdogan nonché un finanziatore della Fratellanza Musulmana, l’organizzazione radicale politico-religiosa che è stata dichiarata “terrorista” in Egitto ma controlla la Turchia ed il Qatar.
Queste due nazioni sono saldamente ancorate al business della Lobby delle Armi (reportage n. 4) con il Regno Unito e con l’Italia, tanto da aver accreditato la leggenda storica per cui sarebbe stata proprio la Massoneria anglosassone (egemone a Roma fin dall’Unità d’Italia) a “creare” i Fratelli Musulmani per intercettare e gestire in Medio Oriente i fermenti dell’Islam fondamentalista di confessione Sunnita, contropposto a quello Sciita predominante in Iran, Iraq, Siria e Libano.
«E’ un momento unico per la Libia, c’è un governo di unità nazionale legittimato dal Parlamento che sta procedendo alla riconciliazione nazionale. Il momento è unico per ricostruire quella che è stata un’antica amicizia. C’è la volontà di riportare l’interscambio economico e culturale ai livelli di 5-6 anni fa». Lo ha detto il premier italiano Mario Draghi nelle dichiarazioni congiunte con Dabaiba da Tripoli lo scorso 6 aprile, aggiungendo però che il “requisito per procedere con la collaborazione è che il cessate il fuoco continui”.
ANCHE I JIHADISTI NELLA GUERRA CIVILE
«Il conflitto libico perdura, a intermittenza, dal 2014, anno nel quale si apre prima una crisi politica, in seguito al rifiuto del parlamento di Tripoli di decadere dopo le elezioni nazionali e ad uno scontro militare innescato da un tentativo di colpo di stato del generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica – una regione della Libia orientale – che si scontra con i signori della guerra di Tripoli. Una guerra civile che si estende in tutto il Paese. Intanto, iniziano a svilupparsi gruppi armati di ispirazione islamista» rammenta un’ottima sintesi di NewsUpday.
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Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale LIbico (LNA), che ha svolto un nodo cruciale nella caccia ai primi estremisti islamici ed è sostenuto dal parlamento secessionista di Tobruk, lancia quindi l’Operazione Dignità contro il Governo di Accordo Nazionale di Tripoli presieduto dal Fayez Al Serray, unico riconosciuto dalle Nazioni Unite. Ma nel 2015, lo Stato Islamico, approfittando del conflitto, istituisce un califfato che ha come capitale Sirte, ex bastione lealista dell’ex dittatore libico Gheddafi. La città verrà riconquistata a settembre 2016 dalle truppe di Tripoli, dopo mesi di combattimenti.
Nel frattempo intorno ai due schieramenti si formano due coalizioni internazionali: Al Serray viene sostenuto da Italia, Unione Europea e NATO con l’eccezione della Francia che appoggia Haftar come la Russia, attiva nel sostenere le rivendicazioni del generale della Cirenaica con l’invio dei contractors del gruppo Wagner, insieme a Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, paesi musulmani preoccupati dalle relazioni tra Tripoli e i Fratelli Musulmani di Turchia e Qatar, divenuti sempre più potenti nell’area dopo l’intervento di Ankara in Siria.
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Nell’aprile 2019 Haftar lancia un attacco frontale per la conquista di Tripoli, respinto a fatica dall’esercito del presidente Al Serray che si rivolge all’amico Erdogan. Il 27 novembre 2019 il governo di Tripoli firma con la Turchia un accordo militare.
Prima ancora che il Parlamento di Ankara approvi la missione dell’Esercito Turco in Libia, centinaia di miliziani jihadisti, prelevati dal Rojava (Siria del Nord Est) dopo l’invasione dell’ottobre 2019 e l’utilizzo di molti ex comandanti ISIS ed Al Qaeda liberati dalle prigioni, sbarcano a Tripoli nel dicembre 2019, pochi giorni dopo arrivano all’aeroporto di Misurata voli da Ostenda (Belgio) con presunti carichi di armi e droni, in plateale violazione dell’embargo ONU sul traffico di armi.
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Ai circa 2mila mercenari russi di Wagner vengono contrapposte migliaia di miliziani addestrati e pagati da Ankara, definiti ribelli siriani anti-Assad dai media di mainstream ma in realtà presi da fazioni jihadiste anche estremiste come Hayat Tharir Al Sham (ex fronte Al Nusra che due inchieste ritengono finanziato tramite banche di Doha, capitale del Qatar) e tra cui i servizi di intelligence Curdi (in guerra con la Turchia nel Rojava) individuano 229 individui ricercati per terrorismo di matrice islamica. Sotto lo sguardo complice della NATO, la Turchia giunge a portare fino a 14mila jihadisti che diventano di fatto uno dei più importati eserciti di Tripoli consegnando ad Erdogan un potere smisurato in Libia.
Dopo la caduta del colonnello Muhammar Gheddafi nel 2011, prima vittima delle Primavere Arabe avviate dall’amministrazione USA di Obama-Biden con la NATO, il 16 settembre dello stesso anno viene istituita la Missione di Supporto dell’ONU in Libia (UNSMIL). Il processo politico-diplomatico sotto l’egida Onu porta alla firma dell’Accordo politico di Skhirat del 17 dicembre 2015, inMarocco, dove i rappresentanti del Congresso di Tripoli e dellaCamera di Tobruk firmano un accordo per la formazione di un “governo di accordo nazionale”, sotto l’egida delle Nazioni Unite. L’accordo, scaduto due anni dopo, rimane solo sulla carta.
Dal 2018 al 2020 sono molteplici i tentativi di una tregua che non regge sul campo. Si arriva così al cessate il fuoco permanente firmato a Ginevra lo scorso 23 ottobre dal Comitato 5+5 (cinque membri del Gna, cinque ufficiali del generale Haftar). In esso viene inserita anche la clausola dell’espulsione di tutte le truppe straniere, mai rispettata da nessuno dei contendenti.
UN GOVERNO NATO TRA SOSPETTI DI CORRUZIONE
Dopo la sua scelta nei colloqui di Ginevra guidati dall’ONU e dopo aver ricevuto con una maggioranza di 132 voti su 178 la fiducia dal Parlamento libico il 10 marzo 2021, il nuovo esecutivo di unità nazionale – ad interim – guidato da Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh presta giuramento e si insedia a Tripoli, sostituendo entrambi i governi rivali precedenti: quello di Fayez Al Serraj e quello fedele al maresciallo Khalifa Haftar, con sede a Tobruk. Il 23 marzo avviene ufficialmente a Sirte il passaggio di consegne con quest’ultimo, guidato da Abdullah al-Thani, da non confondere con Tamin bin Hamad Al Thani, emiro del Qatar ed alleato del presidente turco Erdogan in nome della Fratellanza Musulmana.
Ma sono proprio i passaggi finali degli accordi politici che gettano lunghe ombre sul nuovo primo ministro. Esse emergono dall’atteso rapporto stilato dal Gruppo di esperti sulla Libia su richiesta del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il Panel – coordinato dall’esperta finanziaria indiana Majumdar Roy Choudhury e composto dall’esperta franco-libanese di gruppi armati e legge umanitaria internazionale Alia Aoun, dall’esperta di finanza e gruppi armati statunitense Dina Badawy, dall’esperto spagnolo di armi e di trasporti marittimi Luis Antonio de Alburquerque Bacardit, dall’esperto di trasporti marocchino Yassine Marjane e dall’esperto di armi britannico Adrian Wilkinson – ha identificato durante il suo mandato “molteplici atti che hanno minacciato la pace, la stabilità o la sicurezza della Libia e un aumento degli attacchi contro le istituzioni e le installazioni statali”.
«La questione più interessante e di stretta attualità, cioè i presunti tentativi di corruzione del Foro di Dialogo Politico Libico (Lpdf), viene accennata però solo parzialmente: i dettagli salienti inclusi nell’allegato numero 13, infatti, sono stati secretati» ha scritto Nova News, agenzia d’informazione specializzata in questioni geopolitiche anche grazie alla partnership con Leonardo, la corporation italiana di sistemi di difesa, veicoli aerospaziali e armamenti.
«Ad almeno tre partecipanti dell’Lpdf, spiega il report, sono state offerte tangenti per votare un “candidato specifico” alla carica di primo ministro del governo ad interim della Libia. I partecipanti dell’Lpdf coinvolti in questi tentativi sono stati “categorici” nel rifiutare le tangenti, precisa il rapporto. La questione ha suscitato grande interesse mediatico e l’ufficio del procuratore generale libico ha ricevuto reclami da membri del Foro e di organizzazioni della comunità internazionale al riguardo. Nel rapporto, tuttavia, il gruppo di esperti ha sottolineato di non voler fornire ulteriori dettagli sulla questione, rinviando per elementi aggiuntivi a un allegato confidenziale della relazione, il numero 13, effettivamente secretato» ha evidenziato il media.
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«Secondo fonti stampa internazionali, ad aver offerto le bustarelle sarebbero stati esponenti del clan dell’attuale premier Abdelhamid Dabaiba, politico e imprenditore di Misurata poi effettivamente eletto per un pugno di voti nella sessione dell’Lpdf tenuta a Ginevra il 5 febbraio» è la lapidaria conclusione di Nova News.
DA MANAGER DI GHEDDAFI A PREMIER LIBICO
Dabaiba non è un personaggio uscito dal cilindro della diplomazia internazionale ma un imprenditore assai intraprendente arricchitosi proprio grazie al regime di Muhammar Gheddafi. A svelarlo è il network Al Jazeera che, pur trasmettendo dall’Emirato del Qatar dove regna la Fratellanza Musulmana, evidenzia molte riserve sul nuovo premier libico.
La scelta di Dbeibah venerdì è stata una sorpresa per molti, data la stretta associazione del magnate dell’edilizia con l’ex governatore libico di lunga data, Muammar Gheddafi. Nato nel 1959 nella città occidentale di Misurata, tradizionalmente vista come un bastione della resistenza alla presa di potere quarantennale di Gheddafi, Dbeibah si è trasferito in Canada all’inizio della sua carriera per conseguire una laurea in ingegneria presso l’Università di Toronto» ha scritto Al Jazeera.
È tornato nella sua città natale nel bel mezzo di un boom edilizio, dove alla fine ha attirato l’attenzione degli stretti collaboratori di Gheddafi. La sua esperienza gli è presto valsa la fiducia di Gheddafi che nel 2007 gli ha affidato il compito di gestire la Libyan Investment and Development Company (LIDCO) di proprietà statale, responsabile di alcuni dei più grandi progetti di lavori pubblici del paese, tra cui la costruzione di 1.000 unità abitative nella città natale del leader, Sirte.
“Lavoreremo in modo che gli organi di sicurezza siano professionali e le armi siano poste sotto il monopolio dello Stato”, ha detto promettendo di istituire un ministero di “riconciliazione nazionale” per corteggiare gli investitori stranieri e creare posti di lavoro per i giovani. Si è prefissato l’obiettivo di porre fine “entro sei mesi al massimo” alle interruzioni di corrente quotidiane che da anni affliggono la Libia.
«Le potenze mondiali, tra cui Stati Uniti e Russia, hanno accolto con favore il voto a Ginevra, ma alcuni analisti, e gli stessi libici, rimangono scettici – ha aggiunto il network arabo svelando la nota più scottante – Wolfgang Pusztai, analista di sicurezza e politica ed ex addetto alla difesa dell’Austria in Libia, ha detto che il passato di Dbeibah potrebbe minare la sua credibilità. “La candidatura di Dbeibah è ancora in discussione. Era il capo della holding libica per gli investimenti e lo sviluppo sotto Gheddafi ed era presumibilmente coinvolto in corruzione, riciclaggio di denaro, finanziamento dei Fratelli Musulmani, acquisto di voti e così via “, ha detto Pusztai ad Al Jazeera. “Indipendentemente dal fatto che questo sia vero o no, è tutta una questione di percezione.”».
POLITICO CON ERDOGAN E LA FRATELLANZA MUSULMANA
Ancor pià dettagliato e caustico sul nuovo premier libico era stato Diego Urteaga sul media in lingua spagnola Atalayar di Madrid in un articolo pubblicato il 7 febbraio 2021.
«Venerdì scorso si è deciso a Ginevra quello che può essere un passo definitivo per la soluzione del conflitto libico. Dopo diversi giorni di sessioni e un primo turno fallito, la lista guidata da Mohammad Younes Menfi è risultata vincitrice per 39 voti contro Aguila Salé, che ne ha ottenuti 34. La lista dei vincitori è riuscita a ribaltare la situazione, visto che al primo turno era 5 voti inferiori a quelli di Salé. Questo nuovo governo di transizione ha, oltre a Menfi come presidente del Consiglio presidenziale, un corpo completato da Abdullah Hussein Al-Lafi e Mossa Al-Koni, con l’uomo d’affari Abdul Hamid Mohammed Dbeibah come primo ministro. Dbeibah è una figura controversa, poiché già alla fine dello scorso anno era sospettato di aver tentato di influenzare i membri del Libyan Political Dialogue Forum, cosa che questo uomo d’affari di Misurata respingeva con fervore» si leggeva su Atalayar.
«La famiglia di Dbeibah è stata strettamente legata agli affari e al settore delle infrastrutture, così ha potuto approfittare del boom industriale ed economico grazie al petrolio che il Paese ha vissuto al tempo di Gheddafi. Durante il regime di Gheddafi, Dbeibah ha guidato per due decenni una società statale legata alla costruzione, la Libyan Investment and Development Company, quindi è sempre stato in seconda linea dell’élite libica e con molta influenza nel campo della investimenti., qualcosa che lo ha portato ad essere indagato per possibile appropriazione indebita. Secondo la stampa britannica con dati venuti alla luce sui Panama Papers, la famiglia Dbeibah ha proprietà nel Regno Unito acquisite con deviazione di fondi tramite società di comodo» nota Urteaga.
Secondo il media spagnolo, inoltre, l’attuale premier ha avuto anche l’appoggio dello zio, Al-Dbeibah, anche lui uomo d’affari, anche se nel suo caso legato al settore audiovisivo. Lo zio di Abdul Hamid ha un canale di trasmissione satellitare, Salam, situato in Turchia, un aspetto fondamentale poiché mostra che i rapporti tra la Dbeibah e la Turchia sono stretti. Inoltre, la sua candidatura è stata una delle più fortemente sostenute da Ankara».
«Il profilo del nuovo premier è islamista e vicino ai Fratelli Musulmani. Da qui l’impegno della Turchia per la sua figura. Non a caso, Misurata è l’epicentro delle milizie islamiste che per il Gna, prima dell’arrivo dei mercenari siriani inviati dalla Turchia, erano vitali per sostenere Tripoli.
Dbeibah ha già avuto tempo di parlare con l’Agenzia turca Anadolu, alla quale ha sottolineato la volontà di rafforzare i legami con la Turchia, che considera “un Paese alleato, amico e fratello”. Il nuovo primo ministro ha anche sottolineato che “la Turchia può svolgere un ruolo chiave nell’aiutare i libici a raggiungere i loro obiettivi”. Il rapporto tra Tripoli e Ankara può essere decisivo, sia nel bene che nel male, per il futuro del Paese» conclude Urteaga confermando quanto già rivelato da Al Jazeera.
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Il viaggio del premier italiano Mario Draghi in Libia si innesta quindi in uno scenario geopolitico ben più complesso di quello che sembra. Non è soltanto in gioco la riconferma del ruolo dell’Italia nel settore energetico libico in relazione alla piattaforma di Melitah, l’impianto che si trova un’ottantina di chilometri a ovest di Tripoli ed è gestito da ENI e dall’azienda nazionale libica, la National Oil Corporation, ed al gasdotto Greenstream che trasporta il gas naturale dalla costa Libica fino alla costa Italiana.
Ma in campo c’è anche una strategica alleanza politica e militare costruita sotto il segno ambiguo e pericoloso della Fratellanza Musulmana grazie alle ormai consolidate e indissolubili relazioni tra Italia, Turchia e Regno Unito, sotto l’egida della NATO, estese al Qatar dove, ad Al Udeid, si trova una delle più importanti basi congiunte di Qatar Air Forces, US Air Force e Royal Air Force nel Golfo Persico. Equilibri assai delicati e occulti, sovente gestiti dalla diplomazia internazionale in un intrigo tra società di lobbying e servizi di intelligence, come rivelato nella nostra precedente inchiesta sulla Libia che ha palesato interconnessioni persino con il virus SARS-Cov-2 della pandemia e il nusiness dei vaccini.
Quanto potrà durare, pertanto, la tregua con Haftar che da anni gode della protezione della Russia, sempre più avversata dall’Alleanza Atlantico? L’attuale premier Abdulhamid Dabaiba sarà pronto a rinunciare al governo se il prossimo 24 dicembre le elezioni legislative e parlamentari dovessero far emergere una maggioranza in mano al leader della Cirenaica e alle molteplici rappresentanze tribali anziché ai politici di Tripoli eredi di Al Serraj? E in caso di nuove contrapposizioni quale sarebbe l’atteggiamento dell’Italia, dell’UE, della NATO e dell’ONU, che ha già scoperto presunte corruzioni elettorali ancor prima dell’insediamento del nuovo governo?
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAIN SOURCES
GOSPA NEWS – WUHAN.GATES REPORTAGE
GOSPA NEWS – INCHIESTE CORONA VIRUS
GOSPA NEWS – INCHIESTE LOBBY ARMI
JIHADISTI, GOSPA NEWS REPORTAGES
ANSA – IL VIAGGIO DI DRAGHI IN LIBIA
NOVA NEWS – IL DOSSIER LIBIA DELL’ONU
AL JAZEERA – PM DBEIBAH AND MUSLIM BROTHERHOOD
ATALAYAR – LIBYAN PM AND ERDOGAN