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“DRONI FUCILATI IN SARDEGNA”. Dalla Virale Fake-News alla Vera Riconquista dello Spazio Vitale

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di Christian Le Courvoisier 

C’è stata, nella seconda mesta Pasqua della nuova età della pandemia infinita, una notizia pittoresca partorita da un portale sardo di satira (ironica e priva di ogni fondamento reale) che, come in un teatro di Eduardo, ha celato sotto la veste di una clamorosa fake-news una verità ben più profonda.

Secondo i bighelloni di Radio Limbara, nel Nuorese, nel giorno di Pasquetta,  ventuno droni usati dalle forze dell’ordine per la sorveglianza della popolazione sarebbero stati abbattuti a fucilate. Ventuno su ventidue. La vicenda è diventata virale sui social ed è stata ripresa anche da alcuni siti d’informazione reale, inducendo in errore i lettori più superficiali. Ma se si legge attentamente questo sito di pseudo-informazione, che diventa quasi nemico di quelli che si ostinano a cercare di fare sana contro-informazione, ecco svelato il subdolo inganno nelle note…

La cover dell’articolo di Radio Limbara

«Tutti gli articoli son da considerarsi come ironici o satirici, non corrispondono a verità e sono completamente frutto della nostra fantasia. Se ci avete creduto, e li avete presi per veri, complimenti! rientrate nel 47% di persone afflitte da analfabetismo funzionale in Italia! – scrive Radio Limbara – La redazione ripudia e si dissocia da qualsiasi forma di razzismo, sessismo, bullismo e discriminazione. L’umorismo contenuto negli articoli non vuole essere in alcun modo lesivo verso le categorie dei soggetti trattati e siamo disponibili alla revisione e rettifica dei contenuti qualora questi dovessero essere oltremodo fraintesi. L’utilizzo di nomi di personalità o aziende è, in questo contesto, strumentale alle finalità satiriche e umoristiche del sito».

La valenza sociale di un fantomatico e inesistente manipolo di preparati ribelli è stata subito premiata dalle chat in quest’epoca di vile inerzia generale. A molti avrebbe fatto piacere che il cielo del Nuorese fosse davvero diventato fiero  modello per l’intero pianeta, vocato a rimanere libero da occhi indiscreti e spioni, restando un cielo da osservare e non per osservare. In questo passaggio è contenuto un dettaglio fondamentale per le nostre vite future, che potremmo definire la “riconquista dello spazio”.

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Conforta in questo senso che ci sia in giro, per altri motivi ma proprio nello stesso periodo, un nuovo Sputnik, battezzato così, certamente non per caso, da un leader che senza alcun dubbio possiede una cultura infinitamente superiore a quella di qualunque altro suo omologo sul pianeta.

Esiste un grave aspetto di questa pandemia infinita e forzata che passa in generale inosservato: la distruzione della ritualità dei tempi, della liturgia della quotidianità, attraverso la soppressione di tutti i luoghi. Di tutti gli spazi connotati dalle loro funzioni.  I luoghi delle nostre vite sono stati demoliti spietatamente e scientificamente come vecchi villaggi della Cina rurale, per fare spazio alla costruzione della pandemia globalista.

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Eliminati nella loro funzione storica e sacralità. Le chiese, gli stadi, i caffè, i ristoranti, i musei, gli uffici, i teatri, i negozi, le scuole. Qualunque luogo è stato indefinitamente soppresso e con esso la liturgia culturale della nostra società, con i suoi riti ma anche con la sua sensualità. Ogni azione è stata ridotta, avvilita al surrogato base di quella che era stata per secoli.  I sensi stessi risultano castrati in una condizione forzatamente privata e privata, depredata, soprattutto degli stimoli provenienti dalla scena, dal genius loci.

Viviamo fisicamente un’assurda rappresentazione teatrale in uno spazio vuoto privo dei consueti riferimenti, ridotto spesso a un meccanico elementare marchingegno esecutore della routine di casa e supermercato, attraversando al massimo l’abitacolo di una vettura. Le nostre case cittadine, in grandissima parte fedeli al concetto di socialismo utopista di Le Corbusier della “machine a habiter” non sono nate per essere contemporaneamente teatro, stadio, ristorante, chiesa, scuola. Sono frutto di società socialiste e pragmatiche sviluppate tra le due guerre del secolo scorso. Igiene, industrializzazione della costruzione, fabbisogno abitativo a supporto della produzione. Questi i concetti ispiratori, aspramente critici di ogni visione vernacolare e troppo umana dell’abitare.

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L’attuale abitare coatto, accolto fatalisticamente come mille altre sfumature del nuovo ordine imposto, con il vile senso di sopportazione e la relativa maschera ipocrita e onnicomprensiva della adorata “resilienza”,  ci costringe in una scena vuota e asettica che mortifica volutamente ogni passata sensorialità.

Chiunque abbia assistito a una partita allo stadio, a una gara motociclistica in circuito, sa che non c’è sky che tenga con il respirare l’odore dei tifosi o della benzina, con il farsi assordare dai cori o dai pistoni. Chiunque abbia partecipato ad un festival rock estivo sa che non è nemmeno comparabile alla sciatteria di un esibizione casalinga messa insieme su piattaforme informatiche. Chiunque abbia un minimo di senso del gusto sa che un caffè in un locale art nouveau di inizio ‘900 ha un gusto radicalmente diverso che all’aeroporto.

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I ristoranti sono stati pensati per ristorare le persone (e non per mendicare i ristori offensivi di infami benefattori a debito). Gli uffici sono stati progettati per lo svolgimento corretto degli uffici.  I negozi per consentire di negoziare.  Le chiese sono il frutto di studi profondi e lunghi, e sono sorte per ispirare, con architetture messe a punto in secoli di perfezionamento, la spiritualità.  Con il silenzio, le altezze, la luce filtrante, il profumo delle candele e dell’incenso, dei legni antichi delle pale e dei banchi, il suono profondo e riverberante di pavimenti duri e freddi in uno spazio creato per essere liturgico, simbolico e commovente. Le scuole, le università, le biblioteche, sono molto più che muri, sono biosfere costruite per contenere il sapere e per farlo circolare e coltivarlo al loro interno.

E poi ci sono le strade a connettere questi spazi e i cinque sensi.  La vita non può essere solo uno spazio lineare tra scatola casa e scatola supermercato, con l’incubo continuo della terza scatola di  strutture sanitarie distaccate e rinchiuse, luoghi della morte distante e fredda, inumana.

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Riconquistare i luoghi delle nostre vite.  Riconquistare il significato delle parole. Rosa Luxembourg diceva che il primo atto veramente rivoluzionario è chiamare le cose con il loro nome.  E’ ora di fare nostro il suo esortamento e di estenderlo anche al mondo fisico che la nostra intera specie ha faticosamente costruito e messo a punto.

Al diavolo gli spazi immateriali, al diavolo il virtuale, è vitale e improrogabile riconquistare i luoghi sacri delle nostre vite, i loro profumi, i suoni, i colori la materialità del nostro senso quotidiano. Riconquistiamo i nostri territori, abbattiamo gli idoli di chi vuole considerare scienziati solo gli incapaci arroganti che maneggiano maldestri e corrotti la medicina, difendiamo la nostra umanità e la nostra sensuale animalità.

Il mondo nuovo e sterilizzato di Aldous Huxley è già qui.

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Christian Le Coirvoisier
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MAIN SOURCES

GOSPA NEWS – WUHAN.GATES REPORTAGE

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