di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
«Infatti, stando alla Costituzione e alla Legge, le autorità sanitarie non hanno il potere o la legittimità di privare nessuno della propria libertà – anche sotto l’etichetta di “reclusione”, che di fatto corrisponde a una detenzione – poiché solo tale decisione può essere determinato o convalidato da un’autorità giudiziaria, cioè la competenza esclusiva, in vista della Legge che ancora ci governa, di ordinare o convalidare tale privazione della libertà, è attribuita esclusivamente ad un potere autonomo, alla Magistratura».
Queste frasi le hanno scritte i giudici Margarida Ramos de Almeida (relatore) ed Ana Paramés in una sentenza della Corte d’Appello di Lisbona dell’11 novembre 2020 e sono diventate una pietra miliare nei media di contro-informazione come DataBase Italia (tra i primi a riportare la notizia) che hanno dato risalto all’atto giudiziario perché in esso sono state evidenziate le molteplici gravissime anomalie di lockdown, quarantene e isolamenti coattivi. Ma soprattutto perché nella sentenza si attestò l’inaffidabilità dei tamponi PCR per il Covid-19 al 97 % nonostante proprio gli esiti dei prelievi rinofaringei siano stati il fondamento delle restrizioni della libertà personale applicate in tutto il mondo e della conseguente campagna massiva per la vaccinazione.
Torniamo a scriverne oggi, dopo aver trovato il tempo per tradurre l’intera sentenza dal portoghese ed analizzarla nel dettaglio, perché tra le righe di quel documento emerge che i dubbi sull’affidabilità dei tamponi e il rischio di falsi positivi è stato sancito da due studi scientifici di grande autorevolezza in qunto pubblicati su The Lancet ed Oxford Academic che espongono una tesi già esposta dal professor Giorgio Palù, accademico internazionale di virologia e ora presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, in un’intervista concessa a Gospa News nell’ottobre 2020.
Ma prima di citarne i contenuti rammentiamo brevemente la vicenda e vediamo i passi salienti dell’atto con cui la Terza sezione del Tribunal da Relacao de Lisbona rigettò il ricorso dell’Autorità Regionale della Salute rappresentata dalla Direzione Regionale della Regione Autonoma delle Azzorre che impose la quarantena forzosa in hotel per 16 giorni a quattro turisti tedeschi in quanto uno era risultato positivo ad un test Covid-19. Attraverso l’avvocato Maria do Carmo Martins Loureiro, però, i vacanzieri erano riusciti ad ottenere la libertà dal Tribunal Judicial da Comarca dos Açores – Juízo de Instrução Criminal de Ponta Delgada. Per questo le autorità sanitarie avevano fatto ricorso in Appello contro la decisione, ottenendo però un’ulteriore sconfitta con tanto di “rampogne” da parte dei giudici di Lisbona.
«Qualsiasi persona o ente che emette un ordine, il cui contenuto porta alla privazione della libertà fisica, deambulatoria, di altri (qualunque sia la nomenclatura che questo ordine assuma: reclusione, isolamento, quarantena, protezione profilattica, ecc.), che non si adatta alle disposizioni di legge, vale a dire le disposizioni dell’articolo 27 del CRP e senza tale potere decisionale è stato conferito, con forza di legge – proveniente dall’AR, nell’ambito ristretto della dichiarazione di stato di emergenza o di assedio, fermo restando il principio di proporzionalità – che impone e specifica i termini e le condizioni di tale privazione, si tradurrà in una detenzione illegittima, perché disposta da un soggetto incompetente e perché motivata da un fatto che la legge non consente (va dire, infatti, che tale questione è stata dibattuta, oltre tempo, in relazione ad altri fenomeni di salute pubblica, e cioè riguardo all’infezione da HIV e alla tubercolosi, per esempio. E, per quanto si sa, nessuno è mai stato privato della propria libertà, per sospetto o certezza di soffrire di tali malattie, proprio perché la legge non lo consente)».
L’esempio è quanto mai “calzante”. Non risulta infatti che ad un malato di AIDS o TBC sia stato impedito di esercitare le sue libertà individuali. Ma la Corte d’Appello pone in luce un altro aspetto inquietante dei controlli sul contagio da Covid.
«Si chiede, infatti, che “il confinamento obbligatorio dei richiedenti, per essere portatori del virus SARS-CoV-2 (C…) e per essere sotto sorveglianza attiva, per esposizione ad alto rischio, decretato dalle autorità sanitarie , essere convalidato (A., B… e D…).” È con grande stupore che questa Corte si trovi di fronte a tale richiesta, soprattutto considerando che la ricorrente è attiva nel settore sanitario. Da quando spetta a un tribunale fare diagnosi cliniche, di propria iniziativa e sulla base degli eventuali risultati di un test? O all’ARS? Da quando la diagnosi di una malattia viene fatta per decreto o per legge?» si domandano ironicamente i giudici irridendo l’Autorità Regionale della Sanità. E poi piazzano le “stoccate” finali che possono far crollare l’intera impalcatura del monitoraggio dei contagi del nuovo ceppo di coronavirus (e relative varianti).
“SOLO UN MEDICO PUO’ DIAGNOSTICARE IL COVID-19”
«L’identificazione di un disturbo, di una malattia o dello stato di malattia attraverso lo studio dei suoi sintomi e segni e l’analisi degli esami effettuati è una procedura sanitaria di base che deve essere eseguita da un medico e, in ogni ambito specifico, da un medico specialista e finalizzata istituzione della migliore terapia preventiva, chirurgica, farmacologica, non farmacologica o riabilitativa» si legge ancora nella sentenza.
«Pertanto, qualsiasi diagnosi o atto di sorveglianza sanitaria (come la determinazione dell’esistenza di infezione virale e di alto rischio di esposizione, che sono coperti da questi concetti) fatta senza previa osservazione medica ai richiedenti, senza l’intervento di un medico iscritto all’OM (che ha effettuato la valutazione dei suoi segni e sintomi, nonché gli esami ritenuti idonei alla sua condizione), viola tale Regolamento, nonché le disposizioni dell’articolo 97 dello Statuto dell’Ordine dei Medici, essere soggetto a configurare il delitto p. e pag. dall’art. 358 lett. b) (Usurpazione di funzioni) cp, se dettata da chi non possiede tale qualità, cioè non è medico iscritto all’albo dei medici Inoltre viola il paragrafo 1 dell’articolo 6 della Dichiarazione universale sulla bioetica e sui diritti umani, che il Portogallo ha sottoscritto ed è obbligato internamente ed esternamente a rispettare, poiché negli atti non è riportato alcun documento che il consenso informato è stato dato» rammenta il Tribunal da Relacao di Lisbona.
«È quindi evidente che la prescrizione di metodi diagnostici ausiliari (come i test per la rilevazione dell’infezione virale), nonché la diagnosi dell’esistenza di una malattia, per ogni singolo individuo, è materia che non può essere svolta per legge, Delibera, Decreto, Regolamento o qualsiasi altro mezzo normativo, trattandosi di atti che il nostro ordinamento riserva alla competenza esclusiva del medico, posto che il medico, nel consigliare il suo paziente, dovrebbe sempre cercare di ottenere il suo consenso informato» chiosano i giudici.
«Nel caso in esame, non vi è alcuna indicazione o prova che tale diagnosi sia stata effettivamente effettuata da un professionista qualificato ai sensi della Legge e che abbia agito secondo le buone prassi mediche. Infatti, dai fatti ritenuti accertati risulta che nessuno dei ricorrenti è stato neppure visitato da un medico, il che è francamente inspiegabile, vista l’asserita gravità dell’infezione. Infatti, l’unico elemento che emerge dai fatti accertati, al riguardo, è l’esecuzione dei test RT-PCR, uno dei quali ha avuto esito positivo nei confronti di uno dei ricorrenti» prosegue la sentenza.
«Ora, date le attuali evidenze scientifiche, questo test non è, da solo, in grado di determinare, senza un ragionevole margine di dubbio, che tale positività corrisponda, di fatto, all’infezione di una persona da parte del virus SARS-CoV-2, da parecchi ragioni, di cui ne evidenziamo due: Perché questa affidabilità dipende dal numero di cicli che compongono il test; Perché questa affidabilità dipende dalla quantità di carica virale presente».
La Corte d’Appello di Lisbona ripete esattamente gli stessi ragionamenti esposti a Gospa News dal professor Giorgio Palù, docente degli atenei di Padova e Philadelphia nonché per 7 anni presidente della Società Europea di Virologia, nell’ottobre scorso quando dichiarò che la paura del virus era più virulenta del Covid-19 in quanto ormai i medici conoscevano bene le terapie efficaci per curarlo e la letalità dell’agente patogeno era scesa allo 0,4 % dei contagiati perché il 95 % erano asintomatici.
I TAMPONI ASSAI INAFFIDABILI SECONDO TRE STUDI
«Infatti, i test RT-PCR (Polymerase Chain Reaction), test di biologia molecolare che rilevano l’RNA del virus, comunemente utilizzati in Portogallo per testare ed enumerare il numero di infetti (dopo prelievo nasofaringeo), vengono eseguiti mediante amplificazione dei campioni, attraverso cicli ripetitivi – evidenzia ancora la sentenza – Dal numero di cicli di tale amplificazione risulta la maggiore o minore affidabilità di tali prove. E il problema è che tale attendibilità risulta, in termini di evidenza scientifica (e in questo campo, il giudice dovrà affidarsi alle conoscenze di esperti del settore) più che discutibile».
E’ a questo punto che nell’atto giudiziario fanno la comparsa le due autorevoli ricerche scientifiche. «È quanto risulta, tra gli altri, dal recentissimo e completo studio Correlazione tra 3790 qPCR positivi e colture cellulari positive inclusi 1941 SARS-CoV-2 isolati, di Rita Jaafar, Sarah Aherfi, Nathalie Wurtz, Clio Grimaldier, Van Thuan Hoang, Philippe Colson, Didier Raoult, Bernard La Scola, (Malattie infettive cliniche, ciaa1491), pubblicato a fine settembre di quest’anno da Oxford Academic, realizzato da un gruppo che riunisce alcuni tra i maggiori esperti europei e mondiali del settore»
Nello studio si conclude che «a una soglia del ciclo (ct) di 25, circa il 70% dei campioni è rimasto positivo nella coltura cellulare (cioè erano infettivi); a un ct di 30, il 20% dei campioni è rimasto positivo; a un ct di 35, il 3% dei campioni è rimasto positivo; e ad un ct superiore a 35, nessun campione è rimasto positivo (infettivo) nella coltura cellulare (vedi diagramma). Ciò significa che se una persona ottiene un risultato del test PCR “positivo” a una soglia del ciclo di 35 o superiore (come applicato nella maggior parte dei laboratori statunitensi e in molti laboratori europei), la possibilità che la persona sia infettiva è inferiore al 3%. La possibilità che la persona abbia ricevuto un risultato “falso positivo” è del 97% o superiore».
Nel caso in esame dei tedeschi, precisò la sentenza, il numero di cicli di amplificazione con cui vengono effettuati i test PCR in Portogallo, comprese le Azzorre e Madeira, non è noto, poiché non è stato possibile trovare alcuna raccomandazione o limite al riguardo.
A sua volta, in uno studio molto recente di Elena Surkova, Vladyslav Nikolayevskyy e Francis Drobniewski, pubblicato in riferisce l’altrettanto prestigioso The Lancet, Respiratory Medicine (oltre alle molteplici domande che l’accuratezza del test solleva, in merito alla rilevazione specifica del virus sars-cov 2, forti dubbi circa il rispetto del cosiddetto gold standard).
«Qualsiasi test diagnostico deve essere interpretato nel contesto dell’effettiva possibilità della malattia esistente prima della sua esecuzione. Per Covid-19, questa decisione di eseguire il test dipende dalla valutazione preventiva dell’esistenza di sintomi, anamnesi pregressa di Covid 19 o presenza di anticorpi, qualsiasi potenziale esposizione a questa malattia e nessuna probabilità di un’altra possibile diagnosi» hanno scritto gli scienziati su The Lancet.
Questa rivista è diventata purtroppo nota per aver boicottato l’origine artificiale del virus su istigazione del ricercatore anglo-americano Peter Daszak, finanziatore con la Fondazione di Bill Gates, l’agenzia governativa americana USAID, e il NIAID di Anthony Fauci dei pericolosissimi esperimenti sui virus chimerici SARS infettati con HIV condotti nel Wuhan Institute of Virology.
«Uno dei potenziali motivi per mostrare risultati positivi potrebbe essere lo spargimento prolungato di RNA virale, che è noto per estendersi per settimane dopo il recupero in coloro che erano stati precedentemente esposti a SARS-CoV-2. Tuttavia, e soprattutto, non esistono dati scientifici che suggeriscano che bassi livelli di RNA virale mediante RT-PCR equivalgano a un’infezione, a meno che la presenza di particelle virali infettive non sia stata confermata da metodi di coltura di laboratorio. In sintesi, i test Covid-19 che riportano falsi positivi sono sempre più probabili nell’attuale scenario climatico epidemiologico nel Regno Unito, con conseguenze sostanziali a livello personale, sanitario e sociale».
Così scrissero i ricercatori Elena Surkova, Vladyslav Nikolayevskyy e Francis Drobniewski ma né l’Organizzazione Mondiale della Sanità né la comunità scientifica e politica internazionale presero in esame la questione.
Dopo la sentenza di Lisbona si aggiunse un altro studio in merito pubblicato sempre da Oxford Academic, il giornale dell’Infection Disease Society of America che proprio nei giorni scorsi ha pubblicato la ricerca della giapponese Ogata sui rischi dei vaccini mRNA.
«Per la trasmissione sono necessari virus vivi completi, non i frammenti identificati dalla PCR. Per definire l’affidabilità della PCR per la valutazione del potenziale infettivo devono essere utilizzati i test di routine prospettici dei campioni di riferimento e di coltura e la loro relazione con sintomi, segni e cofattori del paziente. È improbabile che quelli con una soglia del ciclo elevata abbiano un potenziale infettivo».
E’ quanto hanno scritto Angelo Giorgianni che ha presentato un esposto alla Procura della Corte Penale Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità.
Viral cultures for COVID-19 infectious potential assessment – a systematic review” che di fatto smonta tutto l’impianto dell’architettura su cui si basa il pericolo dei contagi degli asintomatici e di, conseguenza, la strategia dei lockdown definita una “tortura psicologica” dal magistratoLOCKDOWN: CRIMINI CONTRO L’UMANITA’. Denuncia di Giorgianni all’Aja
Perché né l’OMS, né la comunità scientifica internazionale né tantomeno i governi hanno tenuto in considerazione queste ricerche pubblicate da prestigiose riviste specialistiche?
Il motivo è semplice: fin dal febbraio 2020, pochi giorni dopo l’attestazione ufficiale dell’epidemia da Covid-19, diffusasi già a dicembre in Cina e poche settimane prima che l’OMS la dichiarasse pandemia, l’ong One Nucleus di Cambridge, sponsorizzata principalmente da AstraZeneca ma anche da Johnson&Johnson, accolse Cerba Healtcare International di Parigi, una delle multinazionali della diagnostica sanitaria che, per una curiosa coincidenza, tra il 2015 ed il 2019 ha rilevato a colpi di milioni di euro alcune delle più importanti catene di laboratori in Europa e in Italia.
In Belgio Cerba entrò nella task force governativa per la lotta nella prevenzione al Covid-19 di cui fa parte anche GlaxoSmithKline (GSK), il colosso dei vaccini, controllato da Gates, che controlla a sua volta la percentuale di maggioranza della rete commerciale dell’americana Pfizer. Mentre nel Regno Unito chi assunse il compito di elaborare i test antiCovid? I produttori di vaccini GSK e AstraZeneca insieme all’Università di Cambridge.
Alla luce di questi chiarimenti su macroscopici conflitti d’interessi diviene assai più facile capire perché i media di mainstream ignorarono la sentenza della Corte d’Appello di Lisbona al pari dei due studi scientifici in essa citati…
Leggi inoltre: Il microchip antiCovid del Pentagono
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MAIN SOURCES
GOSPA NEWS – WUHAN.GATES REPORTAGE
GOSPA NEWS – INCHIESTE CORONA VIRUS
LA SENTENZA DELLA CORTE D’APPELLO DI LISBONA
RICERCA JAAFAR PUBBLICATA SU OXFORD ACADEMIC
RICERCA SURKOVA PUBBLICATA SU THE LANCET
RICERCA JEFFERSON PYBBLICATA SU OXFORD ACADEMIC