“WHATSAPP SPIA MESSAGGI E DATI CON IA & CONTRACTORS”. Mille Moderatori a Caccia di Presunti “Cattivi” per Facebook. Per Denunciarli…

“WHATSAPP SPIA MESSAGGI E DATI CON IA & CONTRACTORS”. Mille Moderatori a Caccia di Presunti “Cattivi” per Facebook. Per Denunciarli…

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L’inquietante inchiesta di Pro Publica
redazione indipendente americana
sul controllo di messaggi e dati 
da parte del gruppo di Mark Zuckerberg
nonostante tre colossali multe

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

L’ipocrisia sfrontata del Nuovo Ordine Mondiale cerca sempre di giustificare le proprie azioni più vili e nefande con un’aura di bene. E così la guerra civile nella Siria dove fino al 2011 convivevano pacificamente Musulmani Sciiti, Sunniti e Cristiani è stata motivata dall’esportazione di una democrazia contro un presunto despota, sebbene il piano di regime-change fosse stato architettato dalla Central Intelligence Agency (il controspionaggio USA) fin dal lontanissimo 1983. Obiettivo primario: il petrolio che gli Usa continuano a rubare con l’aiuto di organizzazioni estremiste ispirate alla jihad.

Alla stessa stregua per combattere la pandemia da SARS-Cov-2, costruito in laboratorio secondo autorevoli esperti di virologia ed intelligence, non si cercano i veri responsabili, non si usano le cure già note ed efficaci contro questi ceppi di Coronavirus ma si cerca di imporre una dittatura sanitaria, economica e di polizia al fine di spacciare al meglio i vaccini delle Big Pharma su cui lucrano gli stessi fondi d’investimento, in gran parte gestiti da sostenitori del movimento politico Sionista (di matrice Askenazita ben lontana dal verace Semitismo e per questo contestato dagli stessi Ebrei Ortodossi persino in Israele).

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Ma tutte queste mistificazioni sociali non sarebbero possibili senza l’aiuto dei media di mainstream, ampiamente foraggiati dal tycoon di turno (George Soros, Bill Gates o John Elkann del Bilderberg), la cui azione dirompente e massiva è stata negli ultimi anni potenziata dai mostri Big Tech che ci hanno regalato la libertà tecnologica dal web ai social ma ora ci stanno facendo pagare un conto assai salato. Ciò avviene soprattutto nei confronti di quegli operatori di contro-informazione come Gospa News che si è vista oscurare la pagina su FB, con il mio profilo e quello di un collaboratore cancellati in passato ed oggi sovente bloccati, e censurare ogni attività su LinkedIn.

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Ci stanno infatti imponendo censure ideologiche di notizie verificate e provenienti da fonti autorevoli, sovente anche per faziosità dei Fact-Checkers,  analoghe a quelle dei regimi Nazifascisti (sconfitti in fretta perché oppositori della massoneria che soggiace al Nuovo Ordine Mondiale) e ancor più a quelle di totalitarismi Comunisti come quelli di Stalin e Pol Pot, ma pure delle epurazioni dei partigiani con licenza di uccidere donne e bambini in Italia anche dopo la Liberazione del 25 aprile 1945.

Ebbene oggi una doviziosa inchiesta pubblicata da un sito americano di tutela dei diritti umani ci svela come e perché il gruppo di Mark Zuckerberg (Facebook, Instagram e Whatsapp) non solo spia i dati di coloro che ritiene “cattivi” utenti – magari soltanto perché sostengono opinioni differenti credendo che l’Occidente non sia ancora stato divorato dalla coercitiva società orwelliana – ma si sente autorizzato, senza aver alcun mandato di istituzioni internazionali o governi nazionali, a denunciare i presunti crimini.

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Ciò fa rabbrividire se si pensa che proprio in questi giorni anche in Italia la Polizia sta portando avanti una massiccia attività di monitoraggio dei cosiddetti NoVax, ufficialmente per prevenire atti violenti ipotizzati sui social ma implicitamente per poter monitorare – ovvero anche condizionare – i dissenzienti dalle strategie ProVax del Governo.

A fronte di una massiccia operazione antiterrorismo condotta a Milano, Bergamo, Roma, Venezia, Padova e Reggio Emilia sono state  indagate solo 8 persone per istigazioni a delinquere perché uno di loro su Telegram ha suggerito l’uso di Molotov incendiarie  da usare contro i furgoni delle tv alle manifestazioni anti-GreenPass: non è stata trovata traccia di ordigni nelle perquisizioni degli agenti, in quella di uno di loro solo un’ingombrante spada katana, uno sfollagente e un tirapugni, certamente inutili in azioni eversive, a conferma del basso profilo degli esagitati sui social.

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Tornando allo spionaggio delle chat di Whatsapp ovviamente ciò sarebbe fatto – il condizionale è d’obbligo perché non ci sono ammissioni ufficiali – solo a “fin di bene” per stroncare le reti di terroristi o di pedofili. Anche se, secondo i veri cacciatori degli orchi come il fondatore dell’associazione Meter, il sacerdote siciliano don Fortunato Di Noto, sono proprio i giganti del Big Tech ad alimentare la pedopornografia, soprattutto in quei paesi poveri dove la polizia stessa è più corrotta, perciò distratta o addirittura indifferente alle violenze sui bambini.

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Ecco perché in questo articolo, sintesi dalla lunghissima inchiesta pubblicata dal sito Pro Publica e ripresa con risalto soltanto dal network Russia Today, non ci soffermeremo troppo sull’analisi delle “buone” motivazioni che alimentano questo colossale ed illegale traffico di dati.

Esso viene prima filtrato dall’Intelligenza Artificiale poi monitorato sul campo da un esercito di mercenari, a volte ex baristi senza minima esperienza di etica, psicologia e sociologia, assunti come contractor da una rinomata società internazionale di consulenza che funge da schermo e da parafulmine di eventuali violazioni della privacy a vantaggio di Facebook che ne fa largo uso anche su Whatsapp.

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Come dimostrato in un precedente articolo basato sulle dichiarazioni di un esperto programmatore di algoritmi di Google proprio Facebook sta tollerando profili che indirizzano verso la pornografia: potenzialmente anche quei fanciulli di 13 anni cui è concesso da Zuckerberg & co. di crearsi un profilo autonomo su FB.

In fondo lasciare agire indisturbato qualche gruppo di pedofili fornisce la giustificazione a controllare la “policy” di chiunque sulla rete proprio come concedere ai terroristi jihadisti di compiere occasionali attentati (come di recente quello clamorosamente annunciato di Kabul) consente agli apparati dell’intelligence militare – e non – di monitorare qualunque cittadino per la dilagante strategia della tensione.

 

WHATSAPP, CHAT CRIPTATE VISIBILI AI CONTRACTOR

«Quando Facebook ha acquisito WhatsApp, ha promesso di rispettare la privacy dei suoi utenti. Non è stato così e l’azienda ora impiega migliaia di dipendenti per leggere le chat presumibilmente crittografate» scrive Russia Today che ha dedicato molteplici reportages alle ripetute violazioni di privacy dei Big Tech, violazioni culminate nello scandalo di FB con Cambridge Analytica.

Come si ricorderà all’inizio del 2018, Facebook e una società di analisi dei dati politici denominata Cambridge Analytica sono stati implicati in una massiccia violazione dei dati. I dati personali di oltre 87 milioni di utenti di Facebook erano stati ottenuti in modo improprio dalla società di analisi dei dati politici.

Mark Zuckerberg, CEO di Facebook

Nel 2014, invece, il colosso dei social media Facebook ha acquisito WhatsApp, con il CEO Mark Zuckerberg che ha promesso di mantenere l’app di messaggistica essenziale e senza pubblicità “esattamente la stessa”. La crittografia end-to-end è stata introdotta nel 2016, con l’app stessa che offre garanzie sullo schermo agli utenti che “Nessuno al di fuori di questa chat” può leggere le loro comunicazioni e lo stesso Zuckerberg ha detto al Senato degli Stati Uniti nel 2018 che “Noi non vedere alcun contenuto in WhatsApp.”

«Presumibilmente, niente di tutto ciò è vero. Sulla base di documenti interni, interviste con i moderatori e un reclamo di un informatore, ProPublica ha spiegato come funziona il sistema in una lunga indagine pubblicata mercoledì (8 settembre 2021 – ndr)» scrive ancora Russia Today cui ci affidiamo per la sintesi estrema delle problematiche emerse, prima di analizzarle nel dettaglio grazie all’inchiesta del sito americano.

«Quando un utente preme “segnala” su un messaggio, il messaggio stesso più i quattro messaggi precedenti nella chat vengono decodificati e inviati a uno di questi moderatori per la revisione. I moderatori esaminano anche i messaggi raccolti dall’intelligenza artificiale, sulla base di dati non crittografati raccolti da WhatsApp» evidenzia RT.

I dati raccolti dall’app sono estesi e includono:”I nomi e le immagini del profilo dei gruppi WhatsApp di un utente, nonché il numero di telefono, la foto del profilo, il messaggio di stato, il livello della batteria del telefono, la lingua e il fuso orario, l’ID univoco del telefono cellulare e l’indirizzo IP, la potenza del segnale wireless e il sistema operativo del telefono, come un elenco dei loro dispositivi elettronici, di eventuali account Facebook e Instagram correlati, dell’ultima volta che hanno utilizzato l’app e di eventuali precedenti di violazioni”.

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«Questi moderatori non sono dipendenti di WhatsApp o Facebook. Invece sono appaltatori che lavorano per $ 16,50 all’ora, assunti dalla società di consulenza Accenture. Questi lavoratori sono tenuti al silenzio da accordi di non divulgazione e la loro assunzione non è stata annunciata da Facebook» rimarca il network russo.

Ora analizziamo le parti essenziali della lunghissima inchiesta di Pro Publica, una redazione indipendente e senza scopo di lucro che produce giornalismo investigativo con forza morale con sede a New York City, con uffici a Chicago, Washington, D.C., Atlanta e Phoenix. Molti paragrafi sono stati eliminati nella nostra sintesi con traduzione in Italiano.

UN ESERCITO DI MERCENARI AL SERVIZIO DI FACEBOOK

Per prima cosa vediamo chi è il gestore di questi mille moderatori. Accenture PLC (fino al 2001, Andersen Consulting) è una multinazionale con sede legale a Dublino, in Irlanda, operante nel settore della consulenza strategica e direzionale e dell’esternalizzazione. Essa è stabilmente nel gruppo Fortune 500, la classifica delle prime 500 multinazionali al mondo per fatturato. La società svolge anche attività di riprogettazione dei processi aziendali nelle aree finanza, contabilità e controllo di gestione, oltre che di consulenza informatica, organizzate su cinque gruppi operativi. Dal 2001 è quotata alla Borsa di New York (NYSE).

«Come aveva detto in precedenza Zuckerberg, in testimonianza al Senato degli Stati Uniti nel 2018, “Non vediamo nessuno dei contenuti in WhatsApp”» rammenta inizialmente l’inchiesta di Pro Publica.

«Date queste ampie assicurazioni, potresti essere sorpreso di apprendere che WhatsApp ha più di 1.000 lavoratori a contratto che riempiono i piani di edifici per uffici ad Austin, Texas, Dublino e Singapore. Seduti ai computer in pod organizzati per incarichi di lavoro, questi lavoratori orari utilizzano uno speciale software di Facebook per setacciare milioni di messaggi privati, immagini e video. Esprimono un giudizio su qualsiasi cosa lampeggi sul loro schermo – affermazioni su qualsiasi cosa, da frode o spam a pornografia infantile e potenziali complotti terroristici – in genere in meno di un minuto» aggiunge il sito da cui estrapoleremo tutti i seguenti virgolettati senza continuare a menzionarlo. 

«I lavoratori hanno accesso solo a un sottoinsieme di messaggi WhatsApp, quelli contrassegnati dagli utenti e inoltrati automaticamente all’azienda come potenzialmente offensivi. La revisione è un elemento di un’operazione di monitoraggio più ampia in cui l’azienda esamina anche il materiale non crittografato, inclusi i dati sul mittente e il suo account».

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«Controllare gli utenti assicurando loro che la loro privacy è sacrosanta rende la missione imbarazzante su WhatsApp. Una presentazione di marketing aziendale interna di 49 diapositive di dicembre, ottenuta da ProPublica, sottolinea la promozione “feroce” della “narrativa sulla privacy” di WhatsApp. Confronta il suo “carattere del marchio” con “la madre immigrata” e mostra una foto di Malala Yousafzai, sopravvissuta a una sparatoria da parte dei talebani e diventata vincitrice del premio Nobel per la pace, in una diapositiva intitolata “Parametri del tono del marchio”. La presentazione non menziona gli sforzi di moderazione dei contenuti dell’azienda».

«La negazione di WhatsApp di moderare i contenuti è notevolmente diversa da ciò che Facebook Inc. dice sui fratelli aziendali di WhatsApp, Instagram e Facebook. La società ha affermato che circa 15.000 moderatori esaminano i contenuti su Facebook e Instagram, nessuno dei quali è crittografato. Rilascia rapporti trimestrali sulla trasparenza che descrivono in dettaglio quanti account Facebook e Instagram hanno “agito” per varie categorie di contenuti offensivi. Non esiste un rapporto del genere per WhatsApp».

«La distribuzione di un esercito di revisori dei contenuti è solo uno dei modi in cui Facebook Inc. ha compromesso la privacy degli utenti di WhatsApp. Insieme, le azioni dell’azienda hanno lasciato WhatsApp, la più grande app di messaggistica al mondo, con due miliardi di utenti, molto meno riservata di quanto i suoi utenti probabilmente comprendano o si aspettino».

Un’indagine di ProPublica, basata su dati, documenti e decine di interviste con dipendenti e appaltatori attuali ed ex, rivela come, dall’acquisto di WhatsApp nel 2014, Facebook abbia silenziosamente minato le sue ampie garanzie di sicurezza in diversi modi.

LA DENUNCIA ALLA SEC DI UN INFORMATORE

«Molte delle affermazioni dei moderatori di contenuti che lavorano per WhatsApp fanno eco a una denuncia confidenziale di informatori presentata l’anno scorso alla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti. Il reclamo, ottenuto da ProPublica, descrive in dettaglio l’ampio uso da parte di WhatsApp di appaltatori esterni, sistemi di intelligenza artificiale e informazioni sull’account per esaminare messaggi, immagini e video degli utenti. Sostiene che le affermazioni della società di proteggere la privacy degli utenti sono false. “Non abbiamo visto questa denuncia”, ha detto il portavoce della società. La SEC non ha intrapreso alcuna azione pubblica al riguardo; un portavoce dell’agenzia ha rifiutato di commentare».

Va ricordato che la SEC equivale all’italiana Consob che ha il compito di vigilare sulle corrette attività delle società quotate in borsa.

«Facebook Inc. ha anche minimizzato la quantità di dati che raccoglie dagli utenti di WhatsApp, cosa ne fa e quanto condivide con le forze dell’ordine. Ad esempio, WhatsApp condivide i metadati, record non crittografati che possono rivelare molto sull’attività di un utente, con le forze dell’ordine come il Dipartimento di Giustizia».

“WhatsApp risponde a richieste legali valide”, ha affermato il portavoce dell’azienda, “compresi gli ordini che ci richiedono di fornire in tempo reale su base futura a chi una persona specifica sta inviando messaggi”.

Va però notato che qualsiasi attività di monitoraggio da parte delle forze dell’ordine, come nel caso del famoso trojan inoculato dalla Guardia di Finanza nel telefonino del magistrato Luca Palamara per leggere i messaggi, dovrebbe essere invece oggetto di una specifica richiesta di autorizzazione all’intercettazione sottoscritta da un pubblico ministero nelle fasi di indagini. Nel caso di Whatsapp ciò invece avverrebbe per una semplice collaborazione del gestore di comunicazioni via web con le autorità di polizia.

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«Sotto molti modi l’esperienza di essere un moderatore di contenuti per WhatsApp ad Austin è identica all’essere un moderatore per Facebook o Instagram, secondo le interviste con 29 moderatori attuali ed ex. Per lo più tra i 20 e i 30 anni, molti con esperienza passata come commessi, controllori di generi alimentari e baristi, i moderatori sono assunti e impiegati da Accenture, un enorme appaltatore aziendale che lavora per Facebook e altri colossi di Fortune 500. I moderatori sono incaricati di dire a chiunque chieda di lavorare per Accenture e sono tenuti a firmare ampi accordi di non divulgazione».

«Quando il team di WhatsApp si è riunito ad Austin nel 2019, i moderatori di Facebook occupavano già il quarto piano di una torre di uffici sulla Sixth Street, adiacente alla famosa scena di bar e musica della città. Il team di WhatsApp è stato installato al piano di sopra, con nuove postazioni di lavoro in vetro e bagni più belli che hanno suscitato una sfumatura di invidia in alcuni membri del team di Facebook».

«Collettivamente, i lavoratori esaminano ogni settimana milioni di contenuti di WhatsApp. Ogni revisore gestisce fino a 600 messaggi al giorno, il che dà loro meno di un minuto per biglietto. WhatsApp ha rifiutato di rivelare quanti lavoratori a contratto sono impiegati per la revisione dei contenuti, ma un elenco parziale del personale esaminato da ProPublica suggerisce che, solo in Accenture, sono più di 1.000. Ci si aspetta che i moderatori di WhatsApp, come le loro controparti Facebook e Instagram, soddisfino le metriche delle prestazioni per velocità e precisione, che sono verificate da Accenture».

COME SCATTA L’ANALISI E LA CENSURA

«Poiché il contenuto di WhatsApp è crittografato, i sistemi di intelligenza artificiale non possono scansionare automaticamente tutte le chat, le immagini e i video, come fanno su Facebook e Instagram. Invece, i revisori di WhatsApp ottengono l’accesso a contenuti privati ​​quando gli utenti premono il pulsante “segnala” sull’app, identificando un messaggio come presunta violazione dei termini di servizio della piattaforma. Questo inoltra cinque messaggi – quello presumibilmente offensivo insieme ai quattro precedenti nello scambio, comprese eventuali immagini o video – a WhatsApp in forma non codificata, secondo ex ingegneri e moderatori di WhatsApp. I sistemi automatizzati quindi inseriscono questi ticket in code “reattive” che i lavoratori a contratto devono valutare».

«L’intelligenza artificiale avvia una seconda serie di code, le cosiddette proattive, scansionando i dati non crittografati che WhatsApp raccoglie sui suoi utenti e confrontandoli con informazioni sull’account e schemi di messaggistica sospetti (un nuovo account che invia rapidamente un volume elevato di chat è la prova di spam), nonché termini e immagini che in precedenza sono stati ritenuti abusivi».

«I dati non crittografati disponibili per il controllo sono numerosi. Include i nomi e le immagini del profilo dei gruppi WhatsApp di un utente, nonché il numero di telefono, la foto del profilo, il messaggio di stato, il livello della batteria del telefono, la lingua e il fuso orario, l’ID univoco del telefono cellulare e l’indirizzo IP, la potenza del segnale wireless e il sistema operativo del telefono, come un elenco dei loro dispositivi elettronici, di eventuali account Facebook e Instagram correlati, dell’ultima volta che hanno utilizzato l’app e di eventuali precedenti di violazioni».

E’ bene rammentare che le violazioni sono connesse ai rigorosi standard delle Policy di Google e Facebook dove basta scrivere le parole “negro” (addirittura distintiva dell’orgoglio africano nel movimento filosofico e politico Negritude del poeta martinicano Aimé Fernand David Césaire), “immigrato della mafia nigeriana”, “vaccino sperimentale”, “adozioni gay” oppure “pedofilo” per cadere nella rete della censura nonostante le notizie diffuse siano assolutamente veritieri e comprovate.

I profili degli autori di Gospa News, compreso il mio da direttore (iscritto all’Ordine dei Giornalisti del Piemonte dal 1991) furono cancellati da FB proprio nel periodo in cui pubblicammo le inchieste sullo scandalo dei bambini di Bibbiano affidati alle coppie gay.

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«I revisori di WhatsApp hanno tre scelte quando viene presentato un biglietto per entrambi i tipi di coda: non fare nulla, mettere l’utente in “osservazione” per ulteriori controlli o vietare l’account. (I moderatori di contenuti di Facebook e Instagram hanno più opzioni, inclusa la rimozione di singoli post. È questa distinzione – il fatto che i revisori di WhatsApp non possono eliminare singoli elementi – che l’azienda cita come base per affermare che i revisori di WhatsApp non sono “moderatori di contenuti”. )» prosegue l’inchiesta di Pro Publica.

«I moderatori di WhatsApp devono esprimere giudizi, interviste e documenti soggettivi, sensibili e subdoli esaminati da ProPublica Show. Esaminano una vasta gamma di categorie, tra cui “Spam Report”, “Civic Bad Actor” (incitamento all’odio politico e disinformazione), “Terrorism Global Credible Threat”, “CEI” (immagini di sfruttamento minorile) e “CP” (pornografia infantile) . Un’altra serie di categorie riguarda la messaggistica e il comportamento di milioni di piccole e grandi aziende che utilizzano WhatsApp per chattare con i clienti e vendere i propri prodotti».

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L’appena citata Civic Bad Actor da sola meriterebbe un articolo in quanto, almeno in Italia, in relazione all’incitamento all’odio politico è ormai palese che ad alcuni movimenti politici di destra moderata o estrema viene censurata la benché minima opinione anche su fatti di rilevanza sociale mentre al gotta dell’Intellighenzia di sinistra, da salotto o da centro sociale, è consentito sparare a zero contro qualsiasi valore tradizionale.

Mentre la questione disinformazione è diventata una questione di emergenza proprio in relazione alla pandemia, in quanto Gospa News ha sperimentato la censura su Facebook di notizie basate su documenti ufficiali, Mentre, come svelato da questo web media, tra chi è sceso in campo contro le Fake-News c’è anche il colosso di consulenza contabile Ernst & Young che vuole insegnarci a monitorare l’infodemia quando non è stato capace di scoprire per tempo lo scandalo Wirecard avvenuto durante il suo periodo di certificazione.

 

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Ci sono poi due altri enormi problemi. «Il giudizio sull’intelligenza artificiale di WhatsApp è tutt’altro che perfetto, dicono i moderatori. “C’erano un sacco di foto innocenti che non potevano essere lì”, ha detto Carlos Sauceda, che ha lasciato Accenture l’anno scorso dopo nove mesi. “Potrebbe essere la foto di un bambino che fa il bagno, e non c’era niente di sbagliato in questo”. Come ha affermato un altro moderatore di WhatsApp, “La maggior parte delle volte l’intelligenza artificiale non è così intelligente”».

Ed inoltre: «Il sistema di revisione di WhatsApp è ostacolato da impedimenti, inclusa la traduzione in una lingua difettosa. Il servizio ha utenti in 180 paesi, con la stragrande maggioranza situata al di fuori degli Stati Uniti. Anche se Accenture assume lavoratori che parlano una varietà di lingue, per i messaggi in alcune lingue spesso non c’è un madrelingua in loco per valutare i reclami di abuso. E uno strumento di traduzione difettoso ha fatto scattare un allarme quando ha rilevato bambini in vendita e macellazione, che, a un esame più attento, si sono rivelati coinvolgere caprette destinate ad essere cucinate e mangiate in pasti halal».

LA GESTIONE DEI METADATI “KILLER”

«Anche Mentre Zuckerberg stava pubblicizzando il nuovo impegno di Facebook Inc. per la privacy nel 2019, non ha menzionato che la sua azienda stava apparentemente condividendo più metadati dei suoi utenti WhatsApp che mai con la società madre e con le forze dell’ordine» aggiunge Pro Publica.

«Ad un profano, il termine “metadati” può suonare astratto, una parola che evoca l’intersezione tra critica letteraria e statistica. Per usare una vecchia analogia pre-digitale, i metadati sono l’equivalente di ciò che è scritto all’esterno di una busta – i nomi e gli indirizzi del mittente e del destinatario e il timbro postale che riflette dove e quando è stato spedito – mentre il “contenuto” è cosa c’è scritto sulla lettera sigillata all’interno della busta. Così è con i messaggi WhatsApp: il contenuto è protetto, ma la busta rivela una moltitudine di dettagli significativi».

«Quelli nei campi dell’informazione e dell’intelligence capiscono quanto possano essere cruciali queste informazioni. Erano i metadati, dopotutto, che la National Security Agency stava raccogliendo su milioni di americani non sospettati di un crimine, provocando una protesta globale quando è stato esposto nel 2013 dall’ex appaltatore della NSA Edward Snowden. “I metadati ti dicono assolutamente tutto sulla vita di qualcuno”, ha detto una volta l’ex consigliere generale della NSA Stewart Baker. “Se hai abbastanza metadati, non hai davvero bisogno di contenuti.” In un simposio alla Johns Hopkins University nel 2014, il generale Michael Hayden, ex direttore sia della CIA che della NSA, è andato anche oltre: “Uccidiamo le persone in base ai metadati”.»,

«Le forze dell’ordine statunitensi hanno utilizzato i metadati di WhatsApp per aiutare a mettere le persone in prigione. ProPublica ha riscontrato più di una dozzina di casi in cui il Dipartimento di Giustizia ha richiesto ordinanze del tribunale per i metadati della piattaforma dal 2017».

«Le richieste del governo degli Stati Uniti di dati sui messaggi in uscita e in entrata da tutte le piattaforme Facebook sono aumentate del 276% dalla prima metà del 2017 alla seconda metà del 2020, secondo le statistiche di Facebook Inc. (che non suddividono i numeri per piattaforma). Il tasso della società di consegnare almeno alcuni dati in risposta a tali richieste è passato dall’84% al 95% durante quel periodo».

LE SANZIONI NELL’UE E NEGLI USA 

«Zuckerberg ha pubblicamente promesso in un discorso programmatico del 2014 che avrebbe mantenuto WhatsApp “esattamente lo stesso”. Ha dichiarato: “Non cambieremo assolutamente i piani su WhatsApp e il modo in cui utilizza i dati degli utenti. WhatsApp funzionerà in modo completamente autonomo”».

«Nell’aprile 2016, WhatsApp ha completato la sua adozione da tempo pianificata della crittografia end-to-end, che ha contribuito a rendere l’app una piattaforma di comunicazione apprezzata in 180 paesi, inclusi molti in cui i messaggi di testo e le telefonate sono proibitivi. Anche dissidenti internazionali, informatori e giornalisti si sono rivolti a WhatsApp per sfuggire alle intercettazioni del governo».

«Quattro mesi dopo, tuttavia, WhatsApp ha rivelato che avrebbe iniziato a condividere i dati degli utenti con Facebook – esattamente ciò che Zuckerberg aveva detto che non sarebbe accaduto – una mossa che ha spianato la strada a una serie di futuri piani di generazione di entrate. I nuovi termini di servizio di WhatsApp affermano che l’app condividerà informazioni come numeri di telefono degli utenti, foto del profilo, messaggi di stato e indirizzi IP ai fini del targeting degli annunci, della lotta allo spam e degli abusi e della raccolta di metriche. “Collegando il tuo numero di telefono con i sistemi di Facebook”, ha spiegato WhatsApp, “Facebook può offrire migliori suggerimenti per gli amici e mostrarti annunci più pertinenti se hai un account con loro”».

«Nel maggio 2017, i regolatori antitrust dell’Unione Europea hanno multato la società di 110 milioni di euro (circa $ 122 milioni) per aver falsamente affermato tre anni prima che sarebbe stato impossibile collegare le informazioni dell’utente tra WhatsApp e la famiglia di app di Facebook. L’UE ha concluso che Facebook aveva ingannato “intenzionalmente o per negligenza” i regolatori. Facebook ha insistito che le sue false dichiarazioni nel 2014 non erano intenzionali, ma non ha contestato la multa».

«Nel frattempo, Facebook è stato preso di mira per i suoi problemi di sicurezza e privacy come mai prima d’ora. La pressione è culminata in una storica multa di $ 5 miliardi da parte della Federal Trade Commission nel luglio 2019 per aver violato un precedente accordo per proteggere la privacy degli utenti. La multa era quasi 20 volte maggiore di qualsiasi precedente sanzione relativa alla privacy, secondo la FTC, e le trasgressioni di Facebook includevano “ingannare gli utenti sulla loro capacità di controllare la privacy delle loro informazioni personali”».

IL CLAMOROSO CASO DELLA CONDANNA EDWARDS

«A quel punto, WhatsApp aveva iniziato a utilizzare Accenture e altri appaltatori esterni per assumere centinaia di revisori di contenuti. Ma la società era ansiosa di non calpestare il suo messaggio sulla privacy più ampio o di spaventare la sua base di utenti globale. Non ha detto nulla pubblicamente sulla sua assunzione di appaltatori per rivedere i contenuti».

«I metadati di WhatsApp sono stati fondamentali nell’arresto e nella condanna di Natalie “May” Edwards, ex funzionario del Dipartimento del Tesoro del Financial Crimes Enforcement Network, per aver divulgato a BuzzFeed News rapporti bancari riservati su transazioni sospette».

«La denuncia penale dell’FBI ha dettagliato centinaia di messaggi tra Edwards e un giornalista di BuzzFeed utilizzando una “applicazione crittografata”, che le interviste e gli atti giudiziari hanno confermato era WhatsApp. “Intorno al 1° agosto 2018, entro circa sei ore dall’entrata in funzione della penna Edwards – e il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo Buzzfeed di luglio 2018 – il cellulare Edwards ha scambiato circa 70 messaggi tramite l’applicazione crittografata con il cellulare Reporter-1 durante un intervallo di circa 20 minuti tra le 00:33 e le 00:54”, ha scritto l’agente speciale dell’FBI Emily Eckstut nella sua denuncia dell’ottobre 2018. Edwards e il giornalista hanno usato WhatsApp perché Edwards credeva che la piattaforma fosse sicura, secondo una persona che aveva familiarità con la questione».

«Edwards è stato condannato il 3 giugno a sei mesi di carcere dopo essersi dichiarato colpevole di un’accusa di cospirazione e riportato in prigione la scorsa settimana. L’avvocato di Edwards ha rifiutato di commentare, così come i rappresentanti dell’FBI e del Dipartimento di Giustizia».

«WhatsApp ha minimizzato per anni la quantità di informazioni non crittografate che condivide con le forze dell’ordine, limitando in gran parte le menzioni della pratica a un linguaggio standard sepolto in profondità nei suoi termini di servizio. Non tiene regolarmente registri permanenti di chi gli utenti stanno comunicando e con quale frequenza, ma i funzionari dell’azienda hanno confermato di attivare tale tracciamento a propria discrezione, anche per indagini interne su Facebook, o in risposta a richieste delle forze dell’ordine. La società ha rifiutato di dire a ProPublica con quale frequenza lo fa».

LA MULTA IN IRLANDA E IL BUSINESS SUI DATI

«Facebook sembra affrontare lo scetticismo più costante tra le principali piattaforme tecnologiche. Sta usando la crittografia per pubblicizzarsi come rispettoso della privacy, mentre dice poco sugli altri modi in cui raccoglie i dati, secondo Lloyd Richardson, direttore dell’IT presso il Canadian Center for Child Protection. “L’intera idea che lo facciano per la protezione personale delle persone è completamente ridicola”, ha detto Richardson».

“Ti stai fidando di un’app di proprietà e scritta da Facebook per fare esattamente quello che stanno dicendo. Ti fidi di quell’entità per farlo?” (Il 2 settembre, le autorità irlandesi hanno annunciato che stanno multando WhatsApp per 225 milioni di euro, circa 267 milioni di dollari, per non aver rivelato correttamente come la società condivide le informazioni degli utenti con altre piattaforme Facebook. WhatsApp sta contestando la scoperta.)

«L’enfasi di Facebook sulla promozione di WhatsApp come modello di privacy è evidente nel documento di marketing di dicembre ottenuto da ProPublica. La presentazione di “Brand Foundations” afferma che è stato il prodotto di un team globale di 21 membri su tutto Facebook, che ha coinvolto una mezza dozzina di workshop, ricerche quantitative, “interviste agli stakeholder” e “infiniti brainstorming”».

«WhatsApp è ora nel bel mezzo di una grande spinta per fare soldi. Ha avuto un inizio difficile, in parte a causa degli ampi sospetti su come WhatsApp possa bilanciare privacy e profitti».

«All’inizio di gennaio, WhatsApp ha presentato una modifica alla sua politica sulla privacy, accompagnata da una scadenza di un mese per accettare la politica o essere tagliato fuori dall’app. La mossa ha scatenato una rivolta, costringendo decine di milioni di utenti a fuggire verso rivali come Signal e Telegram».

Ma come tutti coloro che indagano sulla pandemia sanno è proprio sul tema dei vaccini che sta scattando la mannaia della censura di Facebook potenzialmente propedeutica a diventare soggetti monitorati su Whatsapp. Ecco perché Gospa News sta invitando tutti i suoi lettori sul suo canale Telegram. Segui Gospa News su Telegram

Articolo originale in inglese di Peter Elkind, Jack Gillum and Craig Silverman

Segnalazioni aggiuntive all’articolo originale di Prop Publica di Alex Mierjeski e Doris Burke

Selezione paragrafi Pro Publica e commenti di Fabio Giuseppe Carlo Carisio


MAIN SOURCES

PRO PUBLICA – How Facebook Undermines Privacy Protections for Its 2 Billion WhatsApp Users

RUSSIA TODAY – Facebook pays contractors to read your ‘encrypted’ WhatsApp messages, shares info with prosecutors

GOSPA NEWS – INCHIESTE OSINT

GOSPA NEWS – SOCIETA’ – BIOETICA

GOSPA NEWS – WUHAN-GATES


LA MISSION DI PRO PUBLICA

ProPublica è una redazione indipendente e senza scopo di lucro che produce giornalismo investigativo con forza morale. Scaviamo a fondo in questioni importanti, facendo luce sugli abusi di potere e sui tradimenti della fiducia pubblica e ci atteniamo a tali questioni per tutto il tempo necessario per tenere conto del potere.

Con un team di oltre 100 giornalisti dedicati, ProPublica copre una vasta gamma di argomenti tra cui governo e politica, affari, giustizia penale, ambiente, istruzione, assistenza sanitaria, immigrazione e tecnologia. Ci concentriamo su storie con il potenziale per stimolare l’impatto nel mondo reale. Tra gli altri cambiamenti positivi, il nostro reporting ha contribuito al passaggio di nuove leggi; inversioni di politiche e pratiche dannose; e responsabilità per i leader a livello locale, statale e nazionale.

Il giornalismo investigativo richiede una grande quantità di tempo e risorse e molte redazioni non possono più permettersi di occuparsi di questo tipo di reportage approfondito. In quanto organizzazione no-profit, il lavoro di ProPublica è alimentato principalmente da donazioni. La maggior parte del denaro che spendiamo va direttamente al giornalismo pluripremiato e di livello mondiale. Ci impegniamo a scoprire la verità, non importa quanto tempo ci vuole o quanto costa, e pratichiamo rapporti finanziari trasparenti in modo che i donatori sappiano come vengono spesi i loro dollari.

ProPublica è stata fondata nel 2007-2008 con la convinzione che il giornalismo investigativo sia fondamentale per la nostra democrazia. Il nostro personale rimane dedicato a portare avanti l’importante lavoro di denunciare la corruzione, informare il pubblico su questioni complesse e utilizzare il potere del giornalismo investigativo per stimolare le riforme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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