di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
Nel momento in cui l’Europa si confronta ogni giorno con manifestazioni di piazza che sfociano in scontri violenti con la polizia dopo i tentativi di repressione degli eventi contro l’obbligo vaccinale non autorizzati, quanto accade nel lontano Kazakistan appare come la storia di un altro pianeta o di un altro momento storico.
Dal paese dell’Ex Unione Sovietica giungono rapporti tremendi che palesano già dei sospetti inquietanti. Tra le vittime ci sono almeno 13 i poliziotti uccisi ad Almaty, la città epicentro delle violente proteste esplose in Kazakistan per il caro carburante. Lo riferisce a Ria Novosti il comando centrale di polizia di Almaty, secondo il quale due dei poliziotti uccisi sono stati decapitati.
Nel frattempo si è saputo che il capo dell’ intelligence del Kazakistan Karim Masimov, ex primo ministro e alleato di lunga data dell’ex leader del Kazakhstan Nursultan Nazarbayev, è stato arrestato con l’accusa di ‘alto tradimento’.
Lo ha fatto sapere la stessa agenzia per la sicurezza che lo aveva silurato mentre nel Paese imperversavano proteste e violenze senza precedenti. L’arresto di Masimov è il primo provvedimento preso contro un alto funzionario dell’ex repubblica sovietica dell’Asia centrale nella crisi in atto. Il Comitato Nazionale per la Sicurezza (Knb) ha precisato in una nota che l’arresto è avvenuto giovedì scorso.
Secondo quanto riferito da fonti di polizia, ci sarebbero decine di manifestanti uccisi mentre cercavano di assaltare varie edifici delle forze dell’ordine e della politica. Oltre mille le persone ferite in due giorni di violenti scontri, di cui almeno 400
ricoverati in ospedale e 62 in terapia intensiva.
Subito si sono attivate le contromisure dell’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (CSTO) che è un’alleanza militare intergovernativa in Eurasia composta da stati selezionati post-sovietici.
La Russia ha inviato prima i paracadutisti e poi, tramite circa 70 aerei, numerosi mezzi blindati e truppe che sono già arrivati nella piazza della città più grande, Almaty, teatro degli scontri più gravi, dove hanno aiutato l’esercito kazako a riprendere il controllo dell’aeroporto, in precedenza conquistato da agguerriti ed esperti manifestanti.
Decine di persone sono morte e gli edifici pubblici in tutto il Kazakistan sono stati saccheggiati e dati alle fiamme nella peggiore violenza che l’ex repubblica sovietica abbia subito in 30 anni di indipendenza.
TERRORISTI ISLAMICI ADDESTRATI ALL’ESTERO TRA I RIBELLI
Le manifestazioni sono iniziate come risposta a un aumento del prezzo del carburante, ma si sono trasformate in un ampio movimento contro il governo e l’ex presidente Nursultan Nazarbayev. Nazarbayev, 81 anni, è stato il sovrano più longevo di qualsiasi stato ex-sovietico fino a quando non ha ceduto la presidenza a Tokayev nel 2019.
«Il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev ha accusato per i disordini dei terroristi addestrati all’estero, senza fornire prove» ha scritto l’agenzia Reuters.
“I militanti non hanno deposto le armi, continuano a commettere crimini o si stanno preparando”, ha detto Tokayev, 68 anni, in un discorso televisivo. Chi non si arrende sarà distrutto. Ho dato l’ordine alle forze dell’ordine e all’esercito di sparare per uccidere, senza preavviso”.
Le sue accuse legittimano i sospetti che la questione del gas sia soltanto un “casus belli” creato ad arte nell’ambito di un piano ampio progetto di destabilizzazione della nazione ordito da apparati internazionali di intelligence militare come avvenuto in precedenza in Georgia e in Ucraina.
Il giornalista esperto di geopolitica internazionale Maurizio Blondet ha riportato nel suo blog importanti elementi a conferma di una premeditata cospirazione, tra cui le dichiarazioni di «Vasiliev, capogruppo di Russia Unita nella Duma: Le proteste in Kazakistan stanno assumendo la forma di una ribellione armata, nel paese sono arrivati militanti islamici ben addestrati».
«Tra i manifestanti sono emersi militanti ben addestrati provenienti dalle bande radicali attive nei paesi del Medio Oriente e in Afghanistan» ha fatto eco il vice presidente del Consiglio della Federazione russa Konstantin Kosachev.
JIHADISTI ISIS LIBERATI DAGLI USA AMMASSATI VICINO ALLA RUSSIA
La decapitazione di due poliziotti conferma il modus operandi dei jihadisti. E la loro presenza nell’area riporta alla mente l’allarme lanciato tre anni fa, nel maggio 2019, dal capo dei servizi segreti russi.
«Particolarmente preoccupante è il dispiegamento di gruppi terroristici nelle province settentrionali dell’Afghanistan» dichiarò il direttore dello FSB (ex KGB) Alexander Bortnikov ai capi dei servizi segreti ex sovietici a Dushanbe, capitale del Tagikistan.
Secondo Russia Today infatti, un ramo dello Stato islamico aveva ammassato circa 5.000 militanti nel nord dell’Afghanistan al confine delle repubbliche post-sovietiche dell’Asia centrale.
L’allarme assunse grande rilevanza anche perché i quattro stati confinanti con l’Afghanistan sono tutti a maggioranza musulmana sunnita come i limitrofi Uzbekistan e Turkmenistan, che confinano con il Kazakistan, dove il 72 % della popolazione è islamico, che condivide tutta la lunghissima frontiera terreste settentrionale con la Russia.
L’esplosione dell’attuale ribellione ad opera di miliziani musulmani rafforza i sospetti su quei movimenti anche in ragione di altre due considerazioni importanti.
Come conferma un reportage dell’agenzia Fides, organo d’informazione delle Opere Missionarie Pontificie, l’aumento del costo del carburante non è una protesta della popolazione, che essendo povera non ha l’auto, ma del ceto sociale più ricco.
Inoltre una crisi in Kazakistan rientra nelle strategie di destabilizzazione contro la Russia già previste da vari think-tank sostenuti dal Pentagono, il Dipartimento della Difesa Usa (DOD).
Nelle scorse settimane abbiamo pubblicato il reportage sul piano CEPA riferito al corridoio Suwałki tra Polonia e Bielorussia dove si è verificata la crisi dei migranti, parzialmente attenuata dal fatto che l’Iraq ha fatto rimpatriare con voli di stato i suoi connazionali rimasti imprigionati al confine per l’opposizione delle autorità polacche al loro ingresso nell’Unione Europea.
IL SOSPETTO COMPLOTTO AMERICANO COI JIHADISTI
Ma come rileva ancora il giornalista Blondet citando “Moon of Alabama Blog” «All’inizio del 2019 il think tank RAND finanziato dal Pentagono ha pubblicato un ampio piano per la destabilizzazione contro la Russia dal titolo “Estending Russia: Competing from Advantageous Ground (Estensione della Russia: competere da una base vantaggiosa). Il rapporto lungo 350 pagine raccomandava agli Stati Uniti di adottare alcune misure per contenere la Russia.
“Riconoscendo che un certo livello di concorrenza con la Russia è inevitabile, questo rapporto cerca di definire aree in cui gli Stati Uniti possono farlo a proprio vantaggio. Esaminiamo una serie di misure non violente per sfruttare le effettive vulnerabilità e le ansie della Russia come un modo per stressare l’esercito e l’economia russe e l’autorità politica del regime in patria e la sua influenza all’estero. I passaggi che esaminiamo non avrebbero né la difesa né la deterrenza come scopo principale, sebbene possano contribuire a entrambi. Questi passaggi sono concepiti come elementi di una campagna progettata per sbilanciare l’avversario, portando la Russia a competere in domini o regioni in cui gli Stati Uniti hanno un vantaggio, e facendo sì che la Russia si estenda eccessivamente militarmente o economicamente o facendo perdere al regime prestigio e influenza a livello nazionale e/o internazionale”.
La RAND elenca le misure economiche, geopolitiche, ideologiche, informative e militari che gli Stati Uniti dovrebbero adottare per indebolire la Russia.
Come evidenzia ancora il bla Blondet & Friends: «Da quando è uscito il rapporto, sono state attuate le prime quattro delle sei “misure geopolitiche” elencate nel capitolo 4 del rapporto. Gli Stati Uniti hanno consegnato armi letali all’Ucraina; hanno aumentato il loro sostegno ai “ribelli” in Siria. Ha tentato un cambio di regime in Bielorussia e ha istigato una guerra tra l’Azerbaigian e l’Armenia. Gli Stati Uniti stanno ora attuando la misura 5 che mira a “ridurre l’influenza della Russia in Asia centrale”.
«I servizi segreti stranieri sono dietro le rivolte di massa in corso in Kazakistan, che causeranno centinaia o migliaia di morti e un paese saccheggiato per gli anni a venire, ha dichiarato giovedì il presidente serbo Aleksandar Vucic ai giornalisti» aggiunge ancora Maurizio Blondet che analizza a fondo i retroscena della vicenda.
Il Kazakistan, confinante strategico per Mosca, è un paese ricco di minerali, senza sbocco sul mare, tre volte più grande del Texas ma con meno di 20 milioni di abitanti. Una parte significativa della sua gente è russa e la lingua russa è di uso comune. Il paese è un collegamento importante nell’iniziativa strategica Belt and Road tra Cina ed Europa.
Per contrastare il tentativo di rivoluzione la Russia ha già inviato le sue truppe sollevando la reazione isterica e paranoica dell’amministrazione di Joe Biden ha contestato la legittimità della loro presenza. Ma non va dimenticato che proprio Biden fu tra i principali registi del golpe in Ucraina del 2014 quando era il vice di Barack Obama e della successiva guerra civile del Donbass con sudditanza militare di Kiev alle armi fornite dal Pentagono.
Il segretario stampa della Casa Bianca Jen Psaki ha affermato che gli Stati Uniti sostengono “gli appelli alla calma” e ha affermato che i manifestanti dovrebbero essere in grado di “esprimersi pacificamente”, esortando le autorità “a esercitare moderazione”.
Psaki ha affermato che “le pazze affermazioni russe” su una mano degli Stati Uniti dietro le manifestazioni di massa sono “assolutamente false e chiaramente parte del manuale standard della disinformazione russa”.
DOSSIER TURCO: I 21 GRUPPI JIHADISTI FINANZIATI DA USA E CIA: armati coi micidiali missili TOW
Sono le stesse dichiarazioni a suo tempo fatte dalla Casa Bianca in relazione alle proteste di piazza Maidan in Ucraina culminate con la strage di almeno 60 persone il 20 febbraio 2014 quando misteriosi cecchini (mercenari georgiani secondo l’inchiesta giornalistica di Gian Micalessin) spararono sulla folla uccidendo anche numerosi poliziotti.
Ai più esperti di geopolitica questo massacro ricordò le analogie con quello compiuto da altri tiratori scelti nel 2002 a Caracas che portò alla temporanea destituzione del presidente Hugo Chavez: Pochi anni dopo si scoprì che era stata un’operazione gestita dal National Clandestine Service della Central Intelligence Agency, il controspionaggio americano.
Come dimostrato da un dossier esclusivo turco pubblicato da Gospa News, la stessa CIA fornì i potenti missili anticarro TOW alle fazioni jihadisti in Siria per alimentare un regime-change pianificato dal 1983 e fallito solo per l’intervento russo.
AL BAGHDADI, IL CALIFFO ISIS E AGENTE MOSSAD-CIA NASCOSTO DAGLI USA
Inoltre molteplici fonti d’intelligence ritengono che il califfo dell’ISIS Abu Bakr Al Baghdadi fosse un agente della CIA e del Mossad, i servizi segreti israeliani. Mentre è stato più volte dimostrato il ruolo delle truppe americane nella liberazione di prigionieri dello Stato Islamico, detenuti dall’esercito a maggioranza curda SDF nel Nord Est della Siria (Rojava), poi trasportati in Africa e, come spiegato prima, nel Nord dell’Afghanistan.
Nei mesi scorsi fece scalpore tra gli esperti di geopolitica militare il presunto vertice tenutosi vicino alla base siriana dell’esercito Usa di Al Tanf tra alcuni capi degli 007 occidentali e comandanti dello Stato Islamico. Ecco perché i sospetti di una presenza di combattenti islamici ben addestrati nella rivolta in Kazakistan e la presunta regia di Washington non solo appaiono verosimili ma estremamente probabili.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAIN SOURCES
GOSPA NEWS – WUHAN.GATES REPORTAGE
GOSPA NEWS – INCHIESTE LOBBY ARMI
MAURIZIO BLONDET – IN KAZAKISTAN BANDE ISLAMISTE BEN ADDESTRATE
REUTERS – Kazakh president gives shoot-to-kill order to quell protests
IL PUNTO DI VISTA DEI MISSIONARI
La protesta è una vera crisi politica che “potrebbe sfociare in una campagna contro l’Occidente”
Almaty (Agenzia Fides) – Non si tratta di una semplice protesta di piazza contro il caro bollette: la rivolta che dal 5 gennaio sta infiammando il Kazakistan è una vera e propria crisi politica, che colpisce soprattutto la nuova classe medio-alta e che potrebbe sfociare in una campagna nazionalista e antioccidentale. Lo spiega all’Agenzia Fides don Edoardo Canetta, per vent’anni missionario in Kazakistan, cinque dei quali vissuti da Vicario Generale dell’Asia centrale, oggi docente all’Accademia Ambrosiana a Milano. “Fino all’anno scorso – rileva – in Kazakistan, il carburante costava 40 centesimi al litro, un prezzo impensabile in Italia. Oggi quelle tariffe sono state raddoppiate e, parallelamente, l’inflazione ha toccato picchi altissimi. Tutto ciò ha portato la classe media a protestare violentemente: sono quei cittadini a sentirsi maggiormente colpiti, visto che i poveri non possiedono automobili. La gente non riesce a capire perché un paese che ‘galleggia’ su gas e petrolio debba pagare cifre così alte per rifornirsene”.
Questo fenomeno, spiega don Canetta, è dovuto agli accordi di durata pluriennale sottoscritti tra il Kazakistan e le grandi compagnie petrolifere ed energetiche subito dopo il crollo dell’URSS: “Quando l’Unione Sovietica cadde, il Kazakistan, come tutti i paesi dell’area, era in uno stato di povertà assoluta. Accettò quindi di stipulare contratti, validi ancora oggi e per diversi anni, secondo cui solo una bassissima percentuale degli utili delle estrazioni vada al Paese. Ad arricchirsi da questa attività svolta su territorio kazako sono, quindi, le grandi compagnie straniere, che, d’altra parte, hanno sostenuto investimenti e portato tecnologia, ricerca e risorse umane. La gente kazaka, però, non comprende il motivo di questi accordi e continua a rivendicare la proprietà dei giacimenti. Per tale motivo, comunque vadano le proteste di questi giorni, non è impensabile che le colpe vengano scaricate sugli stranieri e che possa essere intrapresa una campagna nazionalista, in particolare contro gli occidentali”.
La rivolta è iniziata alle prime ore del 5 gennaio e riguarda diverse città kazake, ma vede il suo epicentro ad Almaty, capitale finanziaria del Kazakistan. Sin da subito, le proteste hanno assunto tratti violenti: decine di manifestanti sono rimasti feriti o uccisi negli scontri, 18 agenti delle forze dell’ordine hanno perso la vita e oltre 2000 persone risultano arrestate. I rivoltosi hanno occupato e saccheggiato emittenti televisive e aeroporti, con conseguenti sospensioni dei collegamenti aerei.
Già dalle prime ore della rivolta, il Paese è stato isolato: i collegamenti telefonici sono precari e la connessione a internet risulta quasi totalmente assente, come ha confermato all’Agenzia Fides don Guido Trezzani, direttore nazionale della Caritas, residente a Talgar, località a pochi chilometri da Almaty: “Da due giorni – osserva il missionario – è stato dichiarato lo stato di emergenza a causa dei disordini che si sono scatenati in diverse parti del paese. La prima conseguenza è che bloccano internet e tutti i servizi annessi. In alcuni momenti si riesce ad utilizzare la posta elettronica, ma altri servizi come Skype e social media sono stati oscurati”.
Come riferisce a Fides un’operatrice di Caritas Kazakistan, da due giorni lo staff dell’organizzazione, con sede ad Almaty, non ha potuto recarsi in ufficio: “Siamo a circa un chilometro e mezzo dall’edificio del governo e si sentono colpi, ma non sappiamo bene cosa siano. Stiamo tutti bene, ma credo che in questo momento la cosa più sicura sia rimanere in casa”, informa.
Intanto, mentre nel paese sono giunte le truppe inviate dalla Russia a sostegno del governo, il Ministero degli Esteri kazako ha diffuso una nota in cui si sottolinea che “i diritti e gli interessi di tutti i rappresentanti del nostro popolo multietnico e multiconfessionale, la sicurezza dei cittadini stranieri nel Paese, inclusi i rappresentanti diplomatici e i giornalisti” continueranno ad essere garantiti.
(LF) (Agenzia Fides 7/1/2022)