di Paola Persichetti
Seguiamo giorno per giorno e quasi ora per ora il cammino di Gesù verso il Golgota accompagnati dalla simbologia degli alberi
La liturgia della Chiesa cattolica non conosce lungo tutto il ciclo nel quale l’hanno svolge per lei i suoi fasti ed i suoi simboli, una settimana più ricca in bellezza, più carica di significato, di quella in cui commemora gli ultimi giorni vissuti da Gesù sulla terra. La settimana Santa.
La settimana si apre nell’odore fresco dei rami tagliati, palme e rami di olivi.
Appena dileguato il motivo del GLORIA ICTUS , Ecco degli osanna d’israele, ecco la chiesa sprofondarsi nell’ufficio notturno, nel quale le lunghe letture dei profeti e il canto alterno dei salmi richiamano insieme il dramma che si avvicina e le promesse più volte secolari, delle quali esso sarà il compimento.
Il giovedì Santo, coi suoi sepolcri profumati, sembra interrompere con un sorriso l’ascesa al calvario: Ma nell’ostia nascosta fra rose e ceri, un popolo in ginocchio ad ora la carne stessa della vittima. Cala infine la notte: Il mutismo delle campane, lo scalpiccio lugubre delle folle alla via crucis, statue velate, tabernacolo deserto, il monumento stesso sembra partecipare al dolore del mondo, fino al momento in cui sgorga, nell’alba del giorno miracoloso, il grido esultante della speranza:
Bisogna ormai seguire giorno per giorno e quasi ora per ora il cammino di Gesù verso la decisione Suprema.
Ci si immagina nella terra della Giudea piena di profumi vegetali, nel canto mille volte ripetuto delle allodole, dove l’anima crede di sentire la presenza stessa della grazia divina.
Scendiamo allora nella Giudea per conoscere il simbolismo e il significato di tutti gli alberi menzionati nella Bibbia durante le sacre letture che ci accompagneranno nel cammino della settimana Santa. Si squarcerà un’orizzonte che ci farà entrare e vivere in pienezza nella terra nativa di Gesù Cristo.
GESU’ CRISTO E’ RISORTO! IL MISTERO DELLA PASQUA VIVE PER SEMPRE
L’UOMO È COME UN ALBERO
Gli alberi nella scrittura e il loro significato
Per ricordarsi dove sono le radici del cristianesimo è necessario conoscere il perché nell’ebraismo è data tanta importanza agli alberi, si da dedicare loro un giorno festa, il 15 del mese di Febbraio, quando in Israele inizia la fioritura, viene posta la festa dedicata agli alberi. Del resto gli alberi sono i veri primi abitanti del nostro pianeta e quasi tutte le feste ebraiche comportano anche una menzione agli alberi e ai raccolti, infatti:
- TU BISHVAT Capodanno degli alberi, si celebra mangiando tutte le 7 specie di frutti della terra per i quali e lodata nella per i quali è lodata nella torah la terra di Israele, ossia frumento, cereali, uva, Fico, melograno, ulivo, dattero;
- SUKKOT, Festeggia il raccolto della frutta con il rito del “LULAV”, Iniziano le piogge;
- CHANUKKAH festeggia la fine del raccolto delle olive;
- PESACH Si miete l’orzo essi semina;
- SHAVUOT Celebra la raccolta di grano e frutta estiva;
- TU BE AV Festa della vita e dell’amore
- ROSH HA SHANA Compleanno della creazione, il Capodanno ebraico quando i melograni sono divisi tra i commensali augurantisi che le buone azioni siano numerose nell’anno come i semi di quei frutti.
Le 22 sacre lettere con i significati grafici delle lettere ebraiche ci aprono un mondo :Sono il segno parlante delle sacre scritture, sono balbettii su Dio.
Iniziamo insieme questo viaggio addentrandoci nel mondo vegetale con lo stesso spirito e la stessa curiosità con cui si inizia un cammino esplorativo e contemplativo nella natura.
Per l’utilità del lettore presentiamo una minima nomenclatura delle varie parti di un albero concepita nel mondo ebraico:
- Le radici
- Il fusto o tronco
- Il germoglio
- Il virgulto
- La ramificazione, fronde, chioma
- Un ramo
- Foglia, fronda, Frasca, fogliame
- Fiore
- Frutti
- Seme
Questi sono i nomi degli alberi che si trovano ricordati più di 20 volte Nell’antico testamento e almeno 5 volte nel nuovo testamento,
- Fico
- Ulivo
- Vite
Ecco gli alberi ricordati meno di 20 volte nell’antico testamento e meno di 5 volte nel nuovo testamento
- Palma
- Sicomoro
Questi poi sono alberi, importanti richiamati almeno 5 volte nei testi ebraici dell’antico testamento, ma che non sono citati nel nuovo testamento
- Cedro del Libano
- Melo
- Cipresso
- Acacia
- Melograno
- Salice
- Mandorlo
- Leccio
- Quercia
Questi alberi, pure importanti, sono citati meno di 5 volte nell’antico testamento, ma non sono menzionati nel nuovo testamento
- Noce
- Platano
- Gelso
- Pioppo
- Mirto
- Tamarisco
Il carrubo non è menzionato nell’antico testamento
ed è ricordato solo nel Vangelo di Luca nella parabola detta del figlio prodigo
Dagli alberi a Cristo
Per la proprietà di icone insita nelle lettere dell’alfabeto ebraico di trasmettere anche dei messaggi grafici, molti dei termini usati per gli alberi si prestano a tratteggiare vicende del crocifisso e a sostenere la questione che poi affronteremo dell’uomo simile a un albero. Al riguardo, è interessante ricordare che i quattro principali frammenti della Santa croce ritrovata nel 326 a Gerusalemme da sant’elena, madre dell’imperatore Costantino, conservati in Roma a Santa Croce in Gerusalemme, a Pisa nel Duomo A Firenze in Santa Maria del fiore sono stati identificati come schegge di legno di ulivo. Per cui l’ipotesi che la Santa croce fosse di legno di ulivo si fa concreta. Spieghiamo allora il perché le lettere della parola ulivo “zit”cominciano a parlare e dicono
- Con un attrezzo-tagliata-segata fu la croce (In corsivo è una +)
- Di questo Sarà la croce
- Su questa + fu crocifisso.
Proponiamo alcuni esempi di come vari altri termini degli alberi si prestano bene a essere letti Con pensiero profetico sulle vicende che conosciamo dai Vangeli. Tutti i seguenti termini sono riferibili a Gesù Cristo proprio nel libro del profeta Isaia, nella famosa profezia sul messia che viene dal tronco di iesse padre di David “Un germoglio spunterà dal tronco di iesse, un virgulto dalle sue radici”.
Ancora su tale argomento si presentano i termini
- Fronda
- Chioma
- Ramo
- Foglia, fogliame
- Radici, ceppo
- Vite
- Vigna
Il legno della Croce con sopra Gesù crocifisso, quindi, si presta idealmente a essere paragonato a un albero con fronde e frutti.
Su tale discorso torneremo.
L’albero che cammina
Vari e tanti, peraltro, sono i paralleli tra alberi e uomini che si rinvengono nei libri che compongono la Bibbia. Il campo da investigare è molto ampio.
Per le loro varie forme e per specifiche qualità, con la variabilità dei frutti e delle foglie, per la presenza di spine o di resina, per altezza o per forma delle chiome e delle radici, gli alberi, si prestano a commenti e similitudini con le caratteristiche di certi uomini, fruttiferi o non, alti e superbi, come i cedri del Libano o umili come gli arbusti spinosi.
In Sant ’Agatone d’Egitto , uno dei padri del deserto, vissuti nel quarto secolo nelle steppe di Palestina, Siria ed Egitto ebbe a dire:” l’uomo è come un albero, la fatica del corpo sono le foglie, la custodia del cuore il frutto. Ora, poiché come è scritto ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco(Matteo 7,19), E chiaro che tutto il nostro impegno deve tendere al frutto, cioè a custodire il nostro spirito. Ma è necessaria anche la protezione e l’ornamento delle foglie, cioè la fatica del corpo.”
Quel pensiero di Sant ‘Agatone che l’uomo è come un albero è proprio dell’ebraismo che lo considera come un enunciato della Torah, dedotto oltre che da vari paragoni da una lettura particolare del versetto del deuteronomio 20,19 che recita: “Quando cingerai d’assedio una città per lungo tempo, per espugnarla e conquistarla, non ne distruggerai gli alberi colpendoli con la scure; ne mangerai il frutto, ma non li taglierai: L’albero della campagna è un uomo”… E allora si trasgredirebbe al comandamento di non uccidere visto che non è un nemico specifico da assediare.
Il progetto ha inizio
L’insieme dei libri chiamato Bibbia, che per i credenti giudeo cristiani contiene la rivelazione di Dio agli uomini, esordisce attribuendo in 7 giorni la creazione di tutto ciò che esiste al creatore chiamato dal testo ebraico di genesi 1 .1 Eolohim Termine che viene tradotto Dio le cui lettere suggeriscono una forma verbale.
Si deve porre grande attenzione sulla differenza sostanziale che c’è tra Dio creò del versetto uno e Dio disse del versetto tre..
Il creare da parte di Dio riguarda
- L’universo sensibile
- La vita animale che inizia
- La coppia dei progenitori ad immagine e somiglianza di Dio
Per la creazione dell’uomo, il testo usa tutti e tre i verbi dire, fare, creare.
Agli occhi dell’uomo l’albero è il segno tangibile della forza vitale che il creatore ha escluso nella natura. Ad ogni primavera Esso ne annuncia La rinascita. Tagliato, rigermoglia. Nel deserto arido indica i luoghi dove l’acqua permette la vita, nutre l’uomo con i suoi frutti. Ce n’è a sufficienza perché si possa paragonare ad un albero verdeggiante sia l’uomo giusto che Dio benedice sia il popolo che gli colma di favori . È vero che esistono alberi buoni ed alberi cattivi, che si riconoscono dai loro frutti: i cattivi non meritano che di essere tagliati e gettati nel fuoco ; e così anche gli uomini, al momento del giudizio di Dio. Partendo da questo significato generale il simbolismo dell’albero si sviluppa nella Bibbia in tre direzioni.
- L’albero della vita
- L’albero del regno di Dio
- L’albero della croce.
L’albero di vita
Riprendendo un simbolo corrente della mitologia mesopotamica, la genesi colloca nel paradiso primitivo un albero di vita il cui frutto comunica l’immortalità genesi 2.9.
In connessione con questo primo simbolo la falsa Sapienza che l’uomo usurpa attribuendosi la conoscenza del bene e del male, eppure rappresentata come un albero il cui frutto è vietato genesi 2. 16. Sedotto dall’apparenza ingannatrice di quest’albero l’uomo ne ha mangiato il frutto e di conseguenza ora non ha più accesso all’albero di vita. Nell’escatologia profetica La terra santa è descritta negli ultimi tempi, come un paradiso ritrovato, i cui alberi meravigliosi forniranno agli uomini cibo e rimedio.
L’albero del regno di Dio
Le mitologie orientali conoscevano pure il simbolo dell’albero cosmico, rappresentazione figurata dell’universo. Questo simbolo non è ripreso nella Bibbia, la quale però paragona volentieri gli imperi umani, che tengono sotto la loro ombra tanti popoli, ad un albero straordinario che sale fino al cielo e di scendere fino agli inferi, da ricetto a tutti gli uccelli e a tutte le bestie nel libro del profeta Ezechiele. Grandezza fittizia, perché fondata sull’orgoglio. Il giudizio di Dio abbatterà quest’albero. Ma il regno di Dio, nato da un umile seme, diventerà il suo stesso un grande albero dove tutti gli uccelli verranno a fare il nido nel vangelo di Matteo 13,31s.
L’albero della croce
L’albero può diventare segno di maledizione quando è usato come patibolo per i condannati a morte (genesi 40,19. Giosuè 8,29. Ester 2,23): colui che ne prende contamina La terra santa, perché è una maledizione di Dio. Ora Gesù ha voluto prendere su di sé quella maledizione. Ha portato i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, vi ha inchiodato la sentenza di morte che era è messa contro di noi. Nello stesso tempo l’albero della croce è divenuto il legno che salva: è aperta la via che conduce al Paradiso ritrovato, dove fruttifica per noi l’albero di vita(apocalisse 2,7). L’Antico segno di maledizione è divenuto esso stesso questa albero di vita:” o croce sempre fedele, sei l’unico albero glorioso. Nessuna selva ne produce uguali, per fronde, fiori e ceppo”.
Molto interessante è entrare nella terra della Palestina e della Giudea per comprendere, soprattutto in riferimento alla settimana santa che andiamo a vivere, quali alberi incontriamo nei vangeli e nelle letture sia dell’Antico testamento che del Nuovo testamento, il loro significato catechetico che ci aiuta a vivere in pienezza questi giorni in preparazione alla santa Pasqua.
La Vite e la Vigna
Poche colture dipendono, come la vite, sia del lavoro attento ed ingegnoso dell’uomo sia dal ritmo delle stagioni. La Palestina, terra di vigneti, insegna ad Israele a gustare i frutti della Terra, a dedicarsi totalmente ad un lavoro promettente, ma anche ad aspettarsi tutto dalla generosità Divina. D’altra parte la vite, così preziosa, ha qualcosa di misterioso. Non ha valore che per il suo frutto.
Il suo legno è senza valore e i suoi tralci sterili non sono buoni che per il fuoco; ma il suo frutto rallegra dei e uomini (Giovanni 15,6); la vite nasconde quindi un mistero più profondo; porta la gioia nel cuore dell’uomo (Salmo 104), è una vita il cui frutto è la gioia di Dio.
Noè, il giusto, pianta la vite su una terra che Dio ha promesso di non più maledire . E la presenza di vigneti sulla nostra terra è il segno La benedizione di Dio non è stata completamente distrutta dal peccato di Adamo. Dio promette e da al suo popolo una terra ricca di vigne ma coloro che opprimono il povero Oh sono infedeli a Jahvè non berranno il vino delle loro vigne; Esse saranno divorate dalle locuste (Gioele 1) o faranno posto ai Rovi (Isaia7,23).
Gravemente ingiusto è il re che prende le vigne dei suoi sudditi; di questo abuso predetto da Samuele si rende colpevole Achab. Ma, sotto un buon re, ognuno vive nella pace, sotto la sua vite ed il suo Fico. ( 1Re 5,5).
Questo ideale si realizzerà nei tempi messianici; allora La vigna e sarà immagine della Sapienza, immagine della sposa feconda del giusto.
La vite che mette le gemme simboleggia la speranza degli sposi che, nel cantico dei cantici, cantano Il mistero dell’amore.
Israele è la vigna infedele a Dio. Sposo e vignaiolo, il Dio di Israele ha la sua vigna che è il suo popolo. Per Osea, Israele è una vigna feconda che rende Grazie della sua fecondità ad altri piuttosto che a Dio, quel Dio che, mediante l’alleanza è il suo sposo. Per il profeta Isaia, Dio ama la sua vigna, ha fatto tutto per essa, ma invece del frutto di giustizia che attendeva, ha dato l’acerba vendemmia del sangue versato; egli l’abbandonerà ai devastatori.
Per il profeta Geremia, Israele è una vigna scelta, inselvatichita è divenuta sterile che sarà divelta e calpestata. Ezechiele infine paragona ad una vigna feconda, poi inaridita e bruciata, ora Israele infedele al suo Dio, ora il Re infedele ad una Alleanza giurata.
Verrà un giorno in cui la vigna fiorirà sotto la custodia vigilante di Dio. A tale scopo Israele invoca l’amore Fedele di Dio affinché egli possa salvare questa vigna che ha trapiantato dall’Egitto nella sua terra e che ha dovuto abbandonare allo sterminio e al fuoco. La fedeltà futura di Israele non dipenderà da lui, Israele da solo non può mantenere questa promessa. Sarà il figlio di Dio prediletto, il vignaiolo Fedele, che farà sì che la vigna darà finalmente il suo frutto. Accanto a Cristo, per fare la sua vendemmia, Dio accoglierà tutti gli operai che lavoreranno fin dal mattino oppure assoldati all’ultima ora ma tutti riceveranno la stessa ricompensa. Infatti ciò che Israele non ha potuto dare a Dio gliel’ho da Gesù . Egli è la vigna. È il vero Israele.è stato piantato dal Padre suo , è stato circondato di cure e mondato affinché porti un frutto abbondante. Ed il vino, frutto della vite, sarà , nel mistero eucaristico, il segno sacramentale di questo sangue versato per suggellare la nuova alleanza.
Egli è la vera vite e noi tralci. Gesù solo vera vite, può portare un frutto che glorifichi il vignaiolo, il Padre suo. Senza la comunione con lui, noi siamo tralci staccati dalla vite, privi di linfa, sterili, buoni per il fuoco. Mediante questa comunione, l’uomo diventa tralcio della vera vite. Ecco allora il mistero spiegato della vera vite:il il suo legno non ha valore . Il legno della vite ha un unico fine : generare i frutti .
La palma
La domenica delle Palme si celebra nella domenica precedente la Pasqua. Questa festività ha un significato specifico nella liturgia cattolica: Nasce da un episodio raccontato nel Vangelo, con l’arrivo di Gesù trionfante a Gerusalemme e affonda le sue radici nella festa del Sukkot
Origini Ebraiche della Festa Sukkot
Nella tradizione ebraica, c’è una festa, chiamata la festa delle capanne o Sukkot, dalla quale sembra mutuata la simbologia della nostra domenica delle Palme. In si celebra coralmente la liberazione del popolo di Israele dall’Egitto , dove , dopo il passaggio nel mare rosso, per 40 anni era vissuto nelle capanne. Il messia, secondo la tradizione, sarebbe arrivato proprio durante questa festa.
Gli e israeliti compivano insieme un pellegrinaggio a Gerusalemme e salivano verso il tempio in processione. Ognuno portava in mano e sventolava un piccolo mazzetto, Lulav, Composto dai rami di tre alberi, il mirto, simbolo della preghiera che si innalza verso il cielo, il Salice la cui forma delle foglie rimandava la bocca chiusa dei fedeli, in silenzio di fronte a Dio, e la Palma simbolo della fede, tenuti insieme da un filo d’erba.
La Palma, a cui si fa riferimento, e la Palma da dattero, che è uno degli alberi più presenti nella terra della sacra scrittura, soprattutto nella regione della giudea. Il suo frutto, dolce come il miele, nutre i nomadi e gli abitanti del deserto ed è legato anche alla simbologia della terra promessa dove Dio promette ad Abramo che gli donerà una terra dove scorrerà latte e miele. Il miele a cui fa riferimento non è il miele prodotto dalle api ma il miele del dattero. Perché proprio la Palma?
L’albero della Palma ha una caratteristica ha delle radici molto lunghe con le quali assorbe l’acqua nascosta nella profondità della terra, infatti cresce rigogliosa nel deserto e nelle zone aride, rimanendo sempre verde, cioè, viva. Nel Vangelo di Giovanni, la Palma indica la vittoria di Gesù sulla morte e la sua resurrezione. Il Vangelo di Giovanni, a differenza dei sinottici che descrivono l’ingresso di Gesù a Gerusalemme acclamato con rami di ulivo, narra che la gente che lo seguiva con in mano rami di Palma: ”Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore…….”(Giovanni 12.13).
Nell’apocalisse i martiri, a causa della loro fede, sono i risorti che stavano in piedi davanti al trono e davanti all’agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. Apocalisse 7.9. Nel cristianesimo la Palma detta della vittoria è il simbolo dell’ascesa, della rinascita, della vittoria della vita sulla morte. Per questo motivo i primi martiri sono raffigurati con una Palma in mano.
L’acacia o mimosa nilotica. È un arbusto spinoso, con infiorescenze. Questo albero da il vero succo d’acacia, la gomma arabica. Nella sacra scrittura la troviamo utilizzata per costruire l’arca dell’alleanza. Nel libro dell’esodo si legge che Bezaleel Fece l’arca in legno di acacia che poi rivestì d’oro, nella tavola delle offerte ugualmente costruita con legno di acacia e le rivesti d’oro, ritroviamo l’acacia nell’altare dei profumi dove si bruciava l’incenso, l’altare dei sacrifici stesso era fatto il legno d’acacia. Secondo alcuni storici anche la corona di spine di Cristo è stata intrecciata con rami di acacia.
Il cedro del Libano cedrus libani.
Il cedro del Libano per le sue notevoli dimensioni, è stato fatto l’emblema della grandezza, della nobiltà, della forza e dell’immortalità. Nel cantico dei cantici troviamo una bellissima immagine di questo albero che dice che il cedro non marcisce; Fare in cedro le travi delle nostre case e preservare l’anima dalla corruzione dice l’autore. Essendo simbolo di incorruttibilità, gli ebrei, al tempo del re Salomone, lo utilizzarono per costruire la struttura del tempio di Gerusalemme. L’interno del tempio era fatto interamente di legno di cedro dove scolpito a rosoni e a boccioli di fiori. Non venne usata neanche una pietra.
Nel libro del profeta Isaia;, nel profeta Amos; Ezechiele; Il cedro è anche il simbolo della bellezza. Nel capitolo 31 Ezechiele utilizza Il cedro paragonandolo al messia e al suo Regno” Io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami coglierò un ramoscello e lo pianterò sopra un Monte alto, massiccio; Lo pianterò sul Monte alto d’Israele Metterà rami e farà frutti. Diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà. Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il signore che umiliò l’albero alto e innalzò l’albero basso faccio segare l’albero secco., io il signore ho parlato e lo farò”.
Il Cipresso
Il cipresso è un albero slanciato. Nel libro del profeta Isaia capitolo 55.13 troviamo la descrizione del cipresso“Invece di spine cresceranno cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; Ciò sarà gloria del Signore, un segno eterno che non comparirà”.
Anche il legno di cipresso, come quello del cedro servi a rivestire il tempio di Gerusalemme:” Ho ascoltato il tuo messaggio, farò quanto desideri riguardo a legname di cedro e di cipresso”1 Re5,22.
Gesù realizzò nella propria persona la parola che Osea mette sulla bocca del Signore:” Io sono come un cipresso sempre verde, grazie a me tu porti frutto”Os.14,9.
Il Fico
“Fico”: sia l’albero che il suo frutto sono espressi da una stessa parola”, entrambi in ebraico si dicono t’enah , al plurale t’enim, o t’enei lettere, ma con diversa vocalizzazione si ha:
– t’anah per “incontro, passione, lascivia, frega, calore” (Geremia 2,24); – to’anah per “occasione, pretesto” (Giudici 14,4);
– ta’aniiah per “lamenti, gemiti, tristezza, lutto” (Isaia 29,2);
– t’unim per “fatica, stanchezza, travaglio, stento” (Ezechiele 24,12).
e con talIl termine fico pare provenire dal radicale che presenta due significati:
– 1) “lamentarsi, gemere, sospirare” da cui ‘onoeh lutto, cordoglio, simile al radicale onomatopeico da cui lamento o canto funebre nehi e altro modo per “lamento, ahimè, guai”, è ‘oi ;
– 2) “far incontrare e farsi incontrare, far cadere, capitare accadere, cercareoccasione o pretesto”.
Di primo impatto viene l’idea di provare a spezzare quel termine t’enah in due elementi e allora: indicano “segno, termine” e “inizio”, quindi, un qualcosa di definito che ha capo e coda.
A questo punto pare potersi dire che t’enah o “segnala un lamento ” e un possibile collegamento sul perché il fico ha potuto avere quel nome in ebraico, potrebbe essere che quando si coglie un frutto di fico accade che distaccato dal ramo sia il frutto, sia il rametto, producono una secrezione a goccia che sembra una lacrima di colore bianco simile al latte e pare che il fico pianga, quindi, ecco il collegamento al radicale del verbo che riguarda lamentarsi.
Analizziamo ora l’episodio di Natanaele. Natanaele in ebraico significa “Dio ha donato” e la tradizione lo identifica con l’apostolo Bartolomeo ossia Bar-figlio di Tolomeo che ne sarebbe il patronimico.
L’interpretazione corrente di quel dire del fico da parte di Gesù nel Vangelo di Giovanni è che è un albero che dà buoni frutti e lo stare alla sua ombra concilia la meditazione, ma c’è di più e di specifico proprio relativo allo scrutare le Sacre Scritture che corrisponde allusivamente “a stare sotto il fico”.
Ora in ebraico “il tuo fico” è t’anak, come già accennato, dal suono simile a TaNaK il nome con cui gli ebrei chiamano la Sacra Scrittura, acronimo delle tre parti che la formano – Torah o Legge, Nevi’îm o profeti e Ketubim o altri scritti – da cui TNK, quindi, TaNaK.
Con quel dire “ti ho visto sotto l’albero di fichi” Gesù forse alludeva proprio che Natanaele spesso era assorto nello studio e meditazione delle Scritture il che porterebbe a ritenere che fosse uno studioso della Torah.
Il fico, infatti, nell’ebraismo è paragonato alla Torah, in quanto, cercando in essa con accuratezza sotto le foglie si può trovare qualche frutto buono.
C’è anche il pensiero che l’evangelista Giovanni in quell’episodio del fico volesse ricordare profezie che a Natanaele erano venute alla mente quando Filippo gli parlò di Gesù di Nazaret.
Alla parola Nazaret, infatti, Natanaele prima fece la sua considerazione sarcastica “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?”, poi avrebbe accostato quel nome a natzer ossia “virgulto” che lo avrebbe portato al “germoglio” di Isaia 11,1 “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”, quindi, alla profezia di Zaccaria in 3,8.10 “manderò il mio servo Germoglio. …In quel giorno – oracolo del Signore degli eserciti ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico.”
Ciò reca all’annuncio della fine dei tempi quando in una festa di Sukkot per la tradizione sarebbe venuto Messia.
Secondo Zaccaria 14,16-19, accadrà che “… i superstiti, fra tutte le nazioni che avranno combattuto contro Gerusalemme, vi andranno ogni anno per adorare il re, il Signore degli eserciti, e per celebrare la festa delle Capanne . Se qualcuna delle famiglie della terra non andrà a Gerusalemme per adorare il re, il Signore degli eserciti, su di essa non ci sarà pioggia. Se la famiglia d’Egitto non salirà e non vorrà venire, sarà colpita dalla stessa pena che il Signore infliggerà alle nazioni che non saranno salite a celebrare la festa delle Capanne. Questo sarà il castigo per l’Egitto e per tutte le nazioni che non saranno salite a celebrare la festa delle Capanne”, quindi, Sukkot sarà festa universale nell’era messianica e tutte le nazioni verranno in pellegrinaggio a Gerusalemme per la Festa per avere garanzia della pioggia.
Natanaele stava celebrando il tempo di Sukkot in cui, in ricordo dei tempi dell’uscita dall’Egitto, simbolo di ogni tipo di schiavitù, l’ebreo dimora per 7 giorni in una capanna in genere coperta di rami di fico o di palma e l’usanza vuole che spiritualmente ogni sera ceni, meditando, con un ospite e l’ultima lo fa idealmente col Messia.
Natanaele, perciò, era aperto all’attesa dei tempi messianici, e quale “…Israelita in cui non c’è falsità”, fu pronto a replicare: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”, perché aveva vissuto con intensità quel tempo propizio al riconoscimento del Messia e l’aveva atteso.
Ancora un altro pensiero sul nome “fico” in ebraico in cui una qualche influenza ha per certo anche il radicale di “desiderare, volere, avere brama”, ossia “Uno porta a uscire ” evidentemente per cercare qualcosa che ritiene gli necessiti da cui ‘avvah per “desiderio, appetito, voglia” e il frutto del fico oltre che essere un boccone desiderabile è noto che è spesso stato usato, anche in italiano, per alludere all’organo sessuale femminile e al suo desiderio, per cui ecco che t’enah “indica un gemito ” di desiderio, quindi la ricerca, anticamera della conoscenza ed è noto però nell’ebraismo anche l’atto sessuale, “conoscere una donna” è collegato appunto alla sfera della “conoscenza”.
Quello della ricerca invero pare trasparire anche in Natanaele in base all’elogio che Gesù fa nei suoi confronti, “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”.
Compito primo di un Israelita nel rapporto con Dio è essere attento alla Sua parola il che implica un rapporto stretto con la Sacra Scrittura e ne consegue allora che lo studiare di Natanaele era senza interesse di ricerca di potere, ma solo della Verità assoluta ed esistenziale, quindi, teso al Messia atteso proprio secondo quelle Scritture essendo il Messia il frutto che si nasconde tra le foglie della TeNaK.
Gesù con quel “ti ho visto sotto il fico…” dice in pratica a Natanaele che lo conosce nell’intimo e sa che è proprio un ricercatore di Verità; per contro Natanaele sente subito di essere stato capito, compreso nel profondo e che Gesù è diverso da ogni altro uomo, è il Santo, ed ecco risponde con la verità suggeritagli spontaneamente dallo Spirito Santo: “Tu sei il Figlio di Dio, Tu sei il re d’Israele!”.
Il fico nel Nuovo Testamento
Iniziamo col vedere come viene trattato il tema del “fico” nei Vangeli.
Matteo
Il primo incontro che nel Nuovo Testamento si fa con il termine “fico” è nel discorso della Montagna – capitoli 5, 6 e 7 – del Vangelo di Matteo, quando Gesù dice : “Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete.” (Matteo 7,15-20)
Da tale autorevole dire si rileva che indiscutibilmente uva e fichi sono frutti buoni, e non cattivi o ambigui, quindi, sono diversi dall’albero della conoscenza del bene e del male di cui parla Genesi 2.
Sappiamo che in natura si trovano sia piante di viti, sia di fichi, selvatici e al riguardo questo selvatico abbiamo considerato che è un efficace parallelo per alludere all’opera del demonio nemico dell’uomo e di ciò che serve all’uomo. Eppure l’uomo è come un albero buono se ben preparato dall’ascolto e meditazione della parola del Signore; dice, infatti, il Salmo 1,3 : “È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene” e il profeta Geremia 17,8 conferma “Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore e’ la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti.” L’allegoria è ancora legata alle lettere ebraiche e questa volta alla , mem, la 13° di quell’alfabeto che graficamente sta a significare “acqua, vita, madre” mentre la “parola” è millah come “acqua dal Potente uscita ”.
A questo punto vengono alla mente gli alberi del Gan Eden che vivevano in quel giardino irrigato dalle acque emanate dal Signore e sono appunto la sua “parola” dice Isaia 55,10s “Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.”
E il cerchio si chiude, quei progenitori in quel giardino erano come alberi buoni che erano nutriti dalla “parola” del Signore!
La domanda è cosa intende il Salmo 1,3 con quel “dà frutto a suo tempo”; certamente la risposta è, quando assimilato l’insegnamento l’uomo sarà simile al suo maestro, ossia al Signore stesso che gli parlava in quel giardino, infatti dice Gesù in Luca 6,40 “Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro.”
Eppure, il midrash della “caduta” di Genesi 3 insegna che la prima coppia scelse un altro pedagogo, il serpente e si … inselvatichì.
Si rivestirono di foglie di fico divennero come alberi di fico selvatici, ma sotto le foglie non c’erano frutti buoni.
E’ ora di ricordare la profezia del profeta Ezechiele 47 del risanamento del Mar Morto con l’acqua che fuoriesce dalla destra del Tempio in cui tra l’altro afferma : “Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina.”
Finalmente avviene la sintesi nel libro dell’Apocalisse di San Giovanni22,1-3 in cui, praticamente chiude con “ …mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che dà frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni. E non vi sarà più maledizione.”
Ricordiamoci, allora, questa allegoria: quando finirà la maledizione non vi sarà più una stagione dei frutti, ma in ogni tempo, ogni mese, l’albero buono li darà. Vediamo ora la seconda volta che nel Vangelo di Matteo si riparla di fichi.
Tutto ciò servirà per spiegarci anche quanto verrà detto poi nel Vangelo di Marco.
Occorre andare al capitolo 21 dopo l’ingresso messianico a Gerusalemme in cui viene raccontato che “La mattina dopo, mentre rientrava in città, ebbe fame. Vedendo un albero di fichi lungo la strada, gli si avvicinò, ma non vi trovò altro che foglie, e gli disse: Mai più in eterno nasca un frutto da te! E subito il fico seccò. Vedendo ciò i discepoli rimasero stupiti e dissero: Come mai l’albero di fichi è seccato in un istante?” (Matteo 21,18-20)
Era prima della Pasqua all’inizio della primavera e certamente non era il tempo dei fichi, nemmeno dei fioroni, e Gesù lo sapeva, ma fece egualmente quel segno che evidentemente era un segno profetico.
Si trova ancora: “ Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete tutte queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il Figlio, ma solo il Padre.” (Matteo 24,32-36)
Era primavera e il ramo di fico era divenuto tenero ma non era ancora avvenuta la reintegrazione dell’uomo e della natura allo stato primigenio, quello di prima del peccato dell’uomo che ha alterato la creazione; mancava, infatti. ancora il compimento definitivo del disegno di salvezza di Dio che passava attraverso gli eventi pasquali del Cristo.
Ecco comunque che è da ringraziare il Signore che come ha fatto quella volta in Matteo 21,18-20 col fico, non seccò l’uomo che aveva peccato e s’era coperto di foglie senza frutti, ma gli fece il dono del tempo per coltivarlo e farlo riprendere come poi vedremo nel Vangelo di Luca.
Gesù, dice quel racconto, “ebbe fame” e “aver fame” in ebraico ha per radicale in cui appare come “un male dentro ” per cui l’aver fame evoca rinnova in Gesù la costatazione che sussiste il male nel mondo e conferma con quel segno il voler portare a termine la propria missione, quella di vincere il male ed ecco maledisse il fico, come del resto nel giardino terrestre era stato maledetto il male, ossia il “cattivo”.
Marco
Al capitolo 11 del Vangelo di Marco nei seguenti termini si trova il parallelo all’episodio del fico seccato di Matteo 21,18-20.
In Marco 11,12-14 viene, infatti, raccontato che Gesù : “La mattina seguente – all’ingresso trionfale in Gerusalemme accadde che – mentre uscivano da Betania, ebbe fame. Avendo visto da lontano un albero di fichi che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se per caso vi trovasse qualcosa ma, quando vi giunse vicino, non trovò altro che foglie. Non era infatti la stagione dei fichi. Rivolto all’albero, disse: Nessuno mai più in eterno mangi i tuoi frutti! E i suoi discepoli l’udirono.” (Marco 11,12-14)
L’osservazione che vi si trova “Non era infatti la stagione dei fichi”, che in effetti vorrebbe essere un chiarimento, in pratica per molti è risultata una stranezza … ma cosa pretendeva? … e allora perché lo seccò?
La chiave di volta del discorso qui come in Matteo è che Gesù “ebbe fame” ossia dopo quel fatto che l’invocarono come Messia gli si era riproposto in modo pressante lo scopo della Sua missione, infatti, ecco che, come aveva riportato il Vangelo di Matteo maledisse quel fico.
Del resto la profezia di Isaia 49,8-10 diceva del Messia: “Ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo , per far risorgere la terra, per farti rioccupare l’eredità devastata, per dire ai prigionieri: Uscite, e a quelli che sono nelle tenebre: Venite fuori. Essi pascoleranno lungo tutte le strade, e su ogni altura troveranno pascoli. Non avranno né fame né sete e non li colpirà né l’arsura né il sole, perché colui che ha misericordia di loro li guiderà, li condurrà alle sorgenti d’acqua.”
A questo punto ecco che il Vangelo di Marco inserisce l’episodio di Gesù che caccia i venditori dal Tempio e nasce evidente il parallelo tra l’albero del fico, ricco di foglie, ma privo di frutti in quel momento col culto, solo esteriore in quel momento del Tempio che poi tra qualche anno sarà distrutto quasi a sancirne l’ormai completa inutilità.
Subito dopo questo episodio ecco che il Vangelo di Marco 11,20-22 precisa : “La mattina seguente, passando, videro l’albero di fichi seccato fin dalle radici. Pietro si ricordò e gli disse : Maestro, guarda: l’albero di fichi che hai maledetto è seccato. Rispose loro Gesù: Abbiate fede in Dio!”
L’aver fame di Gesù nei Vangeli, peraltro, si presenta solo in due occasioni:
– nell’episodio delle Tentazioni dopo il battesimo al Giordano e i 40 giorni di digiuno Matteo 4,1.2 // Luca 4,1.2 “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame .”
– nell’episodio del fico seccatosi, di cui ho detto, come si legge in Matteo 21,18 e in Marco 11,12.
Quindi, come nell’episodio delle tentazioni. “il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Luca 4,13), ossia il momento della croce quando gli diranno, ovviamente sobillati dal demonio in quanto usano lo stesso suo modo di dire “Se tu sei Figlio di Dio”, infatti riporta Matteo 27,39s “… quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce” per cui Gesù, che sa bene che dopo l’acclamazione messianica gli si prepara quel momento.
Come ho accennato, sente vicino il momento culminante della sua missione che aveva iniziato dopo il battesimo al Giordano e “ha fame”!
Del resto nel “discorso della montagna” tra l’altro aveva proclamato in Matteo 5,6: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati” e la Sua è vera fame di giustizia che, essendo Dio, non è mai disgiunta dalla misericordia.
Giovanni
Nel Vangelo di Giovanni del fico si parla solo nell’episodio in 1,43- 51, di cui già ho detto, quello dell’incontro di Gesù con Natanaele.
La quercia
Il signore apparve ad Abramo alle querce di mamre. La quercia, nella Bibbia, e uno degli alberi che indica la del luogo e rimanda ad eventi particolarmente significativi per il popolo d’israele. Basti pensare a Giacobbe che primo sotto una quercia presso sichem sotterro tutti gli dei stranieri che possedeva la sua famiglia e quanti erano con lui: Un gesto rituale di purificazione e di deciso rifiuto dell’idolatria( Genesi 35, 2).
Ancora Debora, la nutrice di Rebecca, viene sepolta ai piedi di una quercia, che perciò si chiamò quercia del pianto( Genesi 35,8)
Nelle immediate vicinanze di quest’albero dalla chioma folta e rigogliosa spesso venivano piantate le tende per ripararsi dalla calura. Sembra che il vissuto più intimo dell’uomo debba essere custodito all’ombra di una quercia: L’intrecciarsi degli affetti, tra fatiche gioie, il desiderio di Dio, l’ansia di essere fedele alla sua legge. Non stupisce dunque che Dio appaia ad Abramo presso le querce di mamre.
La Ginestra
La ginestra (Spartium junceum), questo arbusto, alto tra i due metri e mezzo e i tre, diritto, dai giovani rami giunchiformi flessibili, ha fiori odorosi di un bel giallo oro, che si aprono in grappoli terminali.
E’ possibile che per gli antichi ebrei la parola “Ginestra” designasse il ginepro e forse, in modo particolare, lo Juniperus oxycedrus, della famiglia delle conifere. I poveri ne mangiavano le radici amare: “Raccolgono l’erba salsa accanto ai cespugli e radici di ginestra per loro cibo” (Gb. 30,4). La ginestra è citata come luogo di riposo; seguiamo Elia sfinito nel deserto: “Egli si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra” (1Re 19,4).
Il Lino
Il Lino (Linum usitatissimum), questa pianta erbacea, dai bei fiori blu, è coltivata per i suoi semi e le sue fibre, utilizzate per la fabbricazione di tele.
Mosè comunica alla comunità gli ordini del Signore per quando riguarda le vesti: “Fecero le tuniche di bisso, lavoro di tessitore, per Aronne e per i suoi figli; il turbante di bisso, gli ornamenti dei berretti di bisso e i calzoni di lino di bisso ritorto; la cintura di bisso ritorto… come il Signore aveva ordinato…” (Es. 39,27-29).
Ezechiele riprende questa prescrizione per i sacerdoti: “Quando entreranno dalle porte dell’atrio interno, indosseranno vesti di lino; non porteranno alcun indumento di lana… Porteranno in capo turbanti di lino e avranno mutande ai fianchi” (Ez. 44,17-18).
Il libro di Ester ci ricorda che il palazzo del re Assuero era decorato di questo tessuto nobile: “Vi erano cortine di lino fine e di porpora viola, sospese con cordoni di bisso e di porpora rossa…” (Est. 1,6).
L’evangelista Giovanni mette in evidenza il lino per festeggiare le nozze dell’Agnello, che sono simbolo del Regno celeste: “La sua sposa è pronta, le hanno dato una veste di lino puro splendente. La veste di lino sono le opere dei santi” (Ap. 19,7-8)
Nella sacra Scrittura le Querce di More sono nominate anche come segno di benedizione: “Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel paese che vai a prendere in possesso, tu porrai la benedizione sul monte Garizim e la maledizione sul monte Ebal. Questi monti si trovano oltre il Giordano, dietro la vie verso occidente, nel paese dei cananei che abitano l’Araba di fronte a Galgala presso la Querce di More. Voi infatti state per passare il giordano per prendere in possesso il paese che il Signore vostro Dio vi dà” Dt. 11,29-31).
GIOVANNI PAOLO II: L’ULTIMA GRAZIA AL PAPA DEL ROSARIO LUMINOSO
Il Salice
Il Salice (Salix) si presenta in numerose e diverse specie di alberi e arbusti. In occasione della festa delle Capanne, il Signore si rivolge a Mosè: “Il primo giorno prenderete frutti degli alberi migliori: rami di palma, rami con diverse foglie e salici di torrente e gioirete davanti al Signore vostro Dio per sette giorni” (Lv. 23,40).
Il salice è segno di benedizione: “Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri; cresceranno come erba in mezzo all’acqua, come salici lungo acque correnti” (Is. 44,3-4).
Il Sicomoro
Il Sicomoro (Sycomorus); un tempo, in Egitto, questo albero molto alto ,cresce fino all’altezza di 20 metri e raggiunge i 6metri di larghezzaera era coltivato per il suo legno e i suoi frutti. Si credeva che, fra tutti, fosse il più difficilmente sradicabile. I suoi frutti servivano soprattutto per l’alimentazione del bestiame. Il legno di sicomoro è tenero ma resistente, adatto a farne statue e mobili. Gli egiziani se ne servivano per i sarcofagi delle mummie.
In Israele quest’albero cresceva soltanto nella pianura della Sefela e nella depressione del Giordano: “Salomone fece sì che in Gerusalemme l’argento abbondasse come le pietre e rese il legname di cedro tanto comune quanto i sicomori che crescono nella Sefela” (1Re 10.27).
Nella civiltà ebraica il sicomoro era noto e apprezzato.nel libro di Amos,redatto ai tempi del Regno di Giudaattorno al 775-750 a.C.Il profeta omonimoasserisce di essere stato,prima di dedicarsi alla missione profetica,un pastoree raccoglitore di sicomori:Il che testimoniache in quell’epocal’albero era già presente in Palestinaè utilizzato dall’uomo.inoltreuna leggenda riferita peròal nuovo testamento,racconta che Giuda iscariota,il traditore di Gesù,si sia impiccato su un albero di sicomoro.
Un sicomoro era l’albero sul quale salì Zaccheo per dominare la folla e vedere Gesù (Lc. 19,2-4). L’omaggio fatto dalla civiltà ebraica e cristiana al sicomoro, avendolo scelto come pianta degna di elevazione (capace di dare altezza e visione al piccolo Zaccheo che, proprio attraverso la sua grandezza ha potuto vedere e farsi vedere da Gesù), significa che a quest’albero viene attribuita la forza e il potere della congiunzione tra il terreno ed il divino. Sicomoro,quindi come albero della vita è allo stesso tempo anche viatico della morte:Albero di speranza e di risurrezione, come è successo a Zaccheo, che tramite il sicomoro ha incontrato la salvezza, ma anche albero della buona morte, che accogliendo nel suo ventre ligneo l’uomo nell’ultimo suo viaggio, lo accompagna fiducioso e pieno di speranza. Albero con poteri soprannaturali, quindi sacro : con poteri di salvezza in vita e di viatico per l’ aldilà.
Il Mandorlo
Il Mandorlo (Amygdalus communis), in ebraico “shaked”. La radice della parola significa “vegliare”. I suoi fiori, dai petali bianchi o rosei, compaiono prima delle foglie e sembrano uscire dal sonno dell’inverno. La loro comparsa nel mese di febbraio annuncia la rinascita della natura.
Il Signore stesso vi allude nel passo seguente: “Che cosa vedi, Geremia?”. Risposi: “Vedo un ramo di mandorlo”. Il Signore soggiunse: “Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla” (Ger. 1,11).
Il mandorlo accompagna l’uomo nel suo cammino verso l’eternità: “Quando si avrà paura delle alture e degli spauracchi della strada; quando fiorirà il mandorlo e la locusta si trascinerà a stento e il cappero non avrà più effetto, poiché l’uomo sene va nella dimora eterna” (Qo. 12,5).
Il mandorlo è citato nel Genesi come uno dei migliori prodotti del paese: “Israele loro padre disse: “Se è così, fate pure: mettete nei vostri bagagli i prodotti più scelti del paese e portateli in dono a quell’uomo: un po’ di balsamo, un po’ di miele, resina e laudano, pistacchi e mandorle” (Gn. 43,11).
A Luz, che in ebraico significa “mandorla”, Giacobbe vide in sogno il Signore a questo luogo gli parve sacro e ad esso egli diede il nome di Betel o Casa di Dio (Gn. 28,17-19).
Nella tradizione, il mandorlo e la mandorla sono stati messi in relazione con Maria. Nell’iconografia tradizionale, l’immagine del Cristo, della Vergine e a volte dei santi in gloria eterna si iscrive in una figura geometrica a forma di mandorla.
Il Melograno
Il Melograno (Punica granatum), questo albero si orna di fiori raggruppati in piccolo numero verso l’estremità dei rami. Era utilizzato per le sue proprietà terapeutiche. Il suo frutto, una grossa bacca sferica chiamata melagrana, racchiude un gran numero di grani che riempiono completamente l’interno.
Nella Bibbia le melagrane ornavano gli enormi capitelli di bronzo che sormontavano le colonne all’entrata del Tempio di Salomone: “Chiram… terminò tutte le commissioni del re Salomone per il Tempio del Signore,… i due reticolati per coprire i due globi dei capitelli che erano sopra le colonne, le quattrocento melagrane sui due reticolati, due file di melagrane per ciascun reticolato…” (1Re 7,40-42).
In rapimento poetico, lo sposo canta le bellezze dell’amata: “Come un nastro di porpora le tue labbra e la tua bocca è soffusa di grazia; come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il tuo velo” (Ct. 4,3).
Per il gran numero dei suoi chicchi, i Padri della Chiesa hanno fatto della melagrana un simbolo di fecondità.
L’Olivo
L’Olivo (Olea europaea). L’olivo è un albero che può raggiungere i sedici metri di altezza e vivere cinque o sei secoli e anche più. Il suo legno giallognolo è molto duro. Dalle sue foglie medicamentose è stato ricavato un estratto efficace contro la febbre, l’ipertensione e il diabete. Il suo frutto, l’oliva, contiene olio, il solo che venga “Olivo verde, maestoso, era il nome che il Signore ti aveva imposto” (Gr. 11,16), impiegato nel culto.
La presenza dell’olivo è ritenuta segno di benedizione: “… Il Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile,… paese di frumento , di orzo, di olio e di miele… Mangerai dunque a sazietà e benedirai il Signore Dio tuo a causa dal paese fertile che ti avrà dato” (Dt. 8.7-8.10).
“La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa. Così sarà benedetto l’uomo Che teme il Signore” (Ps. 127.3-4).
L’olio d’oliva è sorgente di luce: “Tu ordinerai agli israeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per il candelabro, per tener sempre accesa una lampada. Nella Testimonianza, Aronne e i suoi figli la prepareranno, perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore” (Es. 27,20-21).
E’ l’olio santo: “Procurati balsami pregiati… e olio di oliva. Ne farai l’olio per l’unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte delle profumerie: sarà l’olio per l’unzione sacra. Con esso ungerai la tenda del convegno, l’Arca della Testimonianza, la tavola e tutti i suoi accessori, l’altare del profumo, l’altare degli olocausti e tutti i suoi accessori, la conca e il suo piedistallo” (Es. 30,22.25-28).
Le tradizioni giudaica e cristiana fanno dell’olivo un simbolo di pace: alla fine del diluvio, la colomba porta a Noè proprio un ramo di olivo.
Il Pioppo
Il Pioppo(Populus alba) è un albero dalla corteccia argentata; i suoi rami più giovani sono bianchi.
La Bibbia vi allude presentando Giacobbe avveduto nella gestione dei suoi beni:
“Giacobbe pascolava l’altro bestiame di Labano. Giacobbe prese freschi rami di pioppo, di mandorlo e di platano, ne intagliò la corteccia a strisce bianche, mettendo a nudo il bianco dei rami… Egli si arricchì oltre misura e possedette greggi in grande quantità…” (Gn. 30,36-37.43).
Dopo la propria conversione, Israele ricevette la benedizione del Signore: “Io sarò come rugiada per Israele; esso fiorirà come un giglio, metterà radici come un pioppo, si spanderanno i suoi germogli…” (Os. 14,6-7).
Il Grano, l’Orzo e altri Cereali
Nel brano del Deuteronomio, che enumera le attrattive della Terra Promessa (Dt. 8,7-8) al primo posto troviamo l’acqua, il bene più indispensabile; seguono “sette piante”, di cui le prime sono cereali, cioè grano ed orzo, le altre cinque alberi da frutto, (vite, olivo, fico, melograno, palma da datteri).
Col nome cereali (che deriva da Cerere, la dea romana delle messi) si indica convenzionalmente un gruppo di dieci piante che hanno un ruolo fondamentale nell’alimentazione dell’uomo e degli animali: riso, mais, frumento, orzo, avena, segale, miglio, panico, sorgo, grano saraceno. Le prime nove appartengono alla famiglia delle Graminaceae, l’ultima alle Poligonaceae.
La storia dei cereali si identifica con la più remota storia dell’uomo, col suo passaggio da cacciatore o pescatore nomade ad agricoltore stabile: un’evoluzione basata su due elementi fondamentali, l’osservazione di piante con semi commestibili (e riproducibili) e l’invenzione dell’aratro. Le diverse condizioni climatiche hanno fatto prevalere l’una o l’altra specie, ma questi eventi si verificarono in modo analogo in varie parti del mondo, sempre iniziando nelle regioni dove il terreno era più fertile per la presenza dei “grandi fiumi”: la Mesopotamia, la valle del Nilo, del Giordano, dell’Indo e del Gange, del fiume Giallo.
In varie zone della Siria, dell’Anatolia e della Mesopotamia sono stati ritrovati grani di cereali risalenti a circa 8000 anni a. C.. Il mito di Cerere risale a quello della dea greca Demetra; questa e l’egiziana Iside, quasi certamente sono a loro volta collegate al culto di Cibele, l’antica “dea madre” delle popolazioni dell’Asia Minore.
La Bibbia in moltissime occasioni parla di cereali o loro derivati (farina, focacce, pane), riferendosi ovviamente, a quelli coltivati fin dai tempi antichi in Israele, Egitto, Mesopotamia.
Le piante sono quattro, o forse cinque specie. La corrispondenza dell’antico nome ebraico con il nome botanico in qualche caso è sicura, in altri dubbia.
Il Miglio (Panicum miliaceum) e Panico (Panicum italicum) sono due specie biologicamente vicine e nelle citazioni antiche possono essere indicate con lo stesso nome “Dohan” (anche se il miglio è più probabile). Queste Graminacee originarie dell’Asia centromeridionale sono state forse uno dei primi “grani” utilizzati dall’uomo: la loro coltivazione richiede pochissime cure, quindi è adatta a popolazioni primitive e seminomadi.
Il Sorgo (Sorgum durra e specie affini) è una pianta con grosse pannocchie, di origine africana (dove è tuttora molto diffusa), anche questa di facile coltivazione: in ebraico è “durah” e non risulta sicuramente nella Bibbia, ma potrebbe essere un’alternativa di “dohan”.
L’Orzo (Hordeum vulgare) corrisponde sicuramente all’ebraico “sa ‘arah”. Ha spighe abbastanza simili a quelle del grano; in confronto a questo, ha molto minori esigenze climatiche, tanto che si coltiva dalla Scandinavia all’Equatore. Era noto fin dai tempi antichissimi sia in Cina che nell’area Mesopotamica; ne fecero largo uso gli Assiri e Babilonesi, Ebrei, Greci e Romani, da solo o misto con altri cereali.
Il Frumento (il Grano per eccellenza) dal punto di vista botanico appartiene al genere Triticum: un genere che comprende numerose specie, attualmente classificate su base citologica (cioè dal numero dei cromosomi) in tre grandi gruppi, dai quali derivano tutte le qualità coltivate. Oggi in tutto il mondo si coltiva prevalentemente il Triticum vulgare o sativum, cioè il grano tenero per farina da pane; ma un tempo erano assai più diffusi il Triticum durum (grano duro), il Triticum monococcum o farro piccolo, il Triticum dicoccum o grande farro, il Triticum spelta o spelta ed altre specie asiatiche ed africane oggi scomparse. In genere, l’ebraico “hittah” viene tradotto come grano; “kusemet” come farro o spelta.
I testi biblici si riferiscono talvolta ad un solo cereale, più spesso ad un gruppo di essi. Per esempio, la ricca agricoltura egiziana è descritta con precisione a proposito di una delle “piaghe d’Egitto” inviate per punire il Faraone: “fece piovere grandine su tutto il paese… il lino e l’orzo furono colpiti, perché l’orzo era in spiga e il lino era in fiore, ma il grano e la spelta non erano stati colpiti, perché tardivi…” (Es. 9,25-31).
L’importanza dell’orzo nel territorio della Giudea risulta evidente nella storia di Rut, un piccolo libro ambientato all’epoca dei Giudici, che ancor oggi nella tradizione ebraica si
legge nella festa “delle settimane” o “della mietitura”.
Noemi, una donna di Betlemme, era emigrata nella terra di Moab con il marito e due figli, che sposano donne moabite; gli uomini della famiglia muoiono e Noemi decide di tornare alla sua terra. Una delle sue nuore, Rut, la segue affermando: “dove vai tu andrò anch’io, dove ti fermerai mi fermerò; il tuo popolo sarà il miopopolo e il tuo Dio sarà il mio Dio…” (Rut 1,16).
Ed esse: “arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mieter l’orzo” (Rut 1,23).
La giovane va a spigolare l’orzo in un campo che appartiene a Booz, un parente della suocera; questi, saputa la sua storia, la protegge ordinando ai suoi servi: “lasciatela spigolare tra i covoni e non le fate affronto, anzi lasciate cadere apposta per lei spighe dai mannelli…” (Rut 2,23-26).
Infine Booz riscatta la terra di Noemi e sposa Rut; dal loro matrimonio nasce un figlio che sarà padre di Jesse, che è padre di Davide. Così Rut la moabita diviene, attraverso Davide, un’antenata del Messia. In tutte le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento è evidente una stretta interdipendenza tra l’uomo e la terra, e di entrambi da Dio: gli alberi da frutto e i cereali – le piante più necessarie alla vita dell’uomo – sono quelle che esprimono più concretamente questo rapporto.
Le principali feste religiose ebraiche accompagnano i ritmi agricoli: la “festa degli azzimi”, cioè la Pasqua, in primavera; quella “della mietitura” o “delle settimane”, a distanza di sette settimane o cinquanta giorni dalla Pasqua (da cui il nome greco “Pentecoste”); quella “del raccolto” o “delle capanne” in autunno. Lo schema di queste celebrazioni viene dettato a Mosè prima della partenza dall’Egitto (Es. 12,8-23, 14-17); il rituale è poi precisato in Deuteronomio (16) e in Levitico (2 e 3).Gesù si serve del tema della “semina” e del raccolto in due importanti parabole: quella del “seminatore”, in cui la Parola di Dio è paragonata ad un seme che può cadere in un luogo sassoso o tra spine o in un terreno buono (Mt. 13,3-8; Mc. 4,3-8; Lc. 8,5-8) e quella della “zizzania” seminata dal nemico (il diavolo) insieme con il seme buono (Mt.13,24-30).
Ma i significati simbolici e trascendenti sono collegati soprattutto al principale prodotto del grano (o di altri cereali): il pane.
IL PANE DA ABRAMO A GESU’
Il pane ha un posto importante in tutta la tradizione ebraica e cristiana. Ancora oggi, gli Ebrei prima di mangiare recitano la benedizione: “Benedetto sei tu, Signore, che fai uscire il pane dalla terra”; e i cristiani pregano, secondo l’insegnamento di Gesù: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Nelle Scritture i vari significati del pane (concreto, simbolico, trascendente) si alternano e talvolta si sovrappongono.
In Genesi leggiamo che: “Melchisedec, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram…” (Gn. 14,17-18). In questa emblematica figura del re-sacerdote dal nome cananeo molti hanno voluto vedere un’anticipazione del Messia e del sacrificio Eucaristico.
Poco dopo, sempre in Genesi, assistiamo a una scenetta familiare: ad Abramo, presso le Querce di Mambre, si presentano “tre uomini” ed Abramo dice loro: “accomodatevi sotto l’albero e permettete che vada a prendere un boccone di pane… poi andò in fretta nella tenda da Sara e disse: presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce…” (Gn. 18,4-7).
Gli antichi ebrei usavano infatti mangiare pani (o piuttosto focacce) piccoli e rotondi, non lievitati, preparati dalle donne.
Ben diversa la situazione in Egitto, dove fu portato Giuseppe, poi raggiunto dai suoi fratelli. Tra i popoli dei “grandi fiumi”, gli antichi egiziani furono senza dubbio quelli che maggiormente valorizzarono il grano. Il Nilo era il grande protagonista dell’agricoltura: le stagioni venivano denominate, secondo il comportamento del fiume, “inondazione”,“germinazione del seme”, “raccolta del grano”. Fu creato un complesso sistema di irrigazione e fu perfezionato il primitivo aratro. Gli Egiziani furono i primi a fabbricare il pane.
Probabilmente fu accidentale – e ritenuta di origine magica – la scoperta che la pasta inacidita faceva fermentare l’impasto; comunque, quando altri popoli usavano ancora i cereali abbrustoliti o in focacce, gli Egiziani già cuocevano in forno diverse qualità di pane. Scritti e pitture murali ce ne danno testimonianza. Il Faraone era il “signore del grano”; il pane era l’elemento fondamentale dell’economia nazionale e con varie quantità di pane e di birra si pagavano operai, funzionari, sacerdoti. Il pane veniva offerto agli dei e veniva posto nella tomba dei defunti.
Alla lavorazione erano addetti operai specializzati. Quando Giuseppe è messo in prigione, insieme con lui c’è il “capo dei panettieri” che gli racconta di aver sognato: “tre canestri di pane bianco, e nel canestro che stava di sopra ogni sorta di cibi per il Faraone, quali si preparavano dai panettieri…” (Gn. 40,16-17).
Nella predicazione di Gesù il pane – sia concreto che simbolico – ha un posto importantissimo. Il pane per gli affamati. Davide, quando si reca a Moab, chiede al sacerdote Achimelech se ha del pane peDavide, quando si reca a Moab, chiede al sacerdote Achimelech se ha del pane per sfamare i suoi uomini e il sacerdote: “gli diede il pane sacro, perché non c’era altro pane che quello dell’offerta” (I Sam. 21,4-7).
Gesù si riferisce a questo precedente nell’episodio delle “spighe strappate”, narrato nei Vangeli: “passo tra le messi in giorno di sabato e i suoi discepoli ebbero fame, e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano; ciò vedendo, i farisei dissero: ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito… ed Egli rispose: non avete letto quello fece Davide, quando ebbe fame insieme con i suoi compagni, come entrò nella casa di Dio e mangiò il pane dell’offerta che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? Ora io vi dico che qui c’è qualcosa di più grande del tempio; se aveste compreso che cosa significa “misericordia io voglio e non sacrificio”, non avreste condannato individui senza colpa…” (Mt. 12,1-8; Mc. 2,23-28; Lc. 6,1-5).
I VOLTI DELL’ANIMA: il Cristo di Zeffirelli, San Pio e l’autoritratto di Giulia di Barolo
Una prima “moltiplicazione dei pani” viene compiuta dal Signore per mezzo di Eliseo. “Da Baal-Salisa venne un uomo che offrì primizie all’uomo di Dio, venti pani d’orzo e farro che aveva nella bisaccia. Eliseo disse: dallo da mangiare alla gente. Ma colui che serviva disse: come posso mettere questo davanti a cento persone? Quegli rispose: dallo da mangiare alla gente, poiché così dice il Signore; ne mangeranno e ne avanzerà ancora” (II Re 4.42-43).
Gesù compie la moltiplicazione dei pani presso il lago di Tiberiade, dove una grande folla (quattro o cinquemila uomini) lo ha seguito. La scena, pur essendo sostanzialmente uguale (Gesù benedice il pane e i pesci, li fa distribuire e tutti si saziano) è narrata nei Vangeli con qualche variante: in Luca e in Giovanni l’episodio avviene una sola volta, ci sono cinque pani e due pesci ed avanzano dodici ceste di pane; in Matteo e in Marco il miracolo si ripete due volte e in una di queste compare il numero sette per i pani e per gli avanzi. Secondo i commentatori, si tratterebbe di due diverse tradizioni: dodici è il numero delle tribù d’Israele e degli Apostoli, mentre il sette allude alle nazioni di Canaan e ai diaconi ellenistici (Mt. 14,13-21 e 15,32-39; Mc. 6,30.44 e 8,1-9; Lc. 9,10-17; Gv. 6,11-13).
Non di solo pane …
Prima di iniziare la sua predicazione, Gesù si ritira nel deserto e digiuna per quaranta giorni: il diavolo, come prima tentazione gli propone: “se sei il Figlio di Dio, fa che queste pietre diventino pane …”
Gesù lo respinge dicendo: “sta scritto, non di solo pane vivrà l’uomo” (Mt. 4,1-4; Lc. 4,3-4; Mc. 1,12-13). Come molte volte, il messaggio di Gesù si collega alle scritture: in questo caso, al
monito di Mosè al suo popolo: “ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto… ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna che non conoscevi e che i tuoi padri non avevano conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma vive di quanto esce dalla bocca del Signore…” (Dt. 8,2-3).
Il pane di vita.
Dopo aver compiuto la moltiplicazione dei pani ed altri miracoli, Gesù si rivolge alla folla nella sinagoga di Cafarnao ed afferma: “in verità vi dico, non Mosè vi ha dato il pane del cielo, ma il Padre mio vi dà il pane del cielo, quello vero; il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà la vita al mondo… Io sono il pane della vita, io sono il pane vivo disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno…” (Gv. 6,32… 48). E’ il discorso che prelude all’istituzione dell’Eucarestia nell’ultima cena (Mt. 26,26; Mc. 14,22; Lc. 22,19). Anche dopo la morte e risurrezione di Gesù, ad Emmaus, i discepoli lo riconoscono quando a tavola spezza il pane e lo dà a loro (Lc. 24,30).
I LEGUMI
La parola “legumi” comprende varie specie di semi commestibili, ottenuti da piante di quella grande famiglia che si chiama appunto delle “Leguminose”. Le leguminose comprendono migliaia di specie, diffuse in tutto il globo e molto diverse per aspetto e dimensioni: hanno in comune i fiori a forma di farfalla (sono dette anche papillonacee) e i semi contenuti in una capsula apribile in due valve (il legume o baccello).
Le Lenticchie (lens culinaria o lens esculenta) sono i legumi di dimensione più piccola, ma anche quelli con la storia più antica: sono state trovate in giacimenti dell’epoca neolitica presso Gerico, in tombe egiziane del 3000 a. C., nella zona dell’antica Troia. Crescono anche in terreni aridi, ma vogliono clima caldo. Il seme può essere di vario colore; la sua forma biconvessa ha dato il nome alle lenti ottiche. Nella Bibbia la lenticchia (in ebraico “adasah”) èfamosa per l’episodio di Esaù che vende la sua primogenitura.
“Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa: Giacobbe disse: vendimi subito la tua primogenitura. Rispose Esaù: ecco sto morendo, a che mi serve allora la mia primogenitura? Giacobbe allora disse: giuramelo subito. Quegligiurò e vendette la primogenitura a Giacobbe” (Gn. 25,29-34).
I Ceci (Cicer arietinum) sono anch’essi di antica origine asiatico-mediterranea: le virtù energetiche di questo legume erano molto apprezzate, tanto che il latino “cicer” deriva dal greco “Kikis” che significa “forza” e l’appellativo “arietinum” allude all’ariete: il nome ebraico “homis”, simile all’arabo “humus”, può essere riferito a questa pianta: è citato i Isaia 30,24.
Le Fave (Vicia Faba) sono un altro legume molto antico, utilizzato in vario modo nell’alimentazione dei popoli del medio oriente e del mediterraneo. In ebraico è “pol”.
Per rifocillare Davide e i suoi, che avevano patito fame e stanchezza, quando giungono a Macanaim vengono portati loro i cibi fondamentali di quella terra: “grano, orzo, farina, grano arrostito, fave, lenticchie, miele, latte acido e formaggio di pecora e di vacca…” (2° Sam. 27-29).
Al profeta Ezechiele, come annunzio dell’assedio di Gerusalemme viene prescritto di rimanere incatenato e mangiare un pane fatto di: “Grano, orzo, fave, lenticchie, miglio e spelta in quantità razionata” (Ez. 4,9-10).
GLI ORTAGGI
C’è un’occasione in cui il racconto biblico nomina una serie di ortaggi. Quando dopo qualche giorno di cammino nel deserto, il popolo comincia a lamentarsi: “Chi ci potrà dare da mangiare? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell’aglio… ora i nostri occhi non vedono altro che questa manna…” (Nm. 11,4-6).
L’Aglio (Allium sativum), ebraico “sum”; il Porro (Allium porrum), ebraico “hasir” e la Cipolla (Allium cepa), ebraico “basal”, sono stati coltivati fin dai tempi più remoti nel Medio Oriente e in Egitto; particolarmente la cipolla, considerata indispensabile per l’alimentazione degli operai, è presentata spesso in dipinti delle tombe egizie.
IL Melone (Cucumis melo), ebraico “qisu ‘im” e il Cocomero (citrullus vulgaris) ebraico “abattiah” erano molto diffusi in Egitto: è comprensibile che specialmente il secondo, per il suo alto contenuto di acqua, fosse rimpianto nel deserto.
LE ERBE AMARE
Le Erbe Amare in ebraico “maror”,
ritualmente prescritte insieme con l’agnello nella celebrazione della Pasqua, sono molto probabilmente delle CICORIE (Cichorium endivia e Cichorium pumila), forse anche il TARASSACO o dente di leone (Taraxacum officinalis). Erbe aromatiche.
Molte Erbe Aromatiche sono menzionate nella Bibbia.
Una delle più ricche di significato è l’Issopo (Origanum syriacum): una pianticella erbacea con piccoli fiori bianchi, che cresce spontaneamente in terreni aridi e sassosi, ed è sempre stata usata in tutto il Medio Oriente per insaporire i cibi e come digestivo. Il nome ebraico “ezob” e nella tradizione biblica il suo significato principale è quello di purificazione.
Nelle prescrizioni per la Pasqua dettate da Mosè, si legge che il Signore risparmierà dallo sterminio le case segnate dal sangue dell’agnello, spruzzato mediante un fascio d’issopo sull’architrave e sugli stipiti della porta (Es. 12,21-24).
L’issopo è prescritto, insieme ad altri materiali, per la purificazione del lebbroso (Lv. 14,6) e di chi si è contaminato toccando un cadavere (Nm. 19,17). Nel famoso Miserere (Salmo 51) il peccatore invoca: “Purificami con issopo e sarò mondo, lavami e sarò più bianco della neve”.
Il piccolo e pur tanto utile issopo è anche simbolo di umiltà, contrapposto alla grandezza e superbia rappresentata dal cedro. Altre erbe di cui si usavano – e si usano ancora – foglie e semi per aromatizzare i cibi sono il Coriandolo (Coriandum sativum), ebraico “gad” a cui viene paragonata la manna del deserto, la Menta (Mentha longifolia), l’Aneto (Anethum graveolens) e il Cumino (Cuminum cyminum).
Questi ultimi venivano anche seminati nei campi, come ci ricorda Isaia (Is. 28,25). Gesù, nell’invettiva contro scribi e farisei ipocriti, dice: “guai a voi, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino e trascurate le prescrizioni più gravi della legge; la giustizia, la misericordia e la fedeltà…” (Mt.23,23).
Di un’altra pianta aromatica, la Senape (Brassica nigra) si serve Gesù per una delle sue parabole: “Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senape, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto è più grande di tutti i legumi e diventa un arbusto, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano tra i suoi rami” (Mt. 13,31-32; Mc. 4,30-32; Lc. 13,18-19).
SPEZIE E PROFUMI
In tutta la tradizione dell’oriente hanno sempre avuto un posto notevole le spezie e gli aromi per aromatizzare i cibi, per profumare ambienti e persone, per onorare le divinità e i sovrani.
La parola “profumo” deriva letteralmente dal latino “per fumum”, ossia in origine indicava l’odore piacevole del fumo ottenuto bruciando sostanze varie: resine, legni, semi, fiori secchi ecc.. Queste sostanze un tempo erano tanto richieste che alcune di esse viaggiavano fino a luoghi molto lontani dai paesi di origine ed erano considerate preziose come l’oro e le gemme.
L’uso di bruciare aromi – di cui è prototipo l’incenso – nei riti religiosi è antichissimo: si ritrova in India e in Persia, in Siria e in Egitto. Gli egiziani usavano elaborate misture sia per le cerimonie di adorazione a Ra (il dio del Sole) che per l’imbalsamazione delle mummie: in questa però era escluso l’incenso, riservato al culto divino.
Scorrendo i vari passi della Bibbia che citano gli aromi, è possibile leggere il progresso storico dal primitivo uso di sacrifici animali fino all’omaggio dei Re Magi a Gesù Bambino e poi ai turiboli delle nostre chiese. Una prima menzione di resine aromatiche si trova nella suggestiva scena che fa da sfondo alla vendita di Giuseppe da parte dei suoi fratelli: questi, dopo aver gettato Giuseppe in una cisterna: “videro arrivare una carovana di Ismaeliti provenienti da Galaad, con i cammelli carichi di resina, di balsamo e di (in italiano) laudano …” (Gn. 37,25). Qui si tratta di prodotti esistenti nella zona di provenienza dei cammellieri, o poco lontano.
La Resina indica molto probabilmente quella ottenuta dall’Astrogalus gummifer, una delle tante specie di Astragali che abbondano nel Mediterraneo e Medio Oriente. Balsamo si riferisce alla secrezione gommosa della Balanytes egiptica, un arbusto che cresce nelle zone attorno a Gerico e altre pianure calde. Il Laudano che compare nelle nostre Bibbie è certamente il Ladano cioè la resina ottenuta dal Cistus ladamifera. Il genere Cistus (famiglia Cistaceae) comprende varie specie di cespugli, tipici delle zone costiere e collinari dell’Asia Minore e del Mediterraneo, che in primavera si coprono di fiorellini bianche e rosa. Anticamente erano molto apprezzati per la resina contenuta nelle capsule dei semi: questa si estraeva mediante funi e rastrelli di cuoio o addirittura, secondo una curiosa tradizione, dalla barba dei caproni che si facevano passare in mezzo ai cespugli.
Alcuni autori ritengono che la Mirra, (in ebraico “lot”), citata più volte nell’Antico Testamento sia il ladano invece che la mirra tropicale. Più tardi, quando Giuda deve tornare in Egitto da Giuseppe con i suoi fratelli e con Beniamino, il padre consiglia di portare in dono i: “prodotti più scelti del paese: un po’ di balsamo, un po’ di miele, resina e laudano (ladano), pistacchi e mandorle …! (Gn. 43,11). Confermando così l’origine locale di questi prodotti.
La Mirra vera è invece una gommoresina estratta dalla Commyfora abissinica (famiglia Burseraceae), un albero che vive in alcune regioni dell’Africa e dell’America tropicale.
L’Incenso proviene da una pianta della stessa famiglia, la Boswellia carteri o Boswellia sacra, diffusa in Arabia, Somalia, Abissinia: è un cespuglio di media grandezza, da cui si estrae per incisione il vero incenso o Frankincense, che veniva importato in Israele ed in Egitto. In ebraico è indicato con la parola “lebonah”, mentre “kethoreth” significa una miscela di aromi (tra cui l’incenso) usata nell’olio dell’unzione sacerdotale e bruciata nelle offerte rituali.
Di queste preparazioni viene data la ricetta precisa per l’olio dell’unzione: “mirra vergine per il peso di cinquecento sicli, cinnamoro odorifero duecentocinquanta sicli, canna odorifera duecentocinquanta, cassia cinquecento sicli e un hin di olio di oliva”; per il profumo da bruciare: “storace, onice, galbano come balsami e incenso puro, tutto in parti uguali” (Es. 30,23-25; 34-35). Anche ad Aronne viene prescritto di bruciare incenso nel sacrificio di espiazione (Lv. 16,12-13).
Tra le piante aromatiche prescritte, oltre all’incenso, per gli antichi rituali alcune sono originarie dell’Asia Minore e Mediterraneo: lo Storace, resina odorosa dello Sturax officinalis, famiglia Storacaceae e il Galbano, estratto dalla Ferula galbanifera, famiglia Ombrellifere.Il Cinnamomo odorifero e la Cassia provengono invece da lontano.
Il primo è la Cannella (Cinnamomum zeylanicum, famiglia Lauraceae), in ebraico “kinamom”; è la corteccia di un albero che cresce a Ceylon e nello Shri –Lanka ed era una delle spezie più pregiate.
La Cassia (Cinnamomum cassia) ebraico “qiddah”, viene da un albero della stessa famiglia, più grande ma meno prezioso, che vive in India e in Indocina. Alla stessa famigli di queste due specie appartiene l’albero della canfora (Cinnamomum canfora).
La Canna Odorosa Calamo aromatico ( Acorus calamus, famiglia Araceae). L’Onice è invece “Onica” o Unghia odorosa: una conchiglia a forma di unghia, che emana profumo quando si aprono le valve.
Altre essenze odorose che sono l’Aloe (Aloe vera), una pianta della famiglia delle Liliaceae che cresce nei climi caldi; il Nardo, in ebraico “nerd” estratto dal Nardostachis jatamansis che cresce sulle montagne dell’India; lo Zafferano (Crocus sativum) ebraico ”habaselet” indigeno dell’Asia Minore.
L’uso di tutti questi profumi non è riservato soltanto alle cerimonie sacre. Un gruppo di essi compare nel Salmo 45: forse un inno per un matrimonio regale (Salomone? Acab?), interpretato da taluni in chiave messianica: “… il tuo Dio ti ha consacrato, con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali, le tue vesti sono tutte mirra, aloe e cassia, dai palazzi d’avorio ti allietano le cetre …” (Ps. 45,8-9).
Tutti gli aromi più preziosi sono compresi nella bellissima dichiarazione d’amore del Cantico dei cantici:
“Giardino chiuse tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata. I tuoi germogli sono un giardino di melagrane, con i frutti più squisiti, alberi di cifro con nardo, nardo e zafferano, cannella e cinnamomo con ogni specie d’alberi da incenso; mirra e aloe con tutti i migliori aromi” (Ct. 4,12-14).
Segno di onore per il Re dei Giudei sono i doni portati dai Magi: “aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra” (Mt. 2,11). I Padri della Chiesa li interpretarono come simboli della regalità, della divinità e della passione di Cristo.
L’uso di unguenti profumati vigeva ancora al tempo di Gesù, come testimonianza l’episodio dell’unzione di Betania: “Maria allora, prese una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse: Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri? Questo egli disse non perché gl’importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: Lascia fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me. “ (Gv. 12,1-8; Mt. 26,6-16; Mc. 14,3-9).
Dopo la morte di Gesù, i suoi vollero, secondo l’usanza, imbalsamare il suo corpo. I Vangeli narrano l’episodio con qualche variante: secondo Marco: “passato il Sabato, Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per imbalsamare Gesù (Mc. 16,1) e lo stesso in Luca: “le donne prepararono aromi e oli profumati … il primo giorno dopo il Sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba portando gli aromi che avevano preparato …” (Lc. 24,1).
Secondo Giovanni, invece, il compito pietoso fu svolto da due uomini: Giuseppe d’Arimatea (che anche negli altri testi porta via il corpo di Gesù) e Nicodemo, che: “portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com’è usanza seppellire per i Giudei” (Gv. 19,39-40).
Paola Persichetti
Paola Persichetti, oltre ad essere leader del comitato spontaneo La Gente come Noi nella lotta contro l’imposizione di Green pass e Vaccini obbligatori, è Laureata in Lingue e Letterature Straniere, inglese, francese, lingua e Cultura ebraica, all’Università di Perugia con 110/110, bacio accademico e menzione d’onore. Corso di storia e del Cristianesimo antico, università Perugia. Master universitario in fonti, storia, istituzioni e norme del Cristianesimo ed Ebraismo.