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SARS-COV-2 UCCIDE COME VELENO DI SERPENTE: VACCINI INEFFICACI. Rivoluzionari Studi su Letali Tossine nei Batteri Intestinali. Lì si cela Long-Covid

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Le clamorose ricerche di scienziati italiani confermate dagli USA
Il virus è batteriofago e si nasconde nella flora batterica intestinale
Da lì provoca disturbi duraturi anche dopo la guarigione da Covid-19
Può essere eliminato con gli antibiotici. “Insufficienti” i vaccini attuali

di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

«Questa è anche l’arma biologica definitiva, perché è qualcosa di cui si può dare la colpa agli animali. L’hanno preso da un serpente, l’hanno aumentato con il Guadagno di Funzione, lo hanno reso diffusibile o forse lo hanno diffuso loro stessi e poi lo hanno diagnosticato con un nome diverso».

Al momento prendiamo per buona solo questa frase pronunciata dal dottor Bryan Ardis in una lunga intervista concessa a Mike Adams su Brighteon.Tv che sta diventando virale come ogni teoria ricca di suggestioni complottistiche.

Non entriamo nel merito delle innumerevoli tesi espresse in quanto richiederebbe giorni dirimere le questioni scientificamente accreditate da quelle invece frutto di analogiche supposizioni da confermare, per quanto verosimili e ben argomentate (link fondo pagina).

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Citiamo Ardis anche se non ha la minima competenza in campo virologico in quanto è un chiropratico e pertanto opera con una medicina alternativa che è al momento ancora inquadrata come una pseudoscienza (sebbene con ogni probabilità erroneamente…).

Ne parliamo perché la sua tesi collima perfettamente con una rivelazione fatta dal famoso scrittore Massimo Citro della Riva, medico chirurgo sospeso dall’Ordine per il rifiuto del vaccino antiCovid.

«Il SARS-COV-2 è un mostro. C’è anche veleno di serpente… Per quanto il mainstream si sforzi di occultare la verità, le evidenze che provano l’origine artificiale del virus sono oramai troppe. Sarebbe poi il caso che la magistratura iniziasse ad indagare seriamente per punire quelli che hanno grossolanamente sbagliato i protocolli terapeutici» (link fondo pagina).

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Ormai anche il professor Giorgio Palù, presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, pur con qualche depistaggio sulla “manina-killer”, ha accreditato la tesi della costruzione ingegnerizzata in laboratorio dell’agente patogeno della pandemia nella sua veste di virologo di fama internazionale. E’ infatti docente emerito dell’Università di Padova, direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dello stesso ateneo dal 2012, professore aggiunto al Department of Neurosciences, Temple University Medical School di Philadelphia (dal 2007) ma è stato anche fondatore della Società Italiana di Virologia e per 7 anni presidente di quella Europea.

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La tecnica Gain of Function (GOF) citata da Ardis è stata menzionata in associazione al SARS-2 (ma anche 1) in quasi tutte le 52 reportages del ciclo WuhanGates, 27 delle quali raccolte nell’omonimo libro sul complotto del Nuovo Ordine Mondiale. Il Guadagno di Funzione è un potenziamento della carica virale con finalità “dual use” vaccino-bioarma, simile all’arricchimento dell’uranio per costruire una testata atomica.

Abbiamo visto in almeno quattro precedenti inchieste WuhanGates (n. 2,3,4,8,9,19,51) gli indizi probatori sull’inserimento di sequenze del micidiale virus HIV nel SARS-Cov-2, utili non solo a modulare la letalità del virus (come sostenuto dal bio-ingegnere Pierre Bricage) per innescare la pandemia e la conseguente dittatura sanitaria del Nuovo Ordine Mondiale, ma anche probabilmente finalizzato alla presunta ricerca di un vaccino antiAIDS di cui Moderna ha di recente avviato la sperimentazione, grazie ai finanziamenti di Bill Gates ed Anthony Fauci, già coinvolti negli esperimenti della stessa Big Pharma con il Pentagono negli USA e in quelli del Wuhan Institute of Virology in Cina.

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Ora vediamo qual è l’interconnessione dell’agente patogeno del Covid-19 con tossine letali come quelle del serpente a sonagli.

Appare pacifico che anche la produzione di queste sostanze assassine possa essere la conseguenza del potenziamento genomico artificiale della carica virale, come sostenuto dal medico dell’Esercito USA Lawrence Sellin, esperto di armi batteriologiche di Fort Detrick, sebbene la recentissima scoperta renda ancora vaga questa nostra congettura.

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LE TOSSINE VELENOSE DEI BATTERI

Perciò il dottor Ardys sa quello dice. Ma non l’avremmo mai citato se le sue complesse affermazioni sul veleno di serpente non fossero confermate direttamente da uno studio americano e indirettamente da altri italiani condotti da ricercatori della Commissione Europea che ridisegnano la natura del SARS-Cov-2.

Le nuove ricerche spiegano con geniale semplicità anche l’aggressività “batteriofaga” che lo rende capace di “divorare” i batteri microbioti, inutilmente produttori di tossine letali per difendere l’organismo, per poi contaminarli fino a renderli complici della diffusione dell’infezione e fino a portarli a nascondersi nella flora intestinale con ciò determinando l’ormai famoso fenomeno del Long-Covid, ovvero le patologie ricorrenti nel tempo dopo la guarigione.

E, di fatto, contribuiscono a demolire le ultime perplessità sull’efficacia degli attuali pericolosi sieri genici sperimentali. 

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Queste due ricerche hanno già avuto risalto su alcuni media ma oggi per la prima volta Gospa News le mette in correlazione confermando sia la letalità velenosa delle tossine sia la pericolosità batterica del SARS-Cov-2 che, è lo scoop scientifico di poche settimane fa (9 marzo 2022), è stato fotografato al microscopio mentre “divora” i batteri.

Il grande regista delle importanti ricerche italiane è un medico chirurgo dentista di Avellino, il dottor Carlo Brogna, che non ha purtroppo accolto nostro invito a un intervista. Gli ultimi studi da lui condotti insieme a differenti medici e scienziati sono stati pubblicati su ResearchGate e Zenodo solo in Preprint e devono ancora essere revisionati. Ma il più importante e basilare di essi è già stato pubblicato sulla Bibbia della Medicina “PubMed” e pertanto ci sentiamo legittimati a diffondere anche gli altri.

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LA SCOPERTA DEL TEAM DEL DOTTOR BROGNA

«Sars Cov 2 è anche un virus batteriofago. Significa che entra nei batteri e replica il suo RNA anche da lì. Abbiamo finalmente l’evidenza scientifica, con tanto di foto del virus mentre colonizza il batterio. Ciò significa che stiamo seguendo procedure da integrare. Per debellarlo ci vuole altro rispetto ai virus classici. Non servono solo le chiusure, serve disinfettare e prevenire. Ed ora c’è il razionale scientifico per cui funzionano gli antibiotici. Avremo bisogno di un vaccino anche contro le tossine che abbiamo trovato e producono i nostri batteri, in maniera molto simile al meccanismo della difterite. I vaccini attuali non saranno sufficienti. Fra un po’ avremo molte più varianti: la variante lombarda, veneta, di Milano e di Roma».

Il dottor Brogna, direttore della società Craniomed fondata nel 2018 a Montemiletto (AV) per studiare le proteine, svelò queste conclusioni alla giornalista Monica Camozzi di Affari Italiani prima di trincerarsi nell’attuale strano riserbo.

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Tra loro ci sono Simone Cristoni dell’ISB – Ion Source & Biotechnologies Srl- Bresso Milano, Marina Piscopo del Dipartimento di Biologia di dell’Università di Napoli Federico, Mauro Petrillo e Maddalena Querci, del Joint Research Centre (JRC) della Commissione Europea presso l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), Ornella Piazza del Dipartimento dei Medicina e Chirurgia dell’Università di Salerno, Guy Van den Eede del JRC a Geel (Belgio) che hanno sviluppato il primo studio “Aumento del carico di RNA SARS-CoV-2 nei campioni fecali richiede un ripensamento della biologia SARS-CoV-2 e COVID-19 epidemiologia” pubblicato su F1000 Research e su PubMed nel maggio 2021 (fonte Ricerca 1).

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La sua “profezia” sull’insufficienza dei vaccini – di fatto una palese inefficacia a fronte degli elevati rischi di reazioni avverse – si è già adempiuta in Italia, dove è già iniziata la somministrazione della quarta dose dei sieri genici a RNA messaggero come negli USA, e nel Regno Unito dove è già partita addirittura la campagna di immunizzazione per le persone fragili con la quinta dose. 

«Di recente sono state riportate prove scientifiche del coinvolgimento del microbiota umano nello sviluppo della malattia COVID-19. È stata osservata la presenza di RNA SARS-CoV-2 in campioni fecali umani e l’attività SARS-CoV-2 nelle feci di pazienti affetti da COVID-19. Partendo da queste osservazioni, è stato sviluppato un disegno sperimentale per coltivare in vitro il microbiota fecale di individui infetti, per monitorare la presenza di SARS-CoV-2 e per raccogliere dati sulla relazione tra batteri fecali e virus».

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Questo in sintesi lo scopo della ricerca che è giunta a risultati eccezionali.

«I nostri risultati indicano che SARS-CoV-2 si replica in vitro nel mezzo di crescita batterico, che la replicazione virale segue la crescita batterica ed è influenzata dalla somministrazione di antibiotici specifici. I peptidi correlati a SARS-CoV-2 sono stati rilevati in colture batteriche di 30 giorni e caratterizzati. Le nostre osservazioni sono compatibili con un comportamento “simile a un batteriofago” di SARS-CoV-2, che, a nostra conoscenza, non è stato osservato o descritto prima. Questi risultati sono inaspettati e suggeriscono una nuova ipotesi sulla biologia del SARS-CoV-2 e sull’epidemiologia del COVID-19. La scoperta di possibili nuove modalità d’azione di SARS-CoV-2 ha implicazioni di vasta portata per la prevenzione e il trattamento della malattia».

LE CONOTOSSINE DEI VELENI ANIMALI

«Sono stati condotti diversi studi per comprendere il meccanismo di infezione e i geni umani coinvolti, le trascrizioni e proteine. Parallelamente, numerosi studi clinici extra- polmonari sono state segnalate manifestazioni che si verificano in concomitanza con la malattia COVID-19 e le prove della loro gravità e persistenza sono in aumento. Se queste manifestazioni sono collegate ad altre disturbi che si verificano in concomitanza con l’infezione da SARS-CoV-2, è sotto discussione. In questo lavoro, riportiamo l’identificazione di peptidi simili a tossine nei pazienti COVID-19 mediante l’applicazione di la cromatografia liquida Ionizzazione chimica attivata dalla superficie – Spettrometria di massa a mobilità ionica nuvola».

E’ quanto viene scritto nell’Abstract dello studio “Peptidi simili a tossine in plasma, urina e campioni fecali di pazienti COVID-19” pubblicato su F1000 Research nel luglio 2021, revisionato nell’ottobre e aggiornato nell’aprile 2022 (fonte Ricerca 2), giunto a conclusioni ancora più esplosive che anticipano analoghe conclusioni di quello americano.

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«Peptidi simili alle tossine, quasi identici ai componenti tossici dei veleni degli animali, come le conotossine, fosfolipasi, fosfodiesterasi, proteinasi del metallo dello zinco e bradichinine sono state identificate in campioni di pazienti COVID-19, ma non nei campioni di controllo» affermano i ricercatori.

«La presenza di peptidi di simil-tossina potrebbero essere potenzialmente collegati all’infezione SARS-CoV-2. La loro presenza suggerisce una possibile associazione tra la malattia COVID-19 e il rilascio nel corpo di (oligo-)peptidi quasi identici ai componenti tossici dei veleni degli animali».

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«Non si può escludere il loro coinvolgimento in un ampio insieme di manifestazioni cliniche extrapolmonari di COVID-19 eterogenee, come quelle neurologiche. Sebbene la presenza di ogni singolo sintomo non sia selettiva della malattia, la loro combinazione potrebbe essere correlata a COVID-19 dalla coesistenza del pannello dei peptidi simili a tossine qui rilevati. La presenza di questi peptidi apre nuovi scenari sull’eziologia dei sintomi clinici del COVID-19 finora osservati, comprese le manifestazioni neurologiche».

“SARS-COV-2 UCCIDE COME I SERPENTI A SONAGLI”

Questo studio assume una rilevanza epocale alla luce di quello condotto nell’Università dell’Arizona e pubblicato nell’agosto 2021 sul sito ufficiale dello stesso ateneo.

Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Investigation, i ricercatori dell’Università dell’Arizona, in collaborazione con la Stony Brook University e la Wake Forest School of Medicine, «hanno analizzato campioni di sangue da due coorti di pazienti COVID-19 e hanno scoperto che la circolazione dell’enzima – fosfolipasi secreta del gruppo A2 IIA, o sPLA2-IIA, – può essere il fattore più importante nel predire quali pazienti con COVID-19 grave alla fine soccomberanno al virus».

«L’enzima sPLA2-IIA, che ha somiglianze con un enzima attivo nel veleno di serpente a sonagli, si trova in basse concentrazioni negli individui sani ed è noto da tempo per svolgere un ruolo fondamentale nella difesa contro le infezioni batteriche, distruggendo le membrane cellulari microbiche» si legge nell’articolo (fonte Ricerca 3).

«Quando l’enzima attivato circola ad alti livelli, ha la capacità di “frantumare” le membrane degli organi vitali» ha affermato Floyd (Ski) Chilton, autore senior dell’articolo e direttore dell’UArizona Precision Nutrition and Wellness Initiative nel College Agricoltura e scienze della vita dell’ateneo.

Floyd Chilton (secondo da sinistra) con il suo team

«È una curva a forma di campana di resistenza alle malattie rispetto alla tolleranza dell’ospite» ha affermato Chilton, membro del BIO5 Institute dell’università.

«In altre parole, questo enzima sta cercando di uccidere il virus, ma a un certo punto viene rilasciato in quantità così elevate che le cose vanno davvero in una cattiva direzione, distruggendo le membrane cellulari del paziente e contribuendo così all’insufficienza e alla morte di più organi».

Insieme agli inibitori sPLA2-IIA disponibili clinicamente testati, «lo studio supporta un nuovo obiettivo terapeutico per ridurre o addirittura prevenire la mortalità da COVID-19», ha affermato il coautore dello studio Maurizio Del Poeta, illustre professore della SUNY presso il Dipartimento di Microbiologia e Immunologia in la Renaissance School of Medicine della Stony Brook University.

LE FOSFOLIPASI KILLER

«In questo studio, siamo stati in grado di identificare i modelli di metaboliti che erano presenti negli individui che hanno ceduto alla malattia”, ha affermato l’autore principale dello studio Justin Snider, assistente professore di ricerca presso il Dipartimento di Nutrizione dell’UArizona. “I metaboliti che sono emersi hanno rivelato una disfunzione dell’energia cellulare e alti livelli dell’enzima sPLA2-IIA. Il primo era previsto ma non il secondoı.

Utilizzando gli stessi metodi di apprendimento automatico, i ricercatori hanno sviluppato un albero decisionale per prevedere la mortalità da COVID-19. La maggior parte degli individui sani ha livelli circolanti dell’enzima sPLA2-IIA che si aggirano intorno a mezzo nanogrammo per millilitro. Secondo lo studio, COVID-19 è stato letale nel 63% dei pazienti con COVID-19 grave e livelli di sPLA2-IIA pari o superiori a 10 nanogrammi per millilitro.

L’articolo pubblicato dal sito ufficiale dell’University of Arizona

«Molti pazienti morti per COVID-19 avevano alcuni dei livelli più alti di questo enzima che siano mai stati segnalati», ha affermato Chilton, che studia l’enzima da oltre tre decenni. Il ruolo dell’enzima sPLA2-IIA è stato oggetto di studio per mezzo secolo ed è «forse il membro più esaminato della famiglia delle fosfolipasi», ha spiegato Chilton in riferimento agli specifici enzimi che idrolizzano i fosfolipidi.

Charles McCall, ricercatore capo dello studio presso la Wake Forest School of Medicine, si riferisce all’enzima come a un “trituratore” per la sua nota prevalenza in gravi eventi di infiammazione, come sepsi batterica, nonché shock emorragico e cardiaco.

Ci è doveroso rilevare che si tratta di problemi analoghi a quelli innescati dai sieri genici a RNA messaggero che veicolano la stessa proteina spike “tossica” del SARS-Cov-2.

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Ricerche precedenti hanno mostrato come l’enzima distrugga le membrane cellulari microbiche nelle infezioni batteriche, così come la sua simile ascendenza genetica con un enzima chiave trovato nel veleno di serpente.

La proteina «condivide un’omologia di alta sequenza con l’enzima attivo nel veleno di serpente a sonagli e, come il veleno che scorre attraverso il corpo, ha la capacità di legarsi ai recettori alle giunzioni neuromuscolari e potenzialmente disabilitare la funzione di questi muscoli», ha detto Chilton. «Circa un terzo delle persone sviluppa un lungo COVID e molti di loro erano individui attivi che ora non possono camminare per 100 iarde», ha detto Chilton.

L’INCUBO DEL LONG-COVID

«La domanda che stiamo indagando ora è: se questo enzima è ancora relativamente alto e attivo, potrebbe essere responsabile di parte deli esiti di LongCOVID che stiamo vedendo?» si chiede il ricercatore americano ponendosi la medesima domanda dei colleghi italiani,

Inoltre, se torniamo a leggere i lavori del team di Brogna, vediamo che proprio le fosfolipasi sono tra state identificate tra i peptidi delle simil-tossine.

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«Anche se basati su una singola osservazione, i nostri risultati suggeriscono che il genoma SARS-CoV-2, o parti di esso, oltre alle sue note interazioni con le cellule eucariotiche, è in grado di replicarsi anche al di fuori del corpo umano, insinuando una possibile modalità d’azione “batteriofagica”» si legge in relazione all’altra ricerca di alcuni dei medici italiani già citati (C. Borgna, Cristoni, Piscopo) con la collaborazione fondamentale di Barbara Brogna, del Dipartimento di Radiologia dell’Ospedale Moscati di Avellino, e di altri colleghi Domenico Rocco Bisaccia, Francesco Lauritano, Marino Giuliano, Luigi Montano e Marina Prisco (fonte Ricerca 4).

«Non è chiaro se il genoma della SARS- CoV-2 possa essere replicato solo dalla sua RNA polimerasi (che corrisponderebbe ad un meccanismo pseudo-lisogeno di batteriofago), o se si verifichi la produzione di veri e propri virus della SARS-CoV-2 all’interno dei batteri (che corrisponderebbe al tipico ciclo litico dei batteriofagi). In ogni caso, secondo le nostre conoscenze, questo è nuovo e mai descritto prima per la SARS-CoV-2».

Immagini TEM di colture batteriche da pazienti positivi a SARS-CoV-2. AC mostra strutture circolari (frecce blu) all’interno delle cellule batteriche (I, II, III, IV). D-G: tecnica di marcatura dell’immunogold sugli stessi campioni con proteina anti-nucleocapside dell’anticorpo SARS-CoV-2 (frecce d’oro); le particelle d’oro sono all’interno dei batteri. Le frecce rosse mostrano la lisi della membrana batterica. In particolare, l’immagine G mostra il lisato della membrana della parete batterica (freccia rossa) e l’anticorpo che si lega alla proteina SARS-CoV-2 N nella cellula (frecce dorate). H: controllo negativo. Da Ricerca pubblicata Open Access su Zenodo (fonte ricerca 4)

Ma due circostanze appaiono certe: «Per completare questa indagine, in questo lavoro sono state analizzate colture di batteri dal microbioma umano e SARS-CoV-2 mediante microscopia elettronica e a fluorescenza. Le immagini presentate in questo documento, in associazione con l’esperimento del mezzo di coltura marcato con isotopo di azoto (15N), mostrano chiaramente che SARS-CoV-2 infetta i batteri nel microbiota intestinale, indicando che SARS-CoV-2 agisce come un batteriofago. I nostri risultati aggiungono nuove conoscenze alla comprensione dei meccanismi dell’infezione da SARS-CoV-2 e colmano le lacune nello studio delle interazioni tra SARS-CoV-2 e cellule non di mammifero. Queste conclusioni potrebbero suggerire nuove soluzioni farmacologiche specifiche a supporto della campagna vaccinale».

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«I nostri risultati confermano il ruolo dei cofattori batterici nella moltiplicazione del coronavirus COVID 19 durante questa nuova epidemia confermata dall’efficacia di alcuni antibiotici precedentemente descritti sulla fase iniziale dell’infezione virale. Resta da determinare se svolga anche un ruolo nella malattia a lungo termine. In questo caso, potremmo considerare il virus come un batteriofago con una fase litica e una lisogenica».

«Il carico di RNA SARS-CoV-2 è stato ridotto a livelli non rilevabili nelle quattro aliquote trattate rispettivamente con metronidazolo, vancomicina, amoxicillina e azitromicina». All’efficacia di essi si aggiunge anche una soluzione di un vaccino orale attenuato. Ma trattandosi di studi preliminari è prematuro menzionarlo (rintracciabile per gli addetti ai lavori nella ricerca n. 1).

SARS NASCOSTO NEL MICROBIOTA INTESTINALE

«In studi precedenti abbiamo dimostrato che la sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2) si replica in vitro nel mezzo di crescita batterico, che la replicazione virale segue la crescita batterica ed è influenzata dalla somministrazione di antibiotici specifici. Queste osservazioni sono compatibili con un comportamento “simile a un batteriofago” di SARS-CoV-2» è quanto si legge nello studio “Prove del potenziale batteriofago SARS-CoV-2 nel microbiota intestinale umano” in cui Brogna & co. aggiungono un nuovo importantissimo tassello (fonte Ricerca 5).

«Sulla base di questi risultati concludiamo che, oltre alle sue interazioni ben documentate con le cellule eucariotiche, SARS-CoV-2 può agire come batteriofago quando interagisce con almeno due specie batteriche note per essere presenti nel microbiota umano. Se l’ipotesi proposta, cioè che in determinate condizioni SARS-CoV-2 possa moltiplicarsi a spese dei batteri intestinali umani, fosse ulteriormente motivata, cambierebbe drasticamente il modello di azione e infezione del SARS-CoV-2, e molto probabilmente quello di altri virus patogeni umani».

Se quanto contenuto negli studi trovasse conferma potrebbe forse colmare 70 anni di deficienza nel campo virologico.

WUHAN-GATES – 46. COLONNELLO USA: “SARS-2 BIOARMA: Spike ‘costruita‘ Tossica può Replicarsi nei Vaccini”

 

Queste ricerche, però, rilanciano implicitamente l’allarme del medico militare americano Sellin sulla tossicità della proteina Spike che, a suo giudizio, può essere trasferita all’organismo umano anche dai vaccini. Perché? Lo vedremo in una prossima inchiesta. (Iscrivetevi alla Newsletter per non perderla).

Per leggere in sintesi tutti i retroscena del SARS-Cov-2 da laboratorio acquista il libro WuhanGates…

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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