di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
Può anche darsi che nelle Repubbliche filorusse del Donbass ucraino, da ben 8 anni in attesa dell’annessione alla Russia, ci sia stata qualche anomalia nel conteggio dei voti del referendum per la scelta tra Mosca e Kiev.
Ma se qualche presidente di una democratica repubblica occidentale avesse mai preso una percentuale vicina al 90 % oggi probabilmente in Italia come negli USA e nell’Unione Europea si vivrebbe una vera democrazia espressa dal popolo e non una dittatura politica tecnocratica costruita sulla spaccatura tra le forze politiche o, peggio ancora, sull’astensionismo dalle votazioni.
A differenza degli Italiani, che hanno disertato le urne alle ultime elezioni parlamentari – erroneamente a giudizio di chi scrive – facendo registrare una cifra record del 36 % di non votanti, nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporozhye gli ucraini russofoni sono andati a votare per dire una cosa senza ombra di discussione: “Vogliamo stare con Mosca”.
L’adesione al referendum organizzato dal Cremlino nelle repubbliche indipendentiste e nei territori liberati è simile a quella che si registrò nel 2014 in Crimea dove, ad eccezione di quando l’esercito di Kiev spara le sue ultime cartucce potenti sotto forma di missili Himars o altri mare-terra, la gente sta probabilmente quasi meglio che nel Sud Italia, sempre più divorato dalla Mafia, senza che alcun governo della Repubblica Italiana si preoccupi troppo dei rapporti della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) sulla conquista del Nord da parte dell’imprenditoria delle cosche malavitose.
Ma l’elemento più significativo no giunge da questa analisi socio-economica ma da un’altra strettamente geopolitica che ben si riassume in una sola frase.
“Tomorrow Donbass will become the Russia territory. War will change…”
“Domani il Donbass diventerà il territorio della Russia. La guerra cambierà…”
E’ il messaggio inviato da un osservatore internazionale neutrale che sta in Donbass ad una nostra fonte d’intelligence. Abbiamo ovviamente tentato di proporre un’intervista anche anonima ma il teatro del conflitto è troppo incandescente per consentire a qualcuno che opera sul posto di esporsi dialogando con un giornalista.
Ma è proprio così!
Con il referendum che certifica l’adesione alla Federazione Russa delle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporozhye queste aree, per quanto possano obiettare l’Occidente e l’ONU che non sono stati ancora capaci di restituire le Alture del Golan alla Siria occupate da Israele nonostante perentorie risoluzioni delle Nazioni Unite, sono protette dal Cremlino.
Questo significa che in ogni momento l’Esercito Russo potrà ritenere un attacco a tali zone fino a ieri del territorio ucraino come un’aggressione ostile ed attivare il protocollo di difesa di un decreto firmato dal presidente russo Vladimir Putin un paio di anni fa in cui è previsto l’uso delle armi nucleari anche in risposta a bombardamenti con armi convenzionali sul territorio della Russia.
Purtroppo per l’Italia ciò accade proprio nel momento in cui si appresta a diventare Presidente del Consiglio la marionetta dell’industria internazionale delle armi. La leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che ha vinto le elezioni politiche grazie ad un macroscopico astensionismo è infatti la proiezione dell’altro cofondatore del partito di destra, Guido Crosetto, presidente dell’AIAD, la Confindustria delle Armi in orbita NATO, come abbiamo evidenziato nel precedente articolo.
Ad aggravare questa situazione c’è il fatto che le testate missilistiche atomiche nelle basi NATO in Italia non sono di Roma ma del Pentagono di Washington e, pertanto, possono rappresentare un motivo di rappresaglia da parte di Mosca in caso di degenerazione del conflitto.
Attualmente l’Italia non produce né possiede armi nucleari ma partecipa al programma di “condivisione nucleare” dell’Alleanza Atlantica.
«Ci sono due basi militari italiani dove sono collocati ordigni nucleari americani: Ghedi (Bs) e Aviano (Pn). Nella prima si realizza il «Nato nuclear sharing group – spiega Andrea Margelletti, presidente del Cesi (Centro studi internazionali) – dove il Paese ospitante mette a disposizione il vettore, nel nostro caso può essere adesso un Tornado, mentre gli americani forniscono l’ordigno». In pratica alcuni velivoli della nostra Aeronautica, oggi i Tornado e a breve gli F35, sono dotati di bombe di questo genere. Una prima stima parla di 60 ordigni. A Il Sole 24 Ore risultano circa un centinaio» scrive il Sole 24 Ore.
A questo punto viene da porsi una domanda terribile ed inquietante…
Meglio restare in Italia o emigrare nel Donbass, fino a ieri savana di caccia dei nazisti del Battaglione Azov e della Guardia Nazionale Ucraina che ha massacrato a colpi di mortaio il reporter italiano Andrea Rocchelli restando impunita, ma da oggi, dopo l’efficace operazione militare di de-nazificazione del nuovo Zar della Russia, protetto da uno dei più imponenti arsenali nucleari del mondo?
Giriamo la domanda alla Meloni sperando che possa smentirci e saper prendere le distanze da Crosetto che da alcuni giorni già spende e spande interviste ai quotidiani per tracciare le nuove del nuovo governo. Come se fossero lui, la Lobby delle Armi e il Nuovo Ordine Mondiale i veri futuri padroni della politica italiana…
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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https://www.gospanews.net/2018/11/26/crimea-siria-prove-tecniche-di-guerra-mondiale/