di Carlo Domenico Cristofori
Il Tribunale di L’Aquila, nella persona di Giulio Cruciani in funzione di Giudice del Lavoro, ha annullato la sospensione dall’attività professionale di un ricorrente che si era rifiutato di vaccinarsi e ha condannato l’azienda a risarcirgli i mancati stipendi e le spese di giudizio.
Lo ha reso noto l’associazione Avvocati Liberi presieduta dal legale Angelo Di Lorenzo che annovera il prof. Augusto Sinagra quale membro ad honorem.
Il dottor Cruciani infatti «dichiara illegittima la sospensione della ricorrente dal lavoro a decorrere dal 15.10.21 e condanna la società resistente al pagamento in favore della ricorrente della retribuzione globale di fatto dal momento della sospensione sino al ripristino della stessa, oltre interessi e rivalutazione; Condanna la società resistente al pagamento delle spese di lite che liquida in € 2.500,00, oltre spese, iva e cpa»
La sentenza non entra, se non marginalmente, nel merito della legittimità della vaccinazione obbligatoria che è una questione di competenza della Corte Costituzionale che dovrà esprimersi tra domani e dopo (mercoledì 30 novembre) in relazione ai numerosi ricorsi depositati contro il D.L. 44 del 1 aprile 2021 sull’obbligo di somministrazione dei vaccini agli operatori sanitari e successive integrazioni normative per le altre categorie (lavoratori scolastici, della polizia, delle forze armate e degli over 50, alcune delle quali poi esentate).
Nei motivi della decisione il giudice, infatti, fa due esaustive premesse che seguono la china di altri pronunciamenti riguardanti la circostanza ormai manifesta, confermata anche da una dirigente PFIZER, che i vaccini antiCovid non prevengono i contagi come invece sostenuto persino dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal Vaticano nei loro reiterati inviti all’inoculazione dei sieri, tanto sperimentali quanto pericolosi per le molteplici reazioni avverse anche letali.
In due paginette il dottor Cruciani “distrugge” i fondamenti della propaganda a favore di vaccini antiCovid.
Ecco le parti essenziali da cui abbiamo omesso solo le frasi più tecniche sotto il profilo del diritto giurislavoristico. In coda il link al documento integrale. I link ai precedenti articoli di Gospa News sono stati ovviamente aggiunti a posteriori.
Due premesse.
La prima è che verrà valutata non la legittimità dell’obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2, bensì la legittimità della sospensione dal lavoro per assenza della vaccinazione obbligatoria per alcune categorie di lavoratori o di una certa fascia di età, questo essendo il tema del decidere nel presente giudizio.
La seconda è che deve respingersi con forza la tesi della società resistente secondo la quale un lavoratore può essere sospeso dal lavoro senza che il datore gli comunichi alcunchè.
Sotto tale profilo, dunque, la sospensione della lavoratrice è palesemente illegittima per difetto della relativa procedura: un atto ci deve essere e può anche avere effetti retroattivi, ma deve dare conto dell’esistenza dei presupposti che giustificano tali effetti e deve essere comunicato all’interessato affinchè conosca il motivo della sospensione.
Nel merito.
Ad una valutazione costituzionalmente orientata (ed anche letterale) non vi è alcuna norma di legge – né potrebbe mai esservi anche per lo sbarramento costituzionale del divieto di discriminazione art. 3 Cost. – che imponga un obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 per prestare lavoro per determinate categorie di lavoratori o per lavoratori con una determinata fascia di età, ma solamente l’imposizione di un tale obbligo se e nei limiti in cui sia strumento di prevenzione dal contagio.
Invero, si consideri che la Stato italiano si fonda sul lavoro (art. 1 Cost.) e su questo si fonda non solo la dignità professionale ma anche la dignità personale dell’essere umano (limite invalicabile all’obbligatorietà del trattamento sanitario, quale il vaccino, di cui all’art. 32 Cost.) che vuole mantenersi con le proprie forze.
Il reddito da lavoro costituisce per lo più il reddito di sussistenza, senza di esso si scivola nel degrado e nella dipendenza.
Solo ad una lettura superficiale (e comunque non costituzionalmente orientata) gli artt. 4, 4-bis e 4-ter, poi 4-quater e 4-quinquies dl. 44/21, per tutelare la salute pubblica, imporrebbero (per quanto qui rileva) l’obbligo vaccinale anti Sars-CoV-2 a certe categorie di lavoratori e ai lavoratori dai 50 anni in su.
In realtà così non è perché il dato letterale delle norme oltre che la Costituzione devono orientare il Giudice verso un’interpretazione che ancora l’obbligo vaccinale per certe categorie di lavoratori e i lavoratori ultracinquantenni alla sussistenza del presupposto della capacità preventiva dal contagio del vaccino.
In effetti, la ragione evidente per la quale si impone che il lavoratore sia vaccinato è che questi nel luogo di lavoro non possa essere così fonte di rischio per i colleghi o per i terzi particolarmente esposti; poiché il lavoratore non vaccinato a differenza di quello vaccinato esporrebbe gli altri con i quali entra in contatto nei luoghi di lavoro al rischio di infezione Sars-CoV-2 i medesimi non debbono essere presenti nei luoghi di lavoro.
Questo è il fondamento e, quindi, il limite di applicazione di tali norme già espresso chiaramente nelle stesse: secondo l’interpretazione letterale la vaccinazione obbligatoria è quella volta a prevenire l’infezione (si ripete lo dice la norma “prevenzione”, nel corpo e nella rubrica).
Di più, è un’interpretazione costituzionalmente imposta perché è il fondamento che solo potrebbe (ma come detto non si valuterà la più ampia questione della costituzionalità dell’obbligo vaccinale anti Sars- CoV-2) giustificare una discriminazione così rilevante.
Tale fondamento non è presente nel caso in esame: i vaccinati, rebus sic stantibus, ossia con i farmaci oggi a disposizione della popolazione italiana, come i non vaccinati si infettano ed infettano gli altri.
Non vi è alcuna evidenza scientifica che abbia dimostrato che il vaccinato, con i prodotti attualmente in commercio, non si contagi e non contagi a sua volta.
La comune esperienza di tutti (personale, familiare, della cerchia di conoscenti) confema il dato evidente che, allo stato, chi non si è vaccinato può infettarsi e infettare come può infettarsi e infettare chi ha ricevuto una dose, due dosi etc..
Evidenza scientifica e comune esperienza fanno assurgere tale dato nel contesto attuale – contagiosità dei vaccinati come dei non vaccinati – a fatto notorio ai sensi dell’art. 115, c.p.c..
Allora è evidente che venuto meno il presupposto per il quale alcuni lavoratori possono entrare nei uoghi di lavoro ed altri no, la sospensione della ricorrente, giustificata dal fatto che non sia vaccinata, è del tutto priva di fondamento.
Per completezza si osserva che un eventuale atto amministrativo (secondo parte resistente quello del PO) che imponesse una siffatta discriminazione, che per quanto detto non è prevista dalla norma primaria, sarebbe contra legem e andrebbe disapplicato.
In conclusione, alla parte ricorrente (alla luce della riduzione della domanda, v.) deve essere pagata la retribuzione dalla sospensione all’effettivo ripristino della stessa.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, sono poste a carico della società resistente secondo la regola generale della soccombenza.
Firmato: il giudice del Lavoro – Tribunale di L’Aquila – documento integrale qui
Carlo Domenico Cristofori
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