di Carlo Domenico Cristofori
«Due mesi fa, a novembre 2022, le rivelazioni choc di Salvatore Baiardo, a suo tempo persona di fiducia di boss mafioso, a Massimo Giletti per Fantasmi di mafia, su La7: “L’unica speranza dei Graviano è che venga abrogato l’ergastolo ostativo” e sul nuovo governo: “Che arrivi un regalino?…Che magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?». E sulla trattativa Stato-mafia: «Non è mai finita”».
Quelle parole pronunciate da un ex malavitoso rimbalzano fino a oggi come riporta il Corriere e fanno calare un’ombra pesante sull’arresto del boss latitante da 30 anni per molteplici motivi.
In primis perché il blitz dei Carabinieri avviene a quasi trent’anni esatti dall’arresto di Totò Riina che invece di portare a una gigantesca celebrazione e promozione degli investigatori della Benemerita che lo eseguirono li fece finire tutti nel fango e sotto inchiesta.
Le loro tardive assoluzioni pesano come un macigno sulla giustizia mafiosa che sovente serpeggia in Italia come nel tremendo depistaggio sulla strage di Via D’Amelio in cui furono ammazzati il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.
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In secondo luogo perché i Carabinieri di oggi non sono più quelli di venti o trent’anni fa. Sono un apparato militare servo dei poteri politici come hanno dimostrato nelle persecuzioni contro i medici “colpevoli” di esentare dal vaccino i pazienti a rischio di complicazioni.
In aggiunta a ciò, fedeli al Nuovo Ordine Mondiale più che alla popolazione che dovrebbero proteggere, pretendono di insegnare ai giornalisti il “sacro dovere” della censura soprattutto quando di parla di danneggiati o morti a causa dei sieri genici sperimentali che i governi comprano senza interruzione nonostante il calo di chi vuole vaccinarsi e l’inchiesta della Procura Europea sugli acquisti sospetti della Commissione UE.
In terzo luogo perché sembrano essersi prestati al giochino del latitante che ormai gravemente malato sarà curato a spese degli Italiani e rischia di passare più tempo in infermeria (o ai domiciliari) che in cella.
IL BOSS TROPPO MALATO PER RESTARE LIBERO
Si faceva chiamare Andrea Bonafede e adesso l’inchiesta dovrà risalire alla costruzione della sua falsa identità e alle persone che erano a conoscenza di questa identità.
«Sotto falso nome era in cura da tempo. Si dice addirittura da due anni anche se il particolare non viene, al momento, confermato. E anche questo è un elemento di indagine. Bisognerà comprendere come sia stato possibile che il latitante, abbia circolato indisturbato per le vie di Palermo così a lungo» scrive giustamente Blog Sicilia.
Matteo Messina Denaro si era presentato alla visita con il nome di Andrea Bonafede, nato il 23 ottobre 1963 e stamattina aveva l’appuntamento per il ciclo di chemioterapia. Lo si è appreso in ambienti sanitari della clinica Maddalena di Palermo dove era in cura per un tumore. Nella scheda di accettazione della clinica è scritto “Prestazioni multiple – infusione di sostanze chemioterapiche per tumore”.
Matteo Messina Denaro questa mattina si è recato nella struttura sanitaria palermitana di via san Lorenzo per un day hospital programmato ma i Carabinieri lo stavano già aspettando. Al suo arrivo è scattato il blitz.
L’ospedale è stato cinto d’assedio e chi arrivava per terapie, intervento programmati, analisi diagnostiche, semplici visite ai pazienti, veniva bloccato nel parcheggio o all’ingresso e identificato.
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Un arresto pieno di gialli e buono solo per i politicanti che desiderano farsi belli mentre stanno portando l’Italia sul baratro della Terza Guerra Mondiale per arricchire il più alto livello della Mafia: quella dei Signori della Guerra.
LA STORIA DEL BOSS RACCONTATA DALL’ANSA
«L’ultima “primula rossa” di Cosa Nostra, 60 anni, arrestato oggi, si era reso irreperibile subito dopo la cattura di Totò Riina, avvenuta proprio trent’anni fa. E mentre la polizia scientifica si incaricava di aggiornare, invecchiandola, l’immagine giovanile del boss il suo impero miliardario veniva pezzo per pezzo smontato e sequestrato. È così che è stata smantellata la sua catena di protezione e di finanziamento” scrive l’ANSA.
È così che è stato demolito il mito di un padrino che gestiva un potere infinito ma viveva come un fantasma, anche se la sua invisibilità non gli ha impedito di diventare padre due volte. Di una figlia si sa tutto: il nome, la madre, le scelte che l’hanno portata a separare la propria vita dall’ombra pesante di un padre che forse non ha mai visto. Ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza in casa della nonna, poi con la madre ha cambiato residenza: non è facile convivere con lo stress delle perquisizioni, dei controlli e delle irruzioni della polizia.
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Dell’altro figlio si sa invece quel poco che è trapelato dalle intercettazioni: si chiama Francesco, come il vecchio patriarca della dinasty, ed è nato tra il 2004 e il 2005 in quel lembo della provincia di Trapani, fra Castelvetrano e Partanna, dove Matteo Messina Denaro ha costruito il suo potere economico e criminale. Attento a gestire la sua latitanza, e a proteggerla con una schiera di fiancheggiatori, uno dei boss più ricercati del mondo ha lasciato di sé solo l’immagine di un implacabile playboy con i Ray Ban, le camicie griffate e un elegante casual.
Carlo Domenico Cristofori
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