Esplosivo! SPIKE TOSSICA DEL VACCINO PFIZER INTEGRATA NEL DNA UMANO. Frammenti nei Globuli Bianchi trovati da Ricercatori del Trentino
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
«Questo studio, in accordo con altre indagini pubblicate, dimostra che sia la proteina Spike naturale che quella vaccinale possono essere ancora presenti nei pazienti con Long-COVID, supportando così l’esistenza di un possibile meccanismo che causa la persistenza della proteina Spike nel corpo umano per molto più lungo di quanto previsto dai primi studi. Secondo questi risultati, tutti i pazienti con sindrome da Long COVID dovrebbero essere analizzati per la presenza di proteina Spike vaccinale e virale».
Uno studio di ricercatori di un ente privato del Trentino conferma l’allarme già lanciato da altre ricerche e il pericolo della persistenza Spike nell’organismo delle persone vaccinate ben spiegata dal bioimmunologo Mauro Mantovani per l’alterazione della “doppia Prolina” fatta dalle Big Pharma nella produzione dei vaccini ma anche per la manipolazione genetica del nucleoside Pseudorudina di cui abbiamo parlato in precedenti inchieste.
Gli autori hanno cercato corrispondenze tra il DNA delle cellule del sangue e le sequenze genetiche uniche del vaccino Pfizer COVID BNT162b2. Dopo aver utilizzato test sensibili, gli scienziati hanno scoperto geni che potevano provenire solo dal vaccino Pfizer COVID nei genomi dei campioni di sangue analizzati, in particolare nei leucociti.
I leucociti o globuli bianchi sono cellule del sangue coinvolte nella risposta immunitaria. Grazie al loro intervento, l’organismo si difende da microorganismi patogeni (come virus, batteri, miceti e parassiti), particelle estranee e cellule anomale potenzialmente nocive, presenti nel sangue e nei tessuti.
La ricerca è stata firmata dalla dotoressa Kristjana Dhuli, laureatasi nel 2018 presso la Facoltà di Biotecnologie dell’Università di Tirana e già autrice di 37 studi internazionali, in qualità di ricercatrice el MAGI’S LAB di Rovereto (Trento) insieme ai colleghi M.C. Medori, C. Micheletti, K. Donato, F. Fioretti, A. Calzoni, A. Praderio, M.G. De Angelis, G. Arabia, S. Cristoni, S. Nodari, M. Bertelli.
La Spike dei Vaccini in Pazienti con la Sindrome Long Covid
E’ stata pubblicata sul numero di dicembre del European Review for Medical and Pharmacological Sciences col titolo “Presence of viral spike protein and vaccinal spike protein in the blood serum of patients with long-COVID syndrome – Presenza di proteina virale e di proteina vaccinale nel siero sanguigno di pazienti con sindrome da Long COVID” ma, in virtù della sua notevole importanza, è già stata rilanciata anche da PubMED l’archivio dell’Istituto Nazionale della Salute (NIH) del Dipartimento della Salute USA.
Nello studio i ricercatori prendono spunto, tra le altre fonti, dallo studio di Markus Alden del Department of Clinical Sciences, Lund University, Malmö, Sweden, che fu il primo a segnalare l’integrazione dei geni dei vaccini nel sangue e nel DNA degli organi umani.
Nel nuovo documento scientifico si avvalora implicitamente l’ipotesi segnalata da Gospa News nell’inchiesta sulla Spike-Demia (ovvero sui disturbi della Sindrome Post-Vaccinale Covid (PVCS) rilevati nell’84 % dei vaccinati coi booster da uno studio indiano) che il Long COVID possa essere determinato più dall’inoculazione dei sieri genici mRNA che dal ceppo virale SARS-Cov-2 (anch’esso peraltro costruito in laboratorio con alterazione della carica virale come evidenziato ormai da decine di studi scientifici).
«I pazienti affetti da COVID-19 sperimentano, nel 10-20% dei casi, una sindrome da Long COVID-19, definita come la persistenza dei sintomi per almeno due mesi dopo l’infezione. I meccanismi biologici alla base di questa sindrome rimangono poco compresi. Sono state proposte diverse ipotesi, tra cui la potenziale autoimmunità derivante dal mimetismo molecolare tra la proteina virale e le proteine umane, l’ipotesi del serbatoio e della riproduzione virale e l’ipotesi dell’integrazione virale. Sebbene i dati ufficiali affermino che la proteina Spike vaccinale è innocua e rimane nel sito dell’infezione, diversi studi hanno proposto la tossicità della proteina Spike e l’hanno trovata nella circolazione sanguigna diversi mesi dopo la vaccinazione. Per cercare la presenza della proteina virale e del vaccino in una coorte di pazienti Long COVID».
L’analisi di un patologo tedesco sul sangue di un banchiere svizzero vaccinato e danneggiato ha rivelato la presenza della Spike anche dopo due anni dalla somministrazione del siero genico.
Esperti di biochimica e genomica americani e canadesi hanno invece dimostrato la presenza nei vaccini mRNA di miliardi di frammenti del DNA della medesima proteina e di altri pericolosi geni come l’SV40, un agente virale che può provocare il cancro.
Ecco i metodi e i risultati:
«In questo studio, abbiamo utilizzato un approccio basato sulla proteomica utilizzando la spettrometria di massa per analizzare il siero di 81 pazienti con sindrome Long COVID. Inoltre, l’integrazione virale nei leucociti dei pazienti è stata valutata con uno studio preliminare, senza ulteriori indagini – spiega l’Abstract della ricerca di Dhuli et al. che poi conclude – Abbiamo identificato la presenza della proteina Spike virale in un paziente dopo la risoluzione dell’infezione, e la negatività del test COVID-19, e della proteina Spike del vaccino in due pazienti due mesi dopo la vaccinazione».
Merita di essere riportata anche la discussione analitica dei ricercatori del MAGI’S LAB di Rovereto.
«Questo studio ha utilizzato l’analisi della spettrometria di massa per indagare la presenza di proteine virali e virali nel siero del sangue di pazienti con sindrome COVID da lungo tempo. Come riportato nella Tabella II, l’analisi della spettrometria di massa ha rivelato la presenza di frammenti proteici della Spike sia virale che vaccinale in un sottogruppo di pazienti con sindrome da COVID-19 anche due mesi dopo la vaccinazione o dopo la risoluzione dell’infezione e la negatività del test COVID-19 (Tabella IV)» si legge nel testo.
«I dati ufficiali sostengono che la proteina “spike” del vaccino rimane in prossimità del sito di iniezione e dei linfonodi locali e che può persistere nell’organismo fino ad alcune settimane dopo la vaccinazione (20-24) – aggiungono gli scienziati del Trentino – I nostri risultati, in linea con altri studi e in contraddizione con i dati ufficiali, mostrano la presenza sia del vaccino che della proteina virale nel flusso sanguigno anche dopo la risoluzione dell’infezione e diversi mesi dopo la vaccinazione (40-42,45- 49). Inoltre, l’integrazione virale nei leucociti dei pazienti è stata valutata con uno studio preliminare seguendo il protocollo di Merchant (18), senza ulteriori indagini (dati supplementari). Avendo rilevato la proteina vaccinale in due soggetti e la proteina virale in un soggetto in una coorte di 95 pazienti, questo studio ha principalmente una funzione descrittiva. Tuttavia, questi risultati sono allineati con molti altri studi già pubblicati su altri gruppi indipendenti».
Ecco quindi il monito lanciato da Dhuli et al. alla comunità scientifica e alle autorità sanitarie pubbliche:
«Concludiamo che, considerando la tossicità proposta della proteina Spike e che i dati ufficiali sostengono che non dovrebbe persistere nella circolazione sanguigna alcune settimane dopo la vaccinazione, i campioni di sangue dei pazienti con Long COVID dovrebbero essere testati di routine per la presenza della proteina Spike del vaccino e virale. La ricerca futura dovrebbe concentrarsi sullo studio dei percorsi e delle interazioni specifici attraverso i quali le proteine virali e vaccinali possono circolare e persistere nella circolazione sanguigna diversi mesi dopo l’eliminazione virale o la vaccinazione e sui suoi possibili effetti negativi».
La Sequenza della Proteina Spike di Pfizer Integrata dai Leucociti
Infine nella conclusione evidenziano l’importanza del metodo scientifico da loro utilizzato:
«Questo studio sottolinea l’importanza dell’analisi della spettrometria di massa dei pazienti con Long COVID per rilevare la persistenza delle proteine della Spike. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere i meccanismi alla base della persistenza delle proteine Spike».
Nella discussione supplementare l’allarme dei ricercatori si fa ancora più concreto e tecnico:
«L’analisi PCR e di sequenziamento Sanger del DNA genomico di pazienti Long COVID ha rivelato la presenza di una sequenza simile alla sequenza proteica Spike del vaccino BNT162b2, che potrebbe indicare una potenziale integrazione (Figura S2). L’allineamento dei cromatogrammi con le sequenze di riferimento ha suggerito l’esistenza di frammenti proteici della Spike virale, allineati con la trascrizione inversa intracellulare del vaccino mRNA Pfizer BioNTech COVID-19 (1)».
E infine la ricerca di Dhuli et al. menziona due inquietanti studi:
«Inoltre, Lehrer et al. hanno scoperto una sequenza di 117 paia di basi dal gene orf1b della SARS-CoV-2 all’interno del gene NTNG1 sul cromosoma umano 1, sollevando interrogativi intriganti sulla relazione tra il materiale genetico della SARS-CoV-2 e i geni correlati alla schizofrenia (2). Lo studio di Jeong et al., concentrandosi sulle sequenze di mRNA che codificano Spike SARS-CoV-2 nei vaccini BNT-162b2 e mRNA-1273, è direttamente correlato alla nostra indagine sui frammenti proteici di Spike virali e vaccinali nei pazienti con sindrome post-COVID-19 (3)».
Una correlazione tra disturbi cognitivi, denominati in Inglese “brain fog” (nebbia cerebrale) erano stati messi in evidenza anche da un’inchiesta della rivista Science basata su studi campione condotti dall’Istituto della Salute USA che aveva evidenziato una curiosa analogia tra i fenomeni del Long Covid tra i contagiati guariti e tra i vaccinati.
Mentre uno studio croato aveva evidenziato tra le reazioni avverse dei sieri genici anche problemi psicotici che potevano culminare in istinti suicidi.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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FONTI PRINCIPALI
GOSPA NEWS – DOSSIER VACCINI & GRAFENE