Si stringe la tenaglia giudiziaria su Telegram: anche l’UE ha aperto un’inchiesta
di Roberto Demaio – pubblicato in origine su L’Indipendente
I link ai precedneti articoli di Gospa News sono stati aggiunti a posteriori dalla redazione
Mentre la Procura francese ha aperto un fascicolo su Telegram dopo l’arresto del suo fondatore Pavel Durov, è arrivato anche il “richiamo all’ordine” da parte dell’Unione Europea, secondo cui l’app di messaggistica e social potrebbe aver violato le regole stabilite dal Digital Service Act (DSA), ovvero il pacchetto di norme sui servizi digitali entrato in vigore a novembre 2022.
Secondo l’ipotesi di accusa dei legali dell’Unione, l’app avrebbe sottostimato il numero reale dei suoi utenti, attestandolo al di sotto della soglia che avrebbe comportato maggiori controlli e obblighi, tra cui quelli di limitare e rimuovere contenuti considerati illegali e “fake news”. Thomas Regnier, portavoce della commissione per le questioni digitali, ha spiegato che, in ogni caso, sarebbe comunque possibile determinare il numero di utilizzatori e alludendo al fatto che presto Telegram potrebbe essere soggetta agli obblighi previsti per le piattaforme con numero elevato di utenti.
La notizia è stata riportata in prima pagina dal Financial Times, il quale spiega che l’ultima dichiarazione fornita da Telegram relativa al numero di utenti comprendeva 41 milioni di unità nell’Unione Europea.
La Cruciale Questione del Numero di Utenti nell’UE
Tuttavia, ai sensi del Digital Service Act, l’applicazione avrebbe dovuto dichiarare il numero aggiornato queste mese e ciò, secondo quanto riportato, sarebbe avvenuto in maniera grossolana e non abbastanza accurata, in quanto Telegram avrebbe solo dichiarato di avere «significativamente meno di 45 milioni di destinatari attivi mensili medi nell’UE».
Ciò, secondo due funzionari citati dal Financial Times, porrebbe il servizio in piena violazione del DSA ed è inoltre probabile che ulteriori indagini rivelino che il numero effettivo superi in realtà la soglia stabilita per le “piattaforme molto grandi”, la quale prevede maggiori obblighi circa la moderazione dei contenuti ed i controlli relativi ai contenuti considerati illegali.
«Abbiamo un modo per determinare, attraverso i nostri sistemi e calcoli, quanto siano accurati i dati degli utenti. E se pensiamo che non abbiano fornito dati accurati sugli utenti, possiamo designarli unilateralmente [come una piattaforma molto grande] sulla base della nostra indagine», ha dichiarato Thomas Regnier, portavoce della commissione per le questioni digitali.
Il tutto, starebbe avvenendo in seguito all’arresto del suo fondatore Pavel Durov e mentre la Procura Francese sta indagando l’applicazione dopo aver mosso ben dodici capi d’accusa nei suoi confronti. Tra questi, vi è la complicità nel facilitare transazioni illegali da parte di bande criminali; il rifiuto di collaborare con le autorità competenti sul rilascio di informazioni e documenti necessari per effettuare intercettazioni consentite dalla legge; complicità nel possesso di immagini pornografiche di minori; complicità nell’acquisto, trasporto, detenzione, offerta e vendita di sostanze stupefacenti; complicità in frode organizzata; associazione a delinquere finalizzata a commettere un reato o un crimine punibile con la reclusione pari o superiore a cinque anni; riciclaggio di proventi derivanti da reati e crimini di gruppi organizzati.
Si tratta quindi di capi d’accusa che deriverebbero dalla mancata moderazione dei contenuti e dal rifiuto a collaborare con i governi e con le autorità competenti da parte degli amministratori e del fondatore di Telegram, ovvero responsabilità che dovevano essere garantite anche alle istituzioni europee e all’organo di sorveglianza del Digital Service Act.
Il Digital Service Act (DSA) per il Controllo della “Disinformazione”
Il Digital Service Act (DSA) è la nuova norma sui servizi digitali dell’Unione Europea, è entrata in vigore a novembre 2022 ed è stata duramente criticata per i rischi connessi alla limitazione del diritto alla libera espressione che potrebbero essere collegati all’attività di “controllo della disinformazione” e in particolare di quanto previsto al punto 91 della legge, che prevede meccanismi per ridurre i confini della libertà di parola attuabili “in presenza di circostanze eccezionali che comportino una minaccia grave per la sicurezza pubblica o per la salute”.
Si tratta di un pacchetto che interessa le grandi corporation identificate dalla Commissione come dominanti dello spazio online e che gestiscono oltre 45 milioni di utenti in Europa.
Tale legge non è stata criticata solo dal mondo dell’attivismo, ma anche dal Garante per la privacy italiano, il quale ha spiegato che «il Regolamento sembrerebbe intenzionato a riconoscere – come, peraltro, ormai avviene diffusamente – ai gestori delle piattaforme il diritto-dovere di decidere in autonomia e sulla base semplicemente delle proprie condizioni generali quale contenuto lasciare online e quale rimuovere e quale utente lasciar libero di pubblicare e quale condannare all’ostracismo digitale».
di Roberto Demaio – pubblicato in origine su L’Indipendente
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