LA NATO PREPARA LA GUERRA MONDIALE CONTRO LA RUSSIA. La “Zeitenwende” Tedesca: 5mila Soldati dell’Alleanza Atlantica in Lituania

“Zeitenwende”: la svolta tedesca e il rischio di guerra globale
di Ciro Scognamiglio
“Chi costruisce una torre, non si siede forse prima a calcolare la spesa, per vedere se ha abbastanza per portarla a compimento?”
Vangelo di Luca 14:28
Questa semplice ma profonda domanda di Gesù ai suoi discepoli risuona come un monito senza tempo di fronte alle scelte che determinano il destino delle nazioni. Nel contesto della “Zeitenwende” tedesca, la “svolta epocale” rappresentata dall’invio permanente di truppe all’estero, questo versetto ci invita a riflettere con attenzione sulle conseguenze delle nostre azioni militari e geopolitiche.
La costruzione di una “torre” che in questo caso è la struttura della sicurezza e dell’ordine internazionale non può essere affidata all’impulsività o alla mera volontà di potenza. Occorre una pianificazione saggia, un calcolo lucido del rischio, e soprattutto la consapevolezza che ogni decisione può portare a un’escalation dalle dimensioni imprevedibili.
Tuttavia, è importante sottolineare che i governi attuali spesso non possiedono più la volontà reale dei popoli occidentali di entrare in guerre per procura. Dopo l’esperienza traumatica e svelata della falsa pandemia di COVID-19, i cittadini hanno perso fiducia e amano sempre meno chi li rappresenta nelle istituzioni. Questi ultimi, invece di ascoltare il rifiuto popolare verso nuovi conflitti, continuano a fomentare odio e a insistere sulla necessità che “i figli della patria” debbano andare in guerra — mentre i figli dei potenti rimangono lontani dalla patria, al sicuro.
Un po’ come quei generali che, barricati nei loro uffici, decidono quanti militari sacrificare al fronte, senza alcuna condivisione del dolore o del rischio. Questa distanza fra chi decide e chi combatte alimenta un conflitto sociale interno, oltre che internazionale, e rende ancora più urgente la riflessione proposta dalla parabola: siamo davvero pronti a costruire questa torre, consapevoli del prezzo che pagheranno i più deboli?
La svolta tedesca: la prima presenza militare permanente all’estero dal 1945
Con l’annuncio ufficiale dello scorso mese di maggio del dispiegamento permanente di una brigata meccanizzata in Lituania, la Germania rompe un tabù storico e costituzionale
che aveva caratterizzato tutta la sua politica di difesa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Per la prima volta dal 1945, soldati tedeschi saranno stanziati in modo fisso e strutturato fuori dal territorio nazionale, in una nazione che fu teatro dell’avanzata della Wehrmacht hitleriana verso l’Unione Sovietica.
Il peso simbolico di questa decisione è enorme: la Lituania fu infatti invasa dalla Germania nazista nel giugno 1941, durante l’Operazione Barbarossa, come parte della campagna contro l’URSS. Lì furono perpetrati eccidi e deportazioni di massa, e le popolazioni baltiche subirono prima l’occupazione sovietica, poi quella nazista, poi di nuovo quella sovietica. Per questo motivo, la presenza armata tedesca sul suolo baltico evoca memorie storiche profonde e tragiche, anche se oggi essa si realizza sotto l’ombrello NATO e con finalità dichiarate di difesa collettiva.
Dopo la disfatta del Terzo Reich, la Costituzione tedesca del 1949 (Grundgesetz) limitava fortemente l’impiego delle forze armate all’estero. Solo con la riunificazione del 1990 e il mutamento dello scenario geopolitico post-Guerra Fredda, la Germania ha iniziato a partecipare a missioni multinazionali, ma sempre in forma non permanente e limitata nel tempo (Bosnia, Kosovo, Afghanistan, Mali). La presenza in Lituania rappresenta dunque una discontinuità assoluta rispetto alla tradizione pacifista tedesca del dopoguerra.
5mila Soldati dell’Alleanza Atlantica in Lituania
Il governo di Olaf Scholz ha definito questo cambio di rotta come parte della “Zeitenwende” (svolta epocale), concetto introdotto nel febbraio 2022 dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Con tale parola, la Germania ha ridefinito la propria strategia di sicurezza nazionale, annunciando un massiccio riarmo (100 miliardi di euro stanziati) e l’assunzione di responsabilità “più robuste” all’interno dell’alleanza atlantica. In questo quadro, la nuova Brigata 45 – composta da circa 4.800 soldati, mezzi pesanti, artiglieria e supporto logistico – sarà integrata nella struttura NATO Eastern Flank e collegata al quartier generale di Rukla, in Lituania.
Non va sottovalutato che questa proiezione tedesca rientra in una più ampia strategia NATO di militarizzazione permanente del fianco Est europeo, che prevede basi, truppe e armamenti distribuiti tra Polonia, Romania, Estonia, Lettonia e ora anche Lituania. Lungi dall’essere una misura puramente difensiva, tale disposizione assume un chiaro valore deterrente-aggressivo nei confronti della Federazione Russa, soprattutto in un’area nevralgica come il Corridoio di Suwałki e il fronte baltico.
In sintesi, la Germania non solo esce dalla tradizione postbellica di neutralismo armato, ma si propone come fulcro dell’apparato militare NATO in Europa orientale, segnando un’inversione di rotta potenzialmente pericolosa per l’equilibrio europeo.
Il rischio di escalation nucleare legato all’articolo 5 del Trattato NATO
L’invio di truppe tedesche in Lituania, al confine diretto con Kaliningrad e la Bielorussia, assume una valenza ben più ampia di un semplice gesto simbolico o difensivo. Si colloca infatti all’interno di una strategia di deterrenza integrata della NATO, che però comporta rischi gravissimi di escalation militare su scala continentaleLa presenza di truppe NATO in prossimità del territorio russo introduce un potenziale innesco per l’attivazione dell’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico. Questo articolo, spesso citato ma raramente discusso nei suoi effetti reali, stabilisce che:
“Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o in America del Nord sarà considerato un attacco contro tutte…”
Ciò implica che qualsiasi attacco – reale o percepito – contro le truppe tedesche in Lituania, o contro quelle italiane nella missione Baltic Air Policing, potrebbe portare all’immediato coinvolgimento di tutti e 31 i membri dell’Alleanza. In pratica, un episodio localizzato, anche accidentale, potrebbe innescare una guerra generalizzata tra NATO e Federazione Russa.
La Russia ha più volte chiarito che considera la presenza NATO ai propri confini come una minaccia strategica e “esistenziale”. Il governo russo, tramite vari comunicati ufficiali e dichiarazioni del Ministero della Difesa e del presidente Putin, ha segnalato che nel caso in cui il conflitto ucraino si estendesse al territorio russo o ad alleati diretti (come la Bielorussia o Kaliningrad), il ricorso all’arsenale nucleare tattico non sarebbe escluso, soprattutto se dovesse trattarsi di un confronto diretto con la NATO.
Il pericolo non è solo teorico. Nel recente passato, ci sono stati numerosi episodi di intercettazioni aeree, manovre aggressive e violazioni di spazio aereo tra caccia NATO e russi nel Mar Baltico. Anche minime provocazioni – reali o manipolate – potrebbero essere strumentalizzate come casus belli, soprattutto in un contesto propagandistico e mediatico polarizzato.
Inoltre, l’articolo 5 non è automatico: richiede una decisione unanime da parte del Consiglio del Nord Atlantico. Tuttavia, in un contesto di emergenza e pressione mediatica, l’effetto domino delle reazioni politiche potrebbe travolgere anche i governi più riluttanti, trascinando l’intero blocco atlantico in un confronto militare diretto contro Mosca.
Infine, l’aspetto più critico è che l’intera architettura di sicurezza europea è ormai costruita su un equilibrio basato sul deterrente nucleare reciproco. La Germania, che non possiede armi nucleari proprie ma è parte integrante della nuclear sharing della NATO (con testate statunitensi dislocate in Europa, anche sul proprio territorio), si espone dunque a un rischio strategico senza precedenti dal 1945, ponendo nuovamente l’Europa al centro di un possibile conflitto globale.
Il coinvolgimento italiano: Baltic Air Policing e lo schieramento interforze
L’Italia, spesso percepita come attore marginale nelle dinamiche militari dell’Est Europa, è invece profondamente coinvolta nella strategia NATO di contenimento della Russia. Questo avviene soprattutto attraverso la missione “Baltic Air Policing”, attiva dal 2004 per garantire la sicurezza dello spazio aereo delle tre Repubbliche Baltiche – Estonia, Lettonia e Lituania – che, pur essendo membri della NATO, non possiedono una propria aviazione da caccia in grado di intercettare minacce aeree.
Dal mese di agosto 2024, l’Italia ha assunto il comando della missione, dimostrando un chiaro allineamento alle nuove linee guida strategiche dell’Alleanza. Il nostro Paese ha dispiegato presso la base aerea di Šiauliai un gruppo di velivoli Eurofighter Typhoon e un contingente dell’Aeronautica Militare, con personale altamente specializzato proveniente da diversi stormi. Questo rappresenta il nono turno di partecipazione italiana alla missione dal 2015, il che rende l’Italia lo Stato che vi ha contribuito più frequentemente.
Ma il ruolo italiano non si limita all’ambito aereo. Va evidenziato anche lo schieramento in Lituania di una batteria missilistica SAMP-T dell’Esercito Italiano – un sistema di difesa aerea avanzato sviluppato congiuntamente con la Francia. Sebbene questo dispiegamento sia formalmente per “scopi esercitativi”, è evidente che esso integra l’Italia nell’architettura difensiva terrestre e missilistica della NATO sul fianco orientale, rendendo il nostro Paese parte attiva di una possibile risposta militare integrata in caso di escalation.
La presenza congiunta di forze italiane e tedesche sul territorio lituano va letta alla luce della nuova postura strategica dell’Alleanza: rafforzare le difese nei Paesi baltici per prevenire un eventuale attacco russo analogo a quanto accaduto in Ucraina. Tuttavia, questa militarizzazione crescente della regione comporta inevitabilmente una perdita di neutralità tattica, ponendo anche l’Italia in una posizione di cobelligeranza latente.
L’Italia, formalmente non impegnata in un conflitto contro la Russia, opera però in un quadrante ad altissimo rischio. In caso di incidente aereo, provocazione armata o azione ibrida (cyber, sabotaggio, infiltrazione), le forze italiane diventerebbero potenzialmente bersaglio di risposta russa, come già avvenuto in passato con intercettazioni aggressive nei cieli del Baltico.
Infine, la collaborazione tra il contingente italiano e il Combined Air Operations Centre di Uedem in Germania conferma l’integrazione operativa completa dell’Italia nella catena di comando della NATO, azzerando di fatto ogni distinzione autonoma tra la postura nazionale e quella dell’Alleanza. La presenza fisica delle nostre truppe in una regione che Mosca considera “zona rossa” dal punto di vista della sicurezza nazionale espone l’Italia a ripercussioni dirette in uno scenario di guerra convenzionale o – ancor peggio – nucleare tattica.
In quest’ottica, l’impegno italiano non può essere letto come semplice missione di “peacekeeping” o di “sorveglianza aerea difensiva”, ma come una scelta politica e militare di campo, in linea con l’asse euro-atlantico, ma contraria alla prudenza geopolitica che avrebbe potuto suggerire un atteggiamento più distaccato in uno scenario così infiammabile.
Il corridoio di Suwałki: punto nevralgico della futura guerra mondiale?
Il cosiddetto “corridoio di Suwałki” è una striscia di terra lunga circa 65-100 chilometri, situata tra il nord-est della Polonia e il sud della Lituania.
Questo stretto passaggio terrestre è geograficamente compreso tra la Bielorussia (alleata strategica della Russia) e l’enclave russa di Kaliningrad, fortemente militarizzata e sede di sistemi missilistici avanzati come gli Iskander a capacità nucleare.
Nonostante la sua apparente marginalità sulla mappa, il corridoio rappresenta uno dei punti più vulnerabili e strategicamente critici della NATO. Se Mosca decidesse di occupare tale tratto terrestre, l’intero fronte baltico dell’Alleanza verrebbe isolato dal resto dell’Europa, rendendo logisticamente complicato il supporto militare a Estonia, Lettonia e Lituania. Tale scenario è al centro di simulazioni militari e war games che, da anni, paventano un’azione russa fulminea per chiudere la “porta baltica” e consolidare il collegamento tra Kaliningrad e Bielorussia.
In tale contesto, l’invio di truppe tedesche in pianta stabile in Lituania e la crescente presenza militare polacca nel proprio versante del corridoio assumono un significato chiaramente difensivo per la NATO, ma inequivocabilmente offensivo per Mosca. La Russia, infatti, percepisce il rafforzamento delle forze NATO lungo il Suwałki Gap come un tentativo di “cingere d’assedio” Kaliningrad e di creare una cintura di contenimento militare ai suoi confini occidentali.
Non è un caso che i comandi militari russi abbiano più volte sottolineato che un attacco o un blocco del collegamento terrestre Kaliningrad-Bielorussia sarebbe considerato un atto di guerra, e che Mosca si riserva di rispondere con ogni mezzo, incluso l’utilizzo di armi nucleari tattiche, in quanto verrebbe percepito come una minaccia esistenziale.
Il rischio, dunque, è che una qualsiasi provocazione – anche accidentale – nel corridoio di Suwałki possa fungere da innesco per l’attivazione dell’art. 5 del Trattato NATO, trascinando l’Alleanza in un conflitto su vasta scala con la Russia. In uno scenario simile, le truppe italiane presenti in Lituania, quelle tedesche e quelle statunitensi in Polonia, sarebbero immediatamente coinvolte in uno scontro diretto.
Inoltre, il Suwałki Gap si inserisce in un quadro geopolitico più ampio in cui la Bielorussia di Lukashenko ha recentemente ospitato test congiunti russo-bielorussi con armamenti nucleari tattici, a conferma del fatto che l’intera regione è oggetto di una crescente militarizzazione a geometria variabile, che può sfuggire rapidamente a qualsiasi controllo politico o diplomazia preventiva.
corta in una polveriera già surriscaldata. Le élite politiche europee e atlantiche, nel premere per il rafforzamento del dispositivo militare su questa linea, sembrano ignorare il principio fondamentale della deterrenza, trasformando un’area cuscinetto in una linea del fronte attivo.
Il rischio di escalation globale: la dottrina nucleare russa e la soglia dell’apocalisse
L’attuale confronto tra NATO e Russia, incardinato formalmente sulla questione ucraina ma sostanzialmente più ampio, si muove sul filo del rasoio nucleare,
in base a una precisa architettura strategica elaborata da Mosca. La dottrina militare russa, aggiornata ufficialmente nel 2014 e integrata successivamente in più dichiarazioni del Cremlino, prevede che la Russia possa ricorrere all’uso di armi nucleari anche in risposta a un attacco convenzionale, qualora esso rappresenti una minaccia esistenziale per la Federazione.
Questo punto, spesso ignorato nei dibattiti pubblici occidentali, è stato ribadito in modo esplicito più volte. Vladimir Putin e Dmitrij Medvedev hanno chiarito che l’espansione della NATO verso est, il coinvolgimento diretto dell’Alleanza in conflitti che lambiscono i confini russi, o un eventuale attacco a Kaliningrad o alla Bielorussia, costituirebbero quelle “circostanze eccezionali” che giustificano una risposta nucleare.
La recente decisione di dislocare truppe tedesche in modo permanente in Lituania, sommandosi alla presenza italiana, americana e baltica, configura agli occhi di Mosca una pressione militare multipolare, in grado di stringere un cappio attorno al fianco occidentale russo. Se la NATO venisse attivata attraverso l’articolo 5, ad esempio a seguito di un incidente nel corridoio di Suwałki o a un’azione mirata contro forze russe, la Federazione potrebbe optare per un’escalation immediata, inclusa l’opzione nucleare.
La Russia, a differenza dell’Occidente, vede la guerra in Ucraina non come un conflitto locale, ma come un tentativo di strangolamento geopolitico della propria sovranità, orchestrato dagli Stati Uniti con il supporto subordinato dei membri NATO. Secondo questa narrativa, l’eventuale estensione del conflitto al territorio dell’Alleanza equivarrebbe a una guerra totale, e quindi giustificherebbe un’estrema risposta difensiva.
È su questa linea che Mosca ha condotto recenti esercitazioni di impiego di armi nucleari tattiche, in Bielorussia e nelle aree di confine, simulate come risposta a provocazioni NATO. Allo stesso tempo, l’ammodernamento del proprio arsenale nucleare strategico, il dispiegamento di sistemi ipersonici e la messa in allerta della triade nucleare russa sono segnali concreti di una disponibilità all’uso se necessario.
Questo scenario, purtroppo, non è più una remota possibilità, ma una traiettoria che si sta consolidando. Il coinvolgimento diretto della Germania, storicamente neutrale dal dopoguerra, e della stessa Italia in teatri sensibili come il Baltico, alimenta la percezione di Mosca di un assedio esistenziale, accelerando quella logica da “punto di non ritorno” che potrebbe trasformare l’Europa in un campo di battaglia atomico.
In questo contesto, la razionalità strategica rischia di cedere il passo a calcoli emotivi o provocazioni incontrollate, che potrebbero sfociare nella tragedia finale dell’umanità.
L’asse Mosca-Teheran e il fronte mediorientale: una guerra globale a fuochi alterni
Il crescente coinvolgimento della NATO in Europa orientale, culminato con la presenza militare permanente della Germania in Lituania,
non può essere separato dal più ampio quadro geopolitico multipolare che vede coinvolti attori chiave come la Russia e l’Iran, oggi legati da accordi strategici, militari ed energetici. L’intreccio tra la crisi ucraina e il conflitto israelo-iraniano non è solo teorico: è già operativo, e si configura come un fronte integrato di una guerra mondiale a pezzi, secondo l’espressione di Papa Francesco.
L’Iran è un alleato militare diretto della Russia: fornisce droni d’attacco Shahed, supporto strategico e cooperazione in campo tecnologico. In cambio, Mosca ha rafforzato il suo legame con Teheran con la cessione di caccia avanzati, sistemi di difesa aerea e, secondo alcuni report, collaborazione nello sviluppo di capacità nucleari civili e dual use. Tale alleanza è inoltre legittimata sul piano diplomatico dalla comune adesione all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) e dai recenti ingressi congiunti nei BRICS+, a suggellare un’alternativa al blocco atlantico-occidentale.
Allo stesso tempo, Israele è il principale nemico strategico dell’Iran, sostenuto apertamente dagli Stati Uniti e implicitamente dalla NATO. Le recenti operazioni militari di Israele contro obiettivi iraniani in Siria, Libano e all’interno del territorio iraniano stesso (attacchi a impianti nucleari e a generali dei Pasdaran), hanno provocato una risposta crescente da parte della Repubblica Islamica. Il timore di un conflitto diretto tra Tel Aviv e Teheran è ormai concreto, specialmente dopo lo storico attacco con missili e droni iraniani contro Israele nell’aprile 2024, considerato una svolta nella strategia regionale.
In questo scenario, l’estensione del conflitto in Europa orientale, se dovesse coinvolgere direttamente la NATO e quindi la Russia, spingerebbe l’Iran a rafforzare il suo fronte anti-occidentale, aprendo a una confluenza bellica globale tra i due teatri. Si configurerebbe una guerra su due assi: Europa e Medio Oriente, con Mosca e Teheran uniti contro Washington e i suoi alleati.
Questo meccanismo di interdipendenza strategica rappresenta un rischio letale: un’escalation in Ucraina o nei Paesi Baltici potrebbe spingere Israele ad accelerare l’attacco preventivo all’Iran, oppure, viceversa, un’aggressione israeliana a Teheran potrebbe innescare una risposta russa più decisa in Europa, sostenuta da un’alleanza di fatto con l’Iran e con la Cina in posizione di sostegno diplomatico e indiretto.
In definitiva, la “Zeitenwende” tedesca si inserisce in una strategia NATO sempre più offensiva e globale, che rende ogni singolo fronte un potenziale detonatore per un conflitto di proporzioni planetarie. La posta in gioco non è solo l’Ucraina o il Baltico, ma il futuro assetto del mondo multipolare, dove le tensioni locali diventano pedine di uno scontro esistenziale tra imperi in competizione.
Le inchieste di GospaNews: retroscena sull’asse NATO-Israele e l’ombra delle élite globaliste
L’articolazione del conflitto globale che si sta delineando tra NATO, Russia e Iran è stata oggetto di numerose inchieste da parte di GospaNews,
diretto dal giornalista investigativo Fabio Giuseppe Carlo Carisio. In più articoli pubblicati negli ultimi anni, la testata ha evidenziato come le strategie militari dell’Alleanza Atlantica siano guidate da una logica espansionista e provocatoria, diretta non solo contro la Russia ma anche contro l’asse della resistenza islamica, rappresentato da Iran, Hezbollah, Siria e gruppi filopalestinesi.
Secondo GospaNews, la decisione della Germania di inviare un contingente corazzato permanente in Lituania non è un atto difensivo, ma un’escalation preordinata, funzionale ad aumentare la pressione militare nel “corridoio di Suwałki”, punto critico tra Kaliningrad e la Bielorussia. Tale mossa verrebbe letta come un tentativo di accerchiamento strategico della Russia, in un contesto dove la militarizzazione dei confini orientali della NATO è accompagnata da una retorica bellicista sostenuta dalle élite euroatlantiche.
GospaNews mette inoltre in luce il ruolo centrale di Israele nella strategia NATO, sottolineando che l’apparente separazione tra i fronti ucraino e mediorientale è fittizia. Le cooperazioni militari tra Israele e i Paesi della NATO, come Italia, Germania e Regno Unito, sono sempre più strette, specialmente nel campo delle tecnologie belliche (cyberwarfare, intelligence, difesa antimissile). Carisio ha anche evidenziato che l’Iran, considerato “Stato canaglia” da Washington e Tel Aviv, è nel mirino di una strategia di destabilizzazione multipla, portata avanti con operazioni coperte, sabotaggi e campagne mediatiche.
In particolare, l’inchiesta pubblicata su GospaNews il 15 aprile 2024, in seguito all’attacco missilistico iraniano su Israele, ha ricostruito le connessioni tra l’intelligence occidentale e le provocazioni israeliane, ritenute funzionali a innescare una risposta che giustificasse un attacco su larga scala a Teheran. In parallelo, un’ulteriore inchiesta ha documentato l’impiego dei droni iraniani in Ucraina, usati dalla Russia, e la reazione scomposta della NATO, che ha rafforzato la narrativa di un asse del male Mosca-Teheran-Pechino, da contenere con ogni mezzo.
Nel pensiero critico promosso da GospaNews, tutto ciò convergerebbe in un disegno geopolitico globale pilotato da élite transnazionali (identificate talvolta in ambiti neocon, massonici o finanziari globalisti) che mirano a indebolire i centri di potere alternativi e ostili all’ordine unipolare. In questo schema, la militarizzazione della Germania e dei Paesi Baltici si configura come parte integrante di un piano di lungo termine, non di autodifesa, ma di egemonia strategica occidentale.
Conclusioni: una “Zeitenwende” dal rischio globale e la necessità di un dialogo multilaterale
La decisione storica della Germania di schierare permanentemente truppe in Lituania segna davvero una “Zeitenwende” (svolta epocale) nelle dinamiche di sicurezza europea e globale.
Questo cambio di paradigma testimonia la fine di decenni di politica di difesa passiva e la nascita di un atteggiamento più aggressivo e proattivo della NATO, che va ben oltre i confini tradizionali dell’alleanza.
L’articolazione di questo nuovo scenario mette in evidenza un fatto fondamentale: la crescente interconnessione tra teatri di guerra distanti, come l’Europa orientale e il Medio Oriente, e la partecipazione di attori chiave come la Germania, la Russia, l’Iran, Israele e gli Stati Uniti in una rete di alleanze e rivalità. La presenza militare tedesca in Lituania non è un episodio isolato, ma un tassello di una strategia globale che rischia di trascinare il mondo in un conflitto su vasta scala.
Come sottolineato anche dalle inchieste di GospaNews, dietro le scelte strategiche c’è la mano di élite transnazionali che perseguono un disegno di dominio geopolitico, mentre il rischio reale per i popoli è quello di trovarsi sempre più in balia di conflitti striscianti e escalation incontrollate.
Di fronte a queste sfide, la via da seguire non può essere quella della mera militarizzazione e dell’intransigenza. È urgente rilanciare un dialogo multilaterale serio e inclusivo, che coinvolga tutte le parti in causa, compresa la Russia e l’Iran, con l’obiettivo di ridurre le tensioni e creare condizioni di pace stabile. Solo un approccio diplomatico basato su rispetto reciproco e negoziati concreti può evitare che questa “Zeitenwende” si trasformi in una catastrofe globale.
In definitiva, la storia insegna che le svolte epocali portano con sé rischi e opportunità: sta all’intelligenza politica mondiale trasformare questa svolta in un’occasione per la pace e la sicurezza condivisa, anziché in un punto di non ritorno verso la guerra totale.
Ciro Scognamiglio
Membro del direttivo dell’associazione Constitutio Italia
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