“ALLIEVI CARABINIERI PENSATE A SALUTE E FAMIGLIA”. Basta una Frase a far Rimuovere il Generale Oresta: A lui l’Onore della Divisa, all’Istituzione la Vergogna…

“ALLIEVI CARABINIERI PENSATE A SALUTE E FAMIGLIA”. Basta una Frase a far Rimuovere il Generale Oresta: A lui l’Onore della Divisa, all’Istituzione la Vergogna…

Onore alla divisa, vergogna all’Istituzione. Lo Stato teme la dignità umana dei suoi servitori

di Piero Angelo De Ruvo  *

* Sottufficiale dell’Esercito Italiano in Congedo.. Ex sindacalista militare

Il caso del Generale Pietro Oresta, rimosso in seguito a un discorso rivolto agli allievi della scuola Marescialli e Brigadieri di Firenze, in cui metteva al centro la dignità, la salute sia fisica che mentale e la persona umana, è molto più di una vicenda disciplinare.

È il sintomo di una crisi più profonda, che coinvolge il rapporto tra autorità e umanità all’interno delle forze armate e dell’intero apparato statale. È lecito chiedersi: quale tipo di istituzione vogliamo? Una che protegge il proprio corpo solo formalmente o una che si fa realmente carico delle fragilità di chi la serve?

Una rimozione per chi parla (Video del discorso)

In poche ore, il Generale Oresta è passato dall’essere un punto di riferimento, una guida per centinaia di giovani allievi carabinieri a essere rimosso dal suo incarico. Il suo “errore”? Aver parlato con umanità, da padre a figli, da comandante a cittadini in uniforme.

“Ricordatevi, che il vostro benessere, e quello dei vostri familiari, la nostra vita è superiore a qualunque istruzione o procedura”.

Una frase semplice, che tuttavia ha scosso le fondamenta di una cultura gerarchica dove ogni parola fuori dallo schema può diventare un atto di insubordinazione.

Un messaggio di responsabilità umana, non certo di ribellione, quelle parole però sono bastate per generare un caso. Il Comando Generale dell’Arma non ha fornito spiegazioni ufficiali sulla rimozione, ma la tempistica rende difficile credere a una coincidenza. Dietro la freddezza burocratica si intravede una profonda difficoltà, quella di accettare che l’umanità possa convivere con la disciplina, annullando con il comando la coscienza.

L’istituzione è forte solo se è giusta, ma non cieca.

Il mondo militare e quello delle forze dell’ordine sono fondati sulla gerarchia, sull’obbedienza, sulla prontezza di agire in condizioni difficili.

Le forze armate e le forze dell’ordine sono pilastri dello Stato. Nessuno può dubitare dell’importanza della loro coesione, della loro disciplina e della loro capacità di agire con fermezza anche nei contesti più complessi. Ma ciò non deve diventare pretesto per soffocare l’individuo.

Chi indossa una divisa non cessa di essere persona, e una persona per essere efficace, dev’essere ascoltata, tutelata, sostenuta. Tuttavia, quando la tutela dell’istituzione scavalca quella della persona, si entra in un territorio pericoloso.

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In Italia, troppo spesso si celebra il ruolo delle forze armate e delle forze dell’ordine solo con parole vuote nei discorsi ufficiali, dimenticando nei fatti il peso reale che grava sulle spalle di chi indossa una divisa.

Donne e uomini in uniforme vengono lasciati soli ad affrontare difficoltà psicologiche, carichi di lavoro insostenibili, isolamento emotivo e, negli ultimi anni, anche una delle forme più gravi di pressione istituzionale: l’obbligo vaccinale.

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I Carabinieri, come altri militari, sono stati costretti a sottoporsi a un trattamento sanitario imposto, spesso sotto minaccia di sospensioni, sanzioni e stigmatizzazione. Un obbligo che, in molti casi, ha inciso negativamente sulla salute fisica e mentale, alimentando sfiducia, paura e senso di abbandono. Le parole del Generale Oresta ci ricorda, con tragica evidenza, che dietro ogni uniforme c’è un essere umano, con fragilità, diritti e dignità,

“Dovete curare prima voi stessi. Dovete stare attenti alla vostra salute, dopo pensate al servizio”.

Questa non è una riflessione dettata da sentimentalismo, è una constatazione funzionale alla sicurezza e alla coesione dello Stato. Un militare che non si sente tutelato nei momenti critici, che percepisce lo Stato più come un controllore che, come un alleato, diventa un servitore dimezzato.

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Non si può pretendere lucidità, fermezza e discernimento da chi è lasciato solo nella pressione e nella solitudine istituzionale.

Non è un caso, allora, se i suicidi tra le forze dell’ordine e le forze armate, nel comparto penitenziario e della polizia locale, continuano a essere una piaga silenziosa e devastante. È tempo che lo Stato smetta di voltarsi dall’altra parte, e inizi davvero a prendersi cura di chi ha giurato di proteggerlo, anche quando questo significa fare scelte scomode e ammettere errori del passato.

Un uomo, non un ribelle. Parole sincere che mettono in risalto la dignità dell’uomo come premessa di ogni disciplina autentica.

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Il discorso del Generale Oresta – che per alcuni ha toccato toni “sindacalizzati” – può essere criticato nei modi o nei toni, ma il contenuto appare tutt’altro che eversivo. Ricordare agli allievi che prima del dovere viene la vita non significa negare l’importanza del servizio, ma umanizzarlo. Significa dire a futuri marescialli che essere carabinieri non deve costare loro la salute mentale, la famiglia, la pace interiore.

È importante chiarire che il Generale Oresta non ha pronunciato parole eversive. Non ha incitato alla disobbedienza, non ha criticato l’Arma, non ha rinnegato i valori militari. Al contrario, ha riaffermato un principio alto e fondante: la dignità dell’uomo come premessa di ogni disciplina autentica. Chi serve lo Stato ha bisogno di sentirsi parte di un sistema che lo protegga, non che lo schiacci.

Una sfida culturale interna

Chi oggi punta il dito contro il Generale Oresta, dicendo che avrebbe potuto usare parole più diplomatiche, dimentica che lo Spirito non sempre parla con voce sussurrata: a volte irrompe come vento impetuoso, scuote, rompe il silenzio, svela ciò che era nascosto.

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Quando si tenta di abbattere i muri dell’indifferenza e del formalismo, le parole devono fendere l’aria come spade di verità, anche se fanno tremare. Nel cuore di chi ha vissuto il silenzio della sofferenza, il peso della solitudine, parlare di salute mentale non è debolezza, ma atto di misericordia.

È difficile non vedere nelle parole di Oresta un’eco della compassione evangelica: un richiamo a non lasciar morire il prossimo nell’indifferenza, a non seppellire nel dovere il volto sofferente del fratello. Forse aveva negli occhi quel volto spezzato, quella giovane vita che a Firenze si è spenta nel silenzio di una camerata.

Forse, nel suo discorso, c’era una preghiera muta, un “perdonaci” a nome di un sistema che non sa ascoltare. In fondo, è questo che scandalizza: che un uomo di comando abbia osato toccare le piaghe, che abbia parlato di dolore e fragilità in un luogo dove ancora si indossa la corazza del silenzio.

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Eppure, è proprio lì che il Vangelo chiede di entrare: nelle pieghe della fragilità umana, dove la verità non condanna, ma risana.

Il problema, semmai, è che in Italia manca ancora una piena cultura della tutela del personale in divisa. Ci si riempie la bocca di rispetto per le forze dell’ordine, salvo poi abbandonarle nell’indifferenza quando si tratta di garantire loro strumenti concreti, protezione legale o supporto psicologico.

I numeri che non fanno rumore

Secondo i dati raccolti da osservatori indipendenti e associazioni di categoria, ogni anno decine di militari, carabinieri, agenti della polizia penitenziaria e forze dell’ordine si tolgono la vita.

Dietro questi tragici eventi si celano condizioni lavorative gravemente compromesse da stress, isolamento, mobbing e mancanza di supporto. Nel 2024 si contano oltre 50 suicidi, ma i dati sono incompleti a causa del silenzio istituzionale.

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In questo contesto, si evidenzia un processo di laicizzazione e scristianizzazione delle caserme, dove tradizionali presenze religiose e forme di sostegno spirituale vengono progressivamente marginalizzate o escluse. La dimensione spirituale, un tempo elemento di conforto e coesione in ambito militare, viene spesso rimpiazzata da una visione puramente tecnica e burocratica del disagio, contribuendo al senso di abbandono.

La mancanza di riferimenti morali e comunitari aggrava il vuoto esistenziale vissuto da molti operatori. Da qui, l’urgenza di un’indagine indipendente che affronti anche gli aspetti culturali e valoriali alla base del malessere diffuso.

Vessazioni e cultura del silenzio

Alla luce della dottrina cattolica, ciò che emerge da queste dinamiche non è solo una crisi istituzionale, ma una ferita profonda inferta alla dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio.

Le vessazioni interne, le pressioni indebite, le umiliazioni sistematiche e le discriminazioni non sono soltanto violazioni di diritti, ma peccati contro la carità, contro la giustizia e contro la verità. Quando un contesto gerarchico diventa terreno fertile per il silenzio forzato, per l’ipocrisia istituzionale, per la menzogna mascherata da disciplina, siamo di fronte a una distorsione grave del senso stesso dell’autorità, che nella visione cristiana è servizio e non dominio.

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Cristo stesso ci ha mostrato che la vera autorità si manifesta nel chinarsi a lavare i piedi dei discepoli (Gv 13,14).

E quando un uomo come il Generale Oresta ha il coraggio evangelico di mettere al centro la persona prima del ruolo, spezzando il silenzio complice e riportando al cuore dell’Istituzione la dignità umana, compie un atto di testimonianza, cosa accade?

Viene punito non perché ha tradito, ma perché ha detto la verità, come i profeti che nella Bibbia venivano perseguitati non per il male che facevano, ma per il bene che proclamavano.

La persecuzione, nella storia cristiana, non è sempre stata solo un fatto di sangue dei martiri:

spesso è un’esclusione silenziosa, una marginalizzazione, una condanna sociale inflitta a chi osa ricordare che “il sabato è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato” (Mc 2,27). Così, punendo chi difende l’uomo, si offende Dio stesso, perché “ciò che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

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Riformare senza indebolire

Chi oggi difende l’istituzione zittendo le voci scomode, confonde l’ordine con l’immobilismo

. Le istituzioni non si rafforzano soffocando la critica interna, ma rendendosi capaci di autocorrezione, di ascolto, di riforma. Se il Comando Generale vede come minaccia un richiamo alla vita e alla salute fisica e mentale, è segno che qualcosa si è inceppato nel cuore stesso dell’Istituzione.

In altri paesi europei, (vedi elenco sotto la firma) esistono protocolli chiari, sportelli psicologici attivi 24 ore su 24, reti di sostegno interne, organismi di vigilanza sulle condizioni di lavoro delle forze armate indipendenti formate da personale non ricattabile ed influenzabile gerarchicamente. In Italia, siamo ancora troppo lontani da tutto questo. E intanto, nel silenzio, il numero di vite spezzate cresce.

La sfida è culturale, tra dovere e dignità

Il caso Oresta ci obbliga a guardare oltre l’apparente equilibrio dell’apparato statale.

Ci chiede di chiederci: vogliamo corpi addestrati a tacere o comunità capaci di crescere? L’autorità, se non è accompagnata dalla cura della persona, rischia di diventare arbitrio. La disciplina, se non è sostenuta da comprensione e umanità, degenera in automatismo.

Chi serve lo Stato non è un ingranaggio. È un cittadino in divisa, con diritti, dolori, paure e desideri. La vera forza delle istituzioni non sta nella loro rigidità, ma nella loro capacità di essere giuste, solidali, capaci di mettersi in discussione. Se davvero vogliamo onorare la divisa, dobbiamo iniziare ad ascoltare chi la indossa. Anche – e soprattutto – quando le sue parole ci mettono a disagio.

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Le istituzioni sono forti solo quando chi le serve si sente parte integrante e rispettata. Un carabiniere è chiamato a sacrifici enormi, ma ha il diritto di non sacrificare tutto. È doveroso pretendere impegno, disciplina, fedeltà; ma è altrettanto giusto ricordare che prima di tutto c’è la persona e senza di essa non c’è il carabiniere.

Il caso Oresta non va ridotto a un incidente disciplinare. È lo specchio di una tensione irrisolta tra autorità e umanità, tra comando e ascolto. Ed è un’occasione per riflettere su che tipo di Istituzioni vogliamo: corpi forti e muti, o comunità solide e pensanti. Non esiste istituzione sana che ignori la salute dei suoi uomini.

Se un comandante come Oresta è stato rimosso per aver messo al primo posto le sue persone, allora la vera domanda è: chi stiamo davvero proteggendo?

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Piero Angelo De Ruvo

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Sottufficiale dell’Esercito Italiano in Congedo.. Ex sindacalista militare
Membro del direttivo dell’associazione Constitutio Italia

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LE TUTELE DEGLI UOMINI IN DIVISA NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI 

Ecco un confronto internazionale delle migliori pratiche per il supporto alla salute mentale nelle forze armate e nelle uniformi, che mette in luce come altri Paesi affrontano il problema in modo strutturato e preventivo.

🇦🇺 Australia: Commissione Reale sui suicidi nei militari
• Tra il 1985 e il 2021, 2.007 membri dell’Australian Defence Force (ADF) si sono tolti la vita, con un tasso medio di 78 decessi all’anno theguardian.com.
• La Commissione Reale (2021–2024) ha presentato 122 raccomandazioni per garantire maggiore supporto psicologico, protezione legale e transizione verso la vita civile theguardian.com+1en.wikipedia.org+1.
• Il capo dell’ADF si è scusato pubblicamente e ha annunciato riforme culturali e un sistema di valutazione della leadership basato sul benessere dei militari.
Lezioni chiave:
• Approccio olistico che integra prevenzione, cura continua, ricerca e leadership responsabile.
• Maggior trasparenza e responsabilizzazione del comando.

🇺🇸 Stati Uniti: Modelli DCoE e NCCOSC
• Il Defense Centers of Excellence (DCoE) coordina la prevenzione, cura e ricerca sul benessere psicologico dei militari e veterani en.wikipedia.org+1en.wikipedia.org+1.
• Il Naval Center for Combat & Operational Stress Control eroga formazione, interventi sul campo e cura tempestiva delle ferite psicologiche en.wikipedia.org.
Lezioni chiave:
• Presenza strutturata di specialisti sui luoghi di servizio.
• Formazione continua e supporto integrato.

🇫🇷 Francia & 🇳🇱 Paesi Bassi: sostegno operativo e spirituale
• La SSA francese fornisce supporto sanitario completo ai militari, integrando salute mentale e benessere fisico.
• Nei Paesi Bassi esistono counselor umanistici indipendenti presenti in unità militari e durante le missioni, offrendo ascolto etico al di fuori della gerarchia.
Lezioni chiave:
• Approccio multidisciplinare e presenza continua durante l’operatività.
• Percorso di supporto “esterno-interno”, garante di riservatezza e fiducia.

🇮🇱 Israele: programma prevenzione suicidi IDF
• Attivo dal 2006, il programma IDF utilizza ufficiali psicologi militari (MHO) inseriti nelle unità, con formazione psico-educativa e misure come deposito obbligatorio delle armi durante le licenze pmc.ncbi.nlm.nih.gov.
• Risultato: dimezzamento dei suicidi militari tra il 2006 e il 2014 mdpi.com.
Lezioni chiave:
• Approccio preventivo durante i periodi di adattamento critici.
• Formazione della catena di comando e riduzione dell’accesso ai mezzi letali.

🇬🇧 Regno Unito: Trauma Risk Management (TRiM)
• Il programma TRiM, utilizzato sia nelle forze armate sia nelle forze di polizia, è incentrato su peer support: tra pari fornisce sostegno dopo eventi traumatici en.wikipedia.org+1pmc.ncbi.nlm.nih.gov+1.
• Studi indicano una riduzione significativa dello stress e del richiamo dal servizio tra i partecipanti.
Lezioni chiave:
• Supporto orizzontale efficace e immediato, anche senza intervento professionale diretto.
• Riduzione dello stigma verso il supporto psicologico.

 

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Piero Angelo De Ruvo

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