RENZI COME CRAXI: INDAGATO PER FONDI NERI IN POLITICA. Inchiesta minata dalla Cassazione. Il precedente: Dollari da enti USA dell’Obama-team al cognato

RENZI COME CRAXI: INDAGATO PER FONDI NERI IN POLITICA. Inchiesta minata dalla Cassazione. Il precedente: Dollari da enti USA dell’Obama-team al cognato

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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

Fondazione Open, il Tribunale di Firenze dichiara nulli i sequestri di chat e mail.

AGGIORNAMENTO DEL 10 NOVEMBRE 2023

l gup del Tribunale di Firenze Sara Farini ha dichiarato nulli i sequestri di chat e di email aventi come interlocutori Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Luca Lotti e Francesco Bonifazi (non imputato) nel periodo in cui erano parlamentari. La decisione rientra nell’inchiesta della procura di Firenze sul presunto uso della Fondazione Open come cassaforte del movimento politico dell’ex sindaco di Firenze, imputato insieme ad altri per finanziamento illecito. Lo scorso luglio, anche la Corte costituzionale aveva dichiarato illegittima l’acquisizione delle conversazioni per mail e Whatsapp che coinvolgevano Renzi e alcuni suoi interlocutori. «La procura non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e Whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi», si legge nella nota della Consulta della scorsa estate. All’udienza preliminare di oggi, venerdì 10 novembre, la giudice ha ribadito questo concetto, accogliendo però la nuova istanza presentata dalla procura di Firenze, che chiede ufficialmente a Camera e Senato l’autorizzazione a procedere per il sequestro probatorio di email. Nel frattempo, Renzi esulta: «Oggi ennesima puntata dell’udienza preliminare Open – scrive il leader di Italia Viva sui social – La gup ha detto che i sequestri di corrispondenza fatti dal pm Turco erano illegittimi. Tanto per cambiare. Quindi ennesima vittoria nostra, ennesima sconfitta dei pm di Firenze. Una vicenda sempre più incredibile…».

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«Il Partito Comunista aveva costruito in Italia la macchina burocratica più potente e organizzata dell’intero mondo occidentale. E per questi si avvaleva di un finanziamento che proveniva in gran parte da fonti illegali. C’era un grande flusso che proveniva dall’estero, dall’Unione Sovietica e dai paesi del Patto di Varsavia. Qualcuno puà credere che il ravennate Gardini che aveva interessi in Emilia e in Unione Sovietica non abbia mai dato un contributo al Partito Comunista? Sarebbe come credere che il presidente della Camera, onorevole Giorgio Napolitano che è stato per molti anni Ministro degli Esteri del Partito Comunista e aveva rapporti con tutte le Nomenklature dell’Est a partire da quella Sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui tra i vari rappresentanti e amministratori del Partito Comunista coi paesi dell’Est. Cosa non credibile».

Queste parole furono pronunciate nel 1993 al Processo Cusani per le tangenti Enimont dall’ex statista Bettino Craxi, leader del Partito Socialista spazzato via dallo scenario politico italiano dallo stesso sistema giudiziario che consentì a Napolitano non solo di farla franca ma pure di diventare influente deputato del Partito Democratico, poi Presidente della Repubblica Italiana e quindi incaricare quale Presidente del Consiglio Matteo Renzi, segretario PD, nel febbraio 2014.

Una nomina immediatamente benedetta dal presidente USA Barack Obama, leader del Democratic Party, che manifestò grande attenzione all’emergente politico italiano sotto il profilo diplomatico in virtù dei frequenti incontri avuti in precedenza da Renzi con Hillary Clinton, segretaria di Stato della Casa Bianca dal 2009 al 2013. Ma non solo.

Come svelato da Gospa News, infatti, per una misteriosa coincidenza, proprio in quel quadriennio da due fondazioni americane controllate da esponenti di spicco dei Dem di fiducia dello stesso Obama arrivarono i milioni di dollari intascati dai parenti di Renzi nel cosiddetto scandalo Unicef, sfociato in un’inchiesta giudiziaria che non ha però sfiorato l’ex premier e segretario PD, è bene precisarlo subito.

 

Ora la storia si ripete perché Renzi ed il suo Giglio Magico sono indagati per finanziamento illecito ai partiti proprio come accadde a Craxi, costretto all’esilio in Tunisia (dove morì nel 2000) per sfuggire all’arresto. Ma ciò accade in modo ovviamente più soft proprio perché riguarda quella sinistra sempre protetta dalle toghe rosse (in particolare quelle in ermellino della Cassazione) come avvenuto nelle ultime settimane per lo scandalo PalamaraGate.

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Il procedimento disciplinare all’ex pm Luca Palamara, già presidente Associazione Nazionale Magistrati e consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura a cavallo tra le presidenze CSM di Napolitano e Sergio Mattarella, entrambi deputati PD, si è concluso individuando il sostituto procuratore romano (radiato dalla magistratura) quale unico responsabile degli incontri galeotti tra magistrati e parlamentari del Partito Democratico.

Questi summit, come confermato da una valanga di chat e intercettazioni, si tennero per pilotare le nomine nelle procure strategiche (Roma, Perugia) che indagavano su affari loschi come lo scandalo CONSIP, la centrale del Ministero dell’Economia per gli appalti miliardati nelle forniture alle amministrazioni pubbliche, e sul presunto caso di corruzione in atti giudiziari dello stesso Palamara.

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Alla luce di quegli intrighi, sminuiti nella loro gravità da un’interpretazione benevola della Procura Generale della Cassazione, tra lo sconcerto di moltissimi magistrati che evocavano giuste punizioni per le toghe invischiate con la politica per fare carriera, la girandola di soldi di presunta provenienza illecita avvenuta tra le mani dei leader della corrente politica di Renzi, premier fino al dicembre 2016 ma segretario PD fino al febbraio 2017, assume un’importanza ancor più grave per tre motivi.

In primo luogo perché tra gli indagati insieme a Renzi c’è anche il suo fedelissimo dei tempi migliori, l’ex ministro Luca Lotti, il cui nome è diventato ricorrente nelle inchieste giudiziarie essendo invischiato non solo nel caso Consip (per una spiata che aiutò un indagato a s coprire le cimici della magistratura che lo stava intercettando) ma anche per lo scandalo PalamaraGate, essendo stato uno dei protagonisti di punta degli incontri con le toghe all’Hotel Champagne di Roma per scegliere i magistrati benevoli per la Procura che stava indagando su di lui.

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In secondo luogo perché l’inchiesta sui presunti fondi neri arrivati alla Fondazione Open che sostenne le inziative politiche di Renzi tra cui la manifestazione della Leopolda, pare già destinata ad essere incanalata, come l’inchiesta del CSM sui complici del pm Palamara nei traffici di influenze, sul binario morto dei cavilli giuridici che consentono alle leggi di essere applicate per i nemici ma interpretate per gli amici.

In terzo luogo la fondazione Open, magari per una semplice causalità, porta il nome di riferimento di tutte le più importanti iniziative socio-politiche del plutarca George Soros, fondatore di Open Society a New York che ama lasciare la “firma” in ogni sua azione per meglio trasmettere le sue megalomani aspirazioni di onnipotenza nel panorama del nascente Nuovo Ordine Mondiale, favorito dalla dittatura sanitaria conseguente al virus SARS-2 in cui lo stesso Soros ha fatto cospicui e sospetti investimenti.

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Non va dimenticato che Open è anche il nome del quotidiano online di Mentana, improvvisamente divenuto un sorosiano dopo la nascita del sito, ma soprattutto che nel maggio 2017 lo stesso Soros si recò a Palazzo Chigi per rendere omaggio al premier Paolo Gentiloni, neosegretario PD e futuro Commissario in quell’Unione Europea in cui il magnate ungaro-americano controlla numerosi eurodeputati influenti.

«L’intero Giglio magico finisce nei guai per la vicenda della fondazione Open, che già aveva portato nel mirino dei pm gli amministratori Alberto Bianchi e il manager Marco Carrai» riportano Il Giornale, Ansa ed altri media.

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«Come anticipato da La Verità e confermato da alcuni legali, infatti, pare che per i flussi di denaro (circa 7,2 milioni di euro) della fondazione – che fungeva anche da sostegno alle iniziative politiche renziane, tra le quali la Leopolda – siano arrivati avvisi di garanzia anche a Matteo Renzi (per il suo ruoilo di segretario nazionale del Pd e senatore), Maria Elena Boschi(ora capogruppo alla Camera di Italia Viva) e Luca Lotti (deputato Pd). Tutti sarebbero accusati di traffico di influenze e di finanziamenti illecito ai partiti».

LA CASSAZIONE FRENA L’INCHIESTA

Questo è quanto scrive il quotidiano Il Giornale che, a differenza di altri media, rileva un particolare fondamentale non solo nelle fasi di svolgimento delle indagini ma anche per il futuro sviluppo dell’inchiesta: «Recentemente la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dai legali di Marco Carrai e di altri imprenditori contro il sequestro di documenti e pc, motivando con il fatto che non è provato che la fondazione Open fosse un’articolazione di partito, come invece sostenuto dalla procura fiorentina» precisa la giornalista Clarissa Gigante su Il Giornale.

Ebbene gli ermellini avrebbero già messo in dubbio un elemento sostanziale su cui si regge l’impianto accusatorio dell’attività requirente: se infatti non fosse possibile provare che quell’organizzazione fu davvero una ramificazione della corrente politica di Renzi e come tale utilizzata anche per promuovere il PD di cui egli era segretario nazionale il grave reato di finanziamento illecito ai partiti potrebbe evaporare…

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«Già l’anno scorso si erano accesi i riflettori su Alberto Bianchi, avvocato e presidente della fondazione fino al suo scioglimento, e su una trentina di imprenditori che tra il 2012 e il 2018 avevano donato alla fondazione circa 7.2 milioni di euro. Soldi che il 24 novembre porteranno l’ex premier e i suoi fedelissimi davanti ai magistrati “per rispondere ad interrogatorio con l’assistenza del difensore di fiducia già nominato”. Le somme raccolte – secondo gli inquirenti che hanno inviato l’invito a comparire – sarebbero state “dirette a sostenere l’attività politica di Renzi, Boschi e Lotti e della corrente renziana”. Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi erano infatti tutti membri del consiglio direttivo di Open, che avrebbe ricevuto “in violazione della normativa citata i contributi di denaro”. Si parla di circa 670mila euro nel 2012, 700mila nel 2013, 1,1 milioni nel 2014, 450mila nel 2015, 2,1 milioni nel 2016, un milione nel 2017 e 1,1 milioni nel 2018» aggiunge Il Giornale.

La fondazione Open (inizialmente denominata “Big Bang”) era nata nel 2012 come ‘cassaforte’ per sostenere le iniziative politiche come la Leopolda e le altre campagne renziane. Sul proprio sito apparivano anche i nomi dei finanziatori che avevano voluto render pubblica la propria donazione, ma nel settembre 2019 i magistrati sequestrarono l’elenco di chi non era voluto comparire.

Secondo la procura di Firenze la fondazione avrebbe “agito come una ‘articolazione’ di un partito politico, destinando i soldi raccolti all’attività politica dei renziani”. Le accuse di finanziamento illecito ai partiti mosse dalla procura di Firenze si riferiscono al periodo in cui Renzi è stato segretario del Pd e senatore dal marzo 2018.

GIRANDOLA DI AFFARI LOSCHI NEL GIGLIO MAGICO

Come abbiamo ricordato in più di un’occasione non è questa l’unica volta che una società vicina a Renzi finisce nell’occhio del ciclone. Circa un anno fa i genitori dell’ex premier, Tiziano Renzi e Laura Bovoli, furono arrestati quali amministratori di fatto di una serie di cooperative fallite che gestivano volantinaggio per conto della società di famiglia Event 6 srl di Rignano sull’Arno, dove aveva sede anche la Marmodiv, una delle coop per cui chiese il fallimento la Procura stessa di Firenze.

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Grazie a questa società di famiglia Renzi fu assunto come dirigente pochi giorni prima della sua candidatura alla Presidenza della Provincia di Firenze, innescando l’escamotage che gli consentì di avere una pensione d’oro. Ma non solo.

Nella Event 6 srl confluirono 187mila euro destinati dalle fondazioni Unicef e Operation Usa ma finiti per circa 6,6 milioni di dollari sui conti bancari dei fratelli Alessandro e Andrea Conticini, accusati a vario titolo dalla Procura di Firenze di appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio. Quesi soldi erano destinati ad iniziative a favore dei bambini africani che ne ricevettero solo una piccola parte pari a 2,8 milioni di dollari dei circa 10 erogati dai due enti di beneficenza.

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Come dimostrato da Gospa News quelle cospicue movimentazioni di finanziamenti destinate ai progetti dello sconosciuto Alessandro Conticini con le sue società (commerciali) ‘Play Therapy Africa limited’ e ‘International Development Association limited’e ‘International Development Association Sa’ partirono da due fondazioni controllate da esponenti del Democratic Party americani come Anthony Lake, attivo nella campagna elettorale vincente dell’ex presidente Barack Obama che nel 2010 lo nominò International Executive Director Unicef, e il senatore Gary Hart, braccio destro di Obama quale vicepresidente del Comitato di Sicurezza Nazionale, nonché membro del Board of Directors della fondazione Operation Usa.

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Non va poi dimenticato che proprio nello scandalo PalamaraGate emersero inquietanti retroscena inerenti dei preunti intrighi tra magistrati e servizi segreti che portarono sulla pista dell’ObamaGate, la contro-inchiesta avviata dalla procura generale degli USA dopo che risultarono infondati i dossier RussiaGate e UkraineGate promossi da parlamentari del Democratic Party con la complità di agenti della FBI e della CIA. Una storia così torpida di intrecci tra politica e intelligence militare da arrivare fino alle origini dell’attuale pandemia da COVID-19.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAIN SOURCES

GOSPA NEWS – GIUSTIZIA – MAFIA

GOSPA NEWS – OPINIONI

GOSPA NEWS – COSPIRAZIONI – MASSONERIA

GOSPA NEWS – GEOPOLITCA – ECONOMIA

IL GIORNALE – RENZI INDAGATO PER OPEN

PALAMARA-GATE – 4. NEL MIRINO 10 TOGHE ROSSE. Intrighi col “Cerchio Magico” Napolitano-Renzi e l’OBAMA-GATE su 007 e vaccini Gates-Soros

UKRAINEGATE, COMPLOTTO DEEP STATE CONTRO TRUMP: tra i due informatori CIA spunta anche Renzi

 

 

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Fabio Giuseppe Carlo Carisio

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