PONTE MORANDI: “IL DISASTRO E’ DOLOSO”. Per la Procura i vertici di Autostrade sapevano il rischio di crollo ma lo hanno occultato
Finalmente i nodi cominciano a venire al pettine lento ma implacabile della magistratura. Secondo la Procura della Repubblica di Genova guidata dal dottor Francesco Cozzi il crollo del Ponte Morandi è da ritenersi “doloso”.
Perchè i vertici di Autostrade per l’Italia Spa, la società concessionaria del tratto autostradale del viadotto Polcevera e di gran parte della rete italiana, erano a conoscenza dei rischi ma non solo avrebbero fatto nulla per evitare il disatro, ma avrebbero pure cercato di occultare la gravità del problema. E così il 14 agosto un tirante del manufatto cedette trascinando con sè i piloni, la soletta e le vite di 43 persone che ebbero la disgrazia di trovarsi a transitare lì in quel momento.
L’inchiesta genovese era partita coi piedi di piombo in virtù della delicatezza della vicenda ma nelle ultime settimane, man mano che emergono le inequivocabili responsabilità dei gestori, la posizione giudiziaria degli amministratori e funzionari della società concessionaria si sta facendo sempre più grave e complessa, culminata di recente con i clamorosi arresti per il troncone Bis del procedimento.
Le nuove accuse arrivano sulla base dello sviluppo delle indagini che ha portato a scoprire come gli ex vertici di Aspi abbiano voluto risparmiare sulla manutenzione della rete per accrescere gli utili del gruppo Atlantia, la finanziaria quottata in Borsa, controllata dalla famiglia di Luciano Benetton ma partecipata da importanti soggetti economici come la Cassa di Risparmio di Torino, il fondo sovrano di Singapore e il fondo d’investimento americano BlackRock.
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Secondo le indagini gli ex dirigenti avrebbero falsificato alcuni atti per nascondere i mancati restyling e sarebbero stati consapevoli del pericolo di tale comportamento. Le accuse sono di attentato alla sicurezza dei trasporti, falso, disastro colposo e omicidio colposo plurimo e gli indagati sono 71.
“Questa contestazione – spiegano alla Procura – non significa che hanno volutamente fatto crollare il viadotto, ma che hanno messo insieme una serie di comportamenti dolosi, come la mancata manutenzione o la realizzazione di falsi verbali, tali da portare al crollo dello stesso”. Il reato doloso ha pene molto più severe rispetto a quello doloso.
Il rischio è di “un massimo di 12 anni contro i 5 del reato colposo”, chiariscono in Procura. “Ovviamente – spiegano ancora – le formalizzazioni della Procura potrebbero essere poi cambiate dai giudici in sede di processo”.
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Per contestare il crollo doloso serve un fatto diretto. E per i pm quel fatto è costituito da mancata manutenzione e atti falsi. La scorsa settimana, dall’analisi delle carte del tribunale del Riesame era emerso come la Procura contestasse anche il reato di falso. Anche questa nuova imputazione, così come il crollo doloso, è stata messa nera su bianco dei giudici nello spiegare perché le intercettazioni telefoniche effettuate proprio nell’indagine per il viadotto crollato siano rilevanti anche per le barriere fonoassorbenti, filone di inchiesta, quest’ultimo, che aveva portato agli arresti domiciliari per l’ex ad di Aspi e Atlantia, Giovanni Castellucci, l’ex direttore delle operazioni centrali di Aspi Paolo Berti, Michele Donferri Mitelli, ex direttore delle manutenzioni di Aspi, e Michele Donferri Mitelli, ex direttore delle manutenzioni di Aspi.
Gli ex vertici di Autostrade, secondo l’accusa, avevano messo in atto falsi rapporti per nascondere “l’assenza di reali ispezioni” e per “nascondere la sottovalutazione dei reali vizi accertabili”. Emerge intanto che Donferri Mitelli e Berti, dopo il crollo del Morandi, furono promossi “per non accusare Castellucci. Il primo fu mandato in una società spagnola controllata dai Benetton, il secondo venne destinato ad occuparsi di appalti per Aeroporti di Roma spa”.
Fin dall’inizio delle indagini i rappresentanti della società ha voluto mantenere la linea dura sia durante gli interrogatori di garanzia in qualità di indagati, durante i quali si avvalsero della facoltà di non rispondere davanti ai pm rendendo più complesso l’accertamento della verità, sia durante l’incidente probatorio sui detriti del viadotto quando, secondo il Comitato Ricordo Vittime del Ponte Morandi, cominciarono a fare melina sulle perizie di parte nel tentativo di procrastinare più possibile la conclusione dell’inchiesta.
Con questa ulteriore accusa la Procura di Genova ha confermato l’intenzione di rispondere in modo perentorio alle tragiche evidenze dei fatti che chiamano in causa non solo la società Autostrade per l’Italia ma indirettamente anche gli utili di Atlantia. La domanda è pertanto implicita e inevitabile: Luciano Benetton e i suoi familiari (al momento estranei ad ogni addebito), che attraverso Sintonia Spa-Edizioni Srl detengono il 30,25 % di Atlantia Spa, erano a conoscenza del fatto che i dirigenti della concessionaria della rete viaria avrebbero speculato sulla sicurezza pur di garantire maggiori introiti agli azionisti della finanziaria??? La risposta non si saprà mai: dato che gli amministratori delegati esistono proprio per diventare parafulmini in caso di tempeste ed uragani.
Redazione Gospa News