GIUSTIZIA INCAPACE A PUNIRE I VERI CRIMINALI. Albanese Arrestato dalla Polizia per Tentato Omicidio, Droga e Prostituzione Mai Condannato in 25 anni. Libero per un Cavillo…
In copertina un eloquente disegno di Roberto Longoni tratto dal suo articolo “La Ferita dell’Ingiustizia”
di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
Investigatori della Polizia di Stato condussero un’importante operazione internazionale per riuscire a catturare un boss albanese di notevole spessore, dedito al narcotraffico come alla prostituzione ma pure incastrato per rapine e persino per un tentato omicidio.
L’operazione degli inquirenti culminata con un blitz in Spagna ebbe vasta eco ad Asti dove l’uomo operava. I poliziotti si guadagnarono meritati encomi ma a distanza di 25 anni lui è libero e uccel di bosco per un vergognoso ed ingiustificabile imprevisto giudiziario che meriterebbe un’ispezione del Ministero di Grazia e Giustizia.
E’ questa la storia di Maksim Kokomani, albanese arrestato dalla polizia astigiana nel 2003 in Spagna, insieme al fratello, entrambi con le accuse di rapine, sfruttamento della prostituzione, spaccio, ma anche tentato omicidio e furti.
Kokomani, oggi difeso dal legale Monica Grosso del foro di Torino, all’epoca dell’arresto aveva 27 anni ed era già stato giudicato dal tribunale di Asti per alcuni reati: doveva scontare 22 anni di reclusione, mentre il fratello ne doveva scontare 16.
Ma ieri, 12 ottobre 2022, il Tribunale di Asti ha rilevato che i reati contestati a Kokomani fossero stati commessi “al più tardi il 7 settembre 1997”, con prescrizione datata 7 settembre 2022.
Come ricostruisce la Voce di Asti, nel 2003 le indagini della polizia astigiana fecero emergere come i fratelli fossero stati sorpresi nel 1996 e arrestati mentre stavano spacciando dosi di eroina utilizzando una roulotte, che spostavano di volta in volta nelle periferie dei paesi. Per l’attività di confezionamento, invece, si accampavano sotto un ponte dell’autostrada Torino-Piacenza.
La grave accusa di tentato omicidio, invece, aveva trovato terreno fertile a Venezia. I due fratelli più un terzo (che aveva lavorato in società con loro solo nel 1997), nel corso di una rapina avevano tentato di uccidere con un colpo di pistola e con una coltellata il padrone di una casa.
«A Cisterna d’Asti, secondo quanto ricostruito dalle indagini della Squadra Mobile all’epoca, i due avevano persino gettato dalle mura del castello un cliente in ritardo con i pagamenti. L’uomo si salvò, ma il periodo di cure all’ospedale fu molto lungo e travagliato» rimarca la Voce di Asti.
IL CAVILLO GIUDIZIARIO CHE VALE LA PRESCRIZIONE
«Nel 1998 vennero rinviati a giudizio ma, nel frattempo, erano stati scarcerati e alla lettura della condanna a 9 e 5 anni, non erano presenti.
Ci vollero altri tre anni per riuscire a trovarli: sempre la Squadra Mobile di Asti li aveva catturati in Spagna, nel 2003. In quel momento le condanne a loro carico (oltre a quella di Asti ne avevano collezionate altre per reati come sfruttmento della prostituzione, rapine, tentato omicidio, furti) avevano portato a 22 e 16 anni le pene da scontare per i due fratelli» precisa la Gazzetta d’Asti.
MAFIA NIGERIANA – 2. I SUPER-BOSS NERI NELLA TRATTA DEI NUOVI SCHIAVI
Dopo la fuga dall’Italia si erano stabiliti a Reus, in Spagna, dove avevano ripreso la loro attività criminale e vivevano nell’agiatezza grazie ai proventi di un vasto giro di prostituzione che impiegava giovani donne dell’Est a favore delle zone più turistiche.
Sulle loro tracce anche la polizia spagnola che li sospettava fortemente di essere gli autori di episodi molto gravi.
Estradati in Italia, nel 2012 la Corte di Cassazione accolse il ricorso dell’avvocato Basilio Foti, difensore di Maksim, riguardante un errore sul decreto che disponeva il processo che si era tenuto ad Asti per la droga.
Irregolarità che venne confermata dalla Corte d’Appello la quale, nel 2016, rimandò ad Asti tutto il fascicolo per rifare il processo da capo. L’errore burocratico riguardava la notifica del rinvio a giudizio al difensore d’ufficio.
L’anno scorso la Procura ha nuovamente portato in aula il fascicolo e ieri il collegio presieduto dal dottor Giannone non ha potuto far altro che rinunciare a procedere perché «pare contrario a esigenze di economia processuale procedere a trattazione di processo per fatti sicuramente destinati alla prescrizione».
Questa vicenda di ordinaria ingiustizia stride con il rigore applicato dall’Avvocatura dello Stato e da un giudice dell’Aquila che ha ridotto i risarcimenti per i terremotati MORTI in quanto ritenuti corresponsabili del loro stesso decesso essendo rientrati nelle loro case dopo le prime scosse telluriche.
Una giustizia così brava a spaccare il capello in 16 quando si tratta di rifondere i parenti delle vittime di un disastro immane dovrebbe quanto meno essere capace di fare notifiche di decreti giudiziari corretti quando si trova dinnanzi a pericolosi criminali.
Così non è. E prendiamo atto che ancora una volta, in Italia, per misteriosi cavilli, la delinquenza paga più dell’onestà!
Nei link sotto alcuni esempi di vergognose storie di ordinaria ingiustizia…
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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