DONBASS: REPORTER ITALIANO ASSASSINATO DALL’ALLEATO DI NEONAZISTI E JIHADISTI
GRANATE LANCIATE PER ELIMINARE IL FOTOGRAFO:
LA CORTE D’ASSISE DI PAVIA CONDANNA A 24 ANNI
IL MILITARE DELLA GUARDIA NAZIONALE UCRAINA
PREMIATO COME UN EROE DAL PRESIDENTE POROSHENKO
E DIFESO DAL MINISTRO AMICO DI ISRAELE E MOSSAD
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
Condannato per duplice omicidio volontario aggravato. Il militare ventinovenne della Guardia Nazionale Ucraina Vitaly Markiv, il 24 maggio 2014, guidò il tiro di ripetuti colpi di mortaio e sofisticati fucili semiatutomatici d’assalto con l’intenzione di uccidere e ci riuscì: causando la morte del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli, 30 anni di Pavia, e del suo interprete e collega giornalista russo Andrei Mironov, 60. Fu un tiro al bersaglio esattamente come quello dei cecchini mercenari georgiani che il 20 febbraio 2014 spararono sulla folla di Piazza Maidan a Kiev per causare una strage da imputare a polizia ed esercito dando l’ultima spinta al golpe in Ucraina.
Il processo ha accertato che i reporter non furono uccisi per caso ma per deliberata intenzione: con tutta probabilità per eliminare testimoni scomodi delle atrocità quotidiane nel Donbass, dilaniato da una guerra civile tra i filorussi ucraini di quella regione ed i golpisti di ultradestra saliti al potere dopo la rivoluzione arancione, fomentata dai finanziamenti per il regime-change della Renaissance International di George Soros e dalle cospirazioni del’intelligence Usa sotto le direttive dell’ex presidente Barack Obama.
Al sottufficiale dei Battaglioni volontari era stata contestata anche l’aggravante della crudeltà: avrebbe agito contro persone inermi, durante un attacco condotto con aggiustamento progressivo del tiro. Il verdetto della Corte d’Assise di Pavia non lascia adito a dubbi: i giudici togati e popolari hanno condannato Markiv a 24 anni di reclusione senza nemmeno concedergli le attenuanti generiche derivanti dalla sua condizione di incensurato come richiesto dalla pubblica accusa che aveva ritenuto congrua una pena più lieve di 17 anni.
L’imputato era accusato non solo del duplice omicidio ma anche di quello tentato nei confronti al terzo componente del gruppo di reporter, il francese William Roguelon, 28 anni, rimasto ferito dalle schegge di granate ma scampato miracolosamente alla morte.
E’ questa la perentoria risposta della giustizia italiana alle insinuazioni di «fake news» lanciate dal Ministro dell’Interno dell’Ucraina, Arsen Avakov, nel maggio scorso quando era giunto a Pavia per sostenere l’estraneità del militare ad ogni accusa: «Vitaly Markiv è innocente: per noi è un eroe di guerra» aveva ripetuto il politico di Kiev in aula ai giornalisti. Rilanciando in un video su Twitter dichiarazioni ancora più pesanti: «Markiv è arbitrariamente imprigionato in un carcere italiano, saluti e grazie per il sostegno». Prima di entrare nel merito dell’ultimo capitolo processuale e della dinamica dei fatti è opportuno ricordare qualche informazione generale sulla guerra civile del Donbass, sugli schieramenti contrapposti e sulla Guardia Nazionale Ucraina.
LA GUARDIA NAZIONALE UCRAINA TRA NEONAZISTI, JIHADISTI CECENI E MOSSAD
Come evidenziato in altri reportages sui sospetti depistaggi nell’inchiesta sull’abbattimento del Boeing 777 Malaysian Airlines, sulle ragioni del conflitto per la caccia al gas ed al petrolio guidata dagli Usa, sulle infiltrazioni dei jihadisti in Ucraina e sulla vendita di armi israeliane a gruppi neonazisti paramilitari, un’attenta analisi del contingente militare del governo provvisorio di Kiev, successivo al golpe con cui fu costretto alla fuga il presidente filorusso Viktor Janukovic il 22 febbraio 2014 dopo la strage di piazza Euromaidan, attribuita a polizia ed esercito ma in realtà perpetrata da cecchini mercenari come poi emerso da altre inchieste.
Rimandiamo alla lettura dei precedenti articoli per queste informazioni che diamo per scontate e ci concentriamo invece sulla Guardia Nazionale Ucraina e sul ministro Avakov che dal 2014 ad oggi dirige tale formazione, essendo l’unico politico ad aver mantenuto l’incarico nello strategico Dicastero dell’Interno anche in virtù con le ottime relazioni diplomatiche con il Ministro dell’Interno di Israele, e di conseguenza anche con i servizi segreti del Shin Bet (interni) e Mossad (controspionaggio estero) che ad esso fanno riferimento, e con gli Usa (ovviamente perciò con la Cia) ma soprattutto con la Nato che dal 2017 ha un Centro di informazione e documentazione in Ucraina.
Se Avakov ha il dente avvelenato con la giustizia italiana è forse anche perché nel 2012 finì in carcere a Frosinone in seguito ad un mandato di cattura internazionale per abuso d’ufficio conseguente ad un’inchiesta avviata nel suo paese e poi rilasciato grazie alla sua elezione a parlamentare nelle file del Fronte Popolare, Narodnij Front, fondato da Arseny Yatsenyuk, l’ex premier sostenuto dal presidente americano Barack Obama e dalla fondazione Open Ukraine, foraggiata fin dal 2007 al KSF (Kiev Security Forum) da Renaissance International, braccio operativo ucraino della Open Society Foundation di George Soros.
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La Guardia Nazionale Ucraina sotto la guida del ministro Avakov è diventata un organismo paramilitare ibrido capace di reclutare qualsiasi risorsa utile al combattimento contro gli indipendentisti del Donbass, l’area sudorientale dell’Ucraina, strategica per le smisurate risorse di gas e petrolio e per la sua posizione al confine con la Russia.
Nella NGU, infatti, sono confluiti gruppi di milizie volontarie del Pravyj Sector (Settore Destro) ma anche il famigerato Battaglione Azov di ultra-destra neonazista, accusato da Amnesty International di torture e ferocie inaudite, entrambi affiancati sul campo, senza ovviamente alcun riconoscimento formale, dai jihadisti della Brigata Sheikh Mansur, musulmani ribelli ceceni addestrati ed armati dall’Isis in Siria e Iraq guidati da Cheberloevsky. Anche a loro l’ex presidente Petro Poroshenko garantì il passaporto ucraino quale premio riservato a tutti i combattenti alleati di Kiev nel Donbass.
Vitaly Markiv dall’Ucraina era emigrato in Italia, dove viveva sua madre marchigiana, e grazie alla doppia cittadinanza si era insediato sulla Riviera Romagnola per godersi in modo frizzante la sua gioventù. A Rimini si fece conoscere per la sua duplice attività di personal trainer in una palestra e di DJ delle interminabili notti sull’Adriatico. Quando a novembre cominicarono le proteste di Euromaidan il robusto e sportivo 28enne sentì il richiamo della patria, probabilmente reso più appetibile da qualche promessa di lauti premi economici, e ritornò a Kiev dove in pochi mesi fu reclutato da uno dei battaglioni volontari della Guardia Nazionale trovandosi così a combattere, al fianco di neonazisti e jihadisti, contro i filorussi delle Repubbliche di Lugansk e Donetsk. Il 24 maggio la sua vita si incrociò con quella del fotoreporter Andrea Rocchelli.
LA MISSIONE NEL DONBASS FATALE PER IL FOTOREPORTER ITALIANO
Andy era un esperto fotografo nelle zone più calde e pericolose dell’Asia. Ex allievo del Liceo scientifico Copernico di Pavia, Rocchelli ha realizzato reportage sulle violazioni dei diritti umani nel Caucaso russo, crisi in Kirghizistan, primavera araba in Tunisia e in Libia, lavorando anche per l’agenzia Grazia Neri e pubblicando immagini su diverse riviste estere. Nel 2008 aveva fondato il Cesura Lab che si è costituito parte civile al processo per il suo assassinio, rappresentato dall’avvocato Gianluigi Tizzoni, chiedendo 15 mila euro a titolo di risarcimento danni, da destinare a scopi benefici anche per ricordare il fondatore.
Nel 2014 si fionda nel Donbass per testimoniare con la macchina fotografica gli orrori di una guerra civile senza esclusione di colpi. Soprattutto, rammento io, da parte dell’esercito regolare di Kiev e della NGU che per stanare i ribelli dalle trincee non si fa troppi scrupoli nel bombardare anche le residenze civili. Come ogni esperto fotoreporter Andrea non viaggia da solo: fa trio con il giornalista ed attivista dei diritti umani Andrej Mironov, 60 anni, che in quanto russo funge anche da interprete, e il collega francese William Roguelon.
I tre si trovano nei pressi della cittadina di Sloviansk, il 24 maggio 2014, quando nell’aria cominciano a sibile colpi di proiettili di armi a ripetizione (probabilmente l’AK-74, versione evoluta del noto kalashnikov AK-47 con cui fu sovente fotografato Markiv) e anche di mortaio. Andy e gli altri si tuffano in un fossato per trovare riparo in attesa che la rappresaglia si fermi. Ma dalla collina Karachun gli spari e i colpi di mortaio continuano indiscriminatamente a piovere sui tre foto-reporter. Avvicinandosi sempre più alla trincea di fortuna in cui si sono rifugiati. Finchè non arriva la granata fatale che deflgrandosi uccide con le sue schegge il giovane italiano ed il russo, e ferisce gravemente il francese.
Le indagini, avviate dal Nucleo Informativo Carabinieri di Pavia e poi successivamente condotte dal Ros di Milano, coordinate dalla Procura di Pavia (procuratore aggiunto Mario Venditti e sostituto procuratore Andrea Zanoncelli), avrebbero accertato la responsabilità dell’italo-ucraino negli eventi. Per gli inquirenti è stato lui, unico indagato, a guidare il tiro di fuoco sempre più vicino ai tre reporter. Markiv fu arrestato dai Carabinieri il 30 giugno 2017 dopo essere atterrato a Bologna mentre stava andando a trovare la madre nelle Marche.
IL MILITARE “EROE IN UCRAINA” SMENTITO ANCHE DALLE FOTO
Al processo, iniziato circa un anno fa e terminato venerdì 12 luglio con la lettura del verdetto di condanna, la pubblica accusa ha sostenuto che «la postazione dei mortai era vicina e accessibile, rispetto a dove si trovava Markiv». «Avrò visto un paio di volte Markiv – testimoniò in aula in difesa dell’imputato Balan Mykola, all’epoca vicecomandante della Guardia nazionale – So che era un bravo soldato. In quel periodo Markiv, come il resto del nostro corpo, poteva utilizzare solo armi leggere: non avevamo in dotazione mortai».
Ma il pubblico ministero Zanonceli nel corso della sua requisitoria ha offerto una differente interpretazione: se la guardia nazionale non aveva i mortai come equipaggiamento, li aveva l’esercito che era posizionato nelle vicinanze. E se Markiv non ha materialmente azionato un mortaio, sempre secondo l’accusa potrebbe avere segnalato l’auto dei reporter, dando il via all’azione che è costata la vita ad Andy e ha causato il ferimento di Roguelon, 28 anni. Il pm ha sottolineato che i testimoni “a discarico” sentiti sul luogo dove sono avvenuti i fatti erano «disoccupati e persone anziane, una nata nel 1919».
Il paramilitare imputato si difese sostenendo che la postazione militare ucraina non poteva vedere a distanza e perciò è da escludere un tiro mirato contro i reporter. «Al contrario una delle foto scattate nell’estate del 2014 e trovate in una chiavetta di memoria sequestrata all’indagato mostra dei militari filoucraini intenti a sorvegliare dalla collina proprio l’area nella quale aveva perso la vita Rocchelli» rivelò il quotidiano Avvenire nel gennaio scorso citando anche alcune intercettazioni nelle quali Markiv ammette che insieme ai suoi uomini aveva «fatto fuori dei giornalisti».
«Siamo più che convinti dell’innocenza di Markiv – aveva invece eccepito il ministro Avakov durante la sua apparizione a Pavia nel maggio scorso – Nel luogo in cui si trovava sulla collina, non avrebbe potuto colpire Rocchelli. Inoltre non aveva in dotazione le armi, come il mortaio, con le quali sono stati uccisi il fotografo italiano e il giornalista russo Andrei Mironov. Siamo abituati, ormai, alle falsità diffuse durante questa “guerra ibrida”. Un conflitto che continua a fare vittime: nelle ultime 24 ore un nostro soldato è morto e un altro è rimasto ferito. In 5 anni abbiamo avuto 15mila morti. Non è uno scherzo, questa è un guerra vera nella quale dobbiamo fare i conti con i ripetuti crimini delle forze filorusse».
Avakov ha anche ricordato che «Fabrizio Romano, allora ambasciatore italiano in Ucraina, aveva più volte invitato a non frequentare la zona del conflitto. Purtroppo Rocchelli si è recato nella zona occupata dai separatisti: ma con la sua morte Vitaly Markiv non c’entra. E’ stato premiato anche con un’onorificenza del nostro Presidente della Repubblica – ha aggiunto i ministro riferendosi alla medaglia conferita al soldato della NGU da Petro Poroshenko – Abbiamo fiducia nella giustizia italiana e siamo convinti che alla fine la verità verrà a galla. Markiv non deve diventare il capro espiatorio di questa vicenda»
Ma sulla drammatica morte del reporter italiano sono invece pesati molto i silenzi del Governo di Kiev che non ha saputo fornire risposte investigative chiare alla magistratura italiana tanto che gli avvocati della famiglia Rocchelli, Emanuele Tambuscio e Alessandra Ballerini, hanno ottenuto la citazione a giudizio dello Stato ucraino attraverso l’ambasciatore a Roma, «in qualità di responsabile civile» dell’omicidio per la violazione degli obblighi delle parti in conflitto e dei doveri nei confronti dei civili.
MARKIV SI DICE INNOCENTE: CONDANNATO A 24 ANNI SENZA ATTENUANTI
“Sono innocente e ho fiducia nella giustizia italiana. Sono un soldato che ha sempre servito con onore il mio Paese”. E’ stata l’ultima dichiarazione del para-militare ucraino prima della lettura della sentenza. L’accusa chiedeva 17 anni per le attenuanti generiche in quanto incensurato. La difesa l’assoluzione piena perché non aveva commesso il fatto. All’udienza conclusiva erano presenti numerosi connazionali di Markiv, i genitori di Rocchelli, la Federazione nazionale della Stampa italiana e l’Associazione Lombarda dei Giornalisti, e numerosi reporter e troupe televisive italiane ed ucraine.
La Corte d’assise di Pavia ha condannato Markiv a 24 anni non concedendo nemmeno le attenuanti. Non solo. Nella sentenza la Corte d’Assise ha inoltre trasmesso alla Procura di Roma la richiesta, avanzata dal procuratore capo Giorgio Reposo, di aprire un’indagine su un ufficiale della Guardia Nazionale Ucraina, anche lui ritenuto coinvolto nell’omicidio di Rocchelli. La lettura del verdetto ha dato vita ad attimi di tensione nella sala. Markiv, rivolgendosi ai numerosi ucraini presenti in aula, ha lanciato il grido “Gloria all’Ucraina!”, al quale questi hanno risposto con il grido “Gloria all’eroe!”.
Opposto il parere sulla sentenza dei genitori di Andrea, Rino Rocchelli ed Elisa Signori: «Per noi è comunque un momento difficile. Ma questa sentenza rende giustizia ad Andrea e a tutti i giornalisti che rischiano la vita per raccontare la verità. Ringraziamo la Procura e le forze dell’ordine per il grande lavoro investigativo svolto in questi anni e diciamo grazie anche ai giornalisti che hanno seguito con grande attenzione tutto lo sviluppo del processo». Bisogna invece attendere il deposito della sentenza per conoscere la risposta alla richiesta di risarcimento pari a un milione e 800mila euro dei familiari.
Anche la Federazione nazionale della Stampa italiana e l’Associazione Lombarda dei Giornalisti, erano presenti al processo come parti civili, rappresentate dagli avvocati Margherita Pisapia e Giuliano Pisapia, che hanno dichiarato: «Ci siamo costituiti parte civile in questo processo con l’obiettivo di dare il nostro contributo, senza pregiudizi, all’accertamento della verità (..) sulle responsabilità della tragica morte di un coraggioso fotoreporter che ha perso la vita per garantire, anche in quei luoghi dove prevale la violenza sulla pace e sulla libertà, il diritto-dovere di informare ed essere informati».
Ora si spera che nei successivi inevitabili ricorsi in Appello e in Cassazione da parte della difesa sia garantito anche il diritto-dovere alla giustizia dei parenti della vittime. Una garanzia venuta meno in troppi importanti processi quando c’erano implicazioni internazionali tra paesi alleati o nell’ombra della Nato come è oggi l’Ucraina.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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FONTI
IL FATTO QUOTIDIANO – CONDANNATO IL MILITARE UCRAINO
LA PROVINCIA PAVESE – L’ACCUSA CHIEDE 17 ANNI
LA PROVINCIA PAVESE – RISARCIMENTO AI FAMILIARI
AVVENIRE – LE FOTO CONTRO MARKIV
LOBBY ARMI – 2: LOSCHI AFFARI SIONISTI CON NEONAZISTI, ISLAMISTI E L’INDIA NUCLEARE
STRAGE VOLO MALAYSIA: DEPISTAGGI A KIEV TRA NATO, 007 E ONG DI SOROS
https://www.gospanews.net/2018/12/29/jihadisti-isis-europei-in-ucraina/
2 pensieri su “DONBASS: REPORTER ITALIANO ASSASSINATO DALL’ALLEATO DI NEONAZISTI E JIHADISTI”