Neonata Ferita e positiva alla Cocaina tolta ai Genitori Innocenti: Causa all’Ospedale per Sequestro di Persona

Neonata Ferita e positiva alla Cocaina tolta ai Genitori Innocenti: Causa all’Ospedale per Sequestro di Persona

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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio

Con soli 40 giorni di vita, per un ferimento causato da una caduta accidentale, è stata strappata all’affetto del padre e costretta a vivere in una comunità per minori insieme alla madre.

L’unica fortuna di Rebecca (è un nome di fantasia) è stata quella di essere una neonata e quindi di non poter essere privata delle cure della mamma, rinchiusa insieme a lei in una casa famiglia dopo che il Tribunale per i Minori aveva tolto ad entrambi i genitori la potestà genitoriale.

La sua grande sfortuna è stata quella di risultare positiva alla cocaina durante un esame del capello, peraltro non autorizzato, disposto da medici sospettosi che dietro alla lesione alla lingua ci fosse una storia di maltrattamenti. Usciti da un inferno di accuse risultate infondate in seguito agli accertamenti della magistratura papà e mamma, mai risultati positivi all’uso di sostanze stupefacenti, ora chiedono non solo giustizia ma il risarcimento dei danni all’Azienda Ospedaliera di Padova i cui dottori, secondo il ricorso depositato martedì 28 gennaio presso il Tribunale di Padova dal loro avvocato, avrebbero commesso errori diagnostici tali da innescare una spirale di omissioni ed abusi d’ufficio culminati nel sequestro di persona della neonata e della madre.

 

IL RICORSO PER DANNI DEI GENITORI

«Una storia pazzesca!». La definisce l’avvocato padovano Matteo Mion che pure ne ha viste di tutti i colori essendo specializzato in cause civili per malasanità. «Nel caso di specie i sanitari non solo hanno commesso abusi d’ufficio sottoponendo la piccola a esami non necessari e trattenendola indebitamente oltre ai tempi di cura ma soprattutto hanno erratamente ritenuto che la ferita fosse da arma da taglio dando così il via a un iter drammatico. Anche le perizie del Tribunale civile confermano le nostre ragioni e riconoscono i danni patiti: sul punto non vi è giurisprudenza ma questi danni sono enormi perché invadono e stravolgono la sfera non solo biologica ma anche morale ed esistenziale delle persone coinvolte» aveva dichiarato nel luglio scorso il legale al quotidiano La Verità in un’inchiesta sull’orrore dei bimbi strappati con troppa facilità all’affetto dei genitori ed invitandoli ad agire.

L’avvocato padovano Matteo Mion specializzato in cause per risarcimenti danno da malasanità

Il ricorso per danni ex art. 702 del Codice di Procedura Civile per conto della coppia padovana rischia perà di diventare una “causa pilota” perché evoca anche reati di rilevanza penale come “abuso d’ufficio” e soprattutto “sequestro di persona” di cui più volte si sono sentiti vittima i genitori cui è stato tolto un bambino dalla burocrazia dei cosiddetti “affidi facili”.

«E’ ora che tutti i genitori vittime di eccessiva sospettosità agiscano per il risarcimento del danno a Padova come a Bibbiano» sostenne Mion mettendo il dito nella piaga degli affidi facili, spesso senza contradditorio giudiziario, per la quale la Procura di Reggio Emilia si appresta a chiedere 26 rinvii a giudizio dopo aver chiuso le indagini con la conferma della sussistenza di 108 reati.

Di eventuali cause civili a Bibbiano se ne parlerà dopo che la giustizia penale avrà terminato il suo corso. Mentre in Veneto cià è già accaduto ed è per questo che l’avvocato della coppia padovana ha depositato la causa civili con la richiesta di danni all’Azienda Ospedaliera locale.

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Leggere il ricorso è come rivivere l’incubo patito da Alvise e Angela, di cui omettiamo le generalità complete per rispetto della minore coinvolta, usciti dalla vicenda completamente stravolti come rileva il legale: «l’essere stati continuamente sottoposti ad osservazione e valutazione ha fatto insorgere nei coniugi paura del giudizio altrui, insicurezza decisionale, totale senso di impotenza e la sensazione di essere completamente in balia delle decisioni altrui, intensa rabbia, elementi questi che hanno concorso a determinare un grave danno al loro funzionamento personologico ed al loro equilibrio psicologico.

Ad oggi i coniugi, a causa di quanto accaduto, si rapportano con la piccola con un atteggiamento iper-protettivo, con tendenze fobico-ossessive» di grado medio.

«Dai colloqui con la psicoterapeuta è emerso come il disagio psicologico sia specificatamente legato alle pesanti accuse ricevute dai medici – dell’Unità di Crisi per Bambini e Famiglie del Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino dell’A. O. di Padova – che a seguito delle indagini da parte della Procura sono risultate gravemente infondate e che hanno determinato per diverso tempo letteralmente lo stravolgimento delle abitudini, della serenità e dell’esercizio della genitorialità della signora e del marito».

 

DALLA CADUTA ACCIDENTALE ALL’INCUBO IN OSPEDALE

Tutto comincia il 24 febbraio 2016 alle ore 10.40 circa, quando mamma Angela, mentre esce di casa e si volta per chiudere il portone, fa cadere involontariamente la piccola Rebecca (nome di fantasia), «di appena 40 giorni, dall’ovetto (il seggiolino portatile – ndr), i cui presidi di sicurezza erano stati fissati erroneamente».

La piccola, cadendo, sbatteva il volto al suolo e si feriva alla lingua, come ricostruisce l’avvocato Mion nel ricorso: la madre, «accertatasi che la bimba fosse vigile e che non vi fossero particolari traumi, si recava immediatamente al Pronto Soccorso di Mirano con mezzi propri. Da lì la neonata viene trasferita al Pronto Soccorso di Padova con ambulanza senza personale medico, poiché la ferita non veniva ritenuta di particolare entità».

L’ingresso del Pronto Soccorso dell’Azienda Ospedaliera di Padova

«Presso l’Ospedale di Padova (ore 13.12) i sanitari rimuovevano un secondo coagulo dalla lingua di Rebecca, che iniziava a sanguinare copiosamente. Ciò nonostante, i genitori e la bambina venivano lasciati in sala d’attesa per circa tre ore, senza che alcun operatore provvedesse ad un monitoraggio o controllo della neonata, che continuava a perdere sangue. Al momento dell’ingresso in sala operatoria erano le ore 15.07; nel frattempo le condizioni della minore erano divenute gravi e la piccola necessitava di una trasfusione e di un’operazione in anestesia generale, data l’evoluzione della lesione linguale» fin qui potrebbe sembrare un racconto di ordinaria malasanità italiana. Ma il peggio deve ancora avvenire

«Da lì partiva il tragico iter che ha condotto la coppia dinanzi al vaglio del Tribunale per i Minorenni di Venezia per asserito maltrattamento ed abuso nei confronti della figlia.

Dopo un ricovero di tre giorni di degenza nel reparto di pediatria, Angela e la figlia venivano trasferite, a loro insaputa e in assenza di ogni valido consenso, nel reparto dell’unità di crisi denominata “casa del bambino maltrattato”. I sanitari dell’ospedale di Padova, senza informare i genitori del procedimento in atto, prescrivevano agli stessi e alla piccola Eva esami invasivi (prelievi ematici, esame del fondo dell’occhio, risonanza magnetica, raggi» evidenzia l’avvocato nell’azione di causa civile.

 

LA COCAINA NEL CAPELLO DELLA BIMBA

Pochi giorni dopo i medici sospettosi trovano un indizio che per loro odora di conferma d una situazione di disagio: «In data 07.03.2016 veniva riscontrata la presenza di cocaina nel capello della minore. I genitori, increduli e preoccupati, si sottoponevano ai test tossicologici su capelli e urine, che risultavano negativi per Alvise e positivi al tramadolo per Angela».

Tale sostanza è un oppioide sintetico usato come antidolorifico che risultava essere stato somministrato in ospedale a Mirano alla madere in occasione del ricovero per parto cesareo da cui era nata la piccola. Ma ciò ai medici non basta…

«Nonostante i coniugi avessero prodotto le relative cartelle cliniche a sostegno di quanto in loro difesa e nonostante la minore non presentasse alcun segno di maltrattamento (iponutrizione, scarso accrescimento, carente sviluppo psicosomatico, pregresse fatture, emorragie retiniche, emorragie ultracraniche, cicatrici cutanee ecc …), i sanitari imponevano alla madre e della neonata una degenza forzata di giorni 45, in totale assenza di esigenze terapeutiche, e senza possibilità di dimissione volontaria né di allontanamento temporaneo dagli ambienti ospedalieri» si legge nel ricorso dell’avvocato Mion che iniziò ad occuparsi della vicenda fin da quel momento.

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«I coniugi richiedevano numerosi colloqui con i responsabili di reparto e producevano ai sanitari ogni tipo di prova a sostegno della loro totale estraneità agli addebiti che venivano loro – gravemente ma mai esplicitamente – mossi: testimonianze di parenti ed amici, copia delle comunicazioni con i familiari riferite al giorno dei fatti, copia delle cartelle cliniche della gravidanza e del parto della Vian».

Ma le loro parole rimbalzano contro il muro di gomma dei medici che allertano le strutture competenti.

 

NEONATA IN COMUNITA’, GENITORI INNOCENTI

«Ciò nonostante, in spregio ad ogni comunicazione e contraddittorio con i coniugi, dopo quasi un mese di ricovero coatto e in assenza di alcuna tutela per i pazienti, in data 17/03/2016 e in data 31/03/2016 i sanitari dell’AO di Padova inviavano quindi due segnalazioni alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni. In data 9.04.2016 il Tribunale per i Minorenni di Venezia emetteva il decreto con cui sospendeva la responsabilità genitoriale in capo ai coniugi e poneva la minore in ambiente protetto. Dal 11/04/2016 la minore e la madre venivano collocate in comunità».

Come spesso accade i Giudici Onorari del Tribunale dei Minori in soli 9 giorni, e senza contraddittorio giuridico, hanno emesso l’ordinanza di urgenza costringendo la mamma a vivere da reclusa ed il papà ad essere privato dell’affetto di moglie e figlioletta.

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La coppia padovana, assistita dall’avvocato Mion, non si rassegna e inizia la sua battaglia legale che culminerà in un archiviazione per il fascicolo aperto contro ignoti dalla Procura della Repubblica di Venezia in seguito alla perizia CTU medico legale circa la natura della lesione della piccola, ritenuta riconducibili alla caduta accidentale della stessa, come sempre raccontato dalla madre, “non essendo presenti dati obiettivi di competenza medico legale che suggeriscano una ipotesi alternativa”.

Mentre in riferimento alla «contaminazione di cocaina nel capello (di Rebecca – ndr) era in quantitativo tale da escludere con certezza l’esposizione prenatale alla sostanza, così come l’esposizione passiva post-natale causata dall’uso da parte di uno o entrambi i genitori. Anzi, il tecnico non escludeva che la contaminazione fosse avvenuta addirittura proprio in ambiente ospedaliero».

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L’iter processuale dinanzi al Tribunale per i Minori di Mestre si concludeva, con provvedimenti emessi rispettivamente in data 25/05/2016 e 21/11/2016, con l’archiviazione a seguito della revoca del provvedimento a carico dei coniugi e di ogni altra misura restrittiva della responsabilità genitoriale. Anche la Procura di Venezia avanzava la richiesta di archiviazione, comunicata ai genitori quali persone offese.

In particolare il giudice minorile definisce la madre: «adeguata alla cura della figlia e attenta ai suoi bisogni evolutivi» ed il padre «molto affettuoso e presente, sempre interessato alle seigenze della bambina».

Da qui l’azione legale intrapresa nei giorni scorsi dal ricorso ex 702 cpc dall’avvocato Mion per contro di Alvise e Angela in cui bene vengono sitentizzati gli atti tali da determinare i presunti dianni biologici, morali ed esistenziali.

 

LA CAUSA-PILOTA PER SEQUESTRO DI PERSONA

«Lo scrivente ritiene che i sanitari che, a vario titolo, ebbero in cura (Rebecca, nome di fantasia) siano passibili di evidenti profili di responsabilità nei confronti degli odierni ricorrenti, sia in proprio sia in nome e per conto della minore, avendo colposamente: omesso di effettuare un’attenta valutazione e una corretta diagnosi del caso sin dall’accesso in Pronto Soccorso in data 24/02/2016; fornito un servizio di assistenza e degenza ospedaliera del tutto inadeguata; omesso di adottare misure terapeutiche idonee al caso di specie; omesso di fornire adeguate informazioni ai coniugi; omesso l’acquisizione di un valido consenso informato in ordine al ricovero coattivo della madre e della figlia ed al monitoraggio video negli ambienti ospedalieri adibiti all’Unità di Crisi per Bambini e Famiglie del Dipartimento per la Salute della Donna e del Bambino dell’A. O. di Padova; determinato un danno psicofisico di natura permanente sia in capo alla minore sia ai genitori. Il grave danno in questione dovrà perciò essere integralmente risarcito dalla Struttura resistente» rileva il legale che ipotizza danni correlati anche a due condotte di presunta rilevanza penale.

«LA MIA BIMBA MALATA DI CUORE RAPITA DALLO STATO E IMBOTTITA DI PSICOFARMACI»

«Premesso quanto sopra appare evidente che il comportamento posto in essere dai sanitari della struttura ospedaliera è idoneo a configurare, sul piano penale, in primis il reato di abuso di ufficio, fattispecie disciplinata e punita dall’art. 323 c.p.» il quale prevede la responsabilità del pubblico ufficiale non solo se si procura un vantaggio ma anche se arreca ad altri un danno.

«Nessun dubbio sul fatto che ai ricorrenti sia stato cagionato un danno ingiusto di rilevante gravità: la sottrazione di un figlio senza giustificato motivo appare certamente un fatto grave causa di sofferenze e patimenti che difficilmente potranno completamente guarire – scrive Mion – Il personale sanitario aveva l’obbligo giuridico, oltre che morale, di mettere i ricorrenti nella condizione di conoscere le accuse agli stessi ascritti fornendo agli stessi le prove su cui tali accuse venivano fondate primi tra tutti i risultati degli esami medici effettuati, cosa che non è avvenuta nella realtà dei fatti».

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Ma è la successiva contestazione che muove l’avvocato all’Azienda Ospedaliera Padova a pesare come un macigno poiché potrebbe rappresentare una “causa pilota” in tutte le pratiche di erroneo affido di minori in strutture protette: «A ciò si aggiunga che l’aver trattenuto, senza giustificato motivo e senza fornire alcuna spiegazione, Angela e la piccola presso l’unità di crisi denominata “casa del bambino maltrattato” è fatto idoneo a configurare anche l’ipotesi di reato prevista e disciplinata dall’art. 605 c.p. ossia il sequestro di persona».

“MIA FIGLIA DEVASTATA DAGLI PSICOFARMACI, SEGREGATA E COSTRETTA AD ABORTIRE DALLO STATO”

Il legale fa riferimento alla consolidata giurisprudenza per cui «il delitto di sequestro di persona non implica necessariamente che la condizione limitativa imposta alla libertà di movimento sia obiettivamente insuperabile, essendo sufficiente che l’attività anche meramente intimidatoria o l’apprestamento di misure dirette ad impedire o scoraggiare l’allontanamento dai luoghi ove si intende trattenere la vittima, sia idonea a determinare la privazione della libertà fisica di quest’ultima con riguardo, eventualmente, alle sue specifiche capacità di reazione».

E conclude: «Nessun dubbio può essere sollevato sul fatto che il personale sanitario abbia limitato la libertà di movimento della mamma e della piccola ponendole nella situazione di non poter decidere autonomamente circa il proprio stato di ricovero a causa della mancanza di qualsivoglia informazione e cura da parte del personale».

In più è palese l’aggravante di aver commesso la presunta violazione anche ai danni di una minore in quanto per di più neonata. Tutto qui? Ebbene no!

Perchè se i giudici del Tribunale civile dovessero ravvisare la sussistenza di estremi di reati penali dolosi o colposi perseguibili d’uffici, e non solo a querela di parte, potrebbero/dovrebbero anche inviare gli atti alla Procura della Repubblica per ulteriori indagini. In tal caso si sospenderebbe temporaneamente la causa civile in attesa degli esiti dell’inchiesta penale.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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